49. LE PREGHIERE DEI GIUSTI SALVANO IL MONDO
DALLA DISTRUZIONE 

 

È una lezione potente, questa di Azaria, potente nella forma, nella dialettica, e poeticamente. 1
Mi dispiace dover qui riassumere con parole mie solo alcuni concetti senza poter trascrivere alla lettera le sue parole. Il mio scopo non è di ‘sostituirmi’ ad Azaria, cosa umanamente impossibile, ma – attraverso quanto vi racconto – stimolare la vostra attenzione, la vostra curiosità e voglia di approfondimento per portarvi a leggere il ‘Libro di Azaria’ nella sua versione integrale.
I ‘giusti’  - dice Azaria - pregano per i peccatori, e guai se così non fosse perché il mondo si è ormai ridotto tanto male da apparire come una anticamera dell’Inferno e Dio lo avrebbe già distrutto se non fosse per quei pochi giusti che intercedono presso di Lui, come aveva fatto ai suoi tempi Abramo.
In virtù della preghiera dei giusti - dice Azaria - Dio può infatti usare misericordia salvando dalle punizioni materiali e morali i peccatori impenitenti finché dura la loro vita. Dio, insomma, dà loro tempo per pentirsi ma in difetto di ciò, dopo la loro morte, giunge inesorabile la loro punizione eterna: come essi hanno disprezzato l’opportunità di salvezza e voluto godere – nonostante gli aiuti divini - del loro ‘piccolo presente’, così essi dovranno ‘godere’, all’Inferno, del loro ‘eterno presente’.
Il giorno in cui sulla Terra venisse meno la preghiera dell’ultimo ‘giusto’ – ribadisce Azaria - Dio la distruggerebbe senza alcun indugio.
Questo – continua Azaria – serve a far meglio comprendere quale sia, agli occhi di Dio, il valore di chi si comporta da giusto.
A questo punto l’Angelo impartisce una serie di suggerimenti agli ‘strumenti’ di Dio.
E’ sinonimo di ‘giustizia’ dare innanzitutto un riconoscimento umile al Signore dei doni che Egli ha loro dato, trasformandoli.
Il rischio è però che per voler essere troppo ‘umili’ si diventi insinceri od ipocriti, mancando in ciò di riconoscenza verso il Signore.
Vi sono poi coloro che – pur avendo doni particolari ed essendo consapevoli di essere dei ‘buoni’ – per un senso sbagliato di umiltà si dichiarano ‘cattivi’, se non addirittura privi di quei doni che Dio ha loro dato e che gli altri per primi riconoscono loro.
Serve tuttavia prudenza e tenere riservato il dono affinché la sua conoscenza palese non si trasformi da parte di terzi in fanatismo e non procuri turbamento al possessore dei doni oltre alla perdita di tempo che ne conseguirebbe distraendolo dalla sua missione.
La riservatezza dei propri doni serve allo strumento anche per non rischiare che i fanatismi possano portarlo ad un autocompiacimento e successivamente all’orgoglio.
Lo strumento che ha ricevuto dei doni non deve compiacersene né abbassare la guardia nella errata convinzione che - anche sbagliando - il Signore ponga rimedio ai suoi errori.
Quanto al Demonio, è vero che egli tenta lo strumento, ma quest’ultimo non deve mai ‘calunniarlo’ attribuendogli la responsabilità di una caduta che invece è solo imputabile al suo io’ che si è comportato da imprudente.
E’ inoltre imprudente quel sacerdote o direttore spirituale dello strumento che – a conoscenza dei suoi doni – li propali o non intervenga per proteggerlo dai suoi errori di ignoranza o imprudenza.
La prudenza – nemica della propaganda – deve indurre lo strumento a celare il dono straordinario sotto una parvenza di vita normale, senza però che ciò degeneri in una falsa umiltà o menzogna sui propri doni che, quindi, devono essere ammessi di fronte a chi è legittimamente autorizzato a porre loro domande al riguardo.
Per quanto uno strumento si possa sentire ‘peccatore’, egli deve sempre essere consapevole – conscio di non avere colpe gravi sulla coscienza - che però non è peccatore al punto di ‘disgustare’ Dio.
Esemplare l’episodio di Maria SS. che – durante l’incontro con Elisabetta – non esitò2 ad innalzare il suo ‘Magnificat’ a Dio, rendendogli Gloria per le grazie da Lui in Lei operate.
Lo strumento ammetta dunque – di fronte a chi abbia il diritto di interrogarlo in quanto a ciò preposto – il dono ricevuto, pur riconoscendo di essere ‘povero’ e imperfetto.
Lo stesso San Paolo aveva  ammesso di essere stato depositario di rivelazioni da parte del Signore e di essere stato assunto al ‘terzo cielo’3 invitando i suoi fedeli ad ‘imitarlo’ nel percorso cristiano di perfezione, così come per altro verso egli aveva anche ammesso le proprie colpe passate nonché – già divenuto Apostolo – che egli era stato ‘colpito’ da Satana. 4
Gli strumenti di Dio devono rimanere alti come stelle e risplendere nel buio dando luce, là dove Dio li ha collocati, anche se segregati dal mondo o ignoti per nome e domicilio, spesso per anni e persino anche oltre la propria morte. Tuttavia, anche se nell’anonimato, essi hanno la possibilità di ‘illuminare’ gli altri perché il Signore vive in loro e la luce del Signore in qualche modo traspare venendo riflessa all’esterno.
Le anime degli uomini cercano istintivamente Dio, anche se sono anime di peccatori. Lo spirito profondo degli uomini – chiuso nel corpo come in una prigione – cerca infatti Dio senza che il loro ‘io’ nemmeno se ne accorga.
Bisogna dunque parlare a costoro perché - anche quando le parole sembrano senza frutto e dette inutilmente - in realtà esse possono essere ricordate all’improvviso e portare frutto anche nel letto di morte, producendo una conversione in extremis e quindi la salvezza.
A volte basta solo lo sguardo dello strumento, senza che egli proferisca parola, perché non è lo strumento ma Gesù Cristo che guarda attraverso i suoi occhi.
Anche il silenzio del semplice ascolto può però essere utile quando – nel dire poche parole banali e ascoltare cose banali con persone alle quali i doni dello strumento vengono celati – dalle labbra dello strumento cade come una gemma spirituale e si sprigiona una ‘scintilla’ dal Fuoco interno da cui lo strumento è animato. Ecco allora che l’interlocutore ne viene colpito, riflette, medita e talvolta ne trae le debite conclusioni.
Molti uomini – continua Azaria - sono come quei selvaggi delle foreste che, vedendo un medico che gli inietta un siero per salvarli da una epidemia, fraintendono il suo gesto, lo considerano uno stregone-magico, un possibile nemico e… lo uccidono.
Parimenti i ‘selvaggi spirituali’, uomini del mondo attuale.
Essi fraintendono e temono gli strumenti del Signore, combattono tutto ciò che sa di spirituale e di ‘Chiesa’ continuando a vivere nella loro ignoranza.
Sono tuttavia sufficienti poche parole di uno strumento che vive nella società, nell’anonimato, ed essi – i selvaggi spirituali – senza più alcun sospetto ed in piena fiducia bevono alla fonte fresca delle loro parole e, senza che neanche essi se ne avvedano, la Grazia entra dentro di loro, là dove in maniera palese non sarebbe invece entrata.
Gli strumenti sono quindi dei missionari segreti nel mondo civile, missionari che convertono grazie alle segrete operazioni che essi compiono.
E se anche qualche sacerdote non porge ad essi la mano, gli strumenti vivano saldi, certi che il loro nome è già scritto in Cielo nel Libro della Vita.

 

===========    

 

Facciamo alcune considerazioni.
Sentendo parlare continuamente di ‘strumenti’ non dobbiamo fare l’errore di considerarli come degli… extraterrestri in quanto dotati di doni particolari.
Dal punto di vista di Dio, infatti, tutti gli uomini sono potenzialmente ‘strumenti’ in quanto Egli – nel creare le loro anime – affida loro una missione specifica per cui essi, svolgendola, sarebbero ‘strumento’ della volontà di Dio in relazione all’ambiente famigliare e sociale in cui essi dovranno operare.
La società umana è infatti il contesto in cui l’uomo da infante diventa adulto, adulto non solo fisicamente ma spiritualmente, per diventare in seguito ‘figlio di Dio’.
Strumento – e importantissimo - è chi è chiamato dunque a fare il buon padre o la buona madre di famiglia capaci di allevare i propri figli correttamente non solo sul piano della educazione morale e civile ma anche spirituale in quanto questi – almeno in teoria, se ben allevati – sarebbero destinati a divenire i futuri ‘figli adottivi’ di Dio in Paradiso.
Strumento è anche il maestro a scuola, chiamato ad integrare l’educazione impartita dalla famiglia non solo sul piano delle mere cognizioni scolastiche ma sui valori.
E così anche un buon medico, un buon governante, ecc.
Tutti strumenti potenziali, dunque, dove però il divenirlo nei fatti dipende solo dal libero arbitrio per cui ognuno deciderà se seguire o meno quella sorta di ‘vocina’ interiore che gli indica la strada giusta ma che il suo ‘io’ sovente non vuole ascoltare.
Se ogni uomo seguisse la voce della coscienza e ‘obbedisse’ al dolce ‘suggerimento’ interiore, che Dio ha loro dato sommessamente per non privarli della loro libertà e dignità, la società intera funzionerebbe molto meglio.
Poi esistono anche strumenti con missioni particolari, come ad esempio una Maria Valtorta, ma costoro non sono uno strumento ‘maggiore’ rispetto agli altri in quanto lo strumento non è tale per proprio merito ma esclusivamente perché è Dio che lo rende tale e lo dota dei mezzi atti a svolgere la sua missione, sempre che egli la accetti.
Ma fra i tanti concetti espressi dall’Angelo Azaria ve ne è uno che mi ha particolarmente colpito, quello per cui Dio avrebbe già distrutto il mondo attuale, considerato un vestibolo dell’Inferno, se non fosse per quei pochi giusti che intercedono presso di Lui, come aveva fatto Abramo ai suoi tempi.
Cosa aveva fatto Abramo?
Ve lo racconto alla buona, con parole mie.
Si tratta di un episodio narrato in Genesi.5
Il Signore si manifesta sotto sembianze materiali umane ad Abramo mentre questi se ne sta seduto all’ombra davanti alla sua tenda in una calda giornata.
Si tratta di tre uomini, che tuttavia lo spirito di Abramo intuisce trattarsi di entità soprannaturali, dove uno di costoro è il Signore.
Abramo si prostra ed invita il Signore a fermarsi presso la sua tenda per riposarsi e rifocillarsi all’ombra dell’albero presso il quale sta anche Abramo.
I tre accettano ed Abramo, rientrato nella tenda dove sua moglie Sara occhieggiava  l’esterno orecchiando quanto i tre e suo marito dicevano, le ordina di darsi alla svelta una ‘mossa’ e preparare il necessario per il pranzo. Questo viene servito dalla donna e, mentre i tre personaggi mangiano, Abramo se ne sta ritto, un poco discosto, in atteggiamento reverenziale.
Quelli con noncuranza gli chiedono dove fosse sua moglie ed Abramo risponde che lei è là nella tenda. Non so se lei avesse il chador e nemmeno il bourka, ma é certo che - anche se non era abitudine che le donne si mostrassero agli estranei se il marito non lo diceva loro - certo anche da dietro la tenda lei non perdeva una sillaba.
Uno dei tre, quello che pareva ‘umanamene’ il più autorevole, dice allora ad Abramo che sarebbe tornato fra un anno, aggiungendo che a quell’epoca Sara avrebbe già avuto un figlio.
Dice la Genesi che Sara e Abramo in quel momento erano molto vecchi, l’uomo aveva circa cento anni e la donna una novantina.
Logico pertanto che lei – da dietro la tenda – in certo qual modo se la ridesse e facesse in cuor suo magari qualche ironico commento sulle loro capacità ‘amatorie’.
Ma il loro Ospite, non è un ospite comune, perché - anche se Sara è nascosta dentro la tenda - Egli le legge nel cuore. Ed Infatti l’Ospite si rivolge ad Abramo domandandogli con aria severa come mai Sara avesse riso chiedendosi come avrebbe mai fatto lei – così vecchia – ad avere figli. Forse che – aggiunge l’Ospite - c’era qualcosa che sarebbe stato difficile per il Signore? Sara avrebbe avuto dunque un figlio!.
Non so se Abramo, che doveva essere molto imbarazzato, abbia dato di voce a Sara dicendole di uscire fuori da là dietro. Fatto sta che quella esce, vede la faccia dell’Ospite, prova paura e cerca di negare di avere riso. Ma l’Ospite la guarda penetrante negli occhi e di rimando le dice severo: ‘No! Tu hai riso’.
Tutte uguali le donne, anche Eva interrogata da Dio nel Paradiso terrestre aveva cercato di negare l’evidenza di aver voluto disubbidire, cogliendo il frutto dell’Albero della Conoscenza del Bene e del Male, cercando di attribuirne la colpa non a se stessa ma al Serpente che l’aveva ingannata.
Chiuso l’incidente, i tre uomini si incamminano verso Sodoma, mentre Abramo li segue deferentemente per un tratto per accomiatarsi anche se forse si domandava fra sé e sé cosa mai andassero a fare a Sodoma.
Considerata la sua predilezione verso quel giusto che era appunto Abramo  - al quale proprio per questo, in precedenza, il Signore già aveva promesso una sterminata discendenza dicendogli che da sua moglie Sara gli sarebbe nato un figlio al quale avrebbe posto il nome di Isacco - l’Ospite decide di renderlo compartecipe del perché stavano andando a Sòdoma e Gomorra: il clamore delle colpe di quelle popolazioni era giunto sino in Cielo ed il Signore era dunque sceso in terra per constatare di persona e distruggere quei popoli.
Abramo, ormai lo sapete anche voi, era un giusto e come giusto e come ci insegna Azaria  egli amava anche i peccatori. Allora – dimenticando per un attimo di essere, lui povero uomo, nientemeno che davanti al Signore - si permette di pregare insistentemente per quei peccatori.
Dice infatti la Genesi:6
«Quegli uomini partirono di lì e andarono verso Sòdoma, mentre Abramo stava ancora davanti al Signore. Allora Abramo gli si avvicinò e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l'empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lungi da te il far morire il giusto con l'empio, così che il giusto sia trattato come l'empio; lungi da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?».
Rispose il Signore: «Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell'ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutta la città».
Abramo riprese e disse: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere... Forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?».
Rispose: «Non la distruggerò, se ve ne trovo quarantacinque».
Abramo riprese ancora a parlargli e disse: «Forse là se ne troveranno quaranta».
Rispose: «Non lo farò, per riguardo a quei quaranta».
Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta».
Rispose: «Non lo farò, se ve ne troverò trenta».
Riprese: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti».
Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei venti».
Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola; forse là se ne troveranno dieci».
Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei dieci».
Poi il Signore, come ebbe finito di parlare con Abramo, se ne andò e Abramo ritornò alla sua abitazione».

Insomma, ‘Il Signore rispose’…, ‘Abramo riprese’…‘Il Signore rispose’…, ‘Abramo riprese’ e via continuando, possiamo noi concludere che Abramo oltre che un giusto era un testardo nella preghiera ma che la pazienza e soprattutto l’amore di Dio verso i giusti è davvero grande se a Dio sarebbero bastati solo dieci giusti per salvare l’intero popolo di Sòdoma e Gomorra.
Una ulteriore riflessione riguarda un altro concetto espresso da Azaria per cui lo ‘spirito profondo’ degli uomini cerca Dio senza che il loro ‘io’ nemmeno se ne accorga.
San Paolo aveva detto in una sua epistola che l’essere umano è costituito da corpo, anima e spirito.7
Ora, se il corpo non ha bisogno di essere spiegato, l’anima dell’uomo possiamo considerarla invece come un insieme complesso, come un poliedro8 dalla varie sfaccettature. Queste sono costituite dall’io inteso come un ‘ego’ affermatore della propria personalità, dalla volontà, dall’intelletto, dagli istinti più o meno buoni, ecc.
Questo tipo di anima-animale, detta anche sensitiva, è un principio vitale misterioso che dà la vita agli animali in genere, come analogamente vi è la cosiddetta anima-vegetale, detta anche vegetativa che la dà al mondo vegetale.
Anche l’uomo, in quanto essere animale, ha un’anima… animale, cioè un principio vitale intelligente trasmessogli dai genitori attraverso la procreazione che gli consente di sopravvivere e condursi come ‘animale’.
L’uomo però ha dentro di sé anche lo spirito, creato specificatamente da Dio nel momento in cui lo infonde nell’embrione concepito dai genitori.
Quest’ultimo – oltre che essere di per sé intelligente - è immortale e, fuso all’anima dell’uomo, ne costituisce come una quintessenza, insomma lo ‘spirito dell’anima’ che – alla morte del corpo o nelle estasi mistiche - è capace di congiungersi a Dio.
E’ lo spirito quello che rende l’animale-uomo un essere prevalentemente spirituale, facendolo salire di un importante gradino rispetto al regno puramente animale.
Ecco, è proprio questo lo ‘spirito profondo’ di cui parla Azaria.
Uno spirito profondo che – istintivamente, a livello di inconscio e quindi senza che l’io conscio se ne renda nemmeno conto – ‘cerca’ il Dio che lo ha creato.9


1 M.V.: ‘Libro di Azaria’ – Cap. 40 – 17 novembre 1946 – Centro Editoriale Valtortiano

2 N.d.A.: Maria SS. non esitò, ispirata dallo Spirito Santo che parlava sulle sue labbra a ‘futura memoria’ degli uomini

3 San Paolo:  IIa Corinti 11, 1 e 12

4 San Paolo: 1a Corinti 15, 9-10  // Galati 1, 11-14   //  Timoteo 1, 12-17

5 Gn 18, 1-15

6 Gn 18, 16-33

7 G.L.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 50 – Centro Ed. Valtortiano – vedi anche sito interne dell’autore

8 G.L.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 46 – Ed. Segno, 1997 – vedi anche l’opera nel sito internet dell’autore

9 N.d.A.: In merito al rapporto fra spirito, anima e corpo, anche con riferimento alle conseguenze del Peccato originale, vedi le più ampie spiegazioni dell’autore “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni”, Vol. II, Cap. 5.7: ‘Le stimmate psicologiche, l’anima animale, quella spirituale, il software del computer, il virus informatico e… il peccato originale’ – Ed. Segno, 2002 – Opera liberamente scaricabile dal sito internet dell’autore