11. INIZIO DEL SECONDO ANNO DI ATTIVITA' PUBBLICA DI GESU'.
Il DISCORSO SULL’ACQUA VIVA ALLA
SAMARITANA DI SICHAR 

 

11.1 Si salvano, alla fine, anche i non cristiani se – credendo giusta la loro religione - si sono comportati da ‘giusti’ in vita.

L’evangelista Giovanni – il quale aveva scritto il suo vangelo circa mezzo secolo dopo quelli dei tre ‘sinottici’: Matteo, Marco e Luca  - si era preoccupato di riempire con i suoi ricordi, frutto nel suo caso non solo di buona memoria ma di forte ispirazione, molti ‘vuoti’ lasciati dai primi tre.
Egli aveva valorizzato in particolare quelle situazioni di cui i primi non avevano parlato ma dalle quali l’evangelista dell’Amore aveva saputo far rifulgere in maniera del tutto particolare la divinità di Gesù ed alcuni dei suoi più importanti discorsi dottrinari.
É proprio a proposito di questo viaggio di Gesù in Samaria, all’inizio del secondo anno, che Giovanni racconta dell’incontro fra Gesù e quella samaritana.

Gv 4,1-30:

Quando il Signore seppe che i Farisei avevano sentito dire che egli attirava più seguaci e battezzava più di Giovanni, quantunque Gesù di persona non battezzasse, ma i suoi discepoli, lasciò la Giudea e andò di nuovo nella Galilea. Doveva passare attraverso la Samaria.
Giunse dunque ad una città della Samaria, detta Sichar, vicino al podere che Giacobbe aveva donato a suo figlio Giuseppe, là, dov’era il pozzo di Giacobbe.
Gesù, stanco per il viaggio, si era seduto sull’orlo del pozzo.
Venne ad attingere acqua una donna di Samaria  e Gesù le disse: ‘Dammi da bere’.
I suoi discepoli erano andati in città a comprare da mangiare.
Ma la Samaritana gli rispose: ‘Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me che sono Samaritana?’
I Giudei, infatti, non van d’accordo con i Samaritani.
Gesù le rispose: ’Se tu conoscessi il dono di Dio, e chi è chi ti dice: ‘Dammi da bere’, tu stessa ne avresti chiesto a lui, e ti avrebbe dato dell’acqua viva’.
La donna gli disse: ‘Signore, non hai con che attingere, e il pozzo è profondo: di dove dunque hai quest’acqua viva? Sei tu forse più grande di Giacobbe, nostro padre, che diede a noi questo pozzo, da cui attinse per bere lui, i suoi figli e il suo bestiame?’.
Gesù le rispose: ‘Chi beve di quest’acqua tornerà ad aver sete; chi invece berrà l’acqua che gli darò io, non avrà più sete in eterno; ma l’acqua che gli darò diventerà in lui una sorgente zampillante fino alla vita eterna’.
Gli disse la donna: ‘Signore, dammi di quest’acqua, affinché non abbia più sete, e non debba venire fin qua ad attingere’.
Gesù disse alla donna: ‘Và a chiamare tuo marito, poi ritorna qui’.
‘Non ho marito’, gli rispose la donna.
E Gesù: ‘Hai detto bene: ‘non ho marito’, perché ne hai avuti cinque, e quello che hai ora non è tuo marito: in questo hai detto la verità’.
Gli disse la donna: ‘Signore, vedo che tu sei profeta. I nostri padri hanno adorato su questo monte, ma voi dite che il luogo dove bisogna adorare è in Gerusalemme’.
Gesù le rispose: ‘Credimi, donna, ; è venuto il tempo in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quello che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene il tempo, anzi è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità. Perché il Padre così vuole i suoi adoratori. Dio è spirito, e quelli che l’adorano devono adorarlo in spirito e verità’.
Gli disse la donna: ‘So che ha da venire il Messia, che vuol dire Cristo; quando sarà venuto lui, ci insegnerà tutto’.
Gesù le disse: ‘Sono io che ti parlo’.
In quel momento arrivarono i suoi discepoli e si meravigliarono che parlasse con una donna. Tuttavia nessuno gli domandò: ‘Che le chiedi?’ o: Perché parli con lei?’.
La donna intanto lasciò lì la sua brocca, andò in città e disse a quella gente: ‘Venite a vedere un uomo il quale mi ha svelato tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Cristo?’
Uscirono allora dalla città e andarono da  lui.

Gesù - per catechizzare - approfittava di tutte le occasioni che gli venivano offerte dalle circostanze. In questo caso, vedendo la donna al pozzo che si apprestava ad attingere acqua, prende lo spunto da quell’acqua fresca per fare alla donna questo famoso discorso sull’acqua viva, alludendo metaforicamente con ciò all’Acqua della Grazia da Lui portata all’Umanità in vista della Redenzione.
Quella non comprende ovviamente il senso dell’allusione allegorica ed anzi risponde con una certa ironia finché Gesù - per farle capire che con lui non doveva tanto scherzare e che egli non parlava a vanvera – mostra di saperle leggere dentro al cuore dicendole che lei aveva avuto cinque mariti più ancora un sesto, che però al momento era solo un suo ‘compagno’.1
La donna rimane allibita, intuisce che quell’uomo - dallo sguardo dolce e penetrante, che le scopre gli ‘altarini’ ma le parla anche in maniera così solenne - deve essere un ‘profeta’, cioè un uomo attraverso il quale Dio si manifesta. Corre dunque in città ad avvisare i suoi compaesani gridando loro di avere conosciuto un ‘profeta’, anzi forse proprio quel Messia che era stato predetto dai Profeti.
A questo punto Gesù ha preparato il terreno per la sua giornata di predicazione in quella zona.
Un gruppo di abitanti - incuriositi dalla Samaritana in merito al misterioso Profeta - si reca infatti incontro a Gesù ed agli altri apostoli.
I samaritani erano ‘scismatici’ rispetto alla religione ortodossa giudaica, ma essi - pur non volendo tornare indietro né riappacificarsi con i giudei con i quali erano anche politicamente ai ferri corti - vivevano psicologicamente male questa loro situazione di ‘reprobi’ e ‘separati’.
Essi si sentivano in  qualche modo colpevoli delle colpe dei loro padri ma non avevano il coraggio di abbandonare la loro nuova religione per tornare alla vecchia.
Dall’opera valtortiana2 si evince infatti che uno di quei cittadini di Sichar che erano andati ad incontrarlo, discorrendo, aveva confessato con rammarico a Gesù come loro samaritani si considerassero ormai dei ‘lebbrosi agli occhi di Dio, perduti al Cielo per sempre, per non essere della religione giusta’.
La risposta di Gesù è chiara. Essi – pur scismatici - non sono responsabili delle colpe dei loro padri e Gesù fa all’uomo un ragionamento che stupirà magari anche molti cristiani di oggi non ben informati.
Se essi samaritani operano in buona fede e in spirito di giustizia – dice Gesù -  anche per loro che non sono della religione giusta, perché scismatici, vi sarà salvezza, perché Dio legge nei loro cuori e li giudicherà per le loro buone azioni, cioè per il loro esser stati dei ‘giusti’.
Gesù spiega infatti che tutte le anime degli uomini, di qualsivoglia razza, sono di Dio e che, ‘perduta al Cielo’, lo sarà solo l’anima di chi ha peccato rispetto alla legge dei dieci comandi che Dio ha inciso nel cuore di ogni uomo...
I giusti delle altre religioni ‘non giuste’ – aggiunge ancora  Gesù - si salveranno, come pure chi ha peccato ma si pente, perché Dio – che vuole tutti salvi - non vuole la morte spirituale del peccatore ma che egli guadagni invece la vera Vita, quella del Cielo.
Possiamo allora facilmente dedurre che non si salvano solo i ‘cristiani’ ma anche gli uomini di altre religioni ‘non vere’ – purché essi - peraltro convinti di essere della religione giusta – rispettino la ‘legge naturale’ incisa da Dio nel Dna spirituale dell’anima creata per ogni uomo.
Nell’Opera valtortiana si apprende che le anime degli uomini ‘giusti’ non cristiani, cioè non battezzati, dopo la morte sosteranno nel Limbo3 che è già luogo di salvezza, da dove – al momento del Giudizio universale e della Resurrezione della carne - potranno ascendere al Cielo come già fecero i precedenti abitatori del Limbo al Venerdì Santo4 prima della Resurrezione di Gesù.
L’evangelista Giovanni (Gv 4, 39-44) racconta comunque che molti – durante quel viaggio in Samaria - credettero in Gesù e fra questi la samaritana (che nell’Opera valtortiana ha il nome di Fotinai) che per prima – essendosi vista scoprire i suoi ‘altarini’…coniugali - aveva intuito che quel Gesù doveva essere davvero un gran ‘profeta’.

 

11.2 Discorso di Gesù ai galeotti di una ‘galera’ romana: essi ora soffrono ma - anche se pagani - hanno un’anima immortale e potranno avere una vita eterna, felice.

Partito dopo due giorni dalla Samaria, Gesù se ne torna di villaggio in villaggio in Galilea, e più precisamente a Cana (Gv 4, 45-54), luogo dove era ben conosciuto perché l’anno precedente vi aveva fatto quel suo primo miracolo dell’acqua trasformata in vino.
E, a Cana, Gesù fa un secondo miracolo – lo racconta sempre l’evangelista Giovanni – guarendo … 'a distanza' il figlioletto di un ufficiale regio che giaceva a letto in fin di vita nel paese di Cafarnao (Gv 4, 46-54).5
Dopo questo episodio Gesù continua instancabile il suo viaggiare.
Ogni sosta in un villaggio o cittadina è occasione di continuo ammaestramento di chi lo ascolta, anche dei pagani, come Maria Valtorta lo vedrà fare poco dopo a Cesarea.
Questa città era situata sulla costa del Mar Mediterraneo, a circa una ottantina di chilometri in linea d’aria dal Lago di Tiberiade, che era invece all’interno.
Essa disponeva di un vero e proprio porto, centro di traffici, dove approdavano navigli commerciali, navi da guerra e galere romane piene di schiavi incatenati al remo o di detenuti comuni condannati a quella pena.
Roma aveva creato il suo impero sconfiggendo le popolazioni ‘nemiche’, e i vinti venivano spesso ridotti in schiavitù che, in quell’epoca pre-cristiana, era una cosa del tutto normale.
I vinti – a seconda delle esigenze - venivano trasformati in manodopera a buon mercato per costruire strade e ponti o per fungere appunto da ‘propellente a remi’ delle navi militari o commerciali romane, incatenati ai banchi di voga delle navi dette ‘galere’ sotto la sferza dei sorveglianti che controllavano continuamente il ritmo della vogata, insomma che quel ‘motore marino’ umano non perdesse ‘colpi’.
Chi non resisteva – poiché crollava sotto le fatiche e la malattia - veniva gettato a mare in pasto ai pesci come noi oggi getteremmo nella pattumiera  i cocci di un piatto rotto.
A Cesarea i romani erano dunque presenti in forze commercialmente e militarmente e, proprio di fronte ad una di queste galere, Gesù – dal molo – si accinge a fare un discorso alzando la voce per farsi ben intendere dagli schiavi che sono incatenati ai banchi ma anche dai soldati romani di guardia che rimangono in ascolto.
Egli fa sapere ai condannati che – nonostante il loro dolore – è ora arrivato sulla terra un Dio di Misericordia che – al di là dell’orrore di questa vita terrena – schiuderà ad essi una vita eterna, felice, perché l’anima è immortale e sopravvive alla morte del corpo.
Gesù parla a dei pagani e per convincerli alla sua dottrina, che è dottrina di speranza, spiega loro come Dio abbia messo anche nei loro corpi di schiavi – galli, iberici, traci, germani o celti – un’anima uguale agli uomini del popolo di Israele ed agli stessi romani che li hanno soggiogati.6
Gesù invita gli schiavi a sopportare con rassegnazione ed i romani a non infierire su di loro se essi non vorranno – al momento della loro morte – che ben altro Giudice li leghi ad una galera eterna affidando quel loro staffile macchiato di sangue ai demoni perché anch’essi siano percossi e torturati come a loro volta essi percossero e torturarono gli altri.
E’ un discorso potente quello di Gesù, in piedi sulla banchina, vicino alla galera con le occhiaie dei remi vuote, con un silenzio di tomba che viene dall’interno dove gli schiavi ascoltano le sue parole, e con un silenzio stupefatto di fuori dove un centurione romano, sull’attenti nella sua corazza luccicante, ascolta meravigliato quelle parole nuove, attorniato da uomini e donne, israeliti, pagani e romani, che si chiedono da dove venga tanta sapienza.
Ed è qui che il centurione, Publio Quintilliano, uomo retto che apprezzava la saggezza, indica a Gesù - fra un ‘Per Giove!’ di meraviglia e l’altro – una lettiga poco distante sulla banchina, sussurrandogli all’orecchio che là dentro vi è Claudia Procula che lo vorrebbe udire ancora e gli vorrebbe parlare.
Claudia Procula, della potente famiglia romana dei Claudi, era una bellissima donna, trentenne, moglie del Procuratore romano Pilato.
E’ un incontro importante questo di Gesù e Claudia Procula, del quale persino i vangeli ufficiali conservano una traccia anche se riferita solo al momento in cui Pilato dovrà pronunciare – durante il processo del Venerdì santo – la sua sentenza su Gesù.
E’ lei infatti quella famosa ‘moglie’ - di cui parla Matteo in Mt 27, 19 - che, due anni dopo, tentando un ‘salvataggio in extremis’  di Gesù, manderà a dire a suo marito Pilato seduto in Tribunale per giudicarlo: ‘Non t’impicciare delle cose di quel giusto, perché oggi, in sogno, ho sofferto molto a motivo di lui…’, facendogli così presagire che una sua condanna sarebbe stata nefasta.
La donna della lettiga è rimasta dunque colpita dal discorso di Gesù sull’anima, concetto nuovo per i romani, un’anima che – spiega Gesù -  negli uomini di tutti i popoli del mondo tende spontaneamente all’adorazione di Dio perché, creata da Dio, essa ricorda inconsciamente l’attimo di Cielo visto prima di essere infusa nell’embrione umano.
Claudia Procula chiede dunque a Gesù se questa cosa che egli asserisce essere in noi e che ‘si ricorda’ dei Cieli è davvero ‘eterna’.
‘Che cosa è l’anima?’, chiede la donna.
L’anima è la vera nobiltà dell’uomo, risponde Gesù.
Se lei, Claudia Procula, è nobile perché di nobile famiglia, famiglia che però così come ha avuto una origine avrà anche una fine, l’anima – continua Gesù - lo è molto di più: essa, nell’uomo, è come il ‘sangue spirituale’ del Creatore dell’uomo.
E alla sua domanda se anche lei - che è pagana – abbia un’anima, Gesù risponde che l’anima ce l’ha anche lei, solo che è in letargo e bisogna svegliarla  portandola a conoscere la Verità per ottenere la Vita.
Ed è questa la ragione per cuicome spiega Gesù a Claudia Procula – gli uomini di tutte le razze tendono spontaneamente all’adorazione di Dio: la loro anima conserva a livello inconscio la memoria di quell’attimo di Cielo!

 

11.3 L’investitura ufficiale degli apostoli, i ‘vescovi’ della futura Chiesa.

Gesù prosegue nei suoi viaggi ed è durante una delle sue soste che - in una cittadina di nome Gherghesa - lo raggiunge una delegazione di discepoli di Giovanni Battista7 che gli fa la famosa domanda sul perché . mentre essi con Giovanni sono soliti digiunare – i discepoli di Gesù non facciano altrettanto.
Gesù – ritiratosi poi in preghiera con i suoi dodici su un monte8  - li investirà ufficialmente del ruolo di apostoli e, poiché li considera ormai ‘formati’, li invierà per la prima volta in  missione da soli, a due a due.
Trascorsa infatti una settimana di ritiro spirituale, di meditazione e di unione con Dio, completamente trasformati persino nei volti che hanno assunto una fisionomia più grave ed ascetica, Gesù spiegherà loro nell’inviarli che d’ora innanzi essi non saranno più i ‘discepoli’ prediletti ma gli ‘apostoli’, i capi cioè della sua Chiesa dai quali poi, nei secoli, sarebbero derivate tutte le gerarchie.
Il loro lavoro sarà immenso e quindi ad essi egli affiancherà degli altri discepoli e un giorno essi non opereranno più solo in Israele ma si diffonderanno in tutto il mondo.
E’ insomma la missione – per capirci – dei futuri vescovi e sacerdoti del Cristianesimo, due figure che – anche se agli occhi della gente avranno rilievo gerarchico diverso – assolveranno secondo Gesù allo stesso compito: praticare il culto, abbattere le idolatrie, purificare i cuori e i luoghi, predicare il Signore e la sua Parola, il compito più alto e più santo della terra.
Gesù ed i dodici – come si evince dalla visione della mistica - scendono quindi verso valle. Essi incontrano però a mezza costa, su di un pianoro – come dice l’evangelista Luca9 – un numeroso gruppo di discepoli ed una gran folla che li attendeva da tempo.
Sono persone desiderose di ascolto della Parola e di guarigione, fisica e spirituale.
Gesù benedice, guarisce… e poi con il gruppo apostolico continua il suo cammino verso valle, e cioè verso il Mare di Galilea, detto anche Lago di Genezareth o di Tiberiade.
Giunti in fondo Gesù si separa dagli apostoli, che prendono strade diverse per adempiere alla loro missione di evangelizzazione, e prosegue verso il lago dove – come scrive l’evangelista Marco - sale su una barca che lo attendeva, una specie di ‘taxi’ di quei tempi.
A quell’epoca la barca era un mezzo abituale di collegamento fra le località rivierasche del lago e – nella visione della Valtorta – Gesù prende il largo alla volta del porticciolo dell’omonima cittadina di Tiberiade, dove approda al molo privato della villa di Giovanna (moglie dell’erodiano Cusa).
Giovanna la troveremo nominata nei vangeli (Lc 8, 1-3 e 24, 2-12) fra le donne al seguito di Gesù e fra quelle presenti al sepolcro dopo la sua resurrezione.
Sul Lago di Tiberiade, in una occasione precedente, vi era stato un primo incontro fra Gesù e Maria di Magdala. Si era rischiata una collisione fra la barca a vela degli apostoli e quella sulla quale lei - bellissima e impudica - viaggiava con dei bellimbusti greci e romani.
E’ ben lei - Maria di Magdala, alias ‘la Maddalena’ - quella discepola non meglio identificata che i Vangeli dicono fosse stata posseduta da sette demoni e che in realtà era - come Marta - la sorella di Lazzaro di Betania, era lei la peccatrice che avrebbe poi avuto da Gesù il privilegio di assistere per prima alla sua apparizione di Risorto.10
Gesù odiava il peccato ma amava i peccatori ed in particolare la Maddalena, rappresentante di tutti i peccatori che si convertono. La giovane donna – di temperamento ardente e di forte carattere – si era convertita dopo un doloroso combattimento interiore e aveva saputo poi ‘innamorarsi’ spiritualmente del suo Dio con lo stesso temperamento ‘passionale’ con cui prima era stata carnalmente innamorata degli uomini.
Tiberiade, prossima a Magdala, era una ridente cittadina di recente costruzione, località di villeggiatura lacustre, con bellissime ville, ben frequentata da ricchi commercianti giudei, greci e romani, da alti funzionari del Re Erode e da ufficiali dell’esercito romano.
Là – nella villa di Giovanna di Cusa – stanno attendendo Gesù un gruppo di donne romane, tutte amiche anche di quella Claudia Procula, la moglie di Pilato, che aveva ascoltato tempo prima Gesù su quel molo di Cesarea e che doveva aver fatto anche lei ‘correre la voce’ su quell’uomo straordinariamente sapiente che egli era.
Cusa – anch’egli nominato nei vangeli ufficiali – era Intendente del Re  Erode Antipa e certo sua moglie Giovanna, ebrea, e le altre donne romane che ne frequentavano la Corte, si conoscevano bene fra di loro.
Giovanna di Cusa – lo abbiamo appreso dall’opera valtortiana - era stata in precedenza miracolata da Gesù avendone avuta salva la vita, il che spiega la sua successiva conversione.
Insomma la curiosità per Gesù di queste romane doveva essere veramente al massimo.
Esse non rimarranno deluse perché anche a loro Gesù farà – come ai galeotti ed ai romani su quel molo di Cesarea – un altro discorso sull’anima, calibrato in termini e modi semplici atti a far comprendere anche ai pagani11 questo concetto che per gli ebrei era invece già famigliare.
La fama di Gesù intanto si spargeva in tutta la Palestina insieme al suo potere di guarigione, e turbe numerose di bisognosi lo seguivano o - anche - cercavano di indovinarne le mosse  e di precederlo ovunque.12

 


1 G.L.: “Il vangelo del ‘grande’ e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. I, Cap. 6 – Ed. Segno, 2000
   M.V.: ‘L’Evangelo…’ - Vol. II, Cap. 143 - C.E.V.

2 M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. II, Cap. 144 – Centro Edit. valtortiano

3 Nota dell’autore: Riguardo alla trattazione della delicata tematica del Limbo dei non battezzati, così come emerge dall’Opera valtortiana, vedere dell’autore “I Vangeli di Matteo, Luca, Marco e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. III, Capp. 1 e 2 – Ed. Segno 2003 – consultabile anche nel sito internet dell’autore ‘ALLA RICERCA DEL PARADISO PERDUTO’, digitando www.ilcatecumeno.net
In ogni caso, in un dettato ricevuto dalla grande mistica Valtorta (‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai romani’- Dettato del 16.1.48, commento al Cap. II, v. 12 dell’epistola – Centro Editoriale Valtortiano ) in cui chi le parla non è questa volta Gesù ma lo Spirito Santo, Questi a proposito della sorte eterna dei ‘giusti’ non cristiani, cioè dei giusti non battezzati, le spiega:
« Essi, che non avendo la Legge fanno naturalmente ciò che la Legge impone - e son legge a se stessi mostrando così come il loro spirito ami la virtù e tenda al Bene supremo - essi, quando Dio giudicherà per mezzo del Salvatore le azioni segrete degli uomini, saranno giustificati. Sono molti, costoro. Un numero grande.
E sarà la folla immensa... di ogni nazione, tribù, popolo, linguaggio, sulla quale, nell'ultimo giorno, per i meriti infiniti del Cristo immolato sino all'estrema stilla di sangue e di umore, verrà impresso il sigillo del Dio vivo a salvezza e premio prima dell'estremo inappellabile giudizio.
La loro virtù, la loro spontanea ubbidienza alla legge di virtù, li avrà battezzati senza altro battesimo, consacrati senza altro crisma che i meriti infiniti del Salvatore.
Il Limbo non sarà più dimora dei giusti.
Così come la sera del Venerdì Santo esso si svuotò dei suoi giusti, perché il Sangue versato dal Redentore li aveva detersi dalla macchia d'origine, così alla sera del Tempo i meriti del Cristo trionfante su ogni nemico li assolverà dal non essere stati del suo gregge per ferma fede di essere nella religione giusta, e li premierà della virtù esercitata in vita.
E se così non fosse, Dio farebbe frode a questi giusti che si dettero legge di giustizia e difesero la giustizia e la virtù. E Dio non defrauda mai. Lungo talora a compiersi, ma sempre certo il suo premio».

In buona sostanza i giusti’ cristiani e quelli ‘non cristiani’ in quanto giusti si salverebbero entrambi. Dopo la morte del corpo, i primi (ad eccezione dei fortunati che vanno immediatamente in Paradiso) sostano in Purgatorio, dove si purificano per poter entrare in Paradiso a purificazione terminata. I secondi - in quanto privi del Crisma battesimale - attenderanno invece in quel luogo o stato che chiamiamo Limbo (che potrebbe far parte del Purgatorio) nella gioiosa attesa del futuro Paradiso nel quale anch’essi entreranno con il loro corpo glorificato ma solo alla fine del Mondo al momento del Giudizio universale.

4 Vedi il 'Credo': Simbolo degli Apostoli: '...discese agli inferi; il terzo giorno resuscitò da morte...'

5 M.V.:‘L’Evangelo…’ - Vol. II, Cap. 141, C.E.V.

6 M.V.: Opera citata, Vol. II, Cap. 154

7 Mt 9, 14-17   - M.V. : Opera citata, vol. II, Cap. 159

8 Mc 3, 13-19  - Lc 6, 12-16   / M.V.: Opera citata, Vol. III, Cap. 165

9 Lc 6,17-19

10 Nota: per un approfondimento sulla interessante personalità di  Maria di Magdala vedi – dell’autore – il Cap. 4, Vol. II de “I vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni”, Ed. Segno, 2002. Oppure sito internet

11 M.V. “L’Evangelo…’ – Vol. III, Cap. 167 – C.E.V.

12 Mt 4, 24-25 / Mc 3, 7-12  / Lc 6, 17-19