‘Alla scoperta del Paradiso perduto’vol. I – cap. 4 4. L' intervista 4.1 – L’autodidatta Cosa può dire della sua vita? E' stata una vita da autodidatta. Per 'vocazione'? No, per necessità. Da bambino (genitori separati) ho dovuto far a meno di mia madre. Già fin dai dieci anni mio padre, che diceva che bisogna saper diventare ‘uomini’ presto e sbrogliarsela in ogni occasione, aveva cominciato a mandarmi d' estate in Inghilterra - eravamo nei primi anni cinquanta – mettendomi sul treno, la prima volta, con cinque bigliettini che avrei dovuto mostrare, ognuno separatamente, ai rispettivi capostazione: Il primo, per la tratta fino a Parigi diceva: 'Sono un bambino italiano, mi fate scendere a Parigi?' Il secondo, da mostrare a Parigi: ' Sono un bambino italiano, devo cambiare stazione per andare a prendere nell'altra stazione (non mi ricordo più se fosse la Gare de Lyon o la Gare du Nord, o viceversa) il treno fino a Calais. Mi indicate la strada? Un terzo biglietto, per la seconda stazione, nel quale c' era scritto: 'Sono un bambino italiano, devo prendere il treno per Calais salendo però sulla carrozza ‘diretta’ che prosegue fino a Dover… Un quarto biglietto dovevo mostrarlo al capo stazione di Dover-marittima: 'Sono un bambino italiano, devo cambiare stazione e andare in quella dove posso prendere il treno per Margate, nel Kent'. A Margate, amena località – finalmente - di destinazione finale, sede di villeggiatura, un quinto biglietto: 'Sono un bambino italiano, devo prendere l' autobus per andare nella pensione di Mr. e Mrs....' Adesso, guardando le cose a quasi mezzo secolo di distanza, mi dico che mio padre doveva avere una buona dose di ottimismo ma anche di incoscienza, perchè ricordo che di capistazione ai quali chiedere – a parte quello della stazione di partenza - non ne avevo visto nemmeno uno, ma in compenso sono arrivato sano e salvo, senza perdere neanche un treno. Ad eccezione dell' ultimo tragitto a Margate dove ho lasciato perdere io l’ autobus. Sballottato da un treno all’ altro, da una stazione all’ altra, con una valigia dietro, avevo infatti cominciato a farmi furbo e – alla fine almeno – avevo voluto arrivare in pensione da gran signore… in taxi. Certo che mio padre, con quei bigliettini tutti uguali: 'sono un bambino italiano....' non è che avesse dimostrato una gran fantasia... però dicevano l' essenziale ed avevano funzionato. E a Dover, fuori della stazione, avevo incontrato un inglesone lungo lungo, magro magro, con dei baffetti biondi e gli occhi azzurri, con degli stivaloni alti di gomma e una canna da pesca sulle spalle. Aveva cercato di spiegarmi come cambiare stazione. Ma forse era lontana, o forse era complicato, o forse io proprio non capivo, o forse gli avevo fatto pena, fatto sta che mi ha condotto lui sino alla fermata dell'autobus, vi è salito, mi ha accompagnato all' altra stazione, mi ha portato la valigia e mi ha messo sul treno, e non se ne è andato - sbracciandosi con grandi gesti di saluto - finchè non mi ha visto al sicuro sul treno che partiva. E' stato il mio primo incontro con un inglese 'vero' (era da cinque anni finita la guerra) e allora - in Italia - c' era ancora chi diceva che gli inglesi mangiassero i bambini. Non lo dimenticherò mai, con quel suo sorriso da ragazzone troppo cresciuto. Come non dimenticherò mai le coccole che mi fecero quando arrivai a 'destino'. Ero la 'mascotte' della pensione. E tutti facevano a gara per non farmi mangiar a tavola da solo. Fu una esperienza ripetuta negli anni successivi, sempre nei mesi estivi delle vacanze, anche se ormai non avevo più ‘bigliettini’ perché mi destreggiavo discretamente con il mio 'inglese', e fu molto formativa, perchè capii fin da piccolo che tanta gente – nonostante le guerre - è fondamentalmente buona. E capii pure che il mondo era senza frontiere. Riprendiamo il discorso. Da giovane che mi affacciavo al mondo del lavoro ho sempre dovuto 'studiare' per imparare quel 'qualcosa in più' che l' ambiente di lavoro - spesso gretto ed egoista nell' elargire le sue conoscenze ai nuovi arrivati - non mi dava. Da uomo, ho dovuto imparare a farmi avanti nell' attività professionale, pur cercando di rispettare un mio codice morale e senza usare colpi bassi. Da sposato, ho dovuto imparare a fare il marito, forse devo ancora imparare a fare il padre, non parliamo poi del nonno: strano come le cose più importanti della vita nessuno te le insegni mai a scuola. Mi piaceva la 'vela', non intesa come sport ma come 'passione' e - da autodidatta - ho mosso i miei primi passi in barca ('passi' si fa per dire) con un libro per principianti appoggiato alle ginocchia. Mi ero comprato una barchetta da tre metri e cinquanta di lunghezza, una ‘deriva’ a vela, quelle sulle quali bisogna fare miracoli di equilibrio perché a volte non si tiene conto del vento. Con la mano sinistra tenevo la scotta della randa (la ‘scotta’ è una sorta di 'corda' mollando o tirando la quale si 'regola' l' esposizione al vento della vela principale) e, contemporaneamente, la scotta del fiocco (che è la piccola vela anteriore che si vede a prua). Intanto con la mano destra impugnavo saldamente la barra del timone e con l' occhio sinistro leggevo sul libro aperto la sequenza delle manovre da fare e con l'occhio destro guardavo se le due vele erano 'tese' al punto giusto mentre, anche qui contemporaneamente, cercavo di vedere da che parte esattamente venisse il vento che 'scriveva' con le sue raffiche delle righe parallele sull' acqua, e poi vedere se davanti a me non incrociasse per caso qualche altra barca, e - ancora - se la mia barca non fosse troppo pericolosamente inclinata come mi pareva, e se....insomma - se ve la devo proprio dire tutta: mano destra, mano sinistra, occhio destro e sinistro, vele, scotte, timone, fiocco, randa, vento, mare, inclinazione, altre barche - la prima volta, quella mia prima volta, sono finito in mare, con la barca capovolta di sopra ed io di sotto, completamente vestito, in un lontano gennaio di trent'anni fa mentre dai monti soffiava una brezza di tramontana che, quanto a temperatura esterna, faceva sembrare l' acqua del mare tiepida e piacevole come quella di una vasca da bagno in casa, non fosse stato per i residui oleosi del petrolio che - spinti dal vento - quel giorno sembravano essersi dati appuntamento proprio in quel punto del mare. Venni 'recuperato' da un 'gozzo' di pescatori ghignanti...che mi 'arpionarono' ignominiosamente con un 'mezzo marinaio' (che è un lungo bastone con un gancio all'estremità). Niente braccia e mani tese. Mi sembrava di leggergli negli occhi ridenti che, per un mezzo marinaio come me, un altro ‘mezzo marinaio’ era più che sufficiente. Non vi dico il mio imbarazzo e la vergogna. Arrossisco ancora adesso. Ma poi imparai ad andare in barca a vela, eccome se imparai... Mai fatto una regata velica in vita mia, ma una volta il mio amico francese Bernard - un 'comandante' di nave appassionato anche lui di vela - mi invitò sulla sua barca d'altura a fare una navigazione sul Canale della Manica, costeggiando la Francia dalle coste della Bretagna del sud, fin su a nord in Normandia. Mi trovai vari giorni alle prese con dislivelli di marea di 10 metri, con correnti di marea di 6 nodi che prorompevano da un lato, con correnti marine che venivano dall' altro e che si scontravano spumeggiando con le correnti di marea, con venti che venivano da occidente mentre, di poppa, mi prendevo l'onda lunga di un 'mare morto' di una precedente 'mareggiata', forza 3/4 ma che diventava 6/7 nello scontro fra le diverse correnti e con il vento, il tutto sotto un sole splendido di un mare blu che diventava però all'improvviso freddo, scuro e inospitale come i mari invernali della Norvegia quando ti infilavi in un banco di nebbia. Beh, era ben per questo che il mio amico mi aveva invitato. Bernard - da buon 'comandante' di navi - era un ‘asso’ nella navigazione strumentale, tabelle di marea, cronometri, ecoscandaglio, etc. e mi sfotteva garbatamente dicendomi che quella nostra del Mediterraneo, rispetto a quella dell'Atlantico, era 'une navigation à mademoiselles', cioè da 'signorine'. Ed aveva ragione , mi ero anche detto la prima volta che mi ero trovato 'in ballo' con la barra del timone. Ma la seconda volta, però, quando ci siamo trovati nella 'buriana' che ho descritto sopra, ragazzi…, lì a poppa, con le due mogli giù in cabina che avevan paura e soffrivan il mal di mare e il mio amico ‘Bernard’ che scrutava ansioso terra per individuare l’ingresso stretto del porticciolo, beh lì a poppa, a tenere prua e vele al vento e barra del timone salda per infilarsi con precisione in quello stretto passaggio - e se sbagliavi l'infilata non potevi più riprovare una seconda volta - lì, a tenere quella barra, c’ era l’italien, cioè ‘mois’=me, o meglio la ‘mademoiselle’ del Mediterraneo. Dopo la barca comprai una cascina, da ristrutturare. La volevo isolata dal mondo in una natura verde e incontaminata. Una casa del secolo scorso, abbandonata, in mezzo a frutteti, vigneti, e tanti tanti papaveri rossi del mese di maggio. Fu un colpo di fulmine! In due ore la comprai e - quando chiesi un avallo a mia moglie (la mia prima moglie) lei - che si fidava di me - me lo diede subito, per telefono, così, sulla carta, ed io bruciai sul tempo un altro signore - che poi sarebbe diventato mio amico e vicino di casa in una proprietà contigua - che era rimasto a pensarci sopra una settimana di troppo. Ma anche questa sarebbe un' altra storia... Ingaggiai un bravo muratore che veniva a lavorare il sabato e la domenica, 'in economia', e io mi comprai il libro del 'mastro muratore', ed imparai ad usare un filo a piombo, a fare - bene o male - un intonaco, a fare gli impasti di cemento, prima in teoria, sulla carta, e poi in pratica: pala, sabbia, cemento, calce, acqua quanto basta, anzi quanto serve, perchè il mio amico muratore - che mi vedeva lesinare l' acqua poichè ogni volta dovevo tirarla su io con dei secchiacci pesanti da un pozzo - mi ripeteva sempre: 'acqua, acqua! perchè il cemento fa muro ma l' acqua fa 'duro'...' Insomma, ho imparato a fare il 'muratore', ad aiutare il carpentiere a rifare un tetto e, infine, ad accendere una stufa a legna e un camino senza affumicare o dar fuoco alla casa, a scendere senza spaventarmi in fondo a un pozzo per pulirlo - e quando sei giù in fondo ti sembra che le pareti ti vogliano franare addosso - ho imparato a piantare 100 alberi da frutto per un frutteto nuovo (per ogni pianta, a vanga, buche da 70x70x70), a potare gli alberi (ogni qualità si pota in maniera diversa dall'altra), a fare innesti a 'spacco', a 'corona', a 'gemma': tutto con il Manuale dell' Autodidatta. I camini poi... anche lì mi ero comprato un manuale: 'Il mio camino - Di Baio Editore', con allegato un preziosissimo trattatello antico: 'Manuale del Fumista, ossia l' arte di costruire i 'cammini', di rimediare gli antichi e di preservarsi dal fumo', di M.E. Pelouze, Torino 1830. Se volete fare un 'cammino' da soli, compratelo, il libro, o telefonatemi. Ed io avevo così imparato a costruirmi il mio camino. Anzi due me ne ero fatti, grandi, belli, in mattoni antichi di recupero, e - quel che più conta, grazie al manuale del 'Fumista' - erano camini che 'tiravano'... perchè il problema non è fare il camino, ma fare un camino che tiri... Tutta una questione di proporzioni precise fra altezza, profondità e larghezza della bocca, altezza e larghezza della canna fumaria, esposizione del comignolo al di sopra del colmo del tetto e qualche altro piccolo particolare che non rivelo, come fanno le nonne con le loro ricette... Poi avevo imparato a fare il contadino: cose 'leggere'... l' orto per cominciare. Ma per fare un orto dove in pratica mettevo cento piante di pomodoro (per le conserve invernali), insalate varie, cipolle, patate, fagioli e fagiolini rampicanti, zucche, zucchini, meloni - insomma un orto di quaranta metri per trenta, comprese le fragole - beh, per fare queste cose che un contadino impara senza neanche accorgersene da ragazzo, io mi ero prima comprato tanti di quei libri su tutte le coltivazioni possibili e immaginabili - dalla semina alla produzione, dalla raccolta alle tecniche di inscatolamento e surgelazione - che scommetto non li avrà letti neanche un dottore in agraria. E, la vigna? Già la vigna. Quello è un discorso a parte. Anche lì però con i manuali dell'autodidatta... Come potare, come 'legare' i tralci, come sfrondare quelli in esubero (li chiamiamo 'i bastardi', dalle nostre parti), come fare i trattamenti anticrittogamici. Certo…, mi venivano anche ad aiutare da fuori, ma bisogna saper far tutto da soli, perché spesso l’aiuto ti arriva… quando non ne hai più bisogno. E ararla, la vigna? Gli ‘aiuti’ arrivavano sempre quando l’erba era alla cintola. Mi son dovuto comprare il mio primo 'cingolino'...! Il venditore, mettendosi l'assegno nel portafoglio, mi aveva detto: 'Guardi, è come un giocattolo...quella è la leva della frizione del cingolo di destra, l' altra è la leva della frizione del cingolo di sinistra, quella è invece la leva della frizione che serve a 'staccare' il motore, quell' altra levetta piccola che vede lì é la 'presa di forza' alla quale - con il cardano - può attaccare un gruppo elettrogeno, una pompa da acqua, un sega a banco, ed un sacco di altre macchine che se le vuole gliele faccio vedere tutte, perchè con questo trattore - con gli optionals - lei ci può fare proprio tutto... quella poi è la leva dell' acceleratore, quella è la leva del cambio, quella è la leva delle marce normali e quell' altra è quella delle 'ridotte'. Sa, ci sono le marce in avanti e poi quelle indietro, non bisogna confondersi con le leve. Quella è la leva del sollevatore dell' aratro e della fresa: spingendola in avanti l' aratro affonda nella terra, tirando indietro si solleva e lei riesce anche a girare e lo stesso è per la fresa, quest' altra è la leva per inclinare l' aratro più verso destra e questa a fianco serve per inclinarlo a sinistra, tirando invece la leva della frizione di sinistra si blocca il cingolo di sinistra, continua così a marciare solo il cingolo di destra e il trattore fa perno su se stesso girando verso sinistra, se lei tira la leva del cingolo di destra succede il contrario. Questo se va in avanti. Ma attento che se va a marcia indietro con un rimorchio (non lo vuol comprare un rimorchietto? ne ho uno d' occasione...) allora le manovre si invertono. La sua vigna ha tanta pendenza? Stia attento quando si inerpica su una vigna in salita, vada sù in retromarcia, è meno pericoloso, per lei, e quando viene giù in discesa con il rimorchio carico…: occhio! Quello 'spinge' da dietro ed è facile traversarsi con il trattore e rovesciarsi...! Ma è proprio convinto...?' conclude il venditore, dopo aver tirato il fiato. Preso forse da uno scrupolo morale (il che per un ‘venditore’ è una debolezza gravissima), cercava di soppesarmi squadrandomi in tralice: giacca, cravatta, occhiali, valigetta 24ore in elegante pelle marrone (perchè venivo dall' ufficio), il tutto mentre io – stralunato - cercavo di seguire sia lui che parlava rapido sia – contemporaneamente, come facevo in barca a vela - tutte quelle leve e il depliant così bello che avevo in mano. Ero come un bambino tentato da un bellissimo giocattolo al di fuori della sua portata ma ero anche incerto – per quel poco di essere razionale ed adulto che in quel momento permaneva in me - se farmi ridare indietro l'assegno dicendogli che in realtà io ero un incapace di intendere e volere e che non avrei dovuto venire lì da solo ma accompagnato... Mi deve aver letto nel pensiero perchè, dopo un lampo di preoccupazione ma con un sorriso rassicurante da venditore ed una pacchetta amichevole sulla spalla mi fa: 'comunque non si preoccupi, si fa più presto a farlo che a dirlo e poi qui c' è tutto sul libretto di istruzioni, domani glielo carichiamo e glielo portiamo con un camion, la saluto...' e - non resistendo, perfido, mentre io uscivo incerto dalla porta - mi lancia l' ultima battuta: 'non si preoccupi, in fin dei conti è come guidare un carrarmato...' Ora, a forza di calma e sangue freddo su quella mia collina in forte pendenza, sono qui a raccontarvela sano e salvo, da autodidatta. Il trattore che invece ho ora, con casa e terreni diversi, è più grosso e, a pensarci , mi sembra davvero un giocattolo e le leve… non mi accorgo più neanche che esistano. Ma questo è solo perché son distratto. Ma credete che sia finita con l' autodidattica? No. Perchè una volta raccolta l' uva cosa ci fai? La vendi? No. Non si può. E' un peccato, e dopo tanta fatica non te la pagano mai abbastanza. O meglio ne vendo una parte alla cantina sociale e con l' altra... con l' altra ci faccio il vino per me. E anche lì con il manuale dell' autodidatta, il 'Manuale del perfetto vinificatore'. Pigiatura, bollitura, torchiatura, travasi, e ancora travasi, lune nuove e lune vecchie, imbottigliamenti e poi, quando finalmente il vino è in tavola e a te che l' hai fatto ti sembra un elisir... peccato che gli altri magari non apprezzino tanto, specie se produttori come te. Questo però solo le prime volte, perchè ora, dopo vent' anni l' arte l' ho imparata, e me lo dimostrano gli amici che - con la scusa di vedere la mia cantina - non dimenticano mai di lasciarsi regalare qualche bottiglia che io sono ben lieto, anzi, di tirargli dietro. Se no dov'è la soddisfazione? E i cani? Decido ad un certo punto della mia vita di lasciare la città, cambiare qualità di vita e venire a vivere in campagna, facendo il 'pendolare', il tutto dopo un ‘come-al-solito-rapido-consulto’ che trova d' accordo la moglie e i due figli. In quindici giorni vendo in città e compro in campagna. Anzi cambio proprio anche la precedente casa di campagna, acquistandone un’ altra sempre nel verde ma non più nel 'rustico', insomma un posto dove poterci vivere in maggior comodità. C' è un parco, è ben cintato e - mi dico - ci vorranno dunque dei cani perché oltre a tenerti compagnia sono da guardia e perchè - fatti due conti - scopro che sono più affidabili e costano meno di una polizza assicurativa, abbaiano, all' occorrenza anche mordono ma soprattutto, quando le cose si fan serie, non si tirano indietro facendoti capire che tu 'credevi'… di esserti ben 'assicurato'. Prima però - ovvio - mi compro un manuale per la scelta del cane e poi, optato per il pastore tedesco, mi prendo altri cinque o sei manuali diversi sull' allevamento e la psicologia particolare del pastore tedesco perchè, se non lo sapeste, non tutti i cani ragionano con la stessa testa. Quindi mi leggo il ’meglio’, e cioè quello che sui cani ha scritto il famoso etologo Konrad Lorenz ('E l' uomo incontrò il cane' e, ancora, 'L'anello di Re Salomone). E poi, finalmente, i cani. Uno, due? No, quello lo fanno le persone 'normali'. Io tanti cani quanti i manuali. Ero rimasto vedovo e dovevo in qualche modo distrarmi, nell'età in cui i figli cominciano a pensare ad altro e ti fanno scoprire - anche i figli migliori - che non sei più indispensabile per nessuno. Ma questa è la 'ruota' che gira. Prima un lupacchiotto di 40 giorni: Dox, che mi portarono dal Veneto, poi un mese dopo - per non lasciarlo solo - una bella compagnetta: Jara, veneziana anche lei. Infine un paio d' anni dopo - siccome era giusto che Jara non venisse defraudata delle gioie della maternità e il Dox qualche soddisfazione nella sua vita da cane se la doveva pur togliere, no? - infine, dicevo, una 'cucciolata'... Mi improvviso - con mia figlia che mi assiste nottetempo - levatrice. E qui - di quei cinque orsacchiotti, peccato che crescano - me ne tengo altri due, un maschietto: Wolf - che dalla nascita, parto difficile, mi deve proprio la vita e me ne è rimasto grato (contrariamente al gallo, ma questa è un' altra storia che forse vi racconterò in seguito) ed una femminuccia: Fucsia, la più bella. Sono tutti di taglia 'grande' e a pelo lungo. Sembrano proprio orsacchiotti, e fanno quattro, a parte gli altri tre cucciolotti che - dopo averli svezzati - regalo. Poi mi compro il manuale dell' addestratore e - sempre da autodidatta - comincio le Lezioni pratiche. 'Non c'è male per un autodidatta - mi dirà poi l' addestratore vero, quello professionale, pluricampione, in quel di Andora, sulla Riviera ligure dove li avevo portati tutti e quattro per completare gli studi superiori - solo che dovremmo addestrare anche lei perchè a casa potrà così continuamente perfezionare l' addestramento e mantenerli in allenamento, e poi i cani preferiscono essere addestrati dal loro padrone, perchè l' amano e sono felici di accontentarlo...'. Non ricordo più bene ma è durata - quella storia dell' addestramento - vari mesi... perché sì, insomma, forse nel tempo e… nel conto c' ero dentro anch' io... anche se, con quattro cani, venni trattato veramente da 'amico'. Assistetti a sottili lezioni di psicologia canina e scoprii che l' addestramento del 'padrone' non è meno importante di quello del cane, come mi aveva spiegato l' istruttore. Mi sono poi detto che se avessi imparato tanti anni fa a conoscere la psicologia canina avrei 'allevato' meglio i miei figli, cioè - mi spiego - non che li abbia allevati 'da cani' loro, non che li abbia allevati come un 'cane' io, ma mi sarei comportato un poco meno 'alla tedesca', anche se adesso, i miei figli, si comportanto bene, come i miei pastori tedeschi: seduto-sitz!, sdraiato-platz!, al piede! al passo!, resta! fermo!, di corsa... e tutto questo fatto di scatto (mi riferisco ai pastori tedeschi, non ai figli...) con una eccezione: Jara... Jara, quella canaglia - chè lei lo sa che è la mia preferita - è troppo furba e renitente. Non solo - lei è una 'femminista': cioè non ubbidisce a Dox, il capobranco, e ogni tanto lo mette in riga con qualche morso ben assestato (ma questo succede di norma anche alle mogli con i mariti, e penso che debba essere una caratteristica 'razziale' appartenente al genere 'femminile'). Ma quando io - il Capo dei Capi - le do un comando che lei non gradisce, come quello di uscire fuori di casa dove si infila di soppiatto d' inverno quando fuori gela ( ma guardate che non sono un sadico perchè lei ha un canile 'principesco' ) – lei non mi ringhia come fa di solito a Dox ma si butta a terra, pancia all' aria, e - invitandomi a farle le frasche - sembra dirmi ridendo: 'Dai...! giochiamo?'. Che fare? Rimane in casa, naturalmente. Poi – per terminare con l’elenco dei cani - è arrivato da un anno l’ultimo, e non sapendo più - dopo essermi già inventato tanti nomi - quale dargli, ho chiesto aiuto al mio ‘angelo custode’, e sapete cosa m’ ha detto? ‘Chiamalo 'Ultimo', o meglio: chiamalo in inglese 'Last but not least' (abbreviato: Last). Frase questa che, tradotta, vuol dire più o meno: 'Sono l' ultimo ma non il peggiore...'. E l’ho chiamato ‘Last’! Vedete? Al giorno d’oggi anche gli ‘angeli custodi’ per fare il loro mestiere devono conoscere le lingue! Ed è vero, non solo non è il peggiore, ma forse è anche il migliore, certamente è il più bello, ma quanto a disciplina... fra poco inizierò l'addestramento e allora vedremo 'chi è che comanda’... Ma non è finita, perchè nella nuova casa in cui vivo, ho dovuto imparare a fare il giardiniere, convertendo la mia ‘professionalità’. Anche lì con un manuale per la potatura e i trattamenti antiparassitari e anticrittogamici di rose, azalee, rododendri, siepi, cespugli e tanti alberi e soprattutto tanta erba da tagliare... montagne di erba da tosare sul prato all' inglese, anche se - quando salgo sul trattore tosaerba - mi diverto perché mi sembra tornare bambino come quando andavo sulle automobiline all' autoscontro... Sì, 'autoscontro' perchè proprio il giorno prima di sposarmi la 'seconda volta' (come ho già detto ero infatti 'vedovo', e i miei figli mi 'benedicevano' e mi incoraggiavano ad un ulteriore passo…), avevo stampato in piena corsa il ginocchio sinistro – che sporgeva in fuori - contro un tronco d' albero al quale avevo fatto il pelo. Mi era sembrato che mi venisse strappata via la gamba... Ma tutto bene, comunque. Niente Ospedale. Mi son ritrovato sbalzato a terra, dolorante ma… intero. Forse sarà stata una disattenzione voluta dal mio 'Subconscio creativo' che avrà cercato di salvarmi in 'extremis' da un secondo matrimonio con la scusa di un ricovero ospedaliero. Ho letto che una delle scoperte più esaltanti che fece Freud studiando i ‘sogni’, anche e specialmente i ‘suoi’, fu l’ apprendere che dentro di noi – lui lo chiamò ‘Subconscio’ – abbiamo una realtà ‘psichica’ che ‘ragiona’ indipendentemente dal nostro ‘Io-conscio’. Mi dico che può essere una gran fortuna aver ‘qualcuno’ che badi a noi stessi, sempre che non ci mandi a piantarci contro un albero. Già, adesso che ci penso... Il mio secondo matrimonio... Anche nei miei due matrimoni sono stato autodidatta: cioè 'fai da te', e ci mancherebbe... Anche se, a ben pensarci, a ben pensarci la prima volta ha fatto tutto mia moglie che - quantunque bella ed attraente - un giorno, con aria molto decisa ed a viso aperto, sguardo di sfida, mi 'affronta' dicendomi: 'son passati cinque anni, il militare ormai l'hai fatto e lassù negli alpini come piaceva a te, l'università ... lasciamo perdere, il ‘lavoro’ ce l’hai e la 'posizione' comincia a delinearsi, io ho un buon lavoro…: insomma, ci sposiamo o no?'. Cosa avreste detto, voi? Avreste rischiato un ‘no’? Faccia a faccia? 'Sposarci? Certo che sì', avevo replicato con un sorriso disarmante e – in un batter d’ occhio - mi son trovato (felicemente) sposato, con due figli. La seconda volta, la seconda volta invece han fatto tutto, o quasi, i miei figli...
4.2 – Ma noi ti vogliamo bene, e allora vogliamo che tu ti sposi! Finchè sei in tempo… Io questa la dico solo agli amici, ma se mi avete letto fin qui vuol dire che siete proprio degli amici anche voi e allora ve la racconto. Non è che io sia come gli americani che infilano un matrimonio, e un divorzio, dopo l' altro come se fossero perle di una collanina. Io ero 'vedovo', un bel 'vedovo' diceva anche qualcuna, ma me ne stavo 'bene' per conto mio, intendo dire non in quanto 'vedovo' ma in quanto 'rassegnato' e nella 'pace dei sensi...' La 'storia' della mia prima moglie - nei tratti sfumati ed essenziali che la discrezione ed il rispetto impongono – ve l’ abbiamo già raccontata nei Capp. 102 e 103 nel mio libro precedente. Ora, invece, ero vedovo da un anno circa, e - a forza di tecnica di meditazione e rilassamento a base di Training Autogeno - mi ero ritrovato un equilibrio interiore, diciamo una serenità nella quale avevo 'accettato' quello che mi era successo e la prospettiva di una vita in solitudine: accettato non nel senso 'cristiano' della parola ma nel senso che me ne ero ormai fatto una ragione. E' la vita...mi dicevo. Basta guardarsi intorno e ne vedo tanti più sfortunati di me. Dunque - dicevo - ero vedovo e, nella nuova casa, passavo il mio tempo lustrando il parco. 'Sta a vedere che mi viene la sindrome della casalinga, quella che 'scarica' nella cura maniacale della casa i suoi bisogni inconsci di affetto' mi dicevo fra me e me, sorridendo, mentre rastrellavo, zappettavo, potavo rose, glicine, uva da pergolato, e altre amenità di questo genere. La conoscete, voi 'casalinghe', questa 'sindrome' ? No...? Meglio così!, vuol dire che non siete depresse e frustrate e che tutto va bene. Poi passavo giornate intere lassù nel mio rifugio, in 'torretta', immerso nei miei studi e nei miei libri, mentre ogni tanto sollevavo lo sguardo o mi sgranchivo piazzandomi di fronte alle grandi finestre ad arco a guardare con lo sguardo assente le verdi colline che si perdevano rincorrendosi in lontananza sotto lo sfondo azzurro del cielo. E poi, parlavo sempre con i miei cani, i primi due, che mi capivano proprio e che io addestravo amorevolmente giorno dopo giorno. Era appena passato un Natale, non posso neanche dire triste - perchè avevo intanto ritrovato l'equilibrio interiore - ma neanche allegro, se devo essere sincero. Avevo declinato alcuni inviti di amici, che si facevano in quattro per me, ad esempio per andare a passare le feste in montagna. I miei due figli che dopo aver tanto sofferto avevano 'voglia' di ricominciare un poco a vivere, quanto meno a svagarsi un po' - progettavano di far su scarponi, tute e sci e andare a trascorrere il capodanno sulle Alpi, passandovi la notte in festa con degli amici comuni. Forse si sentivano un pochino anche in colpa a lasciarmi solo, ma soprattutto mi dovevano volere molto bene. Infatti una sera dopo Natale, anzi il giorno dopo Santo Stefano, lei: venticinque anni e lui: ventuno - mentre io in poltrona sotto un grande abat-jour, davanti al caminetto, ero assorto nel mio solito libro - mi fanno: 'Papà, avremmo da parlarti'. Io li guardo, preoccupato da quel loro sguardo grave e solenne, domandandomi cosa avessero mai combinato o - ma un rapido esame di coscienza mi aveva già tranquillizzato - cosa avessi invece combinato io. Mi alzo, con un cenno signorile della mano li invito ad accomodarsi anch'essi in poltrona, mi risiedo e rimango a guardarli in silenzio con aria leggermente interrogativa. Sì, dovevano essersi messi d'accordo prima su chi avrebbe dovuto parlare, perché, dopo una rapida occhiata d’intesa, è il 'maschio' che – di norma più taciturno ma anche più deciso - da 'uomo' a uomo prende risolutamente la parola: 'Senti, papà, è un po' che ti volevamo parlare. Tu per la mamma, in quei tre anni, hai fatto l'impossibile. C'eravamo anche noi. Non ti puoi rimproverare nulla. Soprattutto non puoi continuare a vivere nel suo ricordo, aggirandoti su e giù per questa casa enorme, nascondendoti nei libri, nascondendo la tua solitudine parlando continuamente coi cani, visto che di certe cose non hai il coraggio di parlare con noi. Noi non ti vogliamo vedere triste, non vogliamo che tu soffra, non vogliamo che resti solo per altri quarant'anni come è successo a tuo padre. Noi saremo costretti a fare le nostre scelte. Prima o poi troveremo il ragazzo e la ragazza giusta, e ci sposeremo. Forse andremo anche a vivere in un altro posto. Noi ti vogliamo bene, lo sai, ma gli 'altri'..., cioè generi o nuore, è umano che per gli 'altri' non sia la stessa cosa. Non ti potremo magari prendere in casa con noi. Dovendo scegliere fra l'unità della famiglia e te, finiremmo per scegliere - e tu lo lo sai, perchè in un certo senso ti è successo - la famiglia. E' triste , ma è la vita. L'abbiamo capito anche noi giovani...' Fine! E intanto riprende fiato... Io - che li guardavo all'inizio un po' sorpreso e un poco ironico - comincio a sentirmi attonito, e poi triste al pensiero di mio padre novantatreenne, lassù, in quel piccolo appartamento, solo - direi anche caparbiamente e orgogliosamente solo per non voler dipendere da nessuno - ma solo. Sono sempre stato perseguitato da un complesso di colpa, che 'rimuovevo' ma che tornava sempre a galla. Ed era già un po’ di tempo che pensavo che anch’io sarei finito tristemente come lui... 'Ma noi - riprende risoluto il ragazzo mentre 'lei' faceva cenni di assenso e di incoraggiamento a continuare - ma noi ti vogliamo bene, e allora vogliamo che tu ti sposi! - e aggiunge - finchè sei in tempo!' E qui rimango di sasso. Io ? Sposarmi? Sposarmi, io? 'Finchè sono 'in tempo'?' Rimango in silenzio e loro mi guardano in silenzio. Io rifletto. Sposarmi? E perchè? La 'donna'? Non ne sento il bisogno. La 'compagnia'? Quella, quella sì, la solitudine mi fa paura. Questa casa, quando fra poco loro se ne andranno per la loro strada come è giusto, diventerà silenziosa, gelida, vuota - grande com' è – insomma invivibile. Bella ma invivibile. Che me ne faccio del parco, da solo? Però non ci si può neanche sposare per avere compagnia, no? In fin dei conti ho cinquant'anni, ne dimostro meno ancora, ma sposarsi 'per compagnia' è troppo. No, non è possibile che uno possa sposarsi così, sulla carta. E dove va la poesia, poi? Ma quale poesia! Io sto bene così. Però..., questi ragazzi, e chi l'avrebbe detto! Chi l'avrebbe detto...! 'Finchè sei in tempo', proprio così mi ha detto. A me? E cosa sono, sono già un 'vecchio'?
4.3 – Identikit e…Provvidenza Decido allora all'improvviso - finchè sono in tempo - di divertirmi un po' alle loro spalle e, semiserio, di stare al 'gioco'. 'Vi ringrazio, ragazzi - replico dopo aver mostrato di riflettere a fondo - sono un poco sorpreso. Non esprimo giudizi, per ora. Proviamo però per un momento solo a prendere in considerazione l' ipotesi ed a fare uno sforzo di immaginazione'. Come piacerebbe, 'lei', a voi? 'No, come piacerebbe a te! - fa il ragazzo - 'E' a te che deve piacere. A noi sarebbe sufficiente che fosse una brava donna, sì, insomma, una che non ci mette la 'prua' contro (e da questa parola capite che anche loro se ne intendono di barche a vela...), sai, in casa con te ci stiamo bene e ci piacerebbe starci anche dopo, con 'lei', finchè non ce ne andremo... Scegli tu'. 'D'accordo, 'scelgo' io. E' ovvio, del resto. Anzi proviamo a scegliere insieme: facciamo l' identikit della donna ideale per me, di questa 'brava donna'. Ok? Ok!' Prendo block notes, penna e dico: Dunque vediamo. Età: Io ho cinquantun anni, sono belloccio e per ora, come dite voi, prestante. L'ideale sarebbe una trentenne, ma temo che non sarei all'altezza... e forse mi criticherebbero, certamente per invidia. Diciamo allora 45 anni, va bene? Stato civile: vedova, divorziata o zitella, pardòn, nubile? Va tutto bene ma ho letto da qualche parte (ma mai fidarsi di quello che si legge...) che se sono vedove o divorziate rischiano di tirarsi dietro dei complessi mentre io, che sono vedovo, di complessi ho già i miei. Meglio nubile allora, per quanto possibile. Finanza: coi soldi? Meglio se sì. Quelli non guastano mai, con quello che costa la vita. Ma non necessariamente. Magari meglio con un lavoro: più autonome, più autosufficienti, ed il reddito di un buon lavoro è meglio di un capitale che si svaluta in banca. Cultura: buona, sì, deve avere una buona cultura, se no di che parliamo d'inverno e quando siamo vecchi? Però non necessariamente laureata: non è la laurea che fa la 'cultura', questo me lo ha insegnato la vita. Intelligenza? Ah questa è importante. Piuttosto - se dovessi scegliere una alternativa - la preferirei meno colta purchè intelligente. Con una 'intelligente', trovi sempre il modo di andar d'accordo... Già - mi dico fra me e me - purchè non sia però 'troppo' intelligente... Diciamo allora che sia tanto intelligente da non farsi perlomeno accorgere che lo è più di me. In fin dei conti non le dovrebbe essere difficile - e ciò non perchè io mi reputi poco intelligente, perchè in realtà la modestia non è mai stata il mio forte - ma perchè le donne sono furbissime nel farsi apparire meno intelligenti... E' solo dopo - quando le hai ormai sposate - che te ne accorgi. Comunque – concludo il mio soliloquio mentre ai ragazzi faccio credere di pensare assorto a delle cose importanti - a me, se proprio lei dovesse esser tanto 'intelligente', basterebbe salvare la faccia con il prossimo ed apparire il 'maschio' dominante del 'branco': questo è sano 'gallismo' italiano. Carattere? Dolce!, deve essere dolce. Attrattive fisiche? A 45 anni... ci si può anche passar sopra, con rispetto parlando. Sarà sufficiente che se li porti bene e che abbia una certa classe, insomma, un tipo fine. Diciamo allora che dovrebbe essere gradevole, e poi si sa che quello che conta è il sorriso ed il profondo degli occhi. E la cucina? Buona cuoca? Beh, se lavora anche…, forse pretendiamo troppo. Ma non mettiamo limiti alla fortuna. Loro, i ragazzi, sentondomi parlare così, si sono intanto rilassati in poltrona, la figlia ora sorride e rifinisce di 'suo' quello che lei deve aver detto al 'fratellino' di dire. Ci manca poco che mia figlia - già che ci siamo, insieme all' identikit - fissi anche la data del matrimonio... Calma, ragazzi. Prometto che ci penserò. Vi ringrazio per il pensiero: è sempre meglio dell' ospizio. Avete ragione. Ci penserò. Vi abbraccio. Divertitevi in montagna e soprattutto, come vi diceva la mamma, telefonate... Qualche giorno dopo...quando si dice che è 'destino'... Voi credete, nel Fato? No? E nella Provvidenza? Cosa è la Provvidenza? Ora, più o meno, ve la racconto. C’ era una volta una certa ‘lei’ oriunda di queste parti ma che viveva ormai da tanti anni in un’ altra città. Un giorno la sua azienda decide di ‘aprire’ in una città vicinissima alla sua cittadina d’ origine, e lei subito si offre per un trasferimento – con papà e mammà – che la riporti di nuovo vicino alle sue ‘radici’. Da allora – e non era da molto rispetto alla chiaccherata con i miei due figli – faceva anche lei la ‘pendolare’, come me, campagna/città, senza che ci incontrassimo perché io preferivo i treni e lei l’ auto. Ma un bel giorno – c’ era stata nella notte una bella nevicata – lei decide di far la ‘pendolare’ in treno, va alla stazione e ti incontra lì – combinazione - due suoi vecchi amici di ‘gioventù’, che nel frattempo sono diventati grandi e ‘dirigenti’ d’ azienda, che fanno anche loro i pendolari in treno (guardate che sulle 'storie' dei 'pendolari' in treno ci sarebbe da scrivere dei libri): saluti calorosi, abbracci, come stai, cosa fai qua, dove vai, ecc. ecc. Guarda sempre il caso - o forse la Provvidenza – in quel momento arrivo io con il mio bravo fascio di giornali sotto il braccio perchè la giornata politica è 'densa' di novità. Ti vedo una 'lei' che sta parlando con i suoi amici… che sono anche quelli con i quali spesso mi accompagno io nel viaggio. Faccio finta di rimanere un po' titubante a tre metri di distanza, tanto per farmi pregare, per educazione, e uno di loro, sorridendo: 'Venga, venga, le presentiamo una nostra amica, venga, ma stia attento, è una 'donna manager', occhio...'. Sorrido educato, stringo le mani, anche quelle della 'manager' che scruto in tralice per capire se è una 'manager-zitella' o sposata. Non ha l' anello, ma questo ai giorni nostri conta poco. In treno la guardo di traverso, sbircio, lei non legge la stampa qualunque, come tutti noi, ma ‘analizza’ - la 'manager' - 'Il Sole/24 Ore': giornale economico-finanziario della Confindustria… Concludo che deve essere una 'fanatica' della carriera, una di quelle che magari ti vogliono far capire che se il mondo fosse 'governato' da loro donne tutto andrebbe per il meglio Dopo qualche giorno lei ricompare al treno. ‘Sempre la neve - dice – e con l' auto non è tanto prudente..., e poi quelle catene da montare...’ Il 'menage' a quattro in treno continua, complici le discussioni sul 'Saddam' (infatti era scoppiata la famosa ‘guerra del Golfo’) e su quello che avrebbe finito, di quel passo, per venirci a costare il petrolio e quindi la benzina delle auto, soprattutto con il Governo che ne avrebbe approfittato per farci su la 'cresta'... Qualche giorno di viaggio insieme finchè, piano piano, quasi inconsciamente, 'realizzo' – o forse è il mio ’Subconscio’ che me lo fa notare – che, manco a farlo apposta, lei, la 'manager', sembra proprio avere - a parlarci un po' insieme - tutte le 'qualità'... dell’ identikit famoso di quella sera a Santo Stefano. E in più mi accorgo anche che vediamo tutte le cose nella stessa maniera: economia, politica aziendale, persino i sindacati, tempo libero, amore per la campagna, potatura delle rose, tutto, proprio tutto. La sera ne parlo allora ai figli, molto oggettivamente, come ad un 'meeting di lavoro'. Loro sono incuriositi e ben disposti, e d' altra parte mi conoscono per una persona seria, ed anche 'equilibrata' nella mia capacità di analisi. Qualche giorno dopo, è un venerdì mattina, 'lei' - in treno – fa, con noncuranza, apparentemente rivolta a tutti: 'Da lunedì prossimo riprenderò ad andare in auto'… Io incasso, rifletto, e alla sera, al ritorno, la invito a prendere un aperitivo... Sorseggiando l' analcolico, mi fa, per mettermi a mio agio: 'Dopo una settimana che viaggiamo insieme potremmo anche darci del 'tu'... Ed io, di rimando:'D' accordo. 'Tu', mi vuoi sposare?' Non vi dico l' espressione...! Ma che ‘self control’, anche. 'Ci devo pensare...’ – fa lei esitante – ma poi, vedendo la mia faccia forse un poco truce, ci ripensa e aggiunge con un sorriso: ‘ti darò la risposta, fra una settimana...cioè…, al più presto'. Due giorni dopo - faceva freddo e forse mi pare che fossero proprio i giorni della 'merla', come questi in cui sto scrivendo ora - la ‘lei’ mi diceva ‘sì’. Ci siam sposati a luglio, con i miei due figli e i suoi due nipoti come nostri 'testimoni', in una chiesetta, manco a dirlo, di 'campagna'. E ora, a distanza di sette anni, vi posso confermare che lei, la 'manager', si è rivelata proprio quella dell' ispirazione, cioè dell' identikit. Anzi di più, di più..., parola di figli e... mia. Cosa stavo dicendo prima di questa divagazione? Ah, parlavo dell' autodidatta. Anche la mia 'cultura', è stata da autodidatta…ma qui forse è meglio lasciar perdere.
4.4 – L’uomo ‘vecchio’ Ed allora, caro il mio intervistatore al quale non ho più dato la possibilità di aprir bocca, lei ora mi conosce meglio ma io invece sono qui ancora a domandarmi come si fa l'ascesi, quella laicale... ben’inteso, perchè - se non mi sento la 'vocazione' neanche per questa - figuriamoci per le altre tre. Si domanda forse perchè parlo di ‘ascesi’ ? Perchè ho fatto una 'conversione', o meglio ho iniziato una 'conversione', cioè un modo diverso di ragionare, un dare una prospettiva diversa alla vita, combattere contro il mio egocentrico 'Io'. Ecco, vede, io ho conosciuto il dolore e col dolore ho cominciato a riflettere, e interrogarmi, e cercare il senso profondo delle cose e cercare di capire se, come dentro la materia ‘solida’ dei tasti del mio computer sui quali sto battendo con due dita, vi è tutto un microcosmo fatto di atomi, composti a loro volta di protoni, neutroni, elettroni, adroni, quarks, ecc. e il tutto è fatto - diciamo - di 'elettricità', insomma di ‘vuoto’, ma invece ci appare ‘solido’, ecco mi sono detto: ‘sta a vedere che han proprio ragione quelli che dicono che dietro a questo mondo ‘materiale’ ce n’ è un altro spirituale…’ Non è che ammettessi chiaramente di fronte a me stesso di 'non credere': anche per questo ci vuole un certo coraggio. Semplicemente mi comportavo come se non ‘credessi’, nel senso che il mio codice d' onore non era spirituale, ma etico, non quello dell' uomo spirituale ma dell' uomo morale, dell' uomo sociale, e tutto andava bene, finchè è andata bene. Che fa? Mi guarda in silenzio? Non ha il coraggio di chiedermelo? Forse vorrebbe un 'campionario' del pensiero dell' uomo vecchio? Coraggio, domandi... Dio? Se esiste non può essere un Dio 'buono' e antropomorfo ma sarà un 'Dio cosmico', un 'Dio' di qualche altra Galassia, di qualche altra 'dimensione' forse, un 'principio' al di sopra di ogni nostra umana immaginazione dove fra noi e Lui ci deve essere lo stesso rapporto affettivo e di distanza che esiste fra noi e una formichina, perchè altrimenti non si spiegherebbero tanti dolori, tante ingiustizie, tante efferatezze: lasciate regolarmente impunite. Dio ha creato l' uomo? E perchè non la scimmia, prima? La vita e la morte? Nasciamo e moriamo come tutti gli altri animali, che sono in tutto simili a noi, testa, cuore, occhi, arti, metabolismo, si 'riproducono', nascono, muoiono. Veniamo dal niente e torniamo nel niente: atomi che prima si aggregano e poi si disgregano. L'anima? E chi l' ha mai vista? E' un concetto, un' esigenza filosofica: se non ce la inventiamo ci sembra che mancherebbe qualcosa di importante a certi quadri di riferimento che ci siamo creati ed i conti non tornerebbero più. Le Religioni? Un 'ciuccio'! Per acquietare le ansie esistenziali dell'individuo che non sa spiegarsi la vita e non accetta la morte. E' bene però lasciare all'uomo questa illusione: aiuta a vivere meglio. E' anche meglio che prendere degli ansiolitici. Un trucco - dacchè mondo è mondo - per sottomettere i popoli grazie alla loro ignoranza. Le classi sacerdotali? Una struttura organizzata di potere, come tante altre, meglio di tante altre, perchè questa è stata capace di 'resistere' da quando esiste l' uomo. Le liturgie religiose? Rituali e cerimonie per dare importanza, prestigio e sostenere psicologicamente e suggestivamente una forma di autorità e potere. Sono come le adunate, le cerimonie, le divise, le bandiere e le fanfare degli eserciti: se no come fa uno ad andare a morire in loro nome? La 'Carità' e l' amor di prossimo? Parliamo invece di regole di comportamento sociale, morale e civile: è più 'realistico'. La 'castità' nell'amore matrimoniale? Via... siamo seri! La religione cristiana? Non bastano le domande precedenti? Vede, caro il mio intervistatore, a dire il vero, non è che l' uomo 'vecchio' fosse proprio proprio 'convinto' di tutte queste cose, perchè - sotto sotto, di qua e di là – lui cercava, cercava la Verità... E come si chiama la 'sua' Verità? Paradiso Perduto! E l'ha trovata? Sì... ma non l' ho ancora 'scoperta'! |