CAP. 6

PROVIAMO AD APPROFONDIRE – ANCHE ALLA LUCE DEL VANGELO – IL TEMA DELLA ‘SECONDA VENUTA’
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6.1 Le voci carismatiche moderne ed i ‘sospetti’ della Chiesa ‘gerarchica’

Nel precedente capitolo avevamo concluso con la presa di coscienza del fatto che la centralità drammatica della rivelazione dell’Apocalisse non è rappresentata dalla fine del mondo, come comunemente si tende ad interpretare, ma dal Regno dell’Anticristo e dalla sua sconfitta nella Storia ad opera della manifestazione gloriosa del Verbo.
Questa sconfitta conclude quella che nel linguaggio profetico viene comunemente chiamata ‘fine dei tempi’- da non confondere con la fine del Tempo, che è invece la fine della storia dell’Umanità che preluderà all’ingresso nell’Eternità - che coincide con l’inizio di una nuova fase dell’Umanità la quale finalmente si avvicinerà a Dio.
E’ noto agli esperti di letteratura mistica che molti carismatici vanno profetizzando da vari decenni una ‘venuta’ imminente del Signore per la sconfitta dell’Anticristo e l’instaurazione di un Regno felice.
Fin dai primi tempi del Cristianesimo e dalla formazione delle prime strutture gerarchiche dei presbiteri, vi è spesso stata una certa diffidenza da parte di questi ultimi (cioè gli odierni ‘preti’) contro quelle voci carismatiche che già allora pareva gridassero nel deserto richiamando ciascuno – anche gli stessi presbiteri - ai propri doveri nel nome del Signore.
Anche allora – bisogna dirlo - non mancavano però i falsi profeti, i falsi mistici e gli esaltati che inducevano le gerarchie alla prudenza.
San Paolo aveva tuttavia invitato a non disprezzare i carismi, che aveva anzi con precisione elencato e fra questi in particolare quelli di profezia, consigliando in caso di dubbio nelle rivelazioni di trattenere quel che di buono vi era.
L’albero, comunque, si deve vedere dai frutti.
Ora – considerato il fatto che la venuta del Signore ritenuta imminente fin duemila anni fa si è tutt’altro che verificata - si può guardare con una certa comprensione alla prudenza nutrita anche  attualmente da una parte della Chiesa gerarchica, a patto che la prudenza non diventi cecità come era successo – con rispetto parlando, ma è doveroso non nasconderlo - a Papa Roncalli, cioé Giovanni XXIII, quando aveva ‘stroncato’ in un discorso ufficiale le rivelazioni che i tre pastorelli, da lui definiti ‘profeti di sventura’, avevano riferito essere state fatte nel corso delle varie apparizioni dalla Madonna a Fatima.1
Questi ‘profeti’ moderni che stanno preannunciando dai quattro angoli della terra una venuta imminente, hanno una caratteristica che li accomuna: essi parlano di una grande tribolazione in arrivo, dell’Anticristo e della venuta di Gesù per la sua sconfitta e l’instaurazione del suo Regno in terra.
Il profeta ‘moderno’ – come del resto succedeva anche a quelli dell’Antico Testamento - ‘profetizza’ talvolta senza sapere con precisione la reale portata di quanto egli dice.
Dio gli comunica solo quella parte di conoscenza che gli è sufficiente che egli conosca, ma questa parte, insieme a quella data da Dio ad altri profeti, è una tessera di mosaico che concorre ad offrire un quadro più completo.
Non bisogna dunque disprezzare le profezie ma saperle piuttosto valutare per il quadro di insieme che esse delineano.
Molti profeti moderni portano dunque l’annuncio di questa grande tribolazione anticristiana, dell’Anticristo stesso e di questa ‘venuta’ del Signore che lo sconfiggerà.
Essi sono dei ‘portavoce’, dei ‘portaordini’, dei ‘megafoni’ della ‘chiamata alle armi’ da parte del Signore
Essi rilanciano come un’eco questo ‘avviso’ di una venuta data ormai come imminente anche se non sempre riescono a coglierne il reale tempo di attuazione, e anche se taluni sbagliano nella sua ‘interpretazione’ che qualche volta è ‘umana’.
Il Gesù dell’Apocalisse - nel Prologo della stessa - si riferiva alle cose ‘che devono presto accadere’, aggiungendo che ‘il tempo è vicino e infine, nell’Epilogo : ‘Ecco, io verrò presto,per concludere ribadendo ancora: ‘Sì, verrò presto.
Qualche ‘profeta’ moderno nel cogliere nel proprio spirito interiore il senso di ‘imminenza’ dato dal messaggio divino ha ‘tradotto’ il presto in ‘subito’ e quando quel ‘subito’ non è parso realizzarsi… subito, non sono mancate le accuse di ‘falso profeta’.
In realtà i fatti preannunziati da certe profezie, specie quelle escatologiche che vengono sempre date in forma velata, sono come certi virus che agiscono nel silenzio, incubando, prima di manifestarsi all’improvviso esteriormente con tutta la loro evidenza.
Succedeva anche ai Profeti dell’Antico Testamento i quali si vedevano schernire perché sembrava che le loro profezie non si realizzassero, con il risultato che quando poi invece queste si realizzavano – anni e anni dopo, e talvolta anche secoli dopo - coglievano tutti impreparati.
Era successo anche a Noé che impiegò - con i tre figli Cam, Sem e Japhet – molti decenni a costruire la sua arca. Lui aveva ben detto ai suoi contemporanei che Dio gli aveva preannunciato un Diluvio imminente per punire la malvagità degli uomini. Quelli respinsero i suoi inviti alla conversione, lo snobbarono e non vedendo poi alcun accenno di diluvio fecero come avrebbero poi fatto quelli di Sodoma e Gomorra: lo irrisero, e con lui irrisero Dio, e quando il Diluvio arrivò travolgendoli con la sua furia, per essi fu ormai troppo tardi.
Abbiamo visto dall’Apocalisse che, almeno secondo il tempo di noi uomini, il ‘presto’ - se riferito ad una presunta ‘venuta’ all’inizio del terzo millennio - significa almeno duemila anni.
Significa praticamente ‘mai’ - sempre nella concezione umana del tempo - se quel ‘presto’ fosse invece riferito alla fine del mondo.
Falso profeta dunque anche San Giovanni?
Gesù aveva in verità le sue buone ragioni per dire ‘presto’. A Lui sta a cuore la nostra salvezza eterna ed Egli ci vuole sempre svegli e vigilanti come sentinelle con l’arma al piede.
Pazienza dunque se il suo arrivo – nella nostra ottica del tempo – sembra ritardare così tanto.
L’importante è infatti non abbassare la guardia e salvarsi l’anima.
Ma il termine ‘verrò’, cioè l’azione del ‘venire’, cosa significa? Cosa significa in questo specifico caso la ‘venuta’? O ancora, cosa significa ‘venuta intermedia’?
Il verbo ‘venire’ può essere utilizzato in senso letterale ma anche figurato. Tutta l’Apocalisse è un succedersi di termini che possono essere interpretati letteralmente o allegoricamente.
La ‘venuta’ per l’Incarnazione – ad esempio - è una ‘venuta’ soprannaturale e del tutto imprevedibile che corrisponde ad un Dio che ‘assume’ una carne umana fecondando un ovulo di donna.
Quella della ‘Resurrezione’, è la ‘venuta’ del Verbo che ritorna per riprendere possesso e vivificare nuovamente il corpo morto di Gesù. Si può considerare anch’essa una ‘venuta’, una venuta dell’Uomo-Dio con il corpo ormai glorificato grazie ai meriti acquisiti con la Passione ed alla Gloria della avvenuta Redenzione con la quale le porte del Cielo vennero riaperte all’intera Umanità.
La ‘venuta’ del Giudizio universale sarà presumibilmente simile a quella del Gesù risorto - con il suo corpo glorificato e sfavillante di gloria - che in carne ed ossa è asceso al Cielo e di cui negli Atti degli Apostoli, alla folla di discepoli che estasiata guardava Gesù ascendere,  due Angeli avevano detto2: ‘Uomini di Galilea, perché state guardando verso il cielo? Quel Gesù che vi è stato sottratto verrà nello stesso modo con cui voi l’avete veduto salire al cielo’.
I due Angeli, che vengono indicati come ‘uomini in vesti bianche’, alludono qui ad una futura ‘venuta’ di Gesù che è successiva alla Ascensione.

 

 

6.2 Vediamo allora come Matteo parla della ‘venuta’ di Gesù e cerchiamo di capire meglio

E’ quindi opportuno approfondire ancora un poco questo aspetto della cosiddetta seconda venuta o venuta ‘intermedia’ di Gesù.
Gesù doveva averne parlato con gli Apostoli in più di una occasione durante i suoi tre anni di vita pubblica ed i conoscitori dei Vangeli sanno bene quanto essi – ancor prima della Crocifissione di Gesù -  fossero curiosi di sapere quando essa si sarebbe realizzata.
Nel Vangelo di Matteo3 sta infatti scritto:

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Mentre Gesù, uscito dal Tempio, se ne andava, i suoi discepoli gli si avvicinarono per fargli osservare la costruzione del Tempio.
Ma egli disse loro: ‘Vedete voi tutte queste cose? In verità vi dico: non resterà qui pietra su pietra che non sia diroccata’.

Mentre poi se ne stava seduto sul Monte degli Olivi, gli si avvicinarono i discepoli e, in disparte, gli domandarono: ‘Spiegaci , quando avverranno queste cose, e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo?’

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Attenzione!
Prima viene la predizione della distruzione del Tempio, quindi vi è uno ‘stacco’ di scena.
Infatti mentre la prima scena della predizione su Gerusalemme avviene dopo che Gesù è uscito dal Tempio, la seconda si apre con Gesù che se ne stava seduto sotto gli alberi del Monte degli Olivi.
Per gli ebrei il Tempio – dove si recavano ogni anno in pellegrinaggio – era tutto.
Il Tempio era una costruzione imponente e ricchissima, fatto di legni pregiati ed ori.
Conteneva poi l’Arca dell’Alleanza, praticamente ‘Dio’.
La prospettiva di una sua distruzione fino al diroccamento completo, come poi in effetti sarebbe successo qualche decennio dopo, era sconvolgente.
Essi continuano a camminare verso il monte degli Ulivi e intanto rimuginano fra di loro, ma quando arrivano e sostano, magari all’ombra di qualche albero e nella calma, essi interrogano nuovamente il Maestro per saperne di più.
I Vangeli dicono tutto sommato poco dei tre anni di vita attiva di Gesù insieme agli apostoli, ma egli doveva aver spiegato molte cose, e ad altre aveva magari solo accennato con delle allusioni, come quando aveva detto che avrebbe distrutto il Tempio che avrebbe però ricostruito in tre giorni (alludendo però velatamente al ‘Tempio’ del proprio corpo divino) provocando le irrisioni degli scribi, dei dottori della legge e dei farisei di allora.
Come pure quando aveva detto – sempre alludendo velatamente alla sua Resurrezione dopo i tre giorni nella tomba - che egli, a quell’Umanità incredula che gli chiedeva un segno della sua divinità,  avrebbe dato il ‘segno di Giona’, profeta che nel racconto biblico venne ‘risputato’ vivo dopo tre giorni dalla bocca di un pesce gigantesco.
Comunque gli apostoli, avendo saputo da precedenti discorsi di Gesù che Egli – anche se in modo per essi non del tutto chiaro - sarebbe ‘tornato’, come pure che – ad un certo punto – vi sarebbe stata la fine del mondo, chiedono quando si sarebbero verificate queste due cose.
Attenzione, sul monte degli Ulivi, gli apostoli chiedono quale sarà il ‘segno’ della sua venuta e della fine del mondo.
Vi ho già spiegato parlando dell’equivoco in cui era incorso Sant’Agostino che – avendo eliminato la ‘venuta intermedia’ dell’Apocalisse – i ‘teologi di scuola’ vedono sostanzialmente due sole venute: quella di duemila anni fa dell’Incarnazione e quella finale del Giudizio universale.
Ne discende che, nell’interpretare questo studiatissimo e controverso brano di Matteo, questi teologi hanno finito per considerare tutta la grande tribolazione che la precede - di cui Gesù si accinge ora a parlare e che vi viene descritta come segno della sua venuta - e la fine del mondo come facenti parte dello stesso episodio.
Gli apostoli chedono quale sarà il ‘segno’ della sua venuta e della fine del mondo non perché queste fossero la stessa cosa ma perché essi – che parlavano continuamente notte e giorno con Gesù, anche se non avevano ancora le idee chiare - le avevano infatti correttamente interpretate come due cose distinte.
E Gesù allora risponde, tenendo separate le due cose.
Nella prima parte del suo discorso (Mt Cap. 24) egli parla della grande tribolazione e della venuta ‘intermedia’.
Nella seconda parte (Mt Cap. 25) parla della fine del mondo.
Nella prima parte (fate sempre attenzione) parlando della sua futura venuta, ammonisce a non fare come quel servo cattivo che - pensando in cuor suo che tanto il Padrone tardava a ritornare – si comportava indegnamente venendo però colto impreparato dalla venuta del Signore e andando così a finire ‘là dove sarà pianto e stridor di denti’.

Il brano di Matteo di Gesù sotto gli ulivi continua:

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Gesù rispose loro: ‘Badate che nessuno vi seduca. Perché molti verranno in nome mio a dire: ‘Io sono il Cristo!’ e sedurranno molti.
Allora sentirete parlare di guerre e di rumori di guerre.
Guardate di non turbarvi perché non è ancora la fine.
Infatti si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno; vi saranno pestilenze, carestie e terremoti in vari luoghi.
Ma tutte queste cose non saranno che il principio dei dolori.
Allora vi metteranno al supplizio e vi uccideranno, e sarete odiati da tutte le nazioni per causa del mio nome. Allora molti soccomberanno e si tradiranno l’un l’altro e si odieranno a vicenda.
Sorgeranno molti falsi profeti e sedurranno molti.
E, per il moltiplicarsi dell’iniquità, in molti si raffredderà la carità.
Ma chi avrà perseverato sino alla fine, questi sarà salvo.
E questa buona novella del regno sarà predicata in tutto il mondo, in testimonianza in tutte le nazioni.
Allora verrà la fine.

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Gesù innanzitutto li invita a non farsi ingannare dai falsi profeti - per esempio identificabili anche in certe sette  - che annunciano venute che non ci sono e che verranno creduti da molti.
Invece, quando allora egli verrà (e qui, ancora attenzione: come già detto, siamo in un momento diverso dalla predizione su Gerusalemme perché siamo sul Monte degli Olivi e la domanda riguarda la sua venuta e anche la fine del mondo), si sentirà parlare di guerra. Ma dice di non preoccuparsi perché, quella, non sarà ancora la fine del mondo.
Dovranno avvenire queste cose, ma non saranno ancora la fine del mondo.
I popoli si faranno dunque guerra, tanti popoli si faranno guerre, ci saranno pestilenze, carestie e terremoti in vari luoghi.
E queste cose saranno ancora l’inizio dei dolori e i cristiani saranno anche perseguitati e si tradiranno a vicenda.
E’ quindi chiaro che se qui si dice che ‘non sarà ancora la fine del mondo’, si parla però di guerre e del moltiplicarsi dell’iniquità.
Quindi la sua venuta appare in qualche modo collegata ad una grave situazione di destabilizzazione internazionale e di diffusione estrema del male.
Sorgeranno molti falsi profeti, cioè dottrine eretiche ed ideologie errate: come ad esempio il capitalismo spinto, il marxismo, il positivismo, il razionalismo, l’evoluzionismo e tante altre ancora.
E – a causa della degenerazione spirituale e morale dell’Umanità in genere ma in particolare in quella cristiana che nell’amore dovrebbe eccellere - si raffredderà la carità.
Ma per coloro che invece avranno cercato di mantenersi nella retta via seguendo la strada tortuosa e stretta, vi sarà la salvezza spirituale, nonostante i lutti e i dolori.
E non sarà quella della fine del mondo, la venuta di cui parla qui Matteo, perché ancora il Vangelo dovrà essere predicato a tutte le nazioni della terra.
Anche se quanto accadrà sembrerà ad un certo punto della Storia come la fine del mondo, in realtà non lo sarà finché il mondo non sarà stato tutto evangelizzato.
Allora - cioè dopo l’avvenuta evangelizzazione - allora verrà la fine del mondo.

Da quanto precede – a meno di non volersi arrampicare sui vetri e ricorrere magari a qualche altra interpretazione ‘allegorica’ di questo brano, bisogna riconoscere che apparentemente qui – come del resto in Apocalisse – si parla di una ‘venuta’ intermedia (e successivamente vedremo come andrà intesa tale venuta) che interviene non alla fine del Tempo, ma nel corso della Storia, alla fine dei tempi.
Approfondiremo meglio fra poco questo importante passo del Vangelo di Matteo. 


1 Al riguardo, vedi Capp. 10 e 11 della presente opera.

2 Atti: 1, 10-11

3 Mt 24, 1-14