CAP. 15

UN DIBATTITO TEOLOGICO.
(2)

RIVELAZIONI PROFETICHE... VOCE DI GIACOBBE E MANI DI ESAU'.

 

15.1 La tesi dei 'due autori' dell'Antico Testamento.

Segretario: Credo di aver detto che i 'perché' di Dio sono sovente insondabili.
Ad esempio - sempre seguendo il racconto biblico - perché dalla creazione di Adamo Dio ha atteso quattromila anni a fare incarnare il suo Verbo perché venisse a redimerci ed a completare la Verità già contenuta nel Vecchio Testamento?
Non poteva salvare l'uomo prima, cioè prima di essere costretto a mandare un Diluvio per distruggerlo a causa della sua perversione?
Perché ha consentito che la 'sua' Chiesa venisse dilaniata da scismi e scismi e attraversasse anche periodi storici spiritualmente bui?
Perché ha permesso che venissero elaborate ideologie materialiste che ne hanno minato le fondamenta originarie e sono state anche fonte di persecuzione per i cristiani?
Perché - di fronte ai tanti che hanno persino messo in dubbio la realtà storica di Gesù Cristo sostenendo che fosse stato un personaggio inventato dalle fabulazioni dei primi cristiani - ha aspettato duemila anni prima che un fotografo si rendesse conto 'per caso' che la Sindone, il lenzuolo che aveva avvolto il corpo di Gesù, portava nel negativo della pellicola l'immagine del suo corpo ricomposto nella morte, con i segni della crocifissione e con tanti altri particolari che confermavano l'autenticità del 'telo', a dispetto degli 'avversari' che sventolavano una dubbia prova al carbonio per dire che era invece un falso del Medioevo?
Perché Gesù Cristo - dopo la sua Ascensione - ha lasciato allo Spirito Santo il compito di illuminarci sulle cose che Egli aveva già detto ma che non erano state ancora  intese bene?1
Perché sono stati necessari quasi duemila anni di discussioni per riconoscere come verità di fede il dogma della Immacolata Concezione?
Perché - se dovessimo per ipotesi dare veramente credito a Crombette - avrebbe aspettato fino ad oggi per farci capire tramite i suoi studi che la Genesi poteva essere decrittata e quindi tradotta in maniera più particolareggiata e finalmente scientifica?
Le risposte ci sono, ma ci porterebbero fuori tema. Qui ci basti sapere che è Dio che decide tempi e modi in base a valutazioni che però non sono quelle umane.
Ritornando tuttavia alle decrittazioni di Crombette che forniscono una traduzione più particolareggiata, del testo di Genesi che abbiamo sotto gli occhi, mi viene spontaneo pormi un problema.
Se Gesù stesso aveva detto che Lui non era venuto per cambiare nemmeno uno 'jota' dei libri della Legge - è lecito supporre che egli, relativamente alla Genesi, dovesse riferirsi a quanto veniva detto nel testo ebraico scritto nei termini di allora da tutti ben conosciuto e non certo a quanto con maggior precisione risulterebbe dalle decrittazioni delle parole ebraiche fatte da F. Crombette attraverso le loro radici monosillabiche copte.
Oggi - per l'occhio esegetico di taluni teologi 'moderni', e anche di alcuni ecclesiastici che ricoprono cariche autorevoli in seno alla Chiesa come quello di quell'articolo di giornale prima citato da Bastian Contrario - emerge però il fatto che alcuni importanti passi biblici sono considerati come del tutto contrari alla scienza e che quindi non riflettono la verità delle cose. Non affrontiamo qui nuovamente il problema già trattato ieri del sole di Galileo e di quello di Tolomeo, né tantomeno il miracolo del sole di Giosué, per non parlare del passaggio indenne di Mosé fra le acque aperte del Mar Rosso! Tali passi sono ritenuti miti o, nella più benevola delle ipotesi, vengono appunto considerati 'generi letterari', cioè modi di esprimersi degli autori biblici secondo le concezioni ed il modo di parlare dell'epoca.
Se ne potrebbe allora dedurre che Gesù, nel confermare - attraverso i Vangeli - la natura divina delle rivelazioni dei profeti, si riferisse non tanto alla 'lettera' dei testi - ritenuti oggi palesemente contrari alla verità della scienza - quanto invece alla sostanza spirituale che vi era sottintesa.

Dominique Tassot: la scuola storicistica di Padre Lagrange riteneva che vi fossero due 'autori'; Dio per quanto atteneva ai 'dogmi', lo scrittore umano per tutto quanto atteneva ai fatti scientifici e storici.2

Segretario: So bene che questa tesi della scuola di Lagrange è molto contestata da coloro che - per difendere l'interpretazione letterale dei testi sacri anche quando aprirebbero contraddittori con la scienza  - dicono che se Dio è Verità ed ispira i profeti, questi non possono dire delle 'non verità'.
Forse - più che un cedimento alle ragioni della scienza - la teoria dei 'due autori' potrebbe essere una tesi volta a trovare una spiegazione razionale che permetta di comprendere l'apparente contraddizione fra quanto detto nelle Scritture rispetto alla scienza.
Tuttavia a quanti ritengono impossibile la tesi della scuola di Padre Lagrange sul fatto che nell'Antico Testamento vi siano due autori, credo di poter dire - per gli studi3 che ho potuto fare sul problema  dei carismatici e dei profeti moderni - che vi possano essere effettivamente due autori, anche se per ragioni diverse da quelle considerate dalla scuola suddetta.

 

15.2 Rivelazioni profetiche: un autorevole insegnamento del Dottore della Chiesa S. Giovanni delle Croce.

Si dice dunque - da parte di taluni - che Dio non può dare al profeta una verità vera sul piano spirituale e contemporaneamente una falsa sul piano scientifico.
Secondo costoro ciò non sarebbe possibile perché Dio è per antonomasia Verità, e la verità é dunque una sola.
Secondo questa tesi, non ci può dunque essere una verità di Dio sui dogmi di fede ed una falsità di Dio su quanto invece il profeta erroneamente dice di storico o di scientifico.
Non si tratta di una tesi illogica ma io sono propenso a ritenere che il concetto di verità vada invece proprio riferito soprattutto al fatto 'dogmatico', ed ora ne vorrei spiegare meglio la ragione.
La Verità espressa da un 'personaggio' come Gesù Cristo non può che essere considerata assoluta, se partiamo dal presupposto cristiano che Egli sia anche Dio.
Il profeta, però, non è 'Dio', anzi è un 'uomo'.
Egli è uno 'strumento' anzi molto imperfetto, un po' come la lama di un coltello che può tagliare più o meno bene a seconda di quanto sia più o meno affilata.
Ciò che rende la 'lama' più o meno affilata è lo 'stato di Grazia' che - nell'uomo viziato dal Peccato originale, fosse anche l'uomo migliore - non può che essere relativo, e può persino variare da momento a momento.
Dio, attraverso i doni dello Spirito Santo, quei famosi 'carismi' di cui parla San Paolo in una delle sue lettere, utilizza  molti modi per farsi conoscere e comunicare il suo Pensiero agli uomini.
Uno è quello delle visioni, un altro è quello delle 'illuminazioni' nelle quali Egli fa comprendere con estrema chiarezza una certa verità che altrimenti non sarebbe stata compresa dal profeta, un altro ancora è quello del 'dettato' in cui il profeta ripete testualmente le parole - avvertite quasi fisicamente oppure solo intellettualmente - che egli sente dentro di sé.
Poi vi sono anche le cosiddette 'locuzioni interiori'.
Riferendomi ai 'profeti', che una volta scrivevano su tavolette di cera o anche su pergamene quanto essi sentivano 'dentro di sé' , parlerò allora di queste locuzioni.
Il messaggio divino, in questi casi, è un messaggio telepatico che consiste sovente nella trasmissione di un concetto, come una sorta di 'idea', che il profeta percepisce e 'traduce' in linguaggio come meglio può, sulla base delle sue conoscenze culturali e delle caratteristiche della sua personale psicologia.
Il profeta può anche tradurre in maniera sgrammaticata, ad esempio, senza che Dio se ne faccia un problema.
Una volta ho letto che la ineleganza di certi profeti fosse una cosa che disturbava alquanto San Gerolamo.
Il contenuto spirituale trasmesso da Dio è dunque quello giusto, ma il 'vestito' che il profeta ci mette sopra non sempre può essere il più appropriato.
La rivelazione profetica talvolta avviene anche in uno stato alterato di coscienza in cui quelli che vengono chiamati psicanaliticamente i 'vissuti interiori inconsci' possono emergere e svolgere un loro ruolo importante. Di questi parleremo ancora.
Ecco anche perché la Chiesa - credo - esige una sana prudenza in merito alle rivelazioni profetiche, persino rispetto a  quelle considerate 'buone'.
Ci sono infatti stati casi di santi famosi che hanno avuto 'rivelazioni' che si sono poi rivelate errate perché influenzate per autosuggestione appunto dalle loro convinzioni su determinati problemi.
E' un poco come se Dio versasse nel 'recipiente' umano la sua acqua pura e limpida.
Poichè la 'psicologia' dell'individuo fa da 'filtro', e poiché questo filtro, a causa del Peccato d'origine non é più perfetto ed ha finito per assumere una certa 'colorazione', ecco che l'acqua che uscirà poi dal 'rubinetto' del recipiente - pur rimanendo 'acqua' nella sua reale sostanza - assumerà un colore diverso dall'acqua limpida e pura iniziale e talvolta porterà con sè, uscendo, oltre al diverso 'colore' del filtro anche  le scorie di 'deposito' contenute nel 'recipiente'.

Giovanni della Croce, non solo brillante e sapiente scrittore del XVI secolo, non solo santo, non solo dottore della Chiesa e grande mistico, insieme alla 'coeva' Santa Teresa d'Avila, grande specialista di questa difficilissima materia, ci ha lasciato4 da parte sua indicazioni preziose, frutto della sua esperienza diretta di direttore spirituale di carismatici con lo spirito di profezia.
 Egli ricorda peraltro che ai tempi del ‘vecchio’ Israele, poichè il popolo prendeva troppo alla lettera le parole e le predizioni dei profeti, quelli veri, ma vedeva che poi queste non si avveravano come essi avevano interpretato o sperato, lo stesso popolo finiva per non stimare e non credere più ai profeti, tanto che cominciò a circolare un detto con cui li si scherniva: ‘Aspetta e torna ad aspettare…’, poiché la ‘Parola di Dio’ sembrava non compiersi mai. Lo stesso famoso profeta Isaia se ne lamentava (Is 28, 9-11).
Ma per tornare alle locuzioni soprannaturali - che possono manifestarsi in maniere molto differenti - Giovanni della Croce le riduce da parte sua sostanzialmente a tre tipi: parole successive, formali e sostanziali.5
Parlerò qui delle prime, quelle ‘successive’.
Sono ‘parole’ – spiega S. Giovanni - che lo spirito del profeta avverte dentro di sé quando è raccolto ed assorto profondamente in qualche considerazione spirituale.
Nel corso della sua meditazione gli emergono con facilità e chiarezza parole e ragionamenti 'molto ben fatti', e con la ragione egli scopre e comprende delle verità che sono tanto estranee alla sua normale conoscenza da parergli provenire da una entità terza che sembra gli parli, discorra, risponda, lo ammaestri.
Ed in effetti – aggiunge San Giovanni della Croce – è proprio così: è l’individuo in persona  che ragiona e risponde a se stesso, come se al proprio interno gli parlasse un altro.
Se tuttavia da un lato – spiega San Giovanni della Croce, ed io vi prego di concentrarvi un attimo sul suo ragionamento  -  il fenomeno è prodotto dallo stesso spirito dell’uomo che funge da ‘strumento’, dall’altro lato c’è lo Spirito Santo che lo aiuta a produrre e formare quei concetti, quelle parole, quei ragionamenti veri per cui l’anima dello strumento li dice a se stesso come se a parlare fosse un’altra persona.
Poiché l’intelletto è raccolto e unito con la verità della cosa a cui pensa, ed anche lo Spirito Santo è unito a lui in essa, come fa sempre in casi simili, ne consegue (chiarisce ancora San Giovanni della Croce) che l’intellettocomunicando in tal modo con lo Spirito divino mediante quella verità - forma nel suo interno insieme e successivamente verità concernenti quella a cui lo spirito dell’uomo pensa, mentre lo Spirito Santo, fattosi Maestro, gliene apre la via e gli comunica la sua Luce.
Questo è dunque uno dei tanti differenti modi con cui lo Spirito Santo insegna.
E questo è anche un esempio di come 'due autori' possano lavorare insieme, non dimenticando però che se uno dei due è Divino e non sbaglia mai, quello umano è sempre un 'autore umano' e qualcosina di suo potrebbe sempre mettercela, senza neanche rendersene conto.

 

15.3 Rilassiamoci e sorridiamo insieme parlando della 'Voce' di Giacobbe e delle 'mani' di Esaù.

Ricordo a proposito dei 'due autori' che in Genesi (Gn 27,22) si racconta il colorito e per certi versi divertente episodio in cui Giacobbe, figlio di Isacco, con la colpevole ispirazione e complicità della madre Rebecca riuscì a defraudare il fratello maggiore Esaù della solenne benedizione del padre con annesso conferimento del diritto di primogenitura.
Esaù non era quel che suol dirsi uno ‘stinco di santo’ ma era il primogenito al quale sarebbe dovuto spettare tale diritto. Uomo evidentemente pragmatico e poco sensibile a certe cose e comunque più sensibile ai piaceri della gola e ai morsi della fame, un giorno – rientrato appunto a casa affamato – chiese a suo fratello Giacobbe il piatto di lenticchie che questi stava mangiando. Giacobbe – forse quasi per scherzo - gli domandò in cambio la cessione del suo diritto di primogenitura ed Esaù, probabilmente con una scettica alzata di spalle, accettò lo scambio preferendo un uovo oggi più che una gallina domani.
Quando Isacco, figlio di Abramo, ormai molto vecchio e cieco sentì che si stavano avvicinando i giorni della fine, chiamò il primogenito Esaù, lo invitò ad andare a caccia di selvaggina e cucinargli quindi un piatto gustoso, dopodiché egli gli avrebbe impartito formalmente la sua santa benedizione trasmettendogli il diritto di ‘primogenitura’.
Esaù prese le sue armi e partì tosto ma Rebecca che tutto aveva ascoltato e che aveva evidentemente una preferenza per il suo figlio minore Giacobbe, chiamò quest’ultimo inducendolo a trarre in inganno Isacco strappandogli la benedizione paterna dopo essersi sostituito a suo fratello.
Gli suggerì di uccidere due capretti del gregge famigliare, glieli cucinò alla grande e lo indusse a portarli al padre fingendosi Esaù e chiedendogli la benedizione.
Giacobbe teneva evidentemente sia alla benedizione che alla primogenitura ma teneva anche alla sua ‘pelle’ per cui recalcitrava all’idea che il padre Isacco scoprisse l’inganno e anziché una benedizione gli lanciasse una maledizione e che poi il fratello Esaù – di mano pesante – completasse il resto.
Rebecca lo convinse però a non preoccuparsi perché – lo rassicurò - se ne sarebbe assunta lei ogni responsabilità morale.
Quando Giacobbe le fece allora presente di essere di pelle liscia e che Isacco – come molti non vedenti – avrebbe potuto palparlo per accertarne meglio l’identità, scoprendo così di non trovarsi di fronte il molto peloso Esaù, lei lo tranquillizzò ulteriormente suggerendogli  lo stratagemma di avvolgersi intorno a collo e  mani le pelli dei capretti.
Giacobbe si presentò dunque al Padre con i migliori vestiti del fratello e - così bardato e per di più con il profumato e saporito arrosto di selvaggina - si finse Esaù.
Isacco era vecchio e cieco ma non ancora del tutto sordo né svanito. Gli parve che il ritorno di Esaù, cucina compresa, fosse stato troppo rapido e che la voce assomigliasse più a quella di Giacobbe che non a quella di Esaù.
Invitò allora il figlio ad avvicinarsi, lo palpò, sentì tutta quella peluria e si convinse di essersi sbagliato mormorando fra sé: ‘La voce è quella di Giacobbe ma le mani sono quelle di Esaù…!’. E gli impartì la solenne benedizione.
Quando Esaù tornò con la selvaggina e si presentò dal padre per chiedergli a sua volta la benedizione, Isacco si stupì e gli disse di avergliela già data.
Esaù diede in escandescenze ma Isacco rispose che ormai 'quel che era stato fatto' era stato fatto:  benedizione e primogenitura erano state ormai date una volta per tutte a Giacobbe.
Non vi sto qui a raccontare il resto della storia e di come ad un certo punto - morto Isacco - Giacobbe dovette cambiar aria a tutta velocità per sfuggire alla vendetta postuma di Esaù.
Vi ho raccontato l’episodio non solo per rilassarvi dopo tutti questi complicati ‘ragionamenti’ teologici ma perché San Giovanni della Croce, per spiegare con un esempio come avviene il fenomeno della locuzione soprannaturale interiore e della interazione fra Spirito Santo e spirito dello strumento, dice che in sostanza ‘è come se la Voce fosse quella di Giacobbe e le mani quelle di Esaù’, per significare che la Voce dell’ispirazione che lo strumento sente è quella dello Spirito Santo ma la sua traduzione in parole è quella dello strumento stesso.
Spirito Santo e spirito dello strumento ‘interagiscono’ sostanzialmente insieme.

Ecco perché - a mio avviso - si può anche ammettere che Dio possa talvolta consentire l'interferenza umana nel messaggio divino purché sia salvo il suo contenuto spirituale.

Il nostro 'discernimento' consiste appunto nel saper comprendere dove vi è il divino e dove affiora eventualmente qualche venatura di 'umano'.
Nel caso della altrimenti incomprensibile divisione delle acque dell'alto e del basso con in mezzo il firmamento di cui si parla in Genesi, testo che viene attribuito a Mosé, potremmo trovarci di fronte a tradizioni millenarie tramandate oralmente da Noé e dai suoi discendenti con 'sbavature' e deformazioni di passaggio orale in passaggio orale, tradizioni poi 'raccolte' da Mosé e messe per iscritto.
Oppure ci potremmo trovare di fronte a vere e proprie rivelazioni ricevute dal profeta che (e qui veniamo alle mani di Esaù...) ha riportato fedelmente la verità spirituale (e cioè la divisione delle acque del secondo giorno) ma poi ci ha messo sopra come cappello delle nozioni scientificamente imperfette di cui egli poteva essere depositario.
Infine, terza ipotesi, entriamo nel merito di quanto sostiene F. Crombette che dice - alla luce del copto - che Mosé, grandissimo profeta, 'recepì' perfettamente il messaggio divino anche nel suo aspetto scientifico ma a sbagliare furono poi gli scribi dei secoli successivi che - senza capirlo perché al di là della portata delle loro conoscenze - lo tradussero male e ancor peggio lo interpretarono, anche se fu fatta salva la sostanza spirituale della Rivelazione.


1 Gv 14, 16:'... Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce...' - Gv 14, 26:'... Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi avevo detto...' 

2 Dominique Tassot: 'Qui est l'auter de l'ecriture?' - 'Science et Foi', n° 19 - pag. 2 (CESHE)

3 Al riguardo, dell'autore, vedi i 4 articoli "Ma come è difficile quella vita da 'carismatico' ..." pubblicati sulla rivista specializzata 'Il segno del soprannaturale' : - n° 164,165,166 del 2002 e 'Tempo di revisione profetica' - stessa rivista, n° 208 del 2005 - Edizioni Segno - Leggibili anche nel sito dell'autore www.ilcatecumeno.net nella Sezione 'Opere' in:
'Pensieri a voce alta'

4 San Giovanni della Croce: Opere, Salita del Monte Carmelo, Libro 2, Capp. 11 e seguenti – Postulazione generale dei Carmelitani scalzi, Roma, 1991

5 Opera di S. Giovanni della Croce sopra citata, Capp. 28 e 29