12. I DISCORSI DELLA MONTAGNA
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12.1 Il primo discorso della montagna: ‘Voi siete il sale della terra e la luce del mondo…’. Il ruolo – nella Chiesa e nella storia - dei futuri vescovi e sacerdoti.
Poco tempo dopo l’episodio della spiegazione sull’anima alle donne romane nella villa di Giovanna di Cusa, Gesù ed apostoli si ritrovano come già precedentemente fra loro convenuto e - nei pressi di Tiberiade - salgono su un monte, diverso da quello della precedente elezione apostolica, dove Gesù pronuncerà quello che verrà chiamato in seguito ‘Il discorso della montagna’.
Questo discorso - riportato ampiamente nel vangelo di Matteo ai capitoli 5, 6 e 7 - costituisce la ‘summa’ della Dottrina e dell’etica cristiana.
Sarebbe profondamente istruttivo ed anche edificante poterlo commentare per intero ma per questo vi è l’opera integrale della Valtorta1, mentre io andrei fuori dallo scopo e dalla linea che mi sono proposto nel comporre questa mia sintesi: mettere cioè a fuoco solo alcuni degli aspetti della vita e predicazione di Gesù, predicazione da me commentata ovviamente nell’ottica dei Vangeli e dell’Opera valtortiana.
Rilevo comunque al riguardo che - quantunque Matteo presenti quello della montagna come se fosse un unico discorso pronunciato senza soluzione di continuità – dall’opera della mistica emerge invece che in realtà si trattò di enunciazioni tematiche di argomenti affrontati ed approfonditi da Gesù in ben sette diversi discorsi, uno al giorno e per giorni consecutivi.
Ci limiteremo qui ad esaminare il primo e l’ultimo che – dal punto di vista dell’interesse del lettore che non pretenda di voler diventare ‘santo’ leggendoli tutti – mi sembrano abbastanza ‘intriganti’.
Il primo discorso venne tenuto rigorosamente riservato ‘a porte chiuse’, cioè sulla montagna ma senza la presenza delle folle che attendevano sulle pendici più in basso: un discorso ‘a quattrocchi’ fra Gesù da un lato e gli apostoli e i discepoli (questi ultimi del gruppo detto nei Vangeli dei ‘settantadue’) dall’altro.
Scrive al riguardo Matteo nel suo Vangelo:
Mt 5, 1-3:
« Gesù, veduta la folla, salì sul monte e quando si fu seduto, gli s’accostarono i suoi discepoli. Allora egli aprì la bocca per ammaestrarli, e disse: « Beati i poveri di spirito, perché di essi è il Regno dei cieli! ….’.
Mt.5, 13-16:
« Voi siete il sale della terra. Ma se il sale perde il sapore, con che cosa glielo si restituirà? Non serve ad altro che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.
Voi siete la luce del mondo. Non può rimanere nascosta una città situata sopra una montagna, né si accende una lucerna e la si pone sotto il moggio, ma sul porta-lucerna e fa luce a tutti quelli che sono in casa.
Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché veggano le vostre opere buone e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli ».
Il tema che Matteo racchiude in quel ‘Voi siete il sale della terra. Voi siete la luce del mondo…’ riguarda qui specificatamente quella che sarebbe stata nel futuro la missione rispettivamente dei vescovi (gli apostoli) e dei sacerdoti (dei quali i ‘discepoli’ erano gli antesignani), anche se il riferimento ad essere ‘sale’ e ‘luce’ per gli altri riguarda qualunque cristiano che intenda comportarsi veramente come tale con il buon esempio.
Si comprende dal contesto valtortiano che quella sorta di ‘Convention all’aperto’ doveva essere stata ampiamente ‘reclamizzata’ in precedenza da apostoli e discepoli sparsisi un poco ovunque a diffonderne la notizia.
Giusto quindi che l’Uomo-Gesù – prescindendo dalla divinità che pure era in Lui - per quell’occasione così importante si fosse ritirato sul monte per prepararsi all’importantissimo ‘Discorso della montagna’ nella preghiera e quindi nell’unione con Dio-Padre.
Giusto anche che venisse invitata ad ascoltare così tanta gente, sia pur in buona parte desiderosa soprattutto di guarigioni e di assistere a miracoli.
I discepoli sono infatti molti, e così pure il popolo che in gran numero attende accampato più in basso.
Agli apostoli che al mattino del primo giorno gli chiedono istruzioni per organizzare l’afflusso della folla – Gesù comunica dunque che il primo discorso lo avrebbe invece dedicato solo a loro e ai discepoli, mentre al resto del popolo si sarebbe rivolto a partire dal giorno successivo.
Gli apostoli scendono allora a valle per avvisare del ‘rinvio’ quelli che erano in attesa e al tramonto essi ritornano da Gesù conducendo con sé numerosissimi discepoli.
Dopo una cena parsimoniosa, a sera, si accendono i fuochi e tutti – un centinaio di persone – si stringono intorno a Gesù, pronti a non perdere una parola di quanto egli si appresta a dire loro.
In quella sera di tiepida primavera, all’aperto, con i fuochi e sotto il cielo stellato, doveva trattarsi di una scena veramente suggestiva.
Gesù informa in prima istanza i discepoli di aver voluto parlare a tutti loro in disparte dal resto del popolo perché – in quanto discepoli e quindi stretti seguaci – Egli li considera amici particolari e perché, pur avendo già provveduto alla elezione ufficiale del collegio apostolico, egli avrà in futuro molto bisogno del loro aiuto.
Gesù poi così continua2 spiegando – ad apostoli e discepoli – che essi dovevano comprendere da un lato il privilegio di questa designazione divina ma dall’altro anche la loro tremenda responsabilità se essi avessero tradito i doni di Dio portando a perdizione il ‘gregge’ che si sarebbe affidato a loro, credendoli ‘uomini di Dio’.
I servi di Dio - dice Gesù - dovranno mantenere il cristallo di quarzo della loro anima netto dal nero fumo delle passioni umane, e ad un certo punto la sua voce si alza e rimbomba nella valletta:
«… Solo Dio ha il diritto e il potere di rigare quel cristallo, di scriverci sopra col diamante del suo volere il suo santissimo Nome. Allora quel Nome diviene ornamento che segna un più vivo sfaccettare di soprannaturali bellezze sul quarzo purissimo.
Ma se lo stolto servo del Signore, perdendo il controllo di sé e la vista della sua missione, tutta e unicamente soprannaturale, si lascia incidere falsi ornamenti, sgraffi e non incisioni, misteriose e sataniche cifre fatte dall'artiglio di fuoco di Satana, allora no, che la lampada mirabile non splende più bella e sempre integra, ma si crepa e rovina, soffocando sotto i detriti del cristallo scheggiato la fiamma, o se non si crepa fa un groviglio di segni di inequivocabile natura nei quali si deposita la fuligine e si insinua e corrompe.
Guai, tre volte guai ai pastori che perdono la carità, che si rifiutano di ascendere giorno per giorno per portare in alto il gregge che attende la loro ascesi per ascendere. lo li percuoterò abbattendoli dal loro posto e spegnendo del tutto il loro fumo.
Guai, tre volte guai ai maestri che ripudiano la Sapienza per saturarsi di scienza sovente contraria, sempre superba, talora satanica, perché li fa uomini mentre - udite e ritenete - mentre se ogni uomo ha destino di divenire simile a Dio, con la santificazione che fa dell'uomo un figlio di Dio, il maestro, il sacerdote ne dovrebbe avere già l'aspetto dalla terra, e questo solo, di figlio di Dio. Di creatura tutt'anima e perfezione dovrebbe avere aspetto. Dovrebbe avere, per aspirare a Dio i suoi discepoli. Anatema ai maestri di soprannaturale dottrina che divengono idoli di umano sapere.
Guai, sette volte guai ai morti allo spirito fra i miei sacerdoti, a quelli che col loro insapore, col loro tepore di carne mal viva, col loro sonno pieno di allucinate apparizioni di tutto ciò che è fuorché Dio uno e trino3, pieno di calcoli di tutto ciò che è fuorché soprumano desiderio di aumentare le ricchezze dei cuori e di Dio, vivono umani, meschini, torpidi, trascinando nelle loro acque morte quelli che li seguono credendoli “vita".
Maledizione di Dio sui corruttori del mio piccolo, amato gregge.
Non a coloro che periscono per ignavia vostra, o inadempienti servi del Signore, ma a voi, di ogni ora e di ogni tempo, e per ogni contingenza e per ogni conseguenza, Io chiederò ragione e vorrò punizione.
Ricordatevi queste parole. Ed ora andate. Io salgo sulla cima. Voi dormite pure.
Domani, per il gregge, il Pastore aprirà i pascoli della Verità ».
12.2 Una discordanza evangelica e la critica ‘scientifico-modernista’ al Discorso della montagna.
Ho già precisato sin dall’inizio che gli evangelisti non si preoccuparono tanto di redigere un resoconto dei fatti che fosse storico-scientifico, secondo i criteri che noi moderni diamo a questo termine, o comunque un resoconto cronologicamente ‘storico’ degli episodi evangelici.
Essi cercarono piuttosto di seguire nella narrazione l’ordine che dovette loro apparire adatto ai fini della catechesi che essi si proponevano di svolgere.4
Gli evangelisti non volevano raccontare la vita o la storia di Gesù, come ad esempio sto cercando di fare io adesso con voi, ma utilizzare massime e brani dei suoi discorsi dai quali prendere lo spunto per una più ampia opera di catechizzazione ed apostolato.
Gli evangelisti non volevano ‘raccontare’, ma evangelizzare.
Vittorio Messori scrive che proprio l’episodio evangelico del discorso della montagna, con alcune discordanze inspiegabili fra il testo di Matteo e quello di Luca, rappresenta uno dei cavilli al quale si sono attaccati certi critici.
Abbiamo visto sopra cosa dice Matteo nel suo Vangelo:
Mt 5, 1-3:
« Gesù, veduta la folla, salì sul monte e quando si fu seduto, gli s’accostarono i suoi discepoli. Allora egli aprì la bocca per ammaestrarli, e disse: « Beati i poveri di spirito, perché di essi è il Regno dei cieli! ….’ ».
e poi ancora:
Mt 5, 13-16:
« Voi siete il sale della terra…».
Luca scrive invece:
Lc 6, 12-19:
In quei giorni Gesù si recò sul monte a pregare e trascorse tutta la notte in orazione a Dio.
Quando fu giorno, chiamò i suoi discepoli e ne scelse Dodici, ai quali dette il nome di Apostoli: Simone, che chiamò Pietro, Andrea suo fratello, Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo e Tommaso, Giacomo figlio di Alfeo e Simone, detto lo Zelatore, Giuda fratello di Giacomo, e Giuda Iscariote, che divenne traditore.
Poi, sceso con loro, si fermò su di un ripiano dov’era gran folla dei suoi discepoli e una moltitudine di popolo, venuta da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dalle contrade marittime di Tiro e di Sidone per ascoltarlo e per essere guariti dalle loro infermità.
Coloro infatti che erano tormentati dagli spiriti impuri, venivano liberati, e tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una virtù che guariva tutti.
Lc 6, 20:
Ed egli sollevando lo sguardo sopra i suoi discepoli, disse: ‘Beati voi, poveri, perché vostro è il Regno di Dio….’ .
Ometto i restanti versetti dal 21 al 40 del Cap. 6. di Luca perché non sono qui rilevanti ai fini del nostro discorso.
Nel testo di Luca, dunque, prima viene l’episodio della elezione ‘ufficiale’ dei dodici ad apostoli, quella di cui avevamo parlato nel capitolo precedente, e subito dopo verrebbe tenuto il ‘Discorso della montagna’.
La concatenazione in Luca fra il brano della elezione apostolica (6, 12-19) e il versetto immediatamente successivo (6, 20) del discorso della montagna: ‘Beati voi, poveri, perché vostro è il Regno di Dio….’ , ha fatto pensare a più di un critico che ‘elezione apostolica’ e ‘Discorso della montagna’ di Luca facessero parte di un unico contestuale episodio, in cui il Discorso della montagna venne però tenuto non sul monte - come aveva detto Matteo - ma su un ripiano, termine interpretato come… ‘su una pianura’, dove Gesù si sarebbe fermato presso la folla proveniente da ogni dove.
Avendo i critici interpretato Luca come sopra spiegato, ne deriva che il suddetto brano di Matteo (brano dove invece si dice che Gesù, anziché discendere come dice Luca, salì sul monte e che quando si fu seduto in cima al monte cominciò ad ammaestrare: ‘Beati i poveri di spirito…’, etc.) appare in contrasto con quello di Luca.
‘Ma insomma – hanno detto con malcelato sarcasmo questi ‘critici’ alla Voltaire o alla Loisy – quel Gesù, sale o scende? Il discorso lo fa in montagna o in pianura? Che si mettano d’accordo, gli evangelisti, a parte il fatto che nel discorso mettono in bocca a Gesù delle frasi che sono solo una raccolta di citazioni e di massime copiate da altri, o meglio dai profeti…’.
Sono evidentemente argomentazioni risibili, che si soffermano su particolari trascurabili, e che denotano inoltre una voluta superficialità di analisi.
Esse fanno tuttavia in realtà comprendere, e qui ribadiamo quanto già detto in precedenza, come certa critica – nata nell’Ottocento in un clima politico-ideologico illuminista ferocemente anticristiano che si prefiggeva come ‘missione’ universale l’abolizione del Papato iniziando dalla dottrina e dai vangeli – non si proponga tanto la pur opportuna revisione con metodi critico-storici dei testi dei Vangeli in nome della ragione e della scienza quanto invece di smantellarli in nome della Dea Ragione e dello Scientismo.5
Mi sono sempre domandato quale progressi enormi farebbe la Critica dei vangeli e lo stesso approfondimento della dottrina cristiana se essa – anziché basarsi per razionalismo solo sui metodi cosiddetti scientifici, che poi spesso scientifici non sono perché viziati da palesi pregiudizi ideologici – prendesse in considerazione la possibilità di utilizzare, anche solo ‘ufficiosamente’, l’opera straordinaria di questa grande mistica, opera che il suo Gesù ha dichiaratamente ispirato - parlandogliene in un dettato – per l’uomo razionalista che non crede nel soprannaturale e per il teologo moderno, specie se ‘modernista’ o… ‘neomodernista’.
Ora che sappiamo dalla Valtorta che il ‘Discorso della montagna’ fu tenuto nel corso di vari giorni, dove in ognuno veniva sviluppato un determinato argomento, comprendiamo anche perché le frasi di Gesù riportate nei testi evangelici non abbiano quella consequenzialità logica, quel nesso fra una frase precedente e quella successiva, che un lettore si aspetterebbe da un unico discorso fatto senza soluzione di continuità.
Si tratta qui infatti della enunciazione dei vari ‘temi’ – espressi sotto forma di massime o citazioni - che sarebbero stati affrontati e sviluppati poi da Gesù in ciascun differente discorso dei giorni successivi.
Ed è proprio questa constatazione di mancanza di continuità, come pure il fastidio per la presenza di tutte quelle folle di cui parlano i testi - che farà scrivere ad Alfred Loisy:6‘…Il celebre discorso della Montagna, con tutte queste folle, è una esagerazione dovuta alla devozione, mentre le sentenze ed i passi didattici del discorso sono un insieme di citazioni originariamente distinte ma in realtà mai pronunciate in quella maniera. Il suo insegnamento non fu mai raccolto dai discepoli che, nell’attesa imminente del Regno di Dio, non si preoccupavano di fissare alcunché per iscritto. Solo dopo vennero messi insieme gli scritti che noi ora chiamiamo vangeli. I vangeli sostengono più gli elementi della primitiva catechesi cristiana che gli insegnamenti realmente impartiti da Gesù in Galilea e a Gerusalemme…’.
Come faccia Loisy dopo duemila anni - lui che le visioni non le aveva e neppure le ammetteva - a dire che le folle di allora erano una esagerazione e che gli apostoli non prendevano appunti, non ce lo spiega nemmeno lui.
Grazie comunque al ‘filmato’ delle visioni valtortiane sul discorso della montagna è anche agevole constatare che quelle che Loisy derubrica al ruolo di semplici massime o enunciazioni di principi da parte di Gesù risultano essere scampoli importanti di frasi che il povero Matteo – che nelle visioni valtortiane vediamo prendere velocemente e scomodamente appunti mentre era seduto ad ascoltare sulle pendici di quel monte – ha enucleato dal discorso molto più ampio ed articolato del Maestro per poter fornire un ‘aggancio’ postumo alla memoria, alla meditazione ed alla predicazione apostolica.
Dalle visioni valtortiane si comprende semmai che solo in una cosa Loisy mostra di aver ragione, e cioè quando afferma che Gesù non poteva aver pronunciato quelle frasi in quella maniera.
Dai sette discorsi della montagna - così come trascritti dalla nostra mistica7 - scaturisce infatti un’oratoria di Gesù elegante e travolgente tale da far impallidire i più abili retori e dialettici di quell’epoca e della nostra.
La cosa non deve stupire, anzi ci dovrebbe semmai meravigliare il contrario.
Si consideri infatti che Gesù - in quanto Uomo senza Macchia preservato dal Peccato originale e dalle sue conseguenze - era perfetto e nella pienezza di doni divini dati da Dio anche ad Adamo prima del Peccato, ma inoltre da lui trasluceva la sua Divinità interiore ogni qualvolta Essa – per le esigenze della missione - doveva in modo particolare rivelarsi.
Quella della sua oratoria elegante e travolgente è una constatazione alla quale è impossibile sottrarsi solo che si vogliano leggere direttamente questi discorsi riportati integralmente nell’Opera della mistica.8
Quanto ad un’altra critica rivolta invece da Renan a Gesù, e cioè di utilizzare ‘massime’ riprese da altri testi profetici – sottintendendo con ciò che Gesù oppure i suoi ‘evangelisti’ fossero stati praticamente degli ‘scopiazzatori’ – giova sapere che Gesù nel predicare si è sempre appellato alla precedente Tradizione biblica sia per dimostrare ai suoi connazionali che Egli era veramente il Messia predetto dai Profeti sia per ribadire come il suo messaggio evangelico, ancorché presentato in forma nuova, fosse un messaggio di continuità e di conformità con quello precedente del Vecchio Testamento.
Infine – cosa però quasi inutile dire a chi non crede nella incarnazione del Verbo divino in Gesù Cristo – sottolineo che quelle massime profetiche dei secoli precedenti apparentemente ‘ripetute’ da Gesù, altro non erano che una riconferma ‘a posteriori’ da parte di Gesù-Uomo-Dio delle stesse parole che Egli, in quanto Verbo e Parola Eterna, aveva a suo tempo ispirato e sussurrato ‘telepaticamente’ all’orecchio spirituale dei profeti.
Il Gesù-Uomo-Dio – ripetendole - non ‘copiava’ in realtà i profeti, ma citava sé stesso, Verbo incarnato.
Non ripetizione di concetti già espressi umanamente da altri, ma rivalutazione con amplificazione e approfondimento dei concetti eterni di Dio, resa possibile dal fatto che la Parola aveva ormai preso Carne per parlare agli uomini da una dimensione di Uomo-Dio.
Gesù ricorda questi detti per far capire – e lo vedremo in seguito – quale fossero state le intenzioni di Dio nel raccomandare certe norme al suo popolo, e come Egli – Gesù-Verbo – fosse ora venuto nella pienezza della Rivelazione a completare l’insegnamento, depurandolo dalle sovrastrutture aggiunte dagli uomini, per farlo risplendere in tutta la sua bellezza e verità.
1 M.V.: Opera citata, Vol. III, Capp. dal 169 al 176
2 M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. III, Cap. 169 – Centro Edit. Valtortiano
3 Nota dell’autore: Il concetto dogmatico di Dio ‘Uno e trino’, cioè un ‘Dio trinitario’, discende dalle stesse chiarissime parole di Gesù riportate nei Vangeli, ma esistono oggi correnti teologiche moderniste in seno alla chiesa cristiana che - in nome di un malinteso ecumenismo universale e di una ricerca di punti di convergenza con le due religioni monoteiste: ebraica ed islamica - sostengono che in fin dei conti le tre religioni monoteiste credono nello stesso unico Dio. Si tratta di una grave eresia che porta fuori strada il ‘gregge’ cristiano, avendo peraltro dimenticato che il Dio trinitario insegnato da Gesù Cristo (come pure la divinità di Gesù Cristo in quanto Verbo incarnato) è assolutamente respinto dalle altre due religioni.
4 - Al riguardo , dell’autore, vedi “ I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. I: Introduzione e Cap. 1 – Ed. Segno, 2001 nonché sito internet
5 Dalle visioni della nostra mistica si scopre tuttavia quanto avvenne in realtà con la seguente ‘sequenza’ dei fatti.
In primo luogo salita di Gesù e degli apostoli su un primo monte per il ritiro spirituale di una settimana e conseguente elezione apostolica, quindi discesa di tutto il gruppo apostolico dal monte con sosta su un pianoro a mezza costa (come dice Luca 6, 12-19)) per guarire i malati, infine proseguimento verso valle, dove Gesù sarebbe salito su una barca per andare a Tiberiade nella villa di Giovanna di Cusa.
Inoltre, ancora successivamente, ritorno di Gesù da Tiberiade e suo ricongiungimento con gli apostoli, ritornati anch’essi dalla loro breve ‘missione’ di predicazione, e salita dell’intero gruppo apostolico su un secondo monte dove Gesù inizia finalmente il famoso discorso della montagna dedicato in prima battuta solo ad apostoli e discepoli (Mt 5, 1-3 e Lc 6, 20).
Come già spiegato, la ‘tecnica’ di redazione dei testi evangelici non fu ‘storico-scientifica’ nel senso che diamo noi moderni a questo termine.
Qui, in Luca, ci troviamo di fronte ai brani di due episodi che nel suo vangelo vengono accostati ‘cronologicamente’ come se fossero accaduti uno immediatamente dopo l’altro.
Vi sono altri casi simili nei vangeli in cui un episodio – che nel testo è accostato in successione ad un altro - fa pensare ad una apparente stretta connessione temporale con il precedente, salvo magari comprendere poi che così non fu, se non scoprire addirittura che il secondo è stato temporalmente precedente al…primo.
Non è stato dunque Luca a scrivere che i due episodi fanno parte di un unico avvenimento, ma sono stati solo certi critici che, ignorando il reale svolgersi dei fatti, hanno creduto di poterlo dedurre.
E’ possibile anche un’altra ipotesi. Luca, che non era stato un testimone diretto e che compose il suo vangelo a distanza di vari anni sulla base di testimonianze di terzi, potrebbe in buona fede avere interpretato l’elezione apostolica e il discorso della montagna come facenti parte di un unico episodio, tratto magari in inganno anche dalla presenza di un monte in entrambe le circostanze.
6 A. Loisy: ‘Le origini del Cristianesimo’
7 M.V.: “L’Evangelo come mi è stato rivelato” – Vol. III, Capp. Dal 169 al 176 – Centro Ed. Valtortiano
8 Nota dell’autore: Nell’Opera di Maria Valtorta ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’, in dieci volumi (Centro Editoriale Valtortiano di Isola del Liri), le visioni della mistica sui vari episodi e sui discorsi di Gesù sono riportate nel terzo volume, nei Capp. dal 169 al 176.