9. GESU’ CACCIATO DALLA SINAGOGA DI NAZARETH
9.1 La cacciata dei mercanti dal piazzale del Tempio.
Dopo l’episodio delle nozze di Cana rivediamo Gesù questa volta a Gerusalemme. É Pasqua. Gesù aveva iniziato la sua predicazione sulla fine dell’inverno palestinese e questa era dunque la prima Pasqua primaverile del primo anno di vita pubblica di Gesù.
Egli - nella visione valtortiana - giunge presso il recinto del Tempio con Pietro e Andrea, Giovanni e Giacomo, Filippo e Bartolomeo.
L’episodio lo racconta bene l’Evangelista Giovanni1.
Inutile descrivere il vero e proprio caravanserraglio, la sporcizia, il vociare della folla e dei compratori, i banchi dei cambiavalute, praticamente dei piccoli ‘banchieri’, a quell’epoca autentici usurai. Un mercato indegno in un Tempio dedicato alla gloria di Dio, tutto fuorché un ambiente spirituale.
La cosa ancora più indecente era che tutto ciò era permesso dalle Autorità del Tempio perché ad esse – dall’occupazione degli spazi - ne veniva un utile in denaro.
A Pasqua arrivavano i pellegrini della diaspora da tutti i territori dell’Impero romano, con le loro monete d’origine.
I cambiavalute - come oggi faremmo in Europa con i turisti dei paesi ‘terzi’ trasformando le loro valute estere in euro - cambiavano appunto le monete estere in moneta locale, trattenendosi peraltro una bella tangente.
Al vedere questo spettacolo, si scatena il sacro furore di Gesù che passa fra i banchi, li rovescia con tutte le loro monete e monetine, quindi – trovate due corde utilizzate per tenere legati buoi e pecore – le trasforma in una frustra che abbatte senza pietà sulla schiena dei presenti.
Rimangono tutti esterrefatti. I sacerdoti, con la coscienza sporca, non osano però criticarlo palesemente ma sorge la domanda: ‘Chi sei, come puoi, come ti permetti di fare questo?’
‘Io sono Colui che posso. Tutto Io posso. Disfate pure questo Tempio vero ed Io lo risorgerò per dar lode a Dio’, questa è la risposta del Gesù valtortiano.
Egli parlava tuttavia in forma velata non del Tempio in muratura ma del Tempio del suo Corpo contenente Dio e che – dopo essere stato ucciso sul Golgota – sarebbe risorto glorificato.
Gesù approfitta dell’attenzione per fare un discorso che – nell’Opera della mistica – lascia tutti a bocca aperta per l’elevatezza e l’autorità dei concetti espressi.
Poco tempo dopo Gesù incontra Giuda di Keriot, Tommaso e Simone (lo Zelote) che diventeranno anch’essi suoi discepoli.2
Dopo l’episodio della cacciata del mercanti dal Tempio, finite le festività pasquali, Gesù – come si può rilevare da un confronto comparato dei testi degli altri tre vangeli di Matteo, Luca e Marco – se ne torna a predicare in Galilea, insegnando nelle sinagoghe.
Guarisce l’indemoniato nella sinagoga di Cafarnao (Lc 1, 21-28), guarisce la suocera di Simon Pietro (Mt 8, 14-15), torna a guarire a ripetizione malati e indemoniati zittendo (Lc 4, 40-41) quei demoni che, abbandonando la vittima da loro posseduta, davano pubblicamente a Gesù attestazione del suo potere e da dove venisse la sua autorità su di loro dicendogli: ‘Tu sei il Figlio di Dio’.
Gesù li zittiva perché – all’inizio della sua evangelizzazione, che sarebbe durata tre anni - i tempi non erano ancora maturi perché la sua divinità venisse troppo chiaramente rivelata.
E, ancora, Gesù guarisce il lebbroso di Corazim3, nonché il paralitico di Cafarnao4, al quale poi perdona anche i peccati destando però la reazione degli scribi presenti che protestano dicendo che solo Dio può perdonare i peccati. Egli opera infine il miracolo della prima pesca miracolosa5 (la seconda sarà quella che verrà fatta dopo la risurrezione, apparendo agli apostoli sulla spiaggia del lago di Tiberiade), miracolo che induce Pietro – letteralmente shoccato, lui pescatore, al vedersi sotto gli occhi due barche stracariche di pesce - a saltare il fosso e a farsi decisamente discepolo a tempo pieno di Gesù, mollando lavoro, casa, moglie e famiglia (Lc 5, 1-11), seguito a ruota dagli altre tre: Andrea, Giovanni e Giacomo, che pescavano in società con Pietro.
E’ in questo periodo che Gesù - come accennato in precedenza - viene presentato a Lazzaro di Betania6 dall’apostolo Simone lo Zelote e viene inoltre chiamato a far parte del gruppo apostolico Matteo, il pubblicano.7
9.2 I difficili rapporti di Gesù con i suoi parenti ed i nazareni.
L’attività di predicazione di Gesù in Galilea comportava continui spostamenti a piedi da una cittadina all’altra, non esclusa Nazareth dove volentieri Gesù doveva tornare a trovare la mamma come del resto le aveva promesso la notte in cui Egli l’aveva lasciata per partire per la missione.8
A parte rari momenti di fulgore - come quello in occasione del suo discorso ai dottori del Tempio quando Egli aveva dodici anni - Gesù era vissuto a Nazareth come un giovane del tutto normale.
Era dunque ben comprensibile che, partito con la bisaccia da Nazareth come un normale falegname e ritornatovi qualche tempo dopo - accompagnato dalla fama propagatasi dai vari villaggi della Galilea e dalla stessa Giudea di rabbi sapiente e taumaturgo - Gesù non avesse potuto essere tanto facilmente considerato ‘profeta in patria’.
Era infatti difficile per i nazareni credere che quel giovane figlio di Giuseppe - che ad un certo punto se n’era andato mollando sua madre, vedova, lì nel paesino - si fosse messo tutto d’un colpo non solo a predicare, ma addirittura, …a far miracoli.
A dire il vero, i nazareni avevano una aggravante.
Essi covavano invidia e risentimento, un po’ perché pensavano che Gesù aveva fatto miracoli dappertutto tranne che lì, come se avesse voluto ‘snobbarli’, e un po’ perché gli rimproveravano – con una punta di malizia - di aver guarito tanti estranei ma di non esser stato capace di guarire suo zio Alfeo, che infatti era morto da poco.
Era giunta anche notizia, per di più, di quel suo scontro a Gerusalemme con i sacerdoti del Tempio per via di quei mercanti cacciati via.9
In un paese come Israele - dove Stato e Religione si identificavano perché lo Stato aveva caratteristiche teocratiche - mettersi contro i sacerdoti significava mettersi contro il potere costituito, cosa che logicamente nessuno amava fare.
Anche a Nazareth, come spesso succede fra chi è per propria natura disposto a credere e chi per tendenza è invece scettico se non malpensante, le opinioni su Gesù ‘profeta’ si erano dunque divise.
Una, minoritaria, parteggiava per Gesù, l’altra, maggioritaria, lo guardava con animo diffidente, se non ostile, a cominciare dagli stessi suoi parenti.
San Giuseppe aveva avuto un fratello, Alfeo – il quale era quindi cognato di Maria e zio di Gesù – che aveva avuto quattro figli: Simone, Giuseppe, Giuda e Giacomo.
Giuda e Giacomo - ne abbiamo già parlato accennando all’episodio in cui essi, bambini, giocavano con Gesù a fare Mosè, Aronne e Maria, la sorella di Aronne - erano coetanei di Gesù, erano stati anche suoi compagni di studio, istruiti da Maria che aveva studiato al Tempio, e finiranno poi per seguirlo come apostoli, lasciando la famiglia contro il volere del padre Alfeo e dei loro due fratelli maggiori Simone e Giuseppe.
Questi due ultimi, insieme al loro padre, non avevano perdonato a Gesù quella sua scelta di vita, con tutte quelle cose per loro ‘ridicole’ che egli andava dicendo sulla sua messianicità e sul suo essere - lui, il figlio del loro zio Giuseppe, quel loro piccolo cuginetto di una volta - il ‘figlio di Dio’.
A quei tempi non era raro che i nemici politici venissero combattuti anche colpendo le loro ‘famiglie’ in senso allargato, insomma il loro ‘clan’ che si poteva supporre ‘solidale’.
Essi temevano quindi – in quanto parenti – di venire a trovarsi involontariamente coinvolti nei confronti dei ‘potenti’ della famiglia di Erode, del partito politico degli 'erodiani’ e dei sacerdoti del Tempio che, tutt’altro che santi ancorchè ‘sacerdoti’, non si sarebbero fatti troppi scrupoli una volta che essi avessero temuto di veder mettere in gioco i propri interessi… ‘religiosi’.
Proprio perché in Israele i ‘potenti’ si aspettavano un Messia di tipo ‘politico’, il dichiararsi Messia ed essere suoi seguaci, o parenti, finiva per assumere una connotazione politica, e quindi potenzialmente sovversiva e pericolosa.
E poi c’era l’opinione della gente, che forse – specie in un paese dove tutti si conoscono – è il ‘nemico’ peggiore.
Solo successivamente, circa un anno dopo – lo si apprende dal vangelo di Giovanni (Gv 7, 1-9) - i suoi ‘fratelli’, vale a dire i suoi cugini Simone e Giuseppe, cambieranno idea al punto di dirgli di smetterla di starsene lì a predicare e far miracoli in Galilea ma di andare a Gerusalemme perché era là che c’era la gente che contava veramente…
Convertiti ed abbagliati dalla Luce del Signore? No, solo da quella della loro convenienza ed umanità perché era là nella capitale che si potevano fare i giochi di ‘potere’.
Gesù aveva infatti in precedenza compiuto il miracolo della prima moltiplicazione dei pani di fronte a varie migliaia di persone. 10
La notizia s’era sparsa ovunque, l’entusiasmo e il fanatismo anche, e c’era chi aveva persino cercato di incoronarlo Re (Gv 6, 14-15).
I parenti, davvero poco disposti a credere che egli fosse il ‘figlio di Dio’, avevano però cominciato – di fronte a tutto quell’entusiasmo delle masse e anche di alcuni ‘potenti’ – a pensare che quel loro cugino fosse davvero destinato a diventare per qualche bizzarro gioco della sorte il ‘messia politico’ che tanti attendevano, anche perché la loro famiglia, in fin dei conti, discendeva davvero dalla stirpe di Davide dalla quale i profeti avevano detto che sarebbe sorto il ‘rampollo’ messianico di quella vergine…
E quanto alla presunta verginità di Maria declamata dai profeti beh…, Maria prima di essere scelta come sposa di Giuseppe, non era stata in fin dei conti per tanti anni una ‘vergine del Tempio’ a Gerusalemme?
Essi – i due cugini anziani – erano in buona fede, non erano maliziosi, ma speravano che sull’onda dell’entusiasmo generale alla fin fine qualche vantaggio sarebbe potuto derivarne anche a loro, sarebbe stato come un colpo di fortuna.
Al momento però di questa visita di Gesù a Nazaret – prima del clima politico che si sarebbe determinato con quel tentativo di incoronazione a re - le cose non erano ancora arrivate a quel punto.
Gesù - in quel momento - appariva ai suoi parenti solo un esaltato, infiammato dai suoi ardori divini.
I nazareni, poi, lo consideravano un ‘medico’ che sapeva curare tutti meno ‘se stesso’, cioè i suoi familiari, visto che - come già detto - aveva appena lasciato morire, senza saperlo guarire, persino suo zio Alfeo.
Quella del vecchio zio Alfeo è una parentesi da fare.
Lo zio era rimasto scosso dalla decisione di Gesù di fare il ‘profeta’ e di ‘abbandonare’ – per come lui vedeva la cosa – quella povera donna di sua madre, che Alfeo considerava troppo tenera con quel suo figlio unico, troppo incapace di opporsi a quelle sue stravaganze di giovane irrequieto e sognatore.
Ed Alfeo – che dopo la morte del fratello Giuseppe si sentiva secondo l’uso ebraico come una sorta di nuovo capo famiglia - aveva covato dentro di sé un certo rancore verso questo nipote che gli sembrava ‘ribelle’ ai suoi inviti.
Quando egli si era ammalato gravemente, Gesù – nel racconto valtortiano – era andato a trovarlo per dargli conforto ma egli lo aveva cacciato in malo modo dalla sua casa.
Alfeo giunto poi in punto di morte - nel momento della verità, trovatosi di fronte alla sua coscienza - capirà di aver sbagliato nei confronti di Gesù ed a maggior ragione nell’averlo cacciato, e allora proverà rimorso e lo invocherà.
Gesù sarebbe però stato in quel momento lontano e non sarebbe arrivato in tempo per raccogliere le ultime parole con le quali lo zio, di fronte ai suoi familiari, avrebbe invocato invano il perdono dell’assente Gesù.
Dall’opera della mistica si comprenderà però che Dio Padre, apprezzato questo pentimento, ne salverà comunque l’anima nel Limbo dei giusti, in attesa della liberazione al Cielo al momento della Redenzione.
9.3 Nessuno è profeta in patria…
E’ dunque questo il quadro di riferimento in cui, secondo le visioni della nostra mistica, si inserisce l’episodio evangelico della cacciata di Gesù dalla sinagoga di Nazareth raccontato da Luca (Lc 4, 16-30).
Dopo aver saputo della morte dello zio, Gesù è venuto infatti a Nazaret per onorare la sua tomba, confortare sua zia Maria di Cleofe, ed esprimere cordoglio ai cugini.
Il cugino Giuseppe gli rinfaccia di non aver voluto far miracolo con suo padre Alfeo, che dunque si sarebbe potuto salvare.
Gesù spiega allora ai cugini ed alla zia che non era vero che non avesse ‘voluto’ ma era invece vero che non aveva ‘potuto’.
Egli era infatti il Figlio di Dio, ed era in terra per compiere una missione spirituale.
Non sarebbe stato giusto che l’Uomo-Dio – per dare vantaggio ai propri parenti – sottraesse il proprio zio alle normali sventure della vita che spettano a tutti gli esseri umani.
Gesù non lo aveva fatto per il proprio padre putativo Giuseppe, né avrebbe in seguito evitato a sé la morte, né - alla madre - i dolori.
Simone accetterà queste spiegazioni di Gesù e quindi comincerà a riavvicinarsi a lui.
Giuseppe rimarrà invece ‘sostenuto’ nei suoi confronti, salvo poi difenderlo con grande decisione verso la fine della predicazione evangelica, quando anch’egli ormai si convincerà che quel che Gesù andava dicendo di sé – e cioè d’esser Figlio di Dio - era proprio vero.
Quel sabato, dunque, Gesù si reca per la funzione nella sinagoga e, poiché i compaesani sanno che egli gode ormai gran fama di ‘sapiente’, gli occhi dell’assemblea sono tutti puntati su di lui. Egli viene invitato a commentare i ‘rotoli’ dell’Antico Testamento, un brano di Isaia.
E’ un cosiddetto brano messianico, dove il Messia viene indicato come un personaggio venuto ad annunziare la ‘buona novella’ ai ‘poveri’ (cioè ai poveri di spirito, quelli che sanno distaccarsi dai richiami della carne e del mondo), la ‘liberazione’ ai prigionieri (non dei romani ma di Satana e del peccato), a guarire i ciechi e i sordi (e non solo fisicamente ma soprattutto spiritualmente), insomma uno che verrà ad annunciare la ‘buona novella’ che Iddio, attraverso la Redenzione, ha deciso di riaprire all’Umanità il Regno, non quello di ‘potere’ in terra, ma quello dei Cieli precluso dopo il Peccato originale.
Questo è un episodio che – a leggerlo sulla Valtorta – è formidabile.11
Ce lo racconta anche Luca (Lc 4, 16-30) il quale dice che Gesù – preso il rotolo del profeta Isaia (gli ebrei usavano tenere nelle sinagoghe dei mucchi di ‘rotoli’ con su scritte le ‘letture’ che poi il sinagogo commentava, come fanno i nostri sacerdoti col Vangelo) - legge quel brano che dice:’Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato per annunziare ai poveri la buona novella…’. E quando la gente si aspetta che Gesù lo commenti - il ‘commento’ di Gesù, nel silenzio generale, è che a lui, proprio a lui, si riferiva questa frase del profeta Isaia.
Potete immaginare le loro espressioni! La frase di Isaia si riferiva a lui? A lui? Al falegname? Al falegname di Nazareth, figlio del falegname Giuseppe, suo padre?’
E fu allora, poiché Gesù leggeva l’invidia e la maldicenza nei loro cuori, che Egli disse la frase famosa ‘nessun profeta è ben accetto nella sua patria…’ aggiungendo per sopramercato che ‘i nazareni non avevan fatto niente per meritarsi alcun miracolo!’.
Di Gesù potete dire tutto: che era caritatevole, pieno d’amore, ecc., ma – come uomo – era poco diplomatico!
Come nell’episodio della cacciata dei mercanti dal Tempio.
E neanche questa volta – in nome evidentemente della Verità che a volte deve essere gridata dai tetti - fu ‘diplomatico’, con il risultato però (e forse per questo dai nazareni - come aveva detto Bartolomeo - non ci si poteva aspettare niente di buono…) che sono i nazareni a ‘cacciare’ lui dal paese, anzi a cercare di cacciarlo… giù da una rupe.
Chissà come ne sarà rimasta mortificata e addolorata Maria!
2 M.V.:’L’Evangelo…’ - Vol. II, Capp. 54,55,56 - C.E.V.
5 M.V.: ‘L’Evangelo…’ - Vol. I, Cap. 65 - C.E.V.
6 M.V.: ‘L’Evangelo…’ - Vol. II, Cap. 84 - C.E.V.
7 M.V.: ‘L’Evangelo…’ - Vol. II, Cap. 97 - C.E.V. -
Mt 4, 9-13 / Nc 2, 13-17 / Mc 5, 27-32
9 G.L.: “Il Vangelo del ‘grande’ e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. I, Cap. 3.2 – Ed. Segno / Vedi anche sito internet dell’autore
10 G.L.: “Il Vangelo del ‘grande’ e del ‘piccolo’ Giovanni” –Vol. I, Cap. 11 – Ed. Segno, 2000
11 M.V.: Opera citata, Vol. II, Cap. 106