CAP. 11

E CHIAMO’ LA LUCE GIORNO E LE TENEBRE NOTTE.
E FU SERA E FU MATTINA: PRIMO GIORNO

 

 11.1 L’universo è un ‘uovo’: non è ‘infinito’ - come taluni sostengono - ma è ‘finito’.

Segretario: Anche l’ultimo versetto così come appare dal testo della Genesi a conclusione della prima azione creativa (…E chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno, associa la parola ‘luce’ alla parola ‘giorno’, rinnovando anche qui – quantomeno nei termini utilizzati nella traduzione ufficiale – la contraddizione rispetto alla creazione nel quarto giorno del sole con la sua luce che tutti conosciamo.
Azaria, e poi ancora di più la Voce, ci hanno però indirizzato verso la strada giusta.
D’altra parte lo stesso Crombette aveva precisato che la parola ‘tenebre’, in copto, non equivaleva a ‘notte’ ma andava letta come ‘energia invisibile’, cioè una forma di energia non ancora trasformata in materia, insomma l’etere.
Pertanto questa è una ulteriore conferma che così come il rapporto ‘tenebre uguale notte’ che si potrebbe arguire da questo versetto di Genesi è sbagliato, lo è anche quello di ‘luce uguale giorno’, come del resto avevamo ormai capito.
Abbiamo visto – specie con le spiegazioni ancor più chiarificatrici di Yves Nourissat – che quello di etere è un concetto sul quale la scienza si dibatte da tempo.
Le prove sperimentali del Premio Nobel Michelson sono state significative ma – poiché esse avrebbero portato alla conclusione che la Terra non si spostava rispetto all’etere e quindi non si spostava nello spazio intorno al sole – esse sono state ignorate, anzi addirittura ‘occultate’ dalla scienza ufficiale che ha preferito allinearsi alla interpretazione di Einstein che, anticreazionista e convinto eliocentrista, ha ritenuto di concludere che il movimento della terra nello spazio non risultava dall’esperimento  semplicemente perché l’etere non esisteva ed al suo posto esisteva il ‘vuoto’, fatto che però lascia a questo punto insoluto il problema di come facciano allora a viaggiare nello spazio le onde luminose o elettromagnetiche senza un ‘mezzo’ che faccia loro da supporto.
La traduzione di Crombette ci ha detto invece che Mosè fin da allora parlava dell’etere.
Crombette chiariva che si tratta di una energia in condizioni di quiete che non è stata trasformata da Dio in ‘materia’, di una energia che è cioè allo stato ‘latente’, non ‘visibile’ come la materia, e quindi proprio per questo definibile in un certo senso come ‘tenebra’.
Diamo nuovamente la parola a Crombette…:

Crombette: Arriviamo così al quinto versetto della Genesi:

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ossia, in testo coordinato: Saggiamente, Ehelohidjm chiamò questi spazi di­versi, la grande parte dove faceva giorno: l'inno di gloria innalzato dagli angeli (o il giorno solenne), e la parte circostante rimasta nelle tenebre: la grande inoccupata (o la grande notte) che ha fine nel sistema consistente1 . Ciò che, prima della Parola, era nascosto all'inizio, fu, dopo la Parola, ciò che era visto alla fine. La generazione così prodotta era la prima.
Diciamo subito che la parola i che si è generalmente letta Lom o Yom e tradotta "giorno", si legge effettivamante Djooum. Ora, già in ebraico, il vero senso di questa parola è "giorno di festa". Noi siamo dunque del tutto in tono quando traduciamo Djooum "l'inno di gloria elevato dagli angeli"; è il giorno di festa per la venuta delle stelle. L'ultima lettera di questa parola, M, si traduce Mittere, e Mittere è inviare dei Missi, dei messaggeri, e la pa­rola Angelo, in greco i , significa appunto messaggero.
D'altra parte, Djooum si scompone con il copto in igenerazione prodotta.
Se lo si fosse compreso, si sarebbe evitata la monu­mentale sciocchezza di credere che il mondo intero era stato creato in una delle nostre settimane, e anche tutte le discussioni senza sbocco sull'interpretazione da dare alla parola giorno in quanto durata.
Giacché non si tratta di una durata ma di una generazione, cioè di una produzione.
Mosè stesso lo mostra incontestabilmente al versetto 4 del capitolo II, che S. Girolamo ha tradotto: "Iste sunt generationes cæli e terræ". La parola ebraica è qui i Thooueldoouth, ma questa parola è composta da Thoou equivalente a Djoou, Generatio, e da El-Doouth, in copto i El­ Toot = Facere, Manus = Creare. Ora, "Generazione creata" è identica a "Generazione prodotta".
Anche tradotta con la parola epoca, la parola Djooum non avrebbe un senso accettabile, giacché non indicherebbe apparentemente delle durate uguali.
Serve evidentemente meno tempo per separare le acque del basso da quelle dell'alto (secondo giorno) che per fare il cielo, le stelle, il sole, la terra e le ac­que (primo giorno).
No, quello che Mosè ha voluto raggruppare nella prima generazione è tutto ciò che è stato fatto fino all'apparizione della luce. Da notare che il copto fa comprendere il senso della parola ebraica Hèchad = uno, che è: l'inizio delle divisioni.
Ciò che è stato tradotto tenebre, è, in realtà (l'abbiamo mostrato in precedenza), la parte che è stata lasciata distesa, in riposo, è l'etere.
Ora, Mosè precisa a­desso che questa parte circonda la parte luminosa; essa si estende dunque al di là delle stelle: è il mezzo dove tutto evolve e che è largamente rimasto i­noccupato.
Ma il narratore aggiunge un dettaglio estremamente importante dal punto di vista cosmogonico, cioè che la grande parte inoccupata prende fine nel si­stema consistente.
Questo dettaglio permette di risolvere una contraddizio­ne capitale che domina tutta la scienza moderna. Essa ha riconosciuto che i fenomeni accadono come se avessero luogo in un mezzo che ha, da una par­te, la mobilità interna assoluta dei fluidi perfetti; dall'altra, una rigidità tota­le, superiore a quella dell'acciaio: è l'etere. Il professor Boxasse 2, pur af­fermando che tutti gli esperimenti si spiegano senza difficoltà nell'ipotesi classica dell'etere, aggiunge: "Riconosciamo la stranezza della nostra ipote­si: un mezzo che vibra trasversalmente come un solido, che tuttavia non o­stacola il movimento dei corpi: essi vi si muovono attraverso come se non ci fosse nulla".
A questa specie di quadratura del cerchio, insolubile per gli studiosi, Mosè apporta la soluzione: l'etere è di una mobilità, di un'indifferenza totale: esso funziona dunque come un fluido perfetto, ma è racchiuso in un involucro ri­gido e ne acquisisce per contraccolpo la rigidità.  É ciò che avverrebbe rac­chiudendo un liquido estremamente mobile in un vaso chiuso molto resi­stente e completamente pieno; un oggetto posto in un tale mezzo potrà muovervisi senza difficoltà, ma se questo oggetto è luogo di scuotimento, esso, ritrovando in ultima istanza una parete resistente, la trasmissione dello scuotimento si opererà come se il mezzo fosse rigido. Possiamo anche con­cepire che questa trasmissione sarà istantanea se il mezzo è assolutamente privo di inerzia.
Quanto diciamo trova la sua conferma nella Grande Enciclopedia (articolo At­trazione): "Si è indotti a chiedersi se lo spazio non sia riempito da un fluido continuo e incompressibile realizzante il tipo dei liquidi perfetti in mezzo al quale fluttuerebbero le molecole materiali.  I liquidi perfetti godono della proprietà di non opporre alcuna resistenza al movimento uniforme di una sfera. Per di più, in virtù del principio di Pascal, ogni pressione esercitata in un punto di tale liquido si trasmette integralmente a tutti gli altri punti, quale che sia la forma e la lunghezza del tragitto da percorrere, e l'incompressibilità assoluta esige che questa trasmissione sia istantanea".
Così Mosè ci conduce ad una concezione dell'universo che è stata, più o meno coscientemente, quella dell'alta antichità: il cosmo è un uovo. 
Come l'uovo ha un guscio, il cosmo ha un involucro quasi-sferico rigido; come l'uovo, esso ha un mezzo sostentatore, là l'albume, qui l'etere; come l'uovo, possiede una massa interna in sospensione, la materia, equivalente al tuorlo; così come il tuorlo ha al suo centro una vescicola germinativa, il centro del mondo è occupato dalla terra, portatrice di vita; e non è detto che la camera d'aria non possa figurare gli spiriti.
Nella conferenza precitata sull'etere, l'elettricità e la materia ponderabile, W. Thomson ha avuto questa conclusione: "E adesso, e ne sono spaventato, de­vo finire dichiarando che le difficoltà sono talmente grandi per formare qualcosa che assomigli a una teoria comprensiva, che non possiamo nean­che intravedere il minimo cartello che ci porti verso una spiegazione. No, non esagero affatto; affermo solamente che noi non possiamo attualmente immaginarla.  Ma tra un anno, tra dieci, tra cento, non ci saranno proba­bilmente più difficoltà di quante ne abbiamo ora per capire questo bicchiere d'acqua, che sembra adesso così chiaro e così semplice.  Non ho alcun dub­bio che queste cose, che ci sembrano tanto misteriose, non lo saranno più, che le scaglie ci cadranno dagli occhi; che impareremo a vedere diver­samente le cose; che allora tutto ciò che è attualmente difficoltà sarà molto semplicemente il buon senso e la maniera intelligibile di affrontare il sog­getto".
Il cartello richiesto esiste da più di 3000 anni: è Mosè che l'ha tracciato; ma l'ha fatto in una lingua che è stata letta di traverso, quando non le si passava davanti deridendola. Così, conseguentemente al loro malvolere e ai loro smarrimenti, gli Ebrei hanno vagato per 40 anni nel deserto quando avreb­bero potuto entrare subito nel vicino paese dove scorreva il latte, il miele e il vino.
Ci resta da dire una parola sul versetto 5 della Genesi.  L'abate Glaire, se­condo San Gerolamo, l'ha terminato con le parole: "e di una sera e di una mattina si fece un giorno unico". Si traduce anche più semplicemente l'ebraico: "e fu sera, e fu mattino; un giorno". Questo ha l'aria coerente: in ciascuno dei nostri giorni vi è una sera e una mattina, un tempo di oscurità e uno di luce. Se il primo pe­riodo della creazione è durato un giorno, è logico che questo giorno abbia avuto una sera ed un mattino; questo dovette essere anche un argomento per quelli che pretendevano che i giorni della creazione erano di 24 ore. Sì, ma, l'abbiamo mostrato, questi pretesi giorni non esistono come tali. Essi sup­pongono d'altronde un sole brillante che apparirà solo alla quarta generazio­ne; in mancanza, essi implicano una sparizione delle stelle che non hanno alcuna ragione di spegnersi e di riaccendersi. Molte brave persone hanno preteso che la parola giorno doveva essere intesa come la giornata di lavoro di un operaio; evidentemente, in questo caso, il divino Operaio, affaticato dal suo lavoro, ha dovuto andare a dormire la sera per potersi rimettere al lavoro l'indomani mattina. Era facile agli increduli volgere in ridicolo tali interpretazioni. Il vero senso è tutt'altro: non si tratta né di sera né di matti­na, ma: "Ciò che, prima della Parola, era nascosto all'inizio fu, dopo la Pa­rola, ciò che era visto alla fine". E questo si spiega da sé: ciò che era all'inizio nascosto nel pensiero di Dio fu realizzato quando Egli ebbe espresso questo pensiero.

 

11.2 Mettiamoci una parola buona: Galileo non aveva ragione nel dire che la terra gira attorno al sole, d’accordo, ma nemmeno del tutto torto…

Segretario: Vista l’ora tarda, proporrei di chiudere questa giornata di lavori dedicata alla prima azione creativa di Dio cercando prima – per chiarezza ed a memoria futura – di tracciare qui una sintesi delle conclusioni sulla prima azione creativa alle quali io sarei arrivato.
Vi prego di correggermi se sbaglio, altrimenti interpreterò il vostro eventuale silenzio come un ‘silenzio assenso’.
L’universo è sorto dal nulla, ma tuttavia non è sorto da sé perché è stato Dio a crearlo.
La teoria del Big-bang e dell’Universo in espansione, data oggi per scontata, è in realtà l’ultima della serie: staremo a vedere quale sarà la prossima.
Anzi, non so se quella di Crombette possiamo già considerarla la prossima, ma secondo le sue traduzioni copte l’universo non sarebbe in espansione e  infinito ma sarebbe un universo ‘chiuso’, come un uovo il cui ‘germe vitale’ è costituito dalla Terra Cristocentrica perché è il luogo di Incarnazione del Cristo, il Verbo che dà la Vita.
La ‘luce’ di cui si parla nel ‘primo giorno’ di Genesi è ben altra cosa rispetto alla luce prodotta dal sole e dalle stelle della quale si parlerà invece nel quarto giorno.
Il termine tradotto con ‘giorno’ non sta a significare né giorno di 24 ore, né giornata, né uno specifico periodo di tempo ma una  generazione, o meglio una determinata azione creativa dove quello che conta non è il ‘tempo’ ma il ‘prodotto’ dell’azione specifica, cioè il risultato finale.
Crombette ha ipotizzato che questa luce consista in una diffusa luminosità tenue, portando il paragone di un timido albeggiare prima che qualche ora dopo si faccia giorno.
Questo spiegherebbe la creazione di forme di vegetazione nel secondo giorno prima ancora che venisse prodotta la luce solare del quarto giorno.
La ‘Voce’, fedele al principio di non interferire nelle libere elucubrazioni degli uomini, non è entrata nel merito ma – forse per indirizzarci o stimolare la nostra intelligenza e fantasia – ci ha detto che quella luce era una sorta di ‘attributo’ divino: non era una ‘parte’ di Dio, sia ben chiaro, perché era stata creata mentre Dio è increato, e pur tuttavia operava sull’universo in formazione e sulla Terra delle misteriose trasformazioni. Forse è grazie a questa luce che può essere meglio interpretata la sopravvivenza delle piante nel secondo giorno prima ancora della creazione del sole.
La natura esatta di questa luce sembra comunque destinata a rimanere misteriosa come i processi che produce e rimane, per ora almeno, un altro dei tanti enigmi della Creazione.
Crombette sostiene che il sole è stato creato prima della Terra, che esso all’inizio era ‘opaco’, cioè non ancora gassificato, e che la terra ne è uscita dopo che esso è stato portato ad una velocità critica di rotazione che ha portato alla ‘espulsione’ dei vari pianeti.
Solo successivamente il sole sarebbe stato ‘acceso’, nell’azione creativa che noi chiamiamo ‘quarto giorno’.
Crombette lavorando sulla legge di Bode arriva ad ipotizzare l’esistenza di un enorme misterioso pianeta che egli chiama ‘astro nero’ che, lontanissimo dal Sole e quindi non brillante, contribuirebbe - se ho ben compreso - ad equilibrare il sistema solare.
A conferma della credibilità scientifica di quanto scritto da Crombette circa mezzo secolo fa, oggi – a distanza di tanti anni – molti scienziati stanno scandagliando con i moderni radiotelescopi le periferie estreme del sistema solare per scovarlo.
La teoria di Galileo Galilei concernente la Terra, che girerebbe intorno al sole che sarebbe fisso,  non sarebbe affatto una verità scientifica provata, come comunemente ancor oggi si crede.
I ripetuti esperimenti del Premio Nobel Michelson, non possono essere contraddetti e stanno lì a dimostrare che la terra non si sposta, al di là delle varie interpretazioni arbitrarie che la scienza ufficiale ha cercato di dare a questo esperimento pur di non smentire l’assioma che è la Terra che gira intorno al sole.
Noi abbiamo dedicato a questo tema solo lo spazio indispensabile a far comprendere certi concetti ma Crombette vi ha dedicato due interi volumi intitolandoli ‘Galileo aveva torto o ragione?’. Si tratta di un titolo recante una domanda puramente retorica poiché nei suoi libri egli afferma e dimostra che Galileo aveva senz’altro torto.
Io però sono stato in passato un ‘razionalista’, per di più agnostico, e vorrei contribuire a salvare la reputazione di Galileo (anche se ho letto che avesse un pessimo carattere) facendo presente che anche se non aveva ragione, non aveva nemmeno del tutto torto.
Infatti – in fin dei conti – la Terra ‘gira’ intorno al sole, anche se poi è il sole stesso che di fatto annulla il suo ‘girare’ facendola ‘retrogradare’, cioè ‘tirandosela dietro’ (come vi avevo fatto capire con quel mio bell’esempio che Bastian Contrario aveva poco apprezzato)  mentre a sua volta esso gira intorno al centro di gravità dell’universo rasente al quale la Terra è posizionata.
Vi ricordate?


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E poi ancora:

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Il ‘firmamento’ con stelle, pianeti e galassie ruoterebbe intorno all’asse gravitazionale dell’Universo al cui centro è posizionata la Terra e di conseguenza girerebbero intorno alla Terra.
La Terra non è quindi un ‘qualunque’ insignificante pianeta sperduto nelle periferie dello spazio, ma un piccolo bellissimo pianeta che ha occupato sin dall’inizio una grande posizione centrale rispetto all’universo, e ciò in funzione del futuro al quale essa era destinata: ospitare il Verbo di Dio che vi si sarebbe incarnato per esservi crocifisso ed espiare per l’Umanità peccatrice, consentendole l’accesso al Regno dei Cieli.
L’infinita serie di peccati compiuta dall’Umanità passata, presente e futura, sarebbe stata riscattata dal valore infinito del Sacrificio di un Dio.
Una Terra centrale, dunque, perché – nel progetto di Dio – era destinata ad essere Cristocentrica.
Una Terra centrale, infine, perché destinata ad accogliere l’uomo (quello di prima del Peccato originale) vertice perfetto della Creazione materiale, perché carne animale ma provvista di anima spirituale destinata a vivere in eterno alla presenza di Dio.
La Genesi apparirebbe come un racconto mitico perché – nei millenni e millenni – le verità originarie che essa esprimeva sarebbero state mal comprese dai suoi ‘traduttori’ dei millenni successivi.
Essi non solo non conoscevano bene la lingua originaria in cui il Mosè ispirato l’aveva scritta – il copto, che era l’egizio antico – ma non avevano neppure le sue cognizioni scientifiche per cui essi, non sapendo come tradurre quei concetti ‘scientifici’ che sembravano loro incomprensibili, finivano per tradurre a senso, ‘centrando’ il significato spirituale che anche noi conosciamo ma tradendo il particolare scientifico che era al di fuori della loro capacità di comprensione.
Non risulterebbe a questo punto infondata l’affermazione di tanti teologi cristiani che dicono che essa – laddove risulta incomprensibile e poco ‘scientifica’ – lo è perché è stata scritta secondo il modo di pensare e di esprimersi degli uomini di allora e con i loro procedimenti dialettici.
Crombette – anche se non è affatto detto che le sue traduzioni ebraico/copte siano ‘verità rivelata’ – sembra avvicinarsi al significato reale del testo originario, chiarisce i particolari e soprattutto lo rende ‘plausibile’ su di un piano logico-scientifico, rafforzando anzi la sostanza spirituale, togliendogli infine l’infamia della calunnia di essere un testo ‘mitologico’.
La Genesi – non è dunque, se ho capito bene quanto una volta avevo letto su un testo di critica biblica – un racconto ‘spiritualizzato’ di precedenti miti pagani  mesopotamici…

Alfredo Terino: 3 Nel mondo della cultura la tesi prevalente è che la Bibbia, essendo stata composta in Medio Oriente, riflette questa mentalità ed è uno dei tanti testi mitologici mesopotamici. Non si vede niente di soprannaturale nel racconto biblico, che può anche essere più bello degli altri racconti, ma in fondo appartiene alla stessa categoria delle altre opere mesopotamiche.
Contro la Bibbia c’è un triplice attacco, proveniente dalla scienza, dalla critica biblica e dalla mitologia.
Le ultime due sfide hanno un carattere letterario ed io mi sono concentrato su di esse.

Segretario: La ringrazio per questo chiarimento ma – visto che lei è evidentemente uno studioso della materia – come si spiegano allora queste strane somiglianze con i racconti mitologici?

Terino: Tra cosmogonia biblica e cosmogonia mitologica si hanno somiglianze che bisogna riconoscere. Il fatto induce a chiedersi se la Bibbia dipende dalla mitologia, o se è la mitologia a dipendere dalla Bibbia, oppure se c’è una terza alternativa.
La tesi che sostengo è che la mitologia rappresenta la distorsione dell’originario racconto della creazione, mentre nella Genesi è messa in forma scritta la tradizione più antica ed autentica di quell’evento.
In connessione con questa tesi, viene indicata una data di composizione risalente al tempo dell’esodo dall’Egitto, mentre la maggioranza degli autori sostiene una data di composizione molto più recente.

Segretario: Fra i racconti mitici mi aveva colpito quello di Ghilgamesh. Crombette è convinto che molti degli aspetti della Genesi siano stati ispirati a Mosè direttamente da Dio, il che non mi stupirebbe visto che Dio sul Sinai gli ha ispirato anche le famose Tavole della Legge. Comunque tutto ciò mi fa pensare che se Mosè ha raccolto anche una tradizione orale che era precedente ai racconti mesopotamici, questa tradizione doveva risalire ad una data ancora più remota.
Per logica essa non poteva discendere che da Adamo ed Eva i quali – pur avendo poi compiuto il Peccato originale – avevano già posseduto la Verità e la Scienza e dovevano quindi aver tramandato ai loro discendenti la storia dell’origine dell’universo, della formazione della Terra, dell’uomo stesso e in particolare la sua origine spirituale, nella speranza (mal riposta) che i discendenti non se ne dimenticassero.

Terino: I racconti mesopotamici sono soprattutto tre: il primo è ‘Enuma Elish’, il secondo è ‘Atrà-hasis’, e il terzo è ‘Adapa’. Nonostante somiglianze e corrispondenze, a volte impressionanti, fra il racconto biblico ed i miti mesopotamici esiste un netto contrasto sui valori di fondo e sulla visione di Dio.
La tesi evoluzionistica, in questo campo, dice che da racconti più confusi e disordinati si è passati poi ad un racconto più ordinato, cioè a quello biblico.
La mia tesi invece è che, dalla rivelazione che Dio ha fatto ad Adamo, si è poi passati a delle degenerazioni, a degli adattamenti che l’uomo ha fatto sulla base delle sue vedute, delle sue esigenze, della sua degradata esperienza quotidiana, piegando l’elevatezza del racconto di Dio alla sua condizione sempre più corrotta (Rm 1, 21-23).

Segretario: Il discorso sulle degenerazioni successive mi convince molto perché mi sembra coerente con quanto in precedenza avevo raccontato sulle rivelazioni fatte da Gesù alla mistica Maria Valtorta in relazione a come dovesse essere interpretato il Capo 6° di Genesi relativo al decadimento dell’Umanità che alla fine avrebbe spinto Dio a decretare il Diluvio universale.
Evidentemente Noè, l’unico sopravvissuto con la sua famiglia, era rimasto il depositario di questa tradizione che certamente aveva trasmesso a sua volta ai tre figli Cam, Sem e Jafet. Dopo la dispersione dei popoli a causa dell’evento della Torre di Babele, perso il contatto con Dio a causa del ritorno al paganesimo, la tradizione autentica venne conservata solo nella discendenza di Abramo. Gli altri popoli ne conservarono un ricordo confuso e anzi la adattarono alla loro mentalità: da una parte i miti mesopotamici pagani, dall’altra – nel popolo ebraico – la Verità correttamente conservata sulla quale si sarebbe poi innestata la dottrina di Gesù Cristo che avrebbe dato origine al Cristianesimo.
La ringraziamo comunque per i suoi chiarimenti che sono stati veramente opportuni, interessanti e che ci hanno consentito, anche se ormai quasi alla fine di questa sessione giornaliera, di inquadrare meglio tutto il discorso sulla Genesi.


1 Il sistema consistente è il limite stesso dell’universo

2 La questione preliminare contro la teoria di Einstein, pag. 11, Blanchard, Parigi, 1923

3 A. Terino: Intervista di Fernando de Angelis su Eco creazionista  A. Terino: Le origini - Bibbia e mitologia, Confronto fra Genesi e mitologia mesopotamica, Gribaudi Editore