16. DISPUTA DI GESU’ CON I FARISEI E DECAPITAZIONE
DI GIOVANNI BATTISTA.
DIALOGO SU REINCARNAZIONE E PURGATORIO
16.1 La disputa con scribi e farisei. I parenti increduli di Gesù.
Poco tempo dopo avvengono a Cafarnao la guarigione di un indemoniato cieco e muto e una disputa con gli scribi e i farisei, episodi di cui parla Matteo.1
Vi avevo accennato nel capitolo precedente al fatto che il clima nei confronti di Gesù si stava ‘riscaldando’, alimentato da scribi e farisei.
Il nostro Loisy non credeva alla presenza di Gesù a Cafarnao, come invece raccontato nei vangeli, né alla sua nascita a Betlemme e neppure alla sua discendenza da Davide che egli – negatore – credeva un mito.
Egli pensava infatti che Gesù si fosse inventata quella sua regale discendenza per nobilitare la sua origine e affinché si potessero considerare adempiute in lui alcune profezie messianiche.
Comunque - come risulta dall’Opera di Maria Valtorta - il suddetto episodio narrato da Matteo avviene invece proprio a Cafarnao dove Gesù, come avevo già spiegato, si era trasferito fin dall’inizio della sua attività pubblica, sistemandosi in casa di un parente del padre putativo Giuseppe.
Il sabato, giorno di festa, è ormai prossimo e gli apostoli – che Gesù aveva precedentemente mandato in giro in missione – rientrano a gruppetti… in sede.
Gesù non è in quel momento in casa ma scribi e farisei lo attendono al varco gironzolando attorno nella speranza di vederlo all’opera, sempre al fine di poterne trarre spunti di critica e di accusa.
Pietro e gli altri apostoli se ne avvedono, ma vorrebbero essere lasciati in santa pace, almeno nel giorno di festa.
Essi pensano allora di svignarsela alla chetichella, uscendo dal retro, dividendosi e prendendo due barche per recarsi a Betsaida – dove Pietro potrà ospitare tutti in casa sua - lasciando farisei e scribi con un pugno di mosche in mano.
C’è però la complicazione di portarsi dietro un indemoniato, cieco e muto, che attendeva in casa da ore con dei parenti che lo guardavano a vista.
Il confabulare degli apostoli è interrotto dall’arrivo di Gesù proveniente da Corozim dove - dopo una sua predicazione - si era trattenuto a lavorare di falegnameria per aiutare una vedova in miseria ed il suo figlioletto, terminando i lavori lasciati incompiuti dal marito della donna che era morto all’improvviso da poco tempo.
Gli apostoli - dopo averlo informato dell’indemoniato in casa e della sgradita presenza esterna di scribi e farisei - vorrebbero che Gesù si riposasse, ma Egli decide di vedere subito il poveretto.
La voce si sparge e la folla – sempre pronta ad accorrere per vedere – si accalca curiosa, e gli scribi e farisei anche.
Ad un comando di Gesù, l’essere che possedeva l’uomo lo abbandona con un urlo di rabbia che si confonde con quello di gioia del liberato che – sentendosi dentro veramente libero nella mente e nel cuore, oltre che nella vista e nella parola - inneggia a Gesù: ‘Figlio di Davide! Figlio di Davide! Santo e Re!’.
‘Come fa costui – si chiede uno scriba –a sapere chi è colui che lo ha guarito?
‘Ma è tutta una commedia’ – replica un altro – ‘Questa gente è pagata per fare ciò’.
Scoppia allora un tumulto fra i paesani da un lato e i farisei e scribi dall’altro, i quali ultimi accusano quelli di Cafarnao di voler solo fare pubblicità alla loro cittadina e rendere celebri loro e Gesù.
Alla domanda che la gente rivolge a scribi e farisei per sapere allora chi sia Gesù secondo loro, questi rispondono: ‘E’ un Belzebù!’.
Gli insulti della gente ed il baccano allora si sprecano ed è a questo punto che Gesù, agli scribi e farisei che gli chiedevano un segno della sua divinità, risponderà sdegnosamente che a loro sarà dato solo il segno di Giona, riferendosi con ciò al celebre racconto del profeta Giona, risputato vivo dalla pancia di un enorme pesce dopo tre giorni, alludendo così allegoricamente - senza quindi dirlo esplicitamente - al fatto che Egli sarebbe risorto il terzo giorno dalla tomba.2
La strada è stipata di gente che si arrampica persino sulle piante per vedere e godersi al meglio questa disputa fra Gesù e i suoi nemici. Poi, si ode un brusìo, una specie di ‘passa-parola’. Gli apostoli sentono e informano Gesù che là in fondo sulla via ci sono sua madre e i suoi ‘fratelli’, cioè i cugini Giuseppe e Simone, fratelli maggiori degli apostoli Giacomo e Giuda d’Alfeo.
Gesù alza la testa, guarda, vede più lontano il volto angosciato di sua Mamma che aveva assistito alla violenta disputa, ma non dice nulla. Li lascià lì e poi, abbassando lo sguardo severo sulla folla, scandisce rivolto ad essa le famose parole che tanto hanno fatto discutere certi critici che hanno voluto utilizzarle strumentalmente per accusare Gesù di mancanza di rispetto verso la propria madre e i parenti: ‘Chi è mia Madre? Chi sono i miei fratelli?’ .
E mentre le torce si accendono perché si è fatto buio, Egli – indicando questa volta apostoli e discepoli che lo attorniano - aggiunge: « Ecco mia 'madre' ed ecco i miei 'fratelli'. Coloro che fanno la volontà di Dio sono i miei fratelli e sorelle, sono mia madre. Non ne ho altri. E i miei saranno tali se, per primi e con maggior perfezione di ogni altro, faranno la volontà di Dio fino al sacrificio totale di ogni altra volontà o voce di sangue e di affetto ».
Egli ribadisce in tal modo la sua adesione piena alla volontà divina del Padre ed alla sua Missione di Redenzione, superiore ai vincoli ed agli affetti famigliari.
Nei vangeli si citano più volte i parenti di Gesù.
Qui incontriamo Giuseppe e Simone d’Alfeo, dei quali ho già parlato in precedenza 3.
Dall’opera valtortiana si evince che San Giuseppe aveva un fratello di nome Alfeo, il quale a sua volta aveva avuto quattro figli.
Giuseppe e Simone erano i più grandi, mentre i ‘minori’ erano Giacomo e Giuda, coetanei e compagni di giochi di Gesù, che poi lo avrebbero seguito come apostoli.
Come già avuto occasione di accennare, secondo l’uso ebraico di allora il termine ‘fratello’ indicava non solo una fratellanza stretta di sangue ma anche una parentela stretta come quella di cugini primi.
Ma per taluni ogni pretesto è buono per attaccare Gesù e metterne in dubbio la divinità.
Il voler interpretare la parola ‘fratelli’ solo nel senso che diamo noi oggi a questo termine nella nostra lingua – come una volta avevano cercato di fare con me alcuni ‘testimoni di Geova’ che speravano di ‘convertirmi’ senza neanche lontanamente immaginare in che mani fossero capitati, visto che ero poi io che cercavo di convertire loro (peraltro senza riuscirvi) - serviva a rafforzare la tesi che Gesù non fosse Dio e che avesse avuto ‘origini’ del tutto ‘umane’.
Ed è così che l’ineffabile Renan, ne ‘La vita di Gesù’ – dopo aver premesso che Maria e Giuseppe erano di ‘mediocri’ condizioni sociali – a proposito di Gesù aggiunge: ‘…la sua famiglia era molto numerosa: forse c’erano stati più matrimoni invece di uno e Gesù aveva fratelli e sorelle dei quali pare fosse il maggiore’.
Qui Renan – in un colpo solo - oltre che il concepimento divino di Gesù ‘sistema’ anche l’onorabilità di Maria e la sua ‘verginità’, presentando per di più la Madonna come una vedova… ‘allegra’ o una plurimaritata..
Del resto Renan – facendo lavorare la sua fantasia - si spingeva anche più in là scrivendo testualmente che ‘…la bellezza di Maria, ritenuta un dono, era in realtà comune alle donne di Nazareth piene di grazia e di languore, del tipo siriano’.
Un po’ come suggerire surretiziamente: ‘Era bella e… languida, ecco perché si è sposata più volte…!’.
Insomma un tipo come la ‘samaritana’ del pozzo di Sichar, tanto per intenderci!
Ovviamente uno come Renan non credeva al Peccato originale che considerava un ‘mito’ ma, come ho già avuto occasione di spiegare a fondo4, il Peccato originale – un peccato intellettuale e pertanto spirituale – turbò l’equilibrio originario dei primi due progenitori, producendo in loro – per via dell’unità psicosomatica dell’uomo – conseguenze molto negative alterando il metabolismo e le originarie caratteristiche genetiche dei due progenitori ma ancor più quelle dei discendenti successivi.
Il Peccato originale, peccato dello spirito che si ripercosse dunque somaticamente anche sul corpo, cominciò ad operare progressivamente nei primi due e nei loro discendenti come un virus che sempre più produce effetti devastanti.
Gli uomini divennero nei secoli successivi sempre meno sani, meno longevi e…meno belli.
Certi individui bellissimi – almeno fisicamente – che ogni tanto oggi incontriamo, non sono altro che frutto di una combinazione casuale di cromosomi, pur tuttavia pallide copie della bellezza originaria che una volta apparteneva ai due Progenitori prima del Peccato e delle sue conseguenze.
Maria, e come lei Gesù, erano invece la Nuova Eva ed il Nuovo Adamo.
Essi - come si comprende dall’Opera - erano spiritualmente perfetti e fisicamente belli perché erano stati concepiti indenni dal Peccato originale: Lei dovendo ospitare nel suo seno il Verbo purissimo e Lui – essendo Dio incarnato, nemico del Peccato – non potendo coabitare, una volta incarnato, con una natura d’uomo che fosse stata contaminata dal Peccato originale e dalle sue conseguenze.
Ma ritornando al tema dei parenti di Nazareth, Maria e Giuseppe avevano loro nascosto fin dall’inizio la natura divina del concepimento di Gesù. Ciò non soltanto perché sarebbe stato per i parenti difficile credere ad un fatto del genere ma perché Maria e Giuseppe – ispirati – avevano intuito che dovevano mantenere la cosa segreta fino al momento in cui Dio avesse deciso diversamente.
Il bimbo doveva essere ‘umanamente’ protetto dai genitori che avvertivano al riguardo una tremenda responsabilità.
L’Angelo che in sogno aveva ordinato a San Giuseppe di prendere il bambino e sua madre e di fuggire in Egitto, aveva fatto bene intendere quale sorte potesse essere riservata umanamente al Messia, e la strage degli innocenti ordinata successivamente da Erode ne fu una conferma.
Il segreto sulla vera natura di Gesù – nei progetti di Dio – avrebbe dovuto rimanere tale fino al momento dell’inizio della missione di evangelizzazione, quando in effetti il segreto smise di essere tale in occasione della manifestazione di Dio-Padre durante il Battesimo del Giordano.
Quando dunque Gesù, giunto il momento, decise di lasciare la propria mamma ormai vedova a Nazareth, i parenti – in particolare i cugini maggiori Giuseppe e Simone con il loro padre Alfeo - ne rimasero molto contrariati.
Quale meraviglia poi – sentendo le notizie che venivano loro riportate anche dai luoghi più lontani – nell’apprendere che quel loro giovane cugino si era messo a far miracoli, resuscitare morti e nel sentire che – lui che sapevano ben essere figlio del loro zio Giuseppe, il fratello del loro padre – si dichiarava invece ‘Messia e Figlio di Dio’.
Infatti – da altri passi dell’opera valtortiana – si capisce che essi non credevano alla sua ‘messianicità’ ma pensavano che egli nei suoi ‘slanci’ profetici si fosse un poco troppo ‘esaltato’.
Essi non avrebbero dunque fatto fatica a pensarla in quel momento come Renan che – sempre nella sua ‘Vita di Gesù’ – scrive: “L’attesa messianica era insomma una attesa frutto di frustrazioni e di sogni. Il termine di ‘figlio di Dio’ è stato attribuito a Gesù Cristo in quanto egli venne considerato l’interprete di questi sogni: termine giusto, naturalmente, perché Gesù Cristo seppe far fare un enorme balzo in avanti alla storia, ma che non stava certo a significare che Gesù fosse veramente ‘figlio di Dio’ ”.
In ogni caso i ‘fratelli’, cioè i cugini-parenti di Gesù, gli volevano bene e in seguito, proprio quando negli ultimi mesi il clima si farà incandescente, essi crederanno finalmente in lui, convertendosi e sostenendolo sino alla fine.
16.2 Il secondo arresto di Giovanni Battista e la sua decapitazione.
E’ qualche tempo dopo quest’ultimo episodio che giunge al gruppo apostolico la notizia della decapitazione di Giovanni Battista.
L’apostolo Giovanni, suo fratello Giacomo e Andrea, fratello di Pietro, erano stati discepoli del Battista ma avevano deciso di seguire Gesù dopo che il loro stesso Maestro – alla loro presenza, durante quel battesimo al Giordano - lo aveva additato pubblicamente alle folle come l’atteso Messia.
Grande il loro dolore alla notizia della sua morte.
Erode era un superstizioso che di fronte ai fenomeni soprannaturali covava un certo timore reverenziale
Egli era come attratto e nello stesso tempo respinto dalla severa predicazione di quel mistico che si vestiva di pelli e si nutriva di locuste nel deserto.
Erode viveva in concubinaggio con Erodiade, già moglie del fratello Filippo.
Nonostante in quel periodo il predicatore continuasse ad additarlo al pubblico ludibrio come uno svergognato peccatore, invitandolo a emendarsi, e quantunque Erodiade sobillasse Erode affinchè togliesse il Battista dalla circolazione, il re non osava farlo perché intuiva che Giovanni era veramente un uomo di Dio. Egli cercava dunque di guadagnare tempo anche nel timore che un arresto di Giovanni gli potesse scatenare qualche tumulto di popolo.
Se Erode nicchiava, Erodiade invece non dormiva e furono proprie le sue mene, si comprende dall’Opera valtortiana, quelle che portarono ad una sua seconda cattura.
Giovanni Battista era già stato infatti arrestato una prima volta dopo il battesimo di Gesù al Giordano ma, fatto fuggire fortunosamente di prigione dai suoi discepoli, aveva cominciato a vivere in un certo senso da 'latitante'.
Predicava in nascondimento, protetto fisicamente dai suoi più stretti discepoli e dall'omertà delle popolazioni locali alle quali egli predicava, finché un suo discepolo - come sarebbe poi successo anche a Gesù con Giuda Iscariote - lo 'vendette' segnalando alle guardie il posto in cui egli si nascondeva e consentendone la cattura in via definitiva.
Ricorderete che alla fine del Discorso della montagna Gesù, dopo aver passato una notte da solo in unione spirituale con il Padre, aveva detto che il Padre gli aveva rivelato qualcosa che richiedeva preghiera: due nomi di persone ed un dolore per lui.
Ecco dunque i due nomi di persona - quello di Giuda e dell’altro discepolo traditore di Giovanni - ed il dolore per lui.
Mentre Giovanni languiva per la seconda volta nelle segrete del palazzo di Erode, a corte c’era stata una festa con danze e sappiamo dai vangeli come andò a finire quella esibizione presumibilmente eccitante di Salomè, la bella figlia di Erodiade.
Al termine della danza l’incauto re, sù di giri e obnubilato dai fumi del vino, si era offerto di esaudire qualunque desiderio della leggiadra fanciulla la quale, chiesto consiglio alla madre, non ci pensò due volte a chiedere al re di mantenere la parola facendole portare su un vassoio la testa del Giovanni.
Erode non lo avrebbe voluto ma a quel tempo la parola di un Re era ‘sacra’. Guai venir meno alle promesse: si poteva perdere anche il trono.
Fra la prospettiva di rimangiarsi la parola e ‘perdere la faccia’ di fronte a tutti i dignitari di Corte, Erode optò per…far ‘perdere la testa’ al povero Giovanni.
16.3 Un interessante dialogo teologico fra Gesù e uno scriba in tema di Reincarnazione e di Purgatorio.
É in questo periodo che avviene successivamente un incontro interessante di Gesù con uno scriba, non narrato dai Vangeli, con un dialogo avente come tema quello della reincarnazione.5
Ho già detto che scribi e farisei cercavano di approfittare di tutte le occasioni per ‘incastrarlo’. Taluni pensavano addirittura che Gesù fosse un truffatore, come si è visto in quell’altro episodio di quell’indemoniato guarito, indemoniato che scribi e farisei avevano accusato di aver architettato una commedia, d’accordo con i cittadini di Cafarnao, per dare lustro a Gesù ed alla loro cittadina.
Gesù, allo scriba di cui parliamo ora, aveva già guarito il figlioletto ma quello – anziché essergli grato e convinto dai colleghi - gli porge un’esca per indurlo a parlare male di Roma e del Tempio.
‘Odio e amore sanno capire dove trovare’ – gli dice sornionamente lo scriba riferendosi alle folle che quel giorno hanno saputo dove precedere Gesù – e anche se Gesù fugge c’è chi lo segue, anche rischiando, per cui è inutile per lui cercare di fuggire’.
Gesù rimane colpito dall’osservazione, si blocca, guarda in tralice lo scriba e gliene chiede conto: perché mai – è la domanda interiore di Gesù - gli altri che lo seguono dovrebbero ‘rischiare’?
Lo scriba manifesta allora più esplicitamente il proprio pensiero, dicendo sostanzialmente: ‘Roma ti ‘tiene d’occhio’ temendoti un agitatore politico, visto che ti definisci il Messia, e il Tempio addirittura ti odia considerandoti un agitatore religioso che mina le fondamenta dell’autorità dei sacerdoti’.
E’ un’esca sottile che avrebbe potuto facilmente spingere l’uomo-Gesù a reagire ed a compromettersi lasciandosi scappare qualche parola di troppo.
Ma Gesù, che è tutto fuorché solo uomo, lo guarda ad occhi socchiusi e scrutandolo nel profondo gli chiede – con dolcezza – perché mai egli lo ‘tenti’, specie dopo avergli guarito il figlio.
L’uomo coglie lo sguardo penetrante dei suoi occhi, capisce che Gesù gli ha sondato il cuore e si rende anche improvvisamente conto della sua ingratitudine e dell’enormità dell’atto che stava compiendo.
Lo scriba a quel dolce rimprovero crolla, al pensiero del figlio guarito si vergogna di se stesso e, anziché cercare di negare, ammette onestamente la propria colpa.
Siamo di fronte ad una sorta di confessione: ‘Padre, ho peccato’, e alla confessione segue il perdono di Gesù, il Confessore per eccellenza, il quale gli si ‘apre’ allora in un bel dialogo per illuminarlo sulla Verità.
Lo scriba gli spiega che lui aveva fatto ciò perché credeva di servire Dio combattendo lui.
Non deve meravigliare: gli ebrei combatterono i cristiani ritenendoli una setta eretica che poteva mettere in difficoltà l’ebraismo, la religione del Dio vero.
Lo stesso San Paolo, accecato e scaraventato giù da cavallo mentre si recava con dei soldati a Damasco per mettere in catene dei cristiani, fu uno di costoro.
Egli non era un assassino, come non lo è il soldato che uccide il nemico per difendere la propria patria: anch’egli pensava di difendere Dio, prima che Gesù – in una luce accecante - gli facesse sentire dal Cielo la sua voce facendogli capire che Egli era quello stesso Gesù che Paolo perseguitava nei suoi discepoli.
Gesù legge dunque nel cuore dello scriba la sua sincerità e decide di ‘salvarlo’, aiutandolo a capire.
Per salvarsi – gli spiega Gesù – l’uomo deve morire a se stesso, deve morire a se stesso per risorgere.
Lo scriba è ovviamente un uomo colto e pensa subito che Gesù alluda alla reincarnazione.
Questa - come già detto - era solo una teoria che traeva spunto dalle credenze di certe religioni e filosofie orientali, filosofie che – in un mondo pagano privo di veri valori spirituali come lo è anche quello di oggi – erano state diffuse dalla cultura ellenistica dominante in quell’epoca perché davano uno sbocco ‘comodo’ e rassicurante ai quesiti sulla vita e sulla morte.
Soluzioni rassicuranti perché non solo lo spirito dell’uomo non moriva, ma esso si reincarnava a suo piacimento in una serie di altri uomini, per secoli e secoli, per elevarsi sempre di più fino a raggiungere la ‘conoscenza assoluta’. Ma la vita terrena è in realtà una sola, l’occasione per salvarsi è una sola e un uomo si perde o si salva per l’eternità a seconda di come – in quell’unica vita – ha saputo condursi nel bene come nel male.
La teoria della reincarnazione e della salvezza finale garantita a tutti - come predicato anche nelle teorie dello spiritismo moderno che hanno riverniciato ad uso dei cristiani le antiche filosofie orientali – è un atroce inganno perché induce l’uomo ad abbassare la guardia ed a moltiplicare così le sue possibilità di perdersi.
Lo spirito è immortale – spiega dunque Gesù allo scriba - ma vive una sola vita, unito alla carne sulla terra, e nello spirito in cielo, in maniera eterna, grazie al dono del battesimo ed allo Spirito Santo.
L’acqua del battesimo sarebbe però solo un simbolo se lo Spirito non operasse con la sua potenza attraverso essa.
Chi è ‘lavato’ con quest’acqua deve poi ‘purificarsi’ con lo Spirito: vincere cioè la corruzione spirituale indotta nell’uomo dalle conseguenze del Peccato originale nonché purificarsi nella condotta di vita per tornare ad essere più spirito che carne, e questo perché il Regno di Dio – come aveva spiegato il Gesù valtortiano quella notte a Nicodemo nel Vangelo di Giovanni – ‘non sarà abitato che da esseri giunti all’età spirituale perfetta’6.
Il Regno dei Cieli, quello che noi chiamiamo Paradiso, è una cosa misteriosa.
Gesù – parlando sempre di reincarnazione – precisa ancora allo scriba che le anime non trasmigrano da corpo a corpo, di vita in vita, bensì dal Creatore che le crea all’embrione di uomo, e dall’uomo - che muore nella carne - al Creatore.
E una volta che l’anima si presenti al Creatore per il giudizio particolare, che è di vita o di morte eterna, l’anima resta là dove il Creatore la manda, in eterno.
Lo scriba era una mente acuta, perché forse era un ‘teologo’…
E subito crede infatti di cogliere nelle parole di Gesù una contraddizione.
Se il giudizio particolare si conclude in una sentenza ‘di vita o di morte’ in un luogo dove l’anima resta in eterno, che ne è – chiede lo scriba - del cosiddetto Purgatorio?
Gesù gli conferma allora l’esistenza del Purgatorio che egli però – nel suo pensiero – ‘assorbe’ nel concetto di Vita, per cui chi va nel Purgatorio è già ‘in Cielo’ perché il Purgatorio è già ‘salvezza’, cioè ‘Vita’.
Al momento del Giudizio universale, quando il numero degli eletti sarà completo e le anime che erano ancora il quel luogo avranno terminato la loro purificazione per accedere al Paradiso, non vi sarà più Purgatorio ma resteranno solo Inferno e Paradiso.7
2 M.V.: ‘L’Evangelo…’ - Vol. IV - Cap. 269 - C.E.V.
3 G.L.: “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. II – Cap. 5.2 – Edizioni Segno
4 G.L.: “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. II – Cap. 5: ‘L’evoluzione discendente e…l’uomo delinquente di Cesare Lombroso’ – Ed. Segno, 2002
5 M.V.: ‘L’Evangelo…’ - Vol. IV, Cap. 272 - C.E.V.
G.L.: “I Vangeli di Matteo…’ - Vol. III, Cap. 14 - Ed. Segno.
Vedi anche sito internet già citato
6 G.L.: “Il Vangelo del ‘grande’ e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. I, Cap. 4 - Ed. Segno, 2000
7 Nota dell’autore.
Limbo e Purgatorio: la terminologia e la lingua usata dal Gesù valtortiano nel parlare e nel manifestarsi alla mistica Valtorta nelle visioni evangeliche di duemila anni fa.
Vi è chi dice che il Purgatorio sia stato una invenzione dei cristiani poiché la Bibbia non farebbe cenno ad una parola del genere.
In realtà è solo una questione terminologica perché gli autori degli scritti dell’Antico Testamento invece ne parlano ma – poiché prima della Redenzione lo Spirito Santo non era ancora giunto ad illuminare pienamente le loro menti, come inizierà a fare dopo la Pentecoste – ne avevano una cognizione ancora confusa.
Si sapeva che vi era un Limbo dei patriarchi, e comunque un luogo di espiazione nel quale soggiornavano i giusti defunti del popolo di Israele, per i quali i viventi potevano anche pregare.
Quello che noi cristiani, con terminologia nostra, chiamiamo ‘Purgatorio’ è quello che nella nozione degli antichi Ebrei veniva chiamato Sceol, o seno di Abramo oppure Ade, o Regno degli inferi, nel caso dei popoli pagani, insomma un luogo indefinito nel quale stavano i trapassati.
L’Opera della Valtorta parla spesso del Limbo, non solo quello dei patriarchi e dei giusti del popolo eletto svuotato alla discesa di Gesù agli inferi dopo la sua morte, ma anche di quello dei giusti non cristiani, quel famoso luogo non di sola espiazione ma anche di attesa, attesa che può essere anche gioia perché già pregustazione di gioia futura che si intravvede sicura.
Ora se in altri brani il Gesù valtortiano parla di Limbo, come luogo di attesa o espiazione, come mai qui, con lo Scriba, lo stesso Gesù precisa che le dimore sono tre: Purgatorio, Paradiso e Inferno, anziché quattro con il Limbo ?
E come mai lo scriba della visione – che non è cristiano – si esprimeva usando già allora il termine di ‘Purgatorio’, sconosciuto alla sua lingua, e non piuttosto quello di ‘sceòl’ o di ‘seno di Abramo’?
E allora qui vi spiego un altro piccolo ‘segreto’ che vi aiuta a capire meglio l’opera valtortiana.
E’ solo un fatto di terminologia o, se volete, di traduzione.
Leggendo la Valtorta noi vediamo Gesù parlare agli apostoli ed agli ebrei in ‘italiano’, no?
Ma in realtà Gesù parlava secondo voi in italiano – come intende e trascrive la Valtorta - o piuttosto nell’ebraico, o aramaico che fosse, del suo tempo?
Egli parlava al popolo nella lingua del tempo, ovviamente.
Ma se la Valtorta nelle sue visioni avesse inteso parlare i personaggi dell’epoca nella loro lingua, avrebbe lei compreso il senso delle parole, o soprattutto, lo avremmo mai compreso noi?
Quale dunque è il ‘meccanismo’ della visione? Mistero.
Narrano gli Atti degli Apostoli che nel giorno di Pentecoste, mentre gli apostoli erano tutti riuniti, scese su di essi lo Spirito Santo ed essi – di fronte ad ebrei della diaspora convenuti da altre nazioni - cominciarono a parlare in lingue estere secondo che lo Spirito dava ad essi per esprimersi.
Ma – domanda – erano gli apostoli che parlavano lingue diverse (e gli altri le comprendevano perché gli apostoli parlavano miracolosamente nella lingua degli altri) oppure gli apostoli continuavano a parlare nella propria lingua ebraica ma gli altri li intendevano nella loro lingua estera perché era lo Spirito Santo che ‘traduceva’ nella lingua di ciascuno degli altri il significato di quanto gli apostoli dicevano nella propria? Mistero.
Come è possibile, poi, rivedere in visione oggi avvenimenti del passato di duemila anni fa, come fa la Valtorta o come è successo a tanti altri santi e sante, o addirittura vedere avvenimenti del futuro come è successo a San Giovanni con la sua Apocalisse? Mistero.
Quale è la spiegazione ‘tecnica’ di apparizioni famose capitate a veggenti, come quelle ad esempio di Guadalupe, Lourdes, La Salette, Fatima, Medjugorje, e tante altre ancora, con i corpi di Gesù o della Madonna che si materializzano o smaterializzano davanti ai veggenti, e parlano ogni volta nella specifica lingua di chi li ascolta, come fa appunto il Gesù di Maria Valtorta? Mistero.
Dio, poi, non parla solo a noi cristiani ma – poiché tutti gli uomini sono figli suoi – parla a uomini di tutte le razze, religioni e lingue. Ma nel parlare agli uomini invia loro delle ‘parole’, ad ognuno nella sua lingua, oppure invia loro impulsi telepatici, magari sotto forma di impulsi elettromagnetici che poi essi a livello inconscio decodificano - come se nella mente possedessero una antenna radio - e poi traducono ognuno secondo il proprio patrimonio mentale? Mistero.
L’uomo che vede i colori o ode dei suoni, non vede in realtà ‘colori’ né sente ‘suoni’ ma percepisce delle vibrazioni, delle frequenze, che potremmo definire di tipo elettromagnetico e che vengono trasformate dai nostri organi del senso in colori e suoni. Ma come può succedere? Mistero.
Siamo immersi nel mistero e la scienza non sa come spiegarlo.
Concludendo, il Gesù Valtortiano, parlando con lo scriba e ad uso della veggente Maria Valtorta, voleva dunque fare solo capire a lei ed a noi cristiani moderni il concetto di Purgatorio, e allora nella visione definisce quel luogo o stato con il termine di ‘Purgatorio’, anche se parlando allo scriba nella sua lingua dell’epoca lo avrà magari chiamato Scheol o Seno di Abramo. Capito l’arcano?
E’ tutto semplice – si fa per dire - ragionandoci un poco sopra. E’ come se Gesù avesse dato alla mistica, quanto alla lingua parlata, una visione in versione già ‘tradotta’ nella nostra lingua.
Ma ve ne meravigliate, dopo tutto quello che avete imparato fin qui?
E allora guardatevi intorno: cielo, stelle, piante, animali, vita. Mistero.
Gesù parla dunque di Purgatorio non perché il Limbo non esista più, chè anzi in altri brani valtortiani è stato chiarito che esiste – ma perché in realtà, come il Purgatorio va ricompreso nel termine di ‘Vita’, così il termine di Limbo va a mio avviso ricompreso nella nozione più ampia di Purgatorio: come dire che il Purgatorio non è il limbo, ma il limbo possiamo considerarlo una sorta di purgatorio, una sua… ‘dependence’.
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