29. L’IMPORTANZA DELL’UMILTA’ E DELL’IMPARARE AD AMARE
Gli ‘strumenti’, voci che parlano o agiscono per conto del Signore, hanno un continuo bisogno di insegnamenti sul proprio comportamento perché il dono da essi gratuitamente ricevuto è eccezionale ed essi devono stare ben attenti a non perderlo o demeritarlo.
Azaria - in questa domenica in cui si commemora San Paolo - inizia pertanto la sua ‘lezione’ parlando alla mistica dell’importanza dell’umiltà. 1
«La fiducia non deve annullare l’umiltà – esordisce Azaria – nè il riconoscimento delle vostre debolezze deve annullare la fiducia nella bontà del Signore. Un’anima che avesse una delle due cose, ma fosse priva dell’altra mancante, sarebbe imperfetta e procederebbe malamente sulle vie della perfezione».
L’abitudine ad ascoltare la ‘voce’ del Signore non deve trasformarsi in una forma di ‘fiducia’ che annulla il timore reverenziale dovuto al Signore e conseguentemente l’atteggiamento di umiltà nei Suoi confronti.
Per contro, un riconoscimento esagerato della propria debolezza e limiti non deve indurre lo strumento a dubitare che il Signore gli possa avere elargito i doni che egli possiede.
Pietro aveva peccato sia come uomo che come apostolo.
Egli era ben consapevole – dice Azaria - del fatto di essere stato un peccatore, prima di diventare apostolo, ma forte di questa sua consapevolezza egli si fece ancora più umile. Per altro verso egli non ebbe dubbi nella superiore giustizia di Dio che, nonostante il suo passato, aveva deciso di eleggerlo al ruolo di apostolo.
Bisogna poi guardarsi dalla falsa umiltà che – nei rapporti con le altre persone – porta a mettere in dubbio i doni ricevuti, tanto per sentirsi dire che al contrario questi doni ci sono perché si è buoni e meritevoli, e per sentirsi in tal modo lusingati nella propria vanità che è però anche l’anticamera dell’orgoglio.
Al contrario, la mancanza di fiducia in se stessi circa i doni ricevuti porta a dubitare di Dio, della sua Potenza, ed a giudicare il Suo operato.
Bisogna dunque imparare ad essere umili della vera umiltà, quella di un figlio che si rivolge al Padre per confessargli le proprie debolezze ed i propri smarrimenti.
Umiltà, questa, che ricorda allo strumento ciò che egli é, e sopratutto quale peccatore é stato, e ciò al fine di non presumersi ‘santo’ ed in quanto tale a pensare di avere ‘diritto’ ai doni di Dio.
La vera fiducia – continua Azaria - consiste nell’abbandono al Signore, un abbandono come quello di Maria SS. che – nell’apprendere dall’Arcangelo dell’Annunciazione la richiesta del Signore nei suoi confronti – rispose: ‘Si faccia di me secondo la sua Parola!’.
In virtù di quel ‘sì’ di abbandono, il Verbo scese dal Cielo e - grazie allo Spirito Santo – si incarnò, visse poi sulla terra, accettò la Crocifissione e redense l’Umanità.
Come Pietro, così pure fu Paolo. Egli, persecutore dei cristiani e ben consapevole del suo passato, non perse fiducia in Dio e svolse sino alla morte la sua missione di apostolo lasciando che la ‘fiaccola’ dei suoi insegnamenti, caduta a terra con la sua morte, venisse raccolta e portata avanti da altri.
La Grazia di Dio – sia nel peccatore Pietro che in Paolo – aveva dunque operato, trasformandoli entrambi.
Pietro sapeva bene che l’onore dei doni ricevuti da Dio avrebbe potuto ingenerare superbia, e sapeva pure come quest’ultima potesse indurre ad una diminuita vigilanza su se stessi.
Il credersi sicuro di sé, il sapersi ‘capo’ degli apostoli perché Dio lo aveva riconosciuto come il migliore, l’avere infine – in occasione della istituzione dell’Eucarestia nel corso dell’Ultima Cena – il Pane Eucaristico-Gesù dentro di sé, lo aveva fatto sentire – continua Azaria - come protetto da una fortezza, e ciò aveva provocato un allentamento della sua vigilanza su se stesso, con un autocompiacimento, cedendo un poco alla sua ‘umanità’.
Insomma, una fiducia sbagliata, che poco dopo lo indusse ad abbassare la guardia e – al Getsemani – ad ‘addormentarsi’.
Satana si prese allora gioco di lui e – avendo Pietro perso l’unione intima con Dio – lo spinse successivamente al punto di mentire negando di essere un discepolo di Gesù, anzi rinnegarlo e infine fuggire per viltà.
Un semplice senso di autocompiacimento iniziale anche modesto – continua Azaria - può quindi progressivamente portare a delle cadute rovinose.
Se lo strumento usa dunque male i suoi doni può tuttavia rimediare rivolgendosi al Padre confidando a Lui le sue ansietà e chiedendogli aiuto.
Gli attacchi del Nemico sono improvvisi e bisogna sempre essere spiritualmente ben ‘svegli’ per respingerli.
Non bisogna pertanto ‘ubriacarsi’ nella consapevolezza dei propri doni, ma viverli con sobrietà. Non bisogna mai, inoltre, desiderarne di maggiori.
Infine mai piangersi addosso commiserandosi di essere i ‘soli’ a portare la ‘croce’, perché ogni uomo ne ha una propria. Anzi, più una persona viene spiritualmente provata, più cresce in formazione e più Dio la ‘identifica’ al Modello per eccellenza, Gesù, la cui Passione fu totale.
Bisogna dunque saper soffrire con gioia, cioé con amore, perché è con questa sofferenza consapevole che si migliorerà nel cammino spirituale e si conseguirà – proprio a causa di questa sofferenza unita ai meriti di Gesù – la gloria eterna.
Se l’esperienza di Pietro è stata utile per comprendere l’importanza dell’umiltà, Paolo sembra invece voler rispondere a quanti non credono alle ‘voci’ quando egli dice: «Vi dichiaro che il Vangelo da me predicato non è dall’uomo, perché io non l’ho ricevuto nè imparato dall’uomo, ma per rivelazione di Gesù Cristo».
Ciò é quanto possono dire anche gli attuali ‘portavoce’ del Signore. Quanto essi dicono non viene da loro – dice Azaria – né da alcun maestro terreno ma viene direttamente dal Verbo. É del Verbo!
Gli strumenti ricevano pertanto le Sue parole per darle agli altri, senza gloriarsene né rifiutarle, anche per non obbligare Dio ad ‘atterrarli’, ripetendo così con essi quanto Egli già fece con Paolo sulla strada di Damasco.
Comunque , se talvolta può accadere di pensare che non sia possibile l’aver ricevuto un dono oppure può accadere di farvi resistenza, tutto ciò è meglio che essere posseduti dall’ansia di avere questi doni e – ingannati da Satana – volere apparire come strumenti senza esserlo.
Quando Dio concede questi doni non è perché lo strumento ne sia ‘meritevole’ o egli sia importante. Sono doni divini dati gratuitamente solo perché c’è bisogno di un determinato ‘strumento’.
Mai rubare a Dio il merito attribuendo questi doni a se stessi perchè il bugiardo verrebbe presto smascherato ed oltre ad essere punito dalla irrisione del ‘mondo’ verrebbe punito anche da Dio.
Quando Dio chiama uno strumento alla sua missione – conclude Azaria - non bisogna fare resistenza ma agire come San Paolo che – dopo l’esperienza di Damasco – ubbidì alla richiesta del Signore diventando poi suo apostolo.
Se poi un complesso di circostanze dovesse incutergli paura – perché ciò che egli ‘sente’ e che deve ripetere gli sembra peccato in quanto non conforme alla ‘tradizione dei Padri’ - che egli non se ne preoccupi ma si ricordi che quel che Dio dice è più importante, che la mano di Dio è posata su di lui e che certe paure vengono da Satana che vuole indurlo a disubbidire a Dio ed a rinunciare alla sua missione di strumento.
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Vita dura, evidentemente, quella degli ‘strumenti’, salvo la speranza che – fra le varie ‘missioni’ possibili – glie ne venga loro data una di ‘maggior riposo’. Ma esisterà mai un ‘maggior riposo’ ove si trattasse di una vera ‘missione’ che bisogna cioè adempiere nel migliore dei modi perché è Dio che ce lo chiede?
Prendiamo ad esempio quel suggerimento dell’Angelo in merito al fatto che non bisogna mai piangersi addosso, commiserandosi di essere i ‘soli’ a portare la ‘croce’, perché ogni uomo in realtà ne ha una propria e deve anche saper soffrire con gioia ed amore.
Ma come si fa a soffrire con gioia, cioè con amore?
Non so proprio come si faccia, ma abbiamo già accennato alla enorme importanza di imparare ad amare, perché l’amore è il principale attributo di Dio ed è la scienza delle scienze perché ci fa maestri nella scienza che dà Vita: la scienza di conoscere Iddio.
La Grazia fu lo splendido Dono fatto da Dio al primo uomo. Splendido Dono fatto dallo Spirito Santo che volle santificare l'Uomo. Ma un altro splendido Dono che lo Spirito di Dio ancora concede all'uomo per consentirgli di tornare a Lui, alla Fonte di ogni Bene, è l’Amore.2
L'importanza di amare non potrà mai essere ripetuta abbastanza perché Dio stesso è Amore.
Quale dono è più bello che ricevere - con la Grazia - l'essenza di Dio ? Sono tanti i modi per amare, ma è sempre l'Amore la strada che porta a Dio.
Abbandonarsi. Ecco l'importanza dell'abbandono.
Abbandonandosi ci si mette in condizione di ricevere l'Amore, perchè l'Amore, anche quello umano, è 'abbandono'.
Si può ‘chiedere’ di amare, ma Dio non può concedere un dono che in realtà non si vuole perché ci si rifiuta di abbandonarsi e ricevere l’amore di Dio a braccia aperte. Sarebbe ricevere un amore imperfetto perché da parte di chi chiede non vi è in realtà ‘donazione’.
Non si può ‘chiedere amore’ e contemporaneamente chiudersi come l’ostrica nel guscio.
Chiedere poi al Padre di ‘insegnarci’ ad amare non significa che il Padre ci dia gratuitamente il dono dell’Amore (in quanto questo va guadagnato, perchè ci identifica a Dio) ma significa che il Padre ci potrebbe ‘insegnare’, come ad un figlio, come si fa ad amare.
Prima la 'preghiera' al Padre, 'accettata' e voluta.
Poi il primo insegnamento: 'saper soffrire per imparare ad amare' o, se si preferisce, ‘saper amare per saper soffrire’.
Dunque l'Amore non è disgiunto dalla sofferenza, anche se non è una sofferenza come quella di un’anima-vittima.
Si potrebbe però, per Gesù’, accettare di soffrire con amore almeno per le normali sofferenze che una vita normale ci impone?
E’ questo il primo passo che ci chiede il Padre, un piccolo passetto fra le sue braccia, ed Egli farò il resto... Ma non un "resto" che ci terrorizzi, ma un resto che condivideremmo in piena libertà e convinzione intellettuale di uomini (e donne...) pienamente liberi.
Per imparare ad amare, Dio ci chiede solo un "sì". Non tanti ragionamenti, come di solito faremmo, pieni di "ma", di "se" e di "distinguo".
Egli ci chiede solo di fare quel piccolo gradino fra le braccia del... Padre.
Più facile di così..., o no?
1 M.V.: ‘Libro di Azaria’ – Cap. 20 – 30 giugno 1946 – Centro Ed. Valtortiano
2 G.L.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 127 – Ed. Segno, 1997 – vedi anche sito internet dell’autore.