31. IL PERDONO  E L’ACCETTAZIONE DELLA SOFFERENZA 

 

Anche in questo giorno1 l’Angelo Azaria conforta la mistica e la invita a non preoccuparsi dell’abbandono e del disprezzo da parte del ‘mondo’, abbandono e disprezzo che sono invece un onore per lei.
Gesù – a quel giovane dei Vangeli che aveva detto di avere sempre rispettato i Dieci Comandamenti ma che voleva sapere come fare a ottenere la Vita eterna – aveva risposto che una sola cosa gli mancava per essere perfetto: vendere i propri beni, darne il ricavato ai poveri e poi seguirlo.
L’Angelo le dice che ciò è quel che ha fatto lei. Ha infatti osservato i Comandamenti fin dalla giovinezza, aveva poi venduto ogni suo ‘bene’ offrendo in sacrificio la sua salute - offerta questa meritevole perché spontanea e non solo offerta ‘accettata’- e si era messa infine al seguito non del Re ma del Martire immolandosi anche lei come un piccolo ‘Cristo’.
Lei – continua Azaria – ha dato tutto a Dio e Dio le si dà tutto anche se ora, nelle Sue rivelazioni, Egli deve ‘velare’ Se stesso per adeguarsi alla sua ridotta capacità, in quanto ‘creatura’, di sostenerne la presenza.
Tutto questo, però, è solo anticipazione di quanto incommensurabilmente più grande lei riceverà in Cielo.
Azaria la invita dunque a dimenticare le sofferenze morali che gli uomini le procurano e ad imparare invece a raggiungere la perfezione dell’amore.
Come ottenere cio? Attraverso la virtù del Perdono.
Mai reagire all’animalità delle offese con l’animalità dell’amor proprio ferito.
Non rendere male per male, maledizione per maledizione, ma invece benedizione.
Bisogna imparare il segreto per poter vincere l’io umano che si fa aizzare troppo dalle ‘frecce’ che lo colpiscono.
E’ sufficiente – le dice Azaria – che lei contempli queste ‘frecce’ non come offese, come in effetti esse sono, e nemmeno come ingiustizie da parte di persone ingiuste che lei quindi non può ‘amare’, ma come sofferenze che – accettate ed offerte – si trasformano in altrettanti meriti di santificazione che le faranno guadagnare il Paradiso.
Coloro che la feriscono non sanno infatti che essi in realtà diventano i suoi più grandi benefattori.
Per questo bisogna imparare ad amarli, imparare ad amare i propri nemici.
Meglio evitare le dispute perché in queste anche chi ha ragione può eccedere facilmente e passare dalla parte del torto nella misura in cui la discussione superi la soglia del rispetto e dell’amore.
Bisogna infatti saper conservare la pace interiore, perché è con la pace interiore che il Signore può albergare in noi.
Gli Angeli pensano che è per essi bellissimo poter ‘vedere’ Dio, ma che sarebbe molto più bello poterlo ‘possedere’ come può succedere agli uomini.
Beati dunque – coclude l’Angelo – coloro che sanno soffrire per la Giustizia perché – come aveva detto Gesù – è di essi il Regno dei Cieli.

 

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Cosa possiamo dire, meditando questo insegnamento di Azaria?
Egli invita la mistica ad accettare la sofferenza  arrecatale dalle offese altrui sapendo che questa accettazione si trasformerà in una sorta di ‘scala’ che le permetterà di raggiungere più agevolmente il Paradiso.
Detta così, quella di una accettazione di una cosa che comunque non abbiamo potuto evitare, potrebbe anche sembrare una cosa semplice.
Gli altri ci fanno soffrire, noi ‘accettiamo’, e intanto… ‘saliamo’.
Ma siamo proprio sicuri che tutto sia così facile?
L'accettazione della sofferenza non è 'semplice' accettazione, ma una ulteriore 'sofferenza' perchè dire alla 'carne morale' di 'accettare' è un doppio atto di 'violenza'.2
La 'carne' soffre infatti due volte: quando urla 'no' e quando le si impone di accettare il suo 'no', cioè la sua sofferenza.
Quindi l'accettazione è una sublimazione della sofferenza: bisogna chiedere questo Dono a Dio.
L'accettazione, in sè e per sè, non è un sollievo, un modo di uscire dal dolore, ma un 'affinamento' dello stesso. E' per questo che l' accettazione avvicina di più a Dio. Significa infatti sottomettere il dolore morale allo spirito, il dolore della 'carne' allo spirito.
E la 'carne' - che con il dolore urla, con il dolore si ribella e però si sfoga e in qualche modo si 'libera' - con l'accettazione viene ulteriormente mortificata.
Per questo l'accettazione è 'offerta' a Dio.
Cosa si deve però intendere qui per ‘carne’?  

Essa3 - posto che qui non si parla certo della carne ‘materiale' - può essere individuata in  due (e cioè l' io animale e l' io morale) di quelle tre facce dell'Io il quale comprende anche l'io spirituale.
Dio ci fece uomini in spirito e carne, ma è solo governando la ‘carne’ che lo spirito diventa - con la ‘carne’ - 'figlio di Dio': senza carne prima, con la carne dopo la resurrezione dei corpi per godere in completezza della visione di Dio.
Spirito e carne, carne e spirito, essere o non essere, questo è il vero 'dilemma'.
Se per essere ‘figli di Dio’ dobbiamo essere soprattutto spirito, dobbiamo sottomettere la nostra ‘carne’, il nostro 'io', ad esso.
Sempre il nostro 'io' è sovrano, grazie al libero arbitrio, ma è solo grazie alla buona volontà che esso, diventato non più 'io carnale' ma 'io spirituale', domina.
Domina con le potenze dello Spirito - che sono potenze di Dio - sul proprio 'Io', sulla Carne, sul Mondo, sull'Altro che a quel punto nulla può se non esercitare tentazione, anche grande, e molestia.
Ma come 'governare' con lo spirito?
Solo chiedendo aiuto a Dio perchè l'uomo è troppo debole rispetto ai fomiti ed al Nemico, e chiedere aiuto è ancora una volta un esercizio di buona volontà, oltre che di umiltà. 
Chiedere sempre aiuto, quando siamo in difficoltà!


1 M.V.: ‘Libro di Azaria’ – Cap. 22 – 14 luglio 1946 – Centro Editoriale Valtortiano

2 G.L.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 124 – Edizioni Segno, 1997 – vedi anche sito internet dell’autore

3 G.L. ‘‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 125 – Edizioni Segno, 1997 – vedi anche sito internet dell’autore – Inoltre M.V. ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’ – 8 febbraio 1950, pagg. 209/211 – C.E.V.