38. LO STRUMENTO MORENDO RIAFFIDI AL SIGNORE IL DONO
RICEVUTO DICENDOGLI: «NELLE TUE MANI AFFIDO IL MIO SPIRITO
E LA PAROLA DEL TUO SPIRITO PERCHÉ TU LI SALVI DA CORRUZIONE E SMEMBRAMENTO»
Azaria spiega alla mistica1 che gli strumenti sono ‘servi’ di Dio ai quali Egli affida diverse ‘missioni’, siano esse quelle di ‘apostoli’ o di ‘vittime’, teologi o semplici fedeli, oppure ancora ‘voci’ che parlano per conto del Signore. Tutti costoro devono essere come degli ‘altari’ sui quali si offre e si brucia l’incenso e l’olocausto per Dio.
Il ‘profumo’ emanato da queste ‘offerte’ che salgono come fumo al Cielo non deve però essere quello delle singole persone ma quello di Gesù Cristo nel quale queste persone ‘vivono’. Profumo che viene sparso in onore di Dio ma anche allo scopo di impregnarne i fratelli, e ciò al fine di fare sì che il mondo conosca Gesù e, avendolo gli uomini conosciuto, essi – di propria libera volontà – decidano di accettarlo o di respingerlo, dando così a se stessi vita o anche morte eterna ma senza poter addurre in tale ultimo caso a propria scusa il fatto di non aver potuto conoscere Gesù.
Questa missione di fare conoscere Dio deve essere affidata a coloro che hanno il requisito per compierla, e cioè l’amore che li fa come ‘consacrare’ a Dio.
Non dunque a coloro che lo fanno per abitudine o necessità, per non dire per forza, se non per mera riflessione o calcolo umano, ma proprio a quelli che lo fanno per amore, amore che viene conosciuto solo da Dio e dagli Angeli.
E’ proprio per l’amore che nutrono che costoro non si permettono di adulterare la Parola di Dio per trarne utili, ma la danno ai fratelli pura come essa viene data loro da Dio, anche se ciò dovesse provocare dolore e astio da parte di coloro ai quali invece questa Parola non piace e che diventa da un lato oggetto di scherno ma dall’altro oggetto di morte spirituale.
L’Angelo Azaria, parafrasando le parole di una epistola di San Paolo, dice che gli strumenti sono come una pagina vivente redatta dall’intera Trinità nel cuore degli strumenti stessi. Gli strumenti ne devono essere convinti e devono darne lode al Signore. Mai gloriarsene ma avere rispetto e culto del dono ricevuto che essi devono dare ai fratelli sapendo con certezza che ad essi – insieme al dono – viene data la capacità di trattarlo. Tale capacità tuttavia si perde se dovesse subentrare uno spirito di superbia, di menzogna, di disubbidienza ed egoismo.
Sono troppi i ‘maestri’, o meglio coloro che si credono maestri solo per il fatto di conoscere per cultura le parole giuste. Non è la cultura quella che dà vita alle parole ma lo spirito che le anima. Questi ‘dottori’, grazie a questa loro ‘veste’ che indossano, disprezzano chi non la possiede e vorrebbero tacitare chi parla in nome di Dio, ma non potranno mai impedire allo Spirito di Dio di parlare negli esseri che invece sanno essere spirituali nel dare e nel ricevere, nell’imparare e nel praticare.
E a coloro che, negatori o derisori, crederanno di poter dire come mai Dio abbia dato questi doni a dei ‘nulla’ anziché a ‘loro’, sarà Dio stesso a rispondere, ma quando lo farà per essi sarà tardi.
Lo strumento – conclude Azaria – morendo riaffidi al Signore il dono ricevuto dicendogli: «Nelle tue mani affido il mio spirito e la Parola del tuo Spirito perché Tu li salvi da corruzione e smembramento».
Credo che questa lezione di Azaria non abbia bisogno di commenti se non l’osservazione che troppo spesso uomini di Chiesa – che per la veste che indossano ed il ruolo che ricoprono pensano di essere i soli deputati a trasmettere le parole del Signore – guardano dall’alto in basso, disprezzano, mettono in discussione le parole che il Signore mette in bocca degli ‘ultimi’, dimenticando che Egli proprio agli ultimi preferisce rivelarsi ricordandoci che spesso gli ultimi possono essere i ‘primi’ e che le prostitute e i pubblicani possono passare davanti a scribi e farisei.
1 M.V.: 'Libro di Azaria' - Cap. 29 - 1° settembre 1946 - C.E.V.