14. L’INSEGNAMENTO DELLA PREGHIERA
DEL ‘PADRE NOSTRO’
14.1 La tecnica organizzativa della predicazione di Gesù.
Dopo l’episodio della spiegazione della parabola del seminatore, sarà la volta della parabola del grano e del loglio (Mt 13, 24-30), seguita da un grave episodio di sangue fra due rivali in amore nella casa di Maria di Magdala1 in prossimità del Lago di Tiberiade.
Poi vi è l’episodio della tempesta sedata (Mt 8,23-27) nonché quello dei due indemoniati di Gerasa (Mt 8, 28-34).2
Si avvicina intanto la Pasqua del secondo anno di vita pubblica ed il gruppo apostolico si dirige dalla Galilea verso Gerusalemme. È a Naim che avviene l’episodio della resurrezione del figlio di una vedova (Lc 7, 11-16) mentre a Esdrelon Gesù racconterà alla folla la parabola del ricco Epulone (Lc 16, 19-31).
Finalmente - di paese in paese e di predicazione in predicazione - il gruppo apostolico giunge a Gerusalemme.
Siete curiosi di sapere come avveniva organizzata in genere la predicazione? Facciamo una parentesi.
Alcuni apostoli venivano mandati avanti per annunciare l’imminente passaggio del Messia. La gente incuriosita si affacciava alle case e si riuniva nelle piazze e, quando Gesù arrivava, Egli iniziava a predicare, aiutandosi spesso con le parabole per rendere più comprensibili i contenuti spirituali delle sue parole: in queste circostanze i miracoli di guarigione erano frequenti. Gesù, infatti non solo cercava di alleviare le sofferenze di coloro che gli si presentavano, ma attraverso i miracoli voleva dare ‘segni’ concreti che confermassero la sua origine divina e attestassero perciò la verità sopranaturale di quanto annunciava.
In questi frangenti gli apostoli e - quando erano presenti - anche i normali discepoli, fungevano un poco da quello che oggi nelle manifestazioni politiche e nei cortei sindacali viene definito ‘servizio d’ordine’, nel caso specifico per impedire che la folla ‘soffocasse’ Gesù e lo lasciasse libero di parlare.
Finita la ‘predica’, Gesù proseguiva il cammino fino al paese successivo.
I pranzi erano frugali, spesso all’aperto o in qualche casa amica che li ospitava, e così pure i pernottamenti.
Vi era chi faceva delle offerte in viveri ma anche in denaro per il sostentamento del gruppo, e Giuda era quello che teneva la cassa.
Gli episodi visti in visione e trascritti con estrema precisione nell’Opera della Valtorta non si contano e sono di una vivacità ed interesse incredibili. Attraverso di essi si impara a conoscere anche la vita, gli usi, i costumi, la mentalità del popolo ebraico di quell’epoca.
Per ritornare però all’arrivo del gruppo apostolico, Pietro - che non aveva figli - otterrà, grazie alla intercessione di Maria, l’autorizzazione di Gesù ad adottare un orfanello al quale verrà imposto il nome di Marziam.
Gesù - che darà successivamente al bambino il nome di Marziale - avrebbe, a dire il vero, preferito che Pietro rimanesse libero da attaccamenti affettivi che avrebbero potuto impedirgli od ostacolare il compimento della sua futura missione di Apostolo e di Capo della Chiesa nascente.
Marziam, diventerà un giovanissimo discepolo di Gesù, raccoglierà moltissimi appunti sui suoi discorsi e seguirà Pietro quando questi lascerà la Palestina.
Chissà - mi domando - se anche su questi appunti oltre che su quelli di Matteo e di altri apostoli - sarà stato ricostruito il ‘Vangelo di Marco’, l’evangelista discepolo di Pietro che certo da Pietro dovette essere aiutato nel suo compito…
14.2 Quella notte di luna piena sulla vetta del Monte degli ulivi…
E’ comunque proprio in questo viaggio a Gerusalemme per la seconda Pasqua che Gesù insegna agli apostoli - come già accennato in precedenza - la preghiera del ‘Padre nostro’.3
E’ una sera placida con la luna che illumina il cammino.
Dopo aver consumato la cena pasquale in città in una delle case di Lazzaro, il gruppo apostolico esce dalle mura di Gerusalemme e si dirige verso il Monte degli ulivi, posto panoramico e splendido.
Giunto sulla vetta, si siedono tutti e Gesù si rivolge agli apostoli rammentando loro come un giorno essi gli avessero chiesto di insegnare loro a pregare come lui pregava.
Ora - continua Gesù - essi hanno raggiunto un minimo di preparazione sufficiente affinché le parole della preghiera non siano una mera formula di parole vane.
Sotto la luce splendente della luna nel cielo blu della Palestina, fra il frusciare degli ulivi, Egli si rivolge dunque agli apostoli che gli stavano seduti intorno con queste parole:4
«Udite. Quando pregate dite così: "Padre nostro che sei nei Cieli, sia santificato il Nome tuo, venga il Regno tuo in terra come lo è in Cielo, e in terra come in Cielo sia fatta la Volontà tua. Dàcci oggi il nostro pane quotidiano, rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal Maligno".
Gesù si è alzato per dire la preghiera e tutti lo hanno imitato, attenti, commossi.
«Non occorre altro, amici miei. In queste parole è chiuso come in un cerchio d'oro tutto quanto abbisogna all'uomo per lo spirito e per la carne e il sangue. Con questo chiedete ciò che è utile a quello e a questi. E se farete ciò che chiedete, acquisterete la vita eterna.
È una preghiera tanto perfetta che i marosi delle eresie e il corso dei secoli non l'intaccheranno.
Il cristianesimo sarà spezzettato dal morso di Satana e molte parti della mia carne mistica verranno staccate, separate, facenti cellule a sé, nel vano desiderio di crearsi a corpo perfetto come sarà il Corpo mistico del Cristo, ossia quello dato da tutti i fedeli uniti nella Chiesa apostolica che sarà, finché sarà la terra, l'unica vera Chiesa.
Ma queste particelle separate, prive perciò dei doni che Io lascerò alla Chiesa Madre per nutrire i miei figli, si chiameranno però sempre cristiane, avendo culto al Cristo, e sempre si ricorderanno, nel loro errore, di essere venute dal Cristo.
Ebbene, esse pure pregheranno con questa universale preghiera.
Ricordatevela bene. Meditatela continuamente. Applicatela alle vostre azioni. Non occorre altro per santificarsi. Se uno fosse solo, in un posto di pagani, senza chiese, senza libri, avrebbe già tutto lo scibile da meditare in questa preghiera e una chiesa aperta nel suo cuore per questa preghiera. Avrebbe una regola e una santificazione sicura.
"Padre nostro".
Io lo chiamo: “Padre”. Padre è del Verbo, Padre è dell'Incarnato. Così voglio lo chiamiate voi, perché voi siete uni con Me se voi in Me permanete.
Un tempo era che l'uomo doveva gettarsi volto a terra per sospirare, fra i tremori dello spavento: “Dio!”.
Chi non crede in Me e nella mia parola ancora è in questo tremore paralizzante... Osservate nel Tempio. Non Dio, ma anche il ricordo di Dio è celato dietro triplice velo agli occhi dei fedeli. Separazioni di distanze, separazioni di velami, tutto è stato preso e applicato per dire a chi prega: “Tu sei fango. Egli è Luce. Tu sei abbietto. Egli è Santo. Tu sei schiavo. Egli è Re”.
Ma ora!... Alzatevi! Accostatevi! Io sono il Sacerdote eterno. Io posso prendervi per mano e dire: “Venite”.
Io posso afferrare le tende del velario e aprirle, spalancando l'inaccessibile luogo chiuso fino ad ora. Chiuso? Perché? Chiuso per la Colpa, sì. Ma ancor più serrato dall'avvilito pensiero degli uomini.
Perché chiuso, se Dio è Amore, se Dio è Padre? Io posso, Io devo, Io voglio portarvi non nella polvere, ma nell'azzurro; non lontani, ma vicini; non in veste di schiavi, ma di figli sul cuore di Dio.
"Padre! Padre!" dite. E non stancatevi di dire questa parola.
Non sapete che ogni volta che la dite il Cielo sfavilla per la gioia di Dio? Non diceste che questa, e con vero amore, fareste già orazione gradita al Signore.
"Padre! Padre mio! dicono i piccoli al padre loro. E’ la parola che dicono per prima: "Madre, padre" Voi siete i pargoli di Dio.
Io vi ho generati dal vecchio uomo che eravate e che Io ho distrutto col mio amore per far nascere l'uomo nuovo, il cristiano. Chiamate dunque, con la parola che per prima conoscono i pargoli, il Padre Ss. che è nei Cieli.
"Sia santificato il tuo Nome.
Oh! Nome più di ogni altro santo e soave, Nome che il terrore del colpevole vi ha insegnato a velare sotto un altro. No, non più Adonai, non più. È Dio. E’ il Dio che in un eccesso di amore ha creato l'Umanità. L'Umanità, d'ora in poi, con le labbra mondate dal lavacro che Io preparo, lo chiami col suo Nome, riservandosi di comprendere con pienezza di sapienza il vero significato di questo Incomprensibile quando, fusa con Esso, l'Umanità, nei suoi figli migliori, sarà assurta al Regno che Io sono venuto a stabilire.
“Venga il Regno tuo in terra come in Cielo”.
Desideratelo con tutte le vostre forze questo avvento. Sarebbe la gioia sulla terra se esso venisse. Il Regno di Dio nei cuori, nelle famiglie, fra i cittadini, fra le nazioni. Soffrite, faticate, sacrificatevi per questo Regno. Sia la terra uno specchio che riflette nei singoli la vita dei Cieli.
Verrà. Un giorno tutto questo verrà.
Secoli e secoli di lacrime e sangue, di errori, di persecuzioni, di caligine rotta da sprazzi di luce irraggianti dal Faro mistico della mia Chiesa - che, se barca è, e non verrà sommersa, è anche scogliera incrollabile ad ogni maroso, e alta terrà la Luce, la mia Luce, la Luce di Dio - precederanno il momento in cui la terra possederà il Regno di Dio.5
E sarà allora come il fiammeggiare intenso di un astro che, raggiunto il perfetto del suo esistere, si disgrega, fiore smisurato dei giardini eterei, per esalare in un rutilante palpito la sua esistenza e il suo amore ai piedi del suo Creatore. Ma venire verrà.
E poi sarà il Regno perfetto, beato, eterno del Cielo.
"E in terra come in Cielo sia fatta la tua Volontà".
L'annullamento della volontà propria in quella di un altro si può fare solamente quando si è raggiunto il perfetto amore verso quella creatura. L'annullamento della volontà propria in quella di Dio si può fare solo quando si è raggiunto il possesso delle teologali virtù in forma eroica. In Cielo, dove tutto è senza difetti, si fa la volontà di Dio. Sappiate, voi, figli del Cielo, fare ciò che in Cielo si fa.
“Dacci il nostro pane quotidiano”.
Quando sarete nel Cielo vi nutrirete soltanto di Dio. La beatitudine sarà il vostro cibo. Ma qui ancora abbisognate di pane. E siete i pargoli di Dio. Giusto dunque dire: "Padre, dacci il pane".
Avete timore di non essere ascoltati? Oh, no! Considerate.
Se uno di voi ha un amico e, accorgendosi di essere privo di pane per sfamare un altro amico o un parente, giunto da lui sulla fine della seconda vigilia, va ad esso dicendo: "Amico, prestami tre pani perché m’è venuto un ospite e non ho che dargli da mangiare", può mai sentirsi rispondere dal di dentro della casa: "Non mi dare noia perché ho già chiuso l'uscio e assicurati i battenti e i miei figli dormono già al mio fianco. Non posso alzarmi e darti quanto vuoi"? No. Se egli si è rivolto ad un vero amico e se insiste, avrà ciò che chiede. L'avrebbe anche se colui a cui si è rivolto fosse un amico poco buono. Lo avrebbe per la sua insistenza, perché il richiesto di tal favore, pur di non essere più importunato, si affretterà a dargliene quanti ne vuole.
Ma voi, pregando il Padre, non vi rivolgete ad un amico della terra, ma vi rivolgete all'Amico perfetto che è il Padre del Cielo. Perciò Io vi dico: "Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, picchiate e vi sarà aperto".
Infatti a chi chiede viene dato, chi cerca finisce col trovare, e a chi bussa si apre la porta. Chi fra i figli degli uomini si vede porre in mano un sasso se chiede al proprio padre un pane? E chi si vede dare un serpente al posto di un pesce arrostito? Delinquente sarebbe quel padre se così facesse alla propria prole.
Già l'ho detto e lo ripeto per persuadervi a sensi di bontà e di fiducia.
Come dunque uno di sana mente non darebbe uno scorpione al posto di un uovo, con quale maggiore bontà non vi darà Dio ciò che chiedete!
Poiché Egli è buono, mentre voi, più o meno, malvagi siete. Chiedete dunque con amore umile e figliale il vostro pane al Padre.
“Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”.
Vi sono i debiti materiali e quelli spirituali. Vi sono anche i debiti morali. È debito materiale la moneta o la merce che avuta in prestito va restituita. È debito morale la stima carpita e non resa e l'amore voluto e non dato. E’ debito spirituale l'ubbidienza a Dio dal quale molto si esigerebbe salvo dare ben poco, e l'amore verso di Lui. Egli ci ama e va amato, così come va amata una madre, una moglie, un figlio da cui si esigono tante cose.
L'egoista vuole avere e non dà. Ma l'egoista è agli antipodi del Cielo.
Abbiamo debiti con tutti. Da Dio al parente, da questo all'amico, dall'amico al prossimo, dal prossimo al servo e allo schiavo, essendo tutti esseri come noi.
Guai a chi non perdona! Non sarà perdonato. Dio non può, per giustizia, condonare il debito dell'uomo a Lui Ss. se l'uomo non perdona al suo simile.
“Non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal Maligno”.
L'uomo che non ha sentito il bisogno di spartire con noi la cena di Pasqua6 mi ha chiesto, or è men di un anno: “Come? Tu hai chiesto di non essere tentato e di essere aiutato, nella tentazione, contro la stessa?”.
Eravamo noi due soli... e ho riposto. Eravamo poi in quattro, in una solitaria plaga, ed ho risposto ancora. Ma non è ancora servito, perché in uno spirito tetragono occorre fare breccia demolendo la mala fortezza della sua caparbietà. E perciò lo dirò ancora una, dieci, cento volte, fino a che tutto sarà compiuto. Ma voi, non corazzati di infelici dottrine e di ancora più infelici passioni, vogliate pregare così. Pregate con umiltà perché Dio impedisca le tentazioni. Oh! l'umiltà! Conoscersi per quello che si è! Senza avvilirsi, ma conoscersi. Dire: "Potrei cedere anche se non mi sembra poterlo fare, perché io sono un giudice imperfetto di me stesso. Perciò, Padre mio, dàmmi, possibilmente, libertà dalle tentazioni col tenermi tanto vicino a Te da non permettere al Maligno di nuocermi".
Perché, ricordatelo, non è Dio che tenta al Male, ma è il Male che tenta.
Pregate il Padre perché sorregga la vostra debolezza al punto che essa non possa essere indotta in tentazione dal Maligno. Ho detto, miei diletti.
Questa è la mia seconda Pasqua fra voi.
Lo scorso anno spezzammo soltanto il pane e l'agnello. Quest'anno vi dono la preghiera. Altri doni avrò per le altre mie Pasque fra voi7, acciò, quando Io sarò andato dove il Padre vuole, voi abbiate un ricordo di Me, Agnello, in ogni festa dell'agnello mosaico.
Alzatevi e andiamo. Rientreremo in città all'aurora. Anzi, domani tu, Simone8, e tu, fratello mio (indica Giuda8), andrete a prendere le donne e il bambino. Tu, Simone di Giona, e voi altri, starete con Me finché costoro tornano. Poi andremo insieme a Betania».
E scendono fino al Getsemani nella cui casa10 entrano per il riposo.
Bene, Gesù aveva fatto il dono del ‘Pater’ agli Apostoli ed ora questo stesso dono - grazie alla visione di Maria Valtorta - l’ho fatto io a voi perché finalmente, ora, avrete anche capito il vero senso di quel ‘E non ci indurre in tentazione ma liberaci da Male’ che tanto ha fatto discutere in seno alla Chiesa in questi ultimi anni in ordine all’idea di modificare la traduzione del testo della preghiera, come pure di intendere il ‘Male’ come un concetto astratto, anziché una vera e propria personalità angelica: il Maligno!
14.3 La parabola della pecorella smarrita ascoltata da Maria di Magdala.
Dopo questo episodio, ci sarà la parabola meglio nota come quella del figlio prodigo. In un frutteto della proprietà di Lazzaro a Betania, Gesù la racconta per fare capire quanto Dio ami i peccatori che tornano a Lui pentiti ed umili.11
Seguono due parabole sul Regno dei Cieli.12
Gesù riprende il suo viaggio, ma lo rivedremo successivamente - per citare solo alcuni episodi - ancora una volta a Gerusalemme dove guarirà il paralitico della piscina di Betsaida13, e qualche tempo dopo nell’episodio della guarigione dell’emoroissa e della resurrezione della figlia di Giairo.14
Seguirà la guarigione di due ciechi e di un muto indemoniato15 e infine la parabola della pecorella smarrita16, parabola che, come vi avevo detto, Gesù aveva improvvisato vedendo Maria di Magdala nascondersi fra la folla per poterlo ascoltare credendosi non vista. Questa parabola sarà l’episodio che scatenerà poco dopo il pentimento finale e drammatico di Maria.17Sarà infatti - proprio lei, la Maddalena - quella famosa peccatrice in incognito che si presenterà nella casa del fariseo Simone18 chiedendo a Gesù perdono per i suoi peccati, gettandosi ai suoi piedi, lavandoglieli con il suo pianto, asciugandoglieli con i suoi capelli, detergendoli con un prezioso unguento: gli stessi atti che ripeterà - salvo la richiesta di perdono, essendo ormai stata perdonata in casa del fariseo - in casa di Lazzaro, suo fratello, durante una cena il sabato prima della settimana della Passione di Gesù, come racconta Giovanni alla fine del suo Vangelo.
A questo punto della sua predicazione Gesù comincia ad essere veramente famoso e comincia pure a dare molto fastidio alle autorità religiose di Gerusalemme.19 Queste lo fanno continuamente spiare sperando nell’occasione buona per metterlo fuori causa in prigione, buttandone via la chiave.
Non è tuttavia ancora maturata in esse la ferma determinazione di ucciderlo, cosa che accadrà invece in seguito, negli ultimi mesi della predicazione – come racconta l’evangelista Giovanni – a causa del miracolo della resurrezione di Lazzaro. Questo miracolo strepitoso, reso tale anche dalla grande popolarità di Lazzaro, sarà infatti la goccia che farà traboccare il vaso a causa dell'ammirazione e dell’accresciuto seguito di Gesù presso le masse che ne conseguì, fatto che indurrà il Sinedrio a rimuovere ogni indugio.
1 M.V.: ‘L’Evangelo…’ - Vol. III, Capp. 181 e 183 - C.E.V.
2 E' agevole rilevare come gli episodi riportati nei Vangeli (lo si evince dalla numerazione dei versetti) non seguono un ordine temporalmente cronologico, rispetto a quello che con perfetta coerenza di situazioni e circostanze è riportato nell'Opera valtortiana per la quale è stato il Gesù delle visioni della mistica ad aver indicato l'ordine esatto.
3 M.V.: Opera citata, Vol. III, Cap. 203
4 M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’, Vol. III, Cap. 203 - C.E.V.
Il Padre nostro: Lc 11, 1-13 e Mt 6, 9-13
5 Nota dell’autore: Vi è qui una chiara allusione ad una realizzazione in terra - dopo secoli e secoli - del Regno di Dio che si invoca nel Padre Nostro. Nell’Opera valtortiana il Regno di Dio in terra, nel cuore degli uomini, prefigura e anticipa quello in Cielo alla fine del mondo.
6 Nota dell’autore: Gesù allude a Giuda Iscariota che in questa particolare occasione non è presente nel gruppo apostolico.
7 Nota dell’autore: Dopo quella del primo e dell’inizio del secondo anno, le Pasque - dei tre anni e più della vita pubblica di Gesù - saranno infatti quattro, con quella ultima della Passione.
9 Giuda Taddeo, fratello di Giacomo e cugini entrambi di Gesù.
10 Una casa di Lazzaro: secondo le visioni valtortiane, alle falde del monte degli Ulivi, vi era una abitazione con frantoio e relativo magazzino dove Gesù usava prendere alloggio durante i suoi soggiorni a Gerusalemme e dove fino alla Pasqua del terzo anno della sua vita pubblica fu ospite della famiglia del custode. Dopo la Resurrezione di Gesù, Lazzaro fece recintare il Getsemani ed offrì la casa a Maria SS. che vi andò ad abitare insieme all’apostolo Giovanni al quale Gesù aveva affidato la Madre. (Vedere il pregevole ‘Indice e Carta della Palestina’ per ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ di Maria Valtorta - di Hans J. Hoppfen - Centro Ed. Valt.)
11 M.V.: “L’Evangelo…’ - Vol. III, Cap. 205 - C.E.V.
12 Mt 25, 1-13, e 22, 1-14
17 M.V. 'L'Evangelo come mi è stato rivelato' , Vol. IV, Cap. 233, Centro Ed. Valtortiano
233. La parabola della pecorella smarrita, ascoltata anche da Maria di Magdala.
[12 agosto 1944.]
Gesù parla alle folle. Montato sul margine arborato di un torrentello, parla a molta gente sparsa su un campo che ha il grano segato e mostra l'aspetto desolante delle stoppie arse.
É sera. Il crespuscolo scende, ma già sale la luna. Una bella e chiara sera di prima estate. Dei greggi tornano all'ovile e il din-don dei campanacci si mescola ad un grande cantare di grilli o cicale, un grande gri, gri, gri...
Gesù prende lo spunto dalle mandre che passano. Dice:
«Il Padre vostro è come un pastore sollecito. Che fa il pastore buono? Cerca pascoli buoni per le sue pecorelle, quelli dove non sono cicute e tossici, ma dolci trifogli, aromatiche mentucce e amari ma salutiferi radicchi. Cerca là dove insieme al cibo sia fresco e puro ruscello e ombria di piante e non regnino aspidi fra il verde delle zolle. Non si cura di preferire i pascoli più grassi perché sa che in essi è facile trovare insidia di colubri e d'erbe nocive, ma dà le sue preferenze ai pascoli montani, dove le rugiade fan monda e fresca l'erbetta, ma il sole la pulisce dai rettili, là dove l'aria è mossa e buona e non pesante e malsana come quella di pianura. Il buon pastore osserva una per una le sue pecore. Le cura se sono malate, le medica se ferite. A quella che si ammalerebbe per troppa ingordigia di cibo dà la voce, all'altra che prenderebbe un male per rimanere troppo all'umido o troppo al sole dice di venire in altro luogo. E se una svogliata non mangia, egli le cerca gli steli aciduli e aromatici atti a risvegliarle l'appetito e glieli porge di sua mano parlandole come a persona amica.
Così fa il Padre buono che è nei Cieli coi suoi figli erranti sulla Terra. Il suo amore è la verga che li raduna, la sua voce e la guida, i suoi pascoli la sua Legge, il suo ovile il Cielo.
Ma ecco che una pecorella lo lascia. Quanto Egli l'amava! Era giovane, pura, candida, come nuvola in cielo d'aprile. Il pastore la guardava con tanto amore, pensando a quanto bene poteva ad essa fare e quanto amore riceverne. Ed essa lo abbandona.
É passato, lungo la via che costeggia il pascolo, un tentatore. Non ha la casacca austera, ma veste una veste di mille colori. Non ha cintura di pelle con l'ascia e il coltello pendenti, ma una cintura d'oro da cui pendono sonagli argentini, melodiosi come voce di usignolo, e fiale di essenze che inebbriano... Non ha bordone come il pastore buono col quale radunare e difendere le pecore, e se non basta il bordone egli è pronto a difenderle con l'ascia e coltello e anche con la vita. Ma questo tentatore che passa ha fra le mani un turibolo brillante di gemme, da cui sale un fumo che è lezzo e profumo insieme, ma che sbalordisce così come lo sfaccettio dei gioielli - oh! quanto falsi! - abbacina. Egli va cantando e lascia cadere manate di un sale che brilla sulla strada oscura...
Novantanove pecore guardano e stanno. La centesima, la più giovane e cara, fa un balzo e scompare dietro al tentatore. Il pastore la chiama. Ma lei non torna. Va più veloce del vento per raggiungere colui che è passato e, per sorreggersi nella corsa, gusta di quel sale che le scende dentro e la brucia di un delirio strano per cui anela ad acque fonde e verdi in un cupo di selve. E nelle selve, dietro il tentatore, si sprofonda e penetra e sale e scende e cade... una, due, tre volte. E una, due, tre volte sente intorno al suo collo l'abbraccio viscido dei rettili, e volendo bere beve acque inquinate, e volendo nutrirsi morde erbe lucide di bave schifose.
Che fa intanto il pastore buono? Chiude al sicuro le novantanove fedeli e poi si pone in cammino, e non resta di andare sinché non trova tracce della perduta. Poiché ella non torna a lui, che pure affida ai venti le sue parole di richiamo, egli va a lei. E la vede da lungi, ebbra fra le spire dei rettili, tanto ebbra che non sente nostalgia del volto che l'ama; e lo deride. E la rivede, colpevole di esser penetrata, ladra, nell'altrui dimora, tanto colpevole che non osa più guardarlo... Eppure il pastore non si stanca... e va. La cerca, la cerca, la segue, l'incalza. Piangendo sulle tracce della perduta - lembi di vello: lembi d'anima; tracce di sangue: delitti diversi; lordure: prove della sua lussuria - egli va e la raggiunge.
Ah! ti ho trovata, diletta. Ti ho raggiunta! Quanto cammino ho fatto per te. Per riportarti all'ovile. Non chinare la fronte avvilita. Il tuo peccato è sepolto nel mio cuore. Nessuno, fuorché Io che ti amo, lo conoscerà. Io ti difenderò dalle critiche altrui, ti coprirò con la mia persona per farti scudo contro le pietre degli accusatori. Vieni. Sei ferita? Oh! mostrami le tue ferite. Le conosco. Ma voglio che tu me le mostri con la confidenza che avevi quando eri pura e guardavi a me, tuo pastore e dio, con occhio innocente. Eccole. Hanno tutte un nome. Come sono profonde! Chi te le ha fatte tanto profonde queste nel fondo del cuore? Il Tentatore, lo so. É lui che non ha bordone né ascia, ma che colpisce più a fondo col suo morso avvelenato, e dietro a lui colpiscono i gioielli falsi del suo turibolo: coloro che ti hanno sedotta col loro brillare... e che erano zolfi d'inferno tratti alla luce per arderti il cuore. Guarda quante ferite! Quanto vello lacerato, quanto sangue, quanti rovi.
O povera piccola anima illusa! Ma dimmi: se Io ti perdono, tu mi ami ancora? Ma dimmi: se Io ti tendo le braccia, tu vi accorri? Ma dimmi: hai sete dell'amore buono? E allora vieni e rinasci. Torna nei pascoli santi. Piangi. Il tuo col mio pianto lavano le tracce del tuo peccato, ed Io per nutrirti, poiché sei consumata dal male che ti ha arsa, mi apro il petto, le vene mi apro, e ti dico: "Pasciti, ma vivi!". Vieni, che ti prendo sulle braccia. Andremo più solleciti ai pascoli santi e sicuri. Tutto dimenticherai di quest'ora disperata. E le novantanove sorelle, le buone, giubileranno per il tuo ritorno perché, Io te lo dico, mia pecorella smarrita che ho cercato venendo da tanto lontano, che ho raggiunto, che ho salvato, si fa più festa fra i buoni per uno smarrito che torna, che non per novantanove giusti che mai si sono allontanati dall'ovile».
Gesù non si è mai voltato a guardare sulla via che ha alle spalle e sulla quale è sopraggiunta, fra le penombre della sera, Maria di Magdala, ancora elegantissima, ma vestita almeno, e ricoperta da un velo oscuro che ne confonde i tratti e le forme. Ma quando Gesù parla dal punto: «Io ti ho trovata, diletta», Maria porta le mani sotto al velo e piange, piano e continuamente.
La gente non la vede perché ella è al di qua dell'argine che borda la via. La vede solo la luna ormai alta e lo spirito di Gesù...
....il quale mi dice: «Il commento è nella visione. Ma te ne parlerò ancora. Ora riposa perché è ora. Ti benedico, Maria fedele».
18 Lc 7, 36-50 / M.V.: Opera citata, Vol. III, Cap. 236
19 G.L.: ‘I Vangeli di Matteo…’ - Vol. III, Cap. 10 - Ed. Segno
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