(La Sacra Bibbia – Il Vangelo secondo Matteo e Luca – Ed. 1968)
(M.V.: ‘Preghiere’ : L’ora del Getsemani – Centro Editoriale Valtortiano)
14. Tu vedi. Hai beneficato e sei odiato. Vendicati, o Cristo, di tutti questi crudeli.
Colpiscili con un miracolo che li fulmini. Appari quale sei: Dio.
Non sai che amare. Odia. E regnerai…
Mt 26, 20-25:
Venuta la sera si mise a tavola con dodici discepoli.
Mentre mangiavano, disse: «In verità vi dico: uno di voi mi tradirà».
Ed essi, molto rattristati, presero a dirgli uno dopo l’altro: «Son forse io, Signore?».
Egli rispose: «Mi tradirà colui che ha messo con me la mano nel piatto. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo da cui il Figlio dell’uomo è tradito: sarebbe meglio per lui che non fosse mai nato!»
Giuda, il traditore, prese a dire:«Son forse io, Maestro?».
Gli rispose:«Tu l’hai detto».
Lc 22, 39-53:
Poi, uscito, andò secondo il solito al Monte degli Ulivi, seguito dai suoi discepoli. Giunti in quel luogo, disse loro: «Pregate per non cadere in tentazione». Or, allontanatosi da essi quanto un tiro di sasso e inginocchiatosi, pregava dicendo: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice, però non la mia, ma la tua volontà sia fatta!».
Gli apparve quindi un Angelo dal Cielo per confortarlo. Ed essendo in agonia, pregava ancor più intensamente e il suo sudore divenne come gocce di sangue che cadevano in terra. Poi, alzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò addormentati per la tristezza, e disse loro: «Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione».
Mentre parlava ancora giunse una turba, e colui che era chiamato Giuda, uno dei Dodici, li precedeva e si avvicinò a Gesù per baciarlo.
Gesù gli disse: «Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell’Uomo?».
Quelli che gli erano attorno, vedendo quanto stava succedendo, dissero: «Signore, dobbiamo colpire con la spada?».
Uno di loro colpì il servo del Sommo Sacerdote e gli portò via l’orecchio destro. Ma Gesù disse: «Lasciate, basta!». Poi, toccato l’orecchio di quell’uomo, lo guarì. Poi Gesù disse ai Gran Sacerdoti, agli ufficiali del Tempio e agli Anziani che erano andati contro di lui: «Siete venuti con lance e bastoni, come contro un brigante? Mentre ogni giorno io ero con voi nel Tempio, voi non avete messo le mani sopra di me; ma questa è l’ora vostra, il potere delle tenebre».
14.1 L’origine e la funzione del dolore nella Dottrina cristiana.
Vi avevo detto che nel discorso ai Gentili della giornata del Giovedì santo Gesù aveva spiegato loro che era arrivato il momento della sua ‘glorificazione’.
Vi avevo chiarito che questa dipendeva dal fatto che Egli avrebbe portato eroicamente a termine l’Opera di Redenzione, e che sarebbe risorto con il suo nuovo corpo glorificato per ascendere al Cielo.
Ma vi era ancora una terza ragione: dopo esser disceso agli Inferi Egli avrebbe liberato quelli che attendevano nel Limbo dei giusti e dei patriarchi e sarebbe tornato al Cielo alla testa di quel suo ‘primo’ popolo, conquistato con il Sangue della Redenzione, avanguardia del popolo di miliardi e miliardi di esseri umani che sempre grazie alla Redenzione si sarebbero salvati nei secoli futuri, il popolo di Dio.
Alla sera di quella giornata si sarebbe infine tenuta la famosa Ultima Cena.
Anche di questa ho già scritto a fondo parlando del significato della lavanda dei piedi fatta da Gesù ai suoi apostoli, dell’Istituzione dell’Eucarestia e di tante altre cose ancora.1
Qui mi preme però mettere a fuoco un episodio che all’epoca – concentrato com’ero nella meditazione sulle sofferenze della Crocifissione - avevo tralasciato di approfondire, e cioè l’episodio della sua ‘agonia’ morale e spirituale al Getsemani, dove il Gruppo apostolico si era recato dopo la Cena.
Mancava poco alla cattura e Giuda - mentre la cena stava per terminare – aveva lasciato con una scusa il Cenacolo per poter andare ad avvisare i Capi Giudei, con i quali si era in precedenza già accordato, del fatto che avrebbero potuto trovare Gesù al Getsemani, solo, senza alcun sostegno di popolo.
Giovanni – pur descrivendo la cattura di Gesù – non ritiene nel suo vangelo di accennare alla sua ‘agonia’ nel Getsemani, forse perché lo aveva già fatto Luca che aveva messo in evidenza la sua grande sofferenza, il suo trasudamento di sangue e l’intervento infine di un Angelo che soccorre Gesù per alleviarne la disperazione.
Gesù ‘disperato’, dunque? Ma non era per quello che era venuto in terra?
Sì, per quello, ma a scendere in terra era stato il Verbo, mentre a soffrire la Passione sarà l’Uomo, un uomo perfetto perché privo di macchia d’origine, ma pur sempre un uomo con tutte le sue debolezze, i suoi affetti umani e che per di più – perché fosse ancora più profonda la sua sofferenza redentrice – sentiva sempre più allontanarsi da sé il legame con il Padre al punto di sentirsi tutto e solo uomo, anzi uomo abbandonato da Dio.
Ecco perché in questa sensazione di abbandono egli – come racconta Matteo - chiede agli apostoli, ed in particolare a Pietro ed ai due fratelli Giovanni e Giacomo di Zebedeo, di stargli vicino e di sostenerlo con la loro orazione in quel suo momento di sofferenza e di preghiera.
‘Padre, se vuoi allontana da me questo calice, però non la mia volontà sia fatta ma la tua’.
Oramai anche voi, leggendo i miei libri e sentendo attraverso essi parlare il Gesù valtortiano vi sarete fatti una idea di Lui.
Ricordo alcuni suoi ragionamenti sparsi qui e là nei suoi vari colloqui giornalieri che Egli concedeva al suo ‘piccolo Giovanni’.
Egli diceva più o meno – riferendosi ai libri della Valtorta - che della sua divinità avrebbe fatto fede la sua parola, la quale aveva accenti che solo un Dio poteva avere, pur adattandosi al livello di comprensione in un essere umano.
Ecco perché anche Papa Pio XII, al quale era stata data l’Opera perché concedesse l’Imprimatur, che altri però della Gerarchia osteggiavano, aveva risposto ‘Pubblicate questa Opera così come sta, senza pronunciarvi dell’origine straordinaria o meno di essa: chi legge, capirà…’.
Non tutti avevano voluto capire, a dire il vero, se la prima reazione di coloro che la osteggiavano fu quella di farla mettere all’Indice, senza peraltro alcuna spiegazione di errori dottrinali od altro.
Ora l’Indice – forse perché sotto il suo nome erano state commesse chissà quante ingiustizie anche di medioevale memoria – è stato da vari anni soppresso dalla Chiesa e la pubblicazione e lettura dell’Opera è stata successivamente consentita, ma quella prima ‘condanna’ ha continuato a pesare – se pur contrastata da tanti autorevoli uomini di Chiesa che hanno invece esaltato l’Opera – se ancor oggi ho conosciuto sacerdoti che non hanno mai letto la Valtorta ma in compenso invitano ad essere diffidenti avendo letto da qualche parte che la sua Opera era stata messa all’Indice.
Povera Valtorta, anima vittima e perseguitata, perseguitata anche dopo morta perché anima-vittima, anche lei ‘piccolo Gesù’ che ha bevuto sino in fondo il suo piccolo calice, anche se ormai – a mezzo secolo di distanza - l’Opera è tradotta, letta e conosciuta in tutto il mondo, senza pubblicità e con passaparola silenzioso fra lettore e lettore.
E’ la sorte toccata del resto a tanti santi, ultimo e forse per noi moderni più celebre: Padre Pio.
Come ho scritto anche nella Prefazione di questo volume, nel corso dei secoli – soprattutto ad opera di certi teologi e a causa del tempo trascorso che ai ‘successivi’ ha fatto dimenticare la ‘memoria’ storica – la Divinità di Gesù e la sua Umanità sono state disgregate: resa piccola la sua figura divina, resa come irreale la sua umanità.
Gesù parla dunque alla mistica per fare all’Umanità dono della sua Opera affinché – in previsione dell’Epoca anticristiana che comporterà una sventura universale – l’Umanità possa riscoprire la sua duplice figura di Uomo e di Dio perché – riconoscendola – possa tornare ad amare il Redentore riuscendo così a salvarsi.
Non possiamo però capire il valore della Passione di Gesù se non comprendiamo prima - nella Dottrina cristiana – il valore del Dolore, della Prova e della Libertà.
Il dolore ha valore perché è con questo che si espia. Sarebbe ad esempio assurdo, per paradosso, se dovessimo ‘espiare’ con il ‘piacere’.
La prova ha invece valore perché – essendo Gesù libero come Uomo, poiché la libertà è quella che ci dà la dignità e ci dà anche meriti e demeriti – egli dimostrerà di saper superare non solo le resistenze morali ma soprattutto quelle tentazioni spirituali che il Demonio gli avrebbe prospettato fino all’ultimo momento anche sulla Croce.
La libertà è una facoltà di cui Dio ha dotato l’anima dell’uomo nell’istante creativo e che rimane nel suo Dna spirituale come un marchio indelebile, come quel senso dell’esistenza di Dio e quella legge naturale di cui vi ho già parlato e che tutti gli uomini di qualsiasi razza e latitudine posseggono.
Ecco perché non c’è popolo al mondo che non aspiri alla libertà.
L’uomo poi – in quanto libero – può aspirare sia al Male che al Bene.
Se non fosse libero anche in questa scelta si sentirebbe come uno schiavo, privo di dignità, infelice.
Da un punto di vista spirituale, è dunque con il dolore che l’uomo espia, ed è con la libertà che l’uomo può subire la prova attraverso la quale egli può decidere di perdersi o di salvarsi.
Quella della libertà e della prova è una ‘Legge’ alla quale non sono sfuggiti gli Angeli, e per una parte di essi fu l’Inferno.
Non sfuggirono Adamo ed Eva che – meno colpevoli dell’angelo potente e superlativamente intelligente che li tentò – scamparono all’inferno ma un piccolo ‘inferno’ dovettero poi passarlo sulla terra, fuori dal Paradiso terrestre fra i triboli e le spine di una natura diventata ostile, con le malattie, la morte e il dolore.
Non vi sfuggì Maria SS. che – pur senza Macchia d’origine e quindi perfetta come Eva appena creata – seppe mantenersi pura in un mondo di peccato e seppe offrire la sua Sofferenza a Dio in segno di obbedienza alla sua Volontà e di amore.
Non vi sfuggì neppure Gesù che era Verbo-Dio, non perché la ‘Legge della Prova’ fosse superiore allo stesso Dio, ma perché Egli – incarnandosi in un uomo – volle soffrire da uomo per insegnarci il valore redentivo del dolore avendolo sperimentato Egli per primo in maniera eccelsa come Uomo-Dio.
Ecco perché Satana è libero di tentare tutti: non solo perché Dio – pur punendolo – non lo privò del bene inestimabile della sua libertà che ormai gli aveva donato – ma perché lasciandolo libero di tentarci egli sarebbe stato inconsapevole strumento di prova e quindi strumento di possibile salvezza proprio di quello stesso uomo che egli avrebbe invece voluto dannato.
Che cosa è il Peccato? Sostanzialmente è una mancanza d’amore.
Dunque non poteva essere che il dolore il mezzo che – per contrappasso – avrebbe potuto fare espiare la mancanza di amore verso Dio.
Ecco il significato della Redenzione dell’Umanità da parte di Gesù attraverso il dolore: dolore di una vita terrena in cui il Verbo infinito, Dio, ha dovuto adattarsi alla dimensione finita e miserevole dell’uomo, dolore inoltre della Passione per espiare non i propri peccati ma quelli dell’Umanità passata, presente e futura.
Il merito di Gesù non fu però quello di aver subito il dolore in se stesso, ma il fatto di averlo accettato, anzi, di averlo voluto, per offrirlo al Padre in cambio della riapertura del Cielo all’Umanità decaduta.
Tanti uomini si domandano perché Dio, se è così buono, ha creato il dolore.
Dio non ha creato il dolore.
Questo è invece entrato nel mondo per un libero atto di volontà di un Uomo.
Era un uomo che non aveva l’attenuante che abbiamo noi uomini attuali che subiamo le conseguenze del Peccato originale da lui compiuto.
Il primo era un uomo ancora perfetto nella sua integrità fisica, nella sua bellezza straordinaria, nella sua intelligenza, nei suoi grandissimi doni spirituali e nella sua libertà.
Quell’uomo tradì il suo Creatore perché, in una sottile pervasione di ambizione e di orgoglio, appetì al frutto dell’Albero della Conoscenza del Bene e del Male per essere anch’egli Creatore, simile a Dio nella potenza.
Al primo uomo non bastò più essere re del mondo, della natura, di tutte le bestie alle quali la Genesi racconta che egli poteva imporre il nome, non bastò nemmeno più parlare spiritualmente con Dio ‘nei silenzi della sera’, e cioè nei momenti di intimità.
Quell’uomo divenne traditore ed usurpatore, e se non meritò la stessa condanna all’inferno toccata già precedentemente al suo Tentatore fu solo perché venne raggirato dalla sua enorme intelligenza angelica fatto che, se costituì causa di colpa, fu anche attenuante alla pena.
Per questo Dio – a conforto della sua disperazione – fece anche la promessa di una futura salvezza, e cioè la Redenzione, grazie a ben altra Donna che con il suo Calcagno avrebbe schiacciato la testa al Serpente.
Dio, che è Dio di Libertà, avrebbe saputo scrivere dritto sulle righe storte per cui, come Satana – sfruttando a suo favore la libertà dell’Uomo – lo fece decadere da ‘figlio di Dio’ per trasformarlo in ‘figlio suo’, così Dio – grazie a quella stessa libertà utilizzata da Satana per indurre l’Uomo al Peccato – avrebbe salvato l’uomo che avesse voluto dimostrare un poco di buona volontà.
Gesù non si sottrasse dunque – come Uomo-Dio – alla Legge del Dolore e della Prova perché voleva insegnarci ad essere come Lui, cioè suoi imitatori.
Espiando ci si purifica, e una volta purificati si può entrare in Paradiso.
Gesù volle insegnarci ad accettare il dolore delle prove della vita e ad offrirle a Dio in un atto di amore perché è l’offerta fatta con amore quella che trasforma il dolore subìto e lo rende ‘eroico’.
Il dolore è dunque il fulcro della Dottrina cristiana perché è con il dolore - accettato ed offerto quando non addirittura voluto, come nel caso di Gesù e delle anime che si fanno volontariamente vittime – che si può riparare agli errori degli altri.
E’ in questo tipo di dolore che si concretizza il miracolo dell’Amore, che è il Perdono che Dio concede ai peccatori grazie ai meriti dei fratelli di sangue ‘spirituale’, che hanno sofferto e…offerto.
E’ questo il concetto della Comunione dei Santi.
Ricordo una breve spiegazione che mi dette la Luce del mio ‘Subconscio creativo’ dopo una serie di sue ‘lezioni’ sul dolore: 2
Luce:
Facciamo una sintesi sul 'dolore':
. Il Dolore deriva dal Disordine provocato da Lucifero e dalla vostra acquiescenza allo stesso disordine.
. Neppure il Sacrificio di un Dio-Cristo ha potuto ristabilire l'ordine turbato.
. La 'Grazia' restituita dal Sacrificio ha 'restaurato', ma è rimasto il segno della Ferita, cioè i 'Fomiti', occasione di nuovo errore se non si è di buona volontà.
. Ma con il libero arbitrio gli eroi della 'carne' possono conquistare la santità, e con essa il Cielo, grazie ai doni rimasti anche dopo la Colpa: Intelletto, Coscienza e Legge che consentono di conoscere il Bene e il Male e decidere se seguire l'uno o l'altro.
Le 'voci' del Male essendo alla fine un 'Bene', se superate in 'Prova', perché, come ti dissi, Dio dal Male sa anche e comunque trarre il Bene per chi dimostri buona volontà.
Grazia e Volontà danno ordine spirituale, ma per essere veramente nella legge dello spirito bisogna avere Cristo in se stessi.
E ancora la ‘Luce’:3
Dio venne in terra per insegnare la Dottrina dell’Amore.
Perché dell'Amore? Perché Dio è Amore? Anche. Ma soprattutto perché in un mondo depravato, sconvolto dall'Odio, la dottrina dell‘Amore bisognava insegnare.
L'amore non era, non è, una cosa astratta. L'amore è la dottrina pratica di comportamento che disciplina i rapporti fra i fratelli, figli di Dio, e fra i figli e Dio, loro Padre.
Insegnare la dottrina dell'amore nel mondo che si odiava era Carità, e Dio è Carità.
E senza amore non si può neanche pretendere di andare in Cielo.
Questo voleva il Satana: che i figli non tornassero al Padre, orfani, che il Padre rimanesse 'orfano' dei figli.
E quale modo migliore che trascinarli - attraverso la superbia e l'orgoglio connessi al peccato primo - alla perdita della Grazia, cioè dell'amicizia con il Padre, e quindi a tutte le conseguenze che avrebbero condotto all'odio?
Ma poiché Dio, come ti dissero, scrive dritto anche sulle righe storte e sa volgere il Male in Bene, ecco la Dottrina dell'Amore - santificata dal Sacrificio sulla Croce, ché la 'croce', ricordalo sempre, santa e santificante è - che offre l'opportunità a quelli che vogliono sentirsi, che si sentono, 'figli di Dio' di tornare al Padre benedetto lasciando a quello maledetto i figli suoi.
Ognuno è arbitro di se stesso. Lo fu il primo essere angelico, poi diventato dèmone, lo sono gli uomini che con il loro libero arbitrio decidono la propria sorte, liberamente.
Ma a chi vuole, a chi vuole, Io non nego gli aiuti.
Non li nego all'uomo in genere che basta segua la legge naturale scritta nel suo cuore ed al quale, a tempo debito, il Paradiso non verrà negato.
Non li nego ai cristiani che - per i meriti della Croce, cioè della Passione di un Dio che ha consentito anche ai non cristiani la possibilità del ritorno al Cielo - possono tornarvi subito dopo la loro morte: se santi, dopo l'espiazione d'amore in Purgatorio: se non ancora.
Dio venne dunque in terra per insegnare la Dottrina dell'Amore perché i figli di Dio imparino sin dalla terra ad amare...
Perché è meglio penare sulla terra per imparare ad amare che penare in Purgatorio per non avere amato, perché le pene in terra sempre inferiori a quelle del Purgatorio sono.
14.2 L’Agonia del Getsemani e l’Angelo del Conforto. Sulle lacrime di Gesù fiorì il sorriso perché il sacrificio, pur restando tremendo, diviene sopportabile quando si sa che è utile.
Riferendomi sempre a questo tema del dolore, così importante per la dottrina cristiana, mi ero sempre chiesto cosa dovesse aver provato Gesù – nel Getsemani – per arrivare al punto di trasudare addirittura sangue.
Può sembrare una cosa strana questo fatto, eppure lessi una volta su un testo di medicina che studiava certi fenomeni della mistica che si trattava di un fenomeno conosciuto e scientificamente accertato, particolarmente in caso di stress violenti.
La risposta alla mia domanda me la diede però come al solito Maria Valtorta, non nel suo ‘Evangelo’, ma attraverso un ‘dettato’ del suo Gesù nel lontano luglio del 1944:4
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L'ora del Getsemani
6 luglio 1944.
Dice Gesù:
«Vedi, anima mia, che avevo molta ragione di dire: 'La conoscenza del mio tormento del Getsemani non sarebbe capita e diverrebbe scandalo"?
La gente non ammette il Demonio. Quelli che l'ammettono non ammettono che il Demonio abbia potuto vessare l'anima di Cristo sino al punto di far sudare sangue.
Ma tu, che hai avuto un briciolo di questa tentazione, puoi comprendere.
Parliamo dunque insieme.
Mi hai chiesto: "Quante sono le agonie del Getsemani che mi dai?”.
Oh! tante! Non per piacere di tormentarti. Unicamente per bontà di Maestro e Sposo. Non potrei su te, piccola sposa, abbattere tutto insieme il cumulo di desolazione che mi accasciò quella sera e che nessuno intuì, che nessuno comprese fuorché mia Madre e il mio Angelo. Ne morresti pazza. E allora ti dò adesso un briciolo, domani un altro, di modo da farti gustare tutto il mio cibo e di ottenere dal tuo soffrire il massimo di amore di compassione per il tuo dolente Sposo e di redenzione per i tuoi fratelli.
Ecco perché ti dò tante ore di Getsemani. Uniscile e, come il mosaicista unendo le tessere piano piano vede formarsi il quadro completo, tu, riunendo nel tuo pensiero il ricordo delle diverse ore, vedrai l'Agonia vera del tuo Signore.
Rifletti come ti amo. La prima volta ti ho dato soltanto la vista della mia smania fisica. E tu, soltanto per vedermi col Volto stravolto, andare e venire, alzare le braccia, torcermi le mani, piangere e abbattermi, ne hai avuta tanta pena che per poco non mi moristi.
Ti ho presentato quella tortura visibile più e più volte sinché l'hai conosciuta e l'hai potuta sopportare. Poi, volta per volta, ti ho svelato le mie tristezze. Le mie tristezze. Di uomo. Tutte le passioni dell'uomo si sono drizzate come serpi irritate, fischiando i loro diritti d'essere, ed Io le ho dovute strozzare una per una per esser libero di salire il mio Calvario.
Non tutte le passioni sono malvagie. Te l'ho già spiegato. Io dò a questo nome il senso filosofico, non quello che voi gli date scambiando il senso col sentimento. E le passioni buone il tuo Gesù-Uomo le aveva come tutti gli uomini giusti. Ma anche le passioni buone possono divenire nemiche in certe ore, quando con la loro voce fanno catena, e catena di durissimo, fortissimo, annodatissimo acciaio, per impedirci di compiere la volontà di Dio.
Amare la vita, dono di Dio, è dovere, tanto che chi si uccide è colpevole come e più di chi uccide, poiché colui che uccide manca alla carità di prossimo ma può avere l'attenuante di una provocazione che lo dissenna, mentre chi si uccide manca contro sé stesso e contro Dio, che gli ha dato la vita perché egli la viva sino al suo richiamo. Uccidersi è strapparsi di dosso il dono di Dio e gettarlo con urlo di maledizione sul Volto di Dio. Chi si uccide dispera di avere un Padre, un Amico, un Buono. Chi si uccide nega ogni dogma di fede e ogni asserzione di fede. Chi si uccide nega Dio. Dunque occorre aver cara la vita.
Ma come: cara? Facendosi schiavi di essa? No. Amica buona la vita. Amica dell'altra. Della Vita vera. Questa è la grande Vita. Quella è la piccola vita. Ma come un'ancella serve e procura cibo alla sua signora, così la piccola vita serve e nutre la grande Vita, la quale raggiunge l'età perfetta attraverso le cure che la piccola vita le dà.
E’ proprio questa piccola vita che vi procura la veste ornata da indossare quando divenite le signore del Regno di Vita.
E’ proprio questa piccola vita che vi fortifica col pane amaro, intriso di forte aceto, delle cose di ogni giorno, e vi fa adulti e perfetti per possedere la Vita che non termina.
Ecco perché occorre chiamare "cara" questa triste esistenza d'esilio e di dolore. E’ la banca in cui maturano i frutti delle ricchezze eterne.
E’ passabilmente buona? Lodarne il Signore. E’ cosparsa di pene? Dir "grazie" al Signore. E’ triste oltre misura? Non dir mai: "E’ troppo". Non dir mai: "Dio è cattivo".
L'ho detto mille volte: "Il male - e le tristezze che sono se non frutto del male? - il male non viene da Dio. E’ l'uomo il malvagio che fa soffrire".
L'ho detto mille volte: "Dio sa finché potete soffrire e, se vede che è troppo ciò che il prossimo vi procura, interviene non soltanto aumentando la vostra forza di sopportazione, ma con conforti celesti, e quando è l'ora con lo spezzare i malvagi, perché non è lecito torturare oltre misura il prossimo migliore".
La vita è cara per le oneste soddisfazioni che procura. Dio non le biasima. Il lavoro Egli l'ha messo. Per punizione, ma anche per svago all'uomo colpevole. Guai se aveste dovuto vivere nell'ozio. Da secoli la Terra sarebbe un enorme manicomio di furenti che si sbranerebbero l'un coll'altro. Lo fate già, perché ancor troppo oziate. L'onesta fatica rasserena e dà gioia e riposo sereno.
La vita è ancor più cara per gli affetti santi di cui si infiora. Dio non li biasima. Potrebbe Dio, che è Amore, biasimare un amore onesto? O gioia d'esser figli! e gioia d'esser padri! O gioia di trovare una compagna che genera figli al proprio nome e figli a Dio! O gioia di avere una dolce sorella, un buon fratello, e amici sinceri! No, che queste oneste dolcezze Dio non le biasima.
L'amore lo ha messo Lui, e non sulla Terra, come il lavoro, per punizione e svago del colpevole. Ma nel terrestre Paradiso per base alla grande gioia di esser figli di Dio.
"Non è bene che l'uomo sia solo" ha detto. Re del creato, l'uomo sarebbe stato in un deserto senza una compagna. Buoni gli animali tutti col loro re, ma troppo, sempre troppo inferiori al figlio di Dio. Buono, infinitamente buono Dio col suo figlio, ma sempre troppo superiore ad esso. L'uomo avrebbe patito la solitudine di essere ugualmente distante dal divino e dall'animale.
E Dio gli diede la compagna.
Non solo. Ma dal casto amore con la stessa gli avrebbe concesso i dolci figli, perché l'uomo e la donna potessero dire la parola più dolce dopo il Nome di Dio: 'Figlio mio!"; e i figli potessero dire la parola più santa dopo il Nome di Dio: "Mamma!".
Mamma! Chi dice "mamma" prega già.
Dire "mamma" vuol dire ringraziare Dio della sua Provvidenza, che dà una madre ai figli dell'uomo e fino ai piccoli figli delle fiere e dei domestici animali e dei volanti uccelli e fin dei muti pesci, perché l'uomo non conoscesse l'orrore di crescere solo e non cadesse per mancanza di sostegno quando ancora è troppo debole per conoscere il Bene e il Male.
Dire "mamma" vuol dire benedire Iddio che ci fa conoscere cosa sia l'amore attraverso il bacio di una madre e le parole delle sue labbra.
Dire "mamma" vuol dire conoscere Iddio che ci dà un riflesso del suo principale attributo, la Bontà, attraverso l'indulgenza di una madre. E conoscere Iddio vuol dire sperare, credere e amare. Vuol dire salvarsi.
Avere un fratello non è come avere, per una pianta, la pianta gemella che sostiene nelle ore di burrasca, intrecciando i rami, e che nelle ore di gioia aumenta la fioritura di essa col polline del suo amore?
Per questo ho voluto che i cristiani si chiamassero l'un l'altro “Fratelli”, perché è giusto, dato che venite tutti da un Dio e da un sangue d'uomo, e perché è santo, perché è confortevole per coloro che non hanno fratelli di carne poter dire al vicino: “Fratello, io ti amo. Amami”.
Avere un amico sincero non è come avere un compagno nel cammino?
Andare soli è troppo triste.
Quando Dio elegge alla solitudine di vittima un'anima, allora gli si fa compagno perché soli non si può stare senza flettere.
La vita è una strada scoscesa, sassosa, spesso interrotta da crepacci e correnti vorticose. Aspidi e spine lacerano e mordono sull'irto sentiero. Esser soli sarebbe perire. Dio ha creato l'amicizia per questo. In due cresce la forza e il coraggio. Anche un eroe ha attimi di debolezza. Se è solo dove si appoggia? Ai rovi? Dove si afferra? Agli aspidi? Dove si adagia? Nel torrente vorticoso o nell'orrido oscuro? Ovunque troverebbe nuova ferita e nuovo pericolo. Ma ecco l'amico. Il suo petto è appoggio, il suo braccio sostegno, il suo affetto riposo. E l'eroe riprende forza. Il camminatore cammina di nuovo sicuro.
Per valorizzare l'amicizia lo ho voluto chiamare "amici" i miei apostoli, e tanto ho apprezzato questo affetto che nell'ora del dolore ho voluto i tre più cari con Me nel Getsemani.
Li ho pregati di vegliare e pregare con Me, per Me... e di vederli incapaci di farlo ne ho tanto sofferto da uscirne indebolito, e perciò più suscettibile alle seduzioni sataniche. Una parola, avessi potuto scambiare una parola con degli amici desti e comprensivi del mio stato, non sarei giunto a svenarmi, prima della tortura, nella lotta per respingere Satana.
Ma vita e affezioni non devono divenire nemiche. Mai. Se tali divengono, occorre spezzarle.
Le ho spezzate. Una per una.
Avevo già spezzato l'umano fermento di sdegno verso il Traditore. E un nervo del mio Cuore s'era lacerato nello sforzo.
Ora ecco che sorgeva la paura di perdere la vita.
La vita! Avevo trentatré anni. Ero uomo in quell'ora. Ero l'Uomo. Avevo perciò l'amore vergine della vita come lo aveva Adamo nel Paradiso terrestre. Una gioia d'esser vivo, d'esser sano, d'esser forte, bello, intelligente, amato, rispettato. Una gioia di vedere, di intendere, di poter esprimere. Una gioia di respirare l'aria pura e profumata, di udire l'arpa del vento fra gli ulivi e del rio fra i sassi, e il flauto di un usignolo innamorato; di vedere splendere le stelle in cielo, tanti occhi di fuoco che guardavano Me con amore; di vedere farsi d'argento la terra per la luna così bianca e lucente che riverginizza ogni sera il mondo, e pare impossibile che sotto la sua onda di candida pace possa agire il Delitto.
E tutto questo lo dovevo perdere. Non più vedere, non più udire, non più muovermi, non più esser sano, non più esser rispettato. Divenire l'aborto marcioso che si scansa col piede torcendo il capo con disgusto, l'aborto espulso dalla società che mi condannava per esser libera di darsi ai suoi sozzi amori.
Gli amici!... Uno mi aveva tradito. E mentre Io attendevo la morte, egli si affrettava a portarmela. Credeva di darsi gioia con la mia morte... Gli altri dormivano. Eppure li amavo. Avrei potuto destarli, fuggire con loro, altrove, lontano, e salvare vita e amicizia. E invece dovevo tacere e restare. Restare voleva dire perdere amici e vita. Esser un reietto, voleva dire.
La Mamma! O amore della Mamma! Invocato amore curvo sul mio dolore! Respinto amore per non farti morire del mio dolore! Amore della mia Mamma!
Sì, lo so. Ogni mio singhiozzo ti giungeva, o Santa. Ogni mio chiamarti valicava lo spazio e penetrava come spirito nella chiusa stanza dove tu, come sempre, passavi la tua notte orando, e in quella notte orando non con estasi ma con tortura d'anima. Lo so. E mi interdivo di chiamarti per non farti giungere il lamento del tuo Figlio, o Madre martire che iniziavi la tua Passione, solitaria come Io solitario, nella notte del Giovedì pasquale!
Il figlio che muore fra le braccia di sua madre non muore: si addormenta cullato da una ninna-nanna di baci, che continuano gli angeli sino al momento che la visione di Dio smemora il figlio del desiderio di sua madre. Ma lo dovevo morire fra le braccia dei carnefici e di un patibolo, e chiudere vista e udito su schiamazzi di maledizione e gesti di minaccia.
Come ti ho amata, Madre, in quell'ora del Getsemani!
Tutto l'amore che ti avevo dato e che mi avevi dato in trentatré anni di vita erano davanti a Me e peroravano la loro causa e mi imploravano di aver pietà di essi, ricordando ogni bacio tuo, ogni tua cura, le stille di latte che mi avevi dato, il cavo tiepido delle tue mani per i miei piedini freddi d'infante povero, le canzoni della tua bocca, la leggerezza delle tue dita sui miei riccioli fitti, e il tuo sorriso e il tuo sguardo e le tue parole e i tuoi silenzi e il tuo passo di colomba che posa i piedi rosei al suolo ma tiene le ali già socchiuse al volo, e non piega stelo tanto il suo andare è leggero, poiché tu eri sulla Terra per mia gioia, o Madre, ma tu avevi l'ali sempre trepide di Cielo, o santa, santa, santa e innamorata!
Tutte le lacrime che già ti ero costato, e tutte quelle che ora cadevano dal tuo ciglio e quelle che sarebbero cadute nei tre giorni avvenire, ecco che le udivo cadere come pioggia di lamento. O lacrime di mia Mamma!
Ma chi può vedere piangere, udire piangere sua mamma e non avere poi, finché vita gli dura, lo strazio presente di quel pianto? Io ho dovuto sperdere, strozzare l'amore umano per te, Mamma, e calpestare il tuo e il mio amore per camminare sulla via della Volontà di Dio.
Ed ero solo. Solo! Solo! Terra e Cielo non avevano più abitanti per Me. Ero l'Uomo carico dei peccati del mondo. Odiato perciò da Dio. Dovevo pagare per redimermi ed essere di nuovo amato. Ero l'Uomo carico della Bontà del Cielo. Odiato perciò dagli uomini a cui la Bontà è ripugnante. Dovevo essere ucciso per punizione d'esser buono.
E anche voi, oneste gioie del lavoro compiuto per dare il pane quotidiano a Me stesso prima, per dare il pane spirituale poi agli uomini, mi siete venute avanti a dirmi: “Perché ci lasci?”.
Nostalgia della quieta casa fatta santa da tante orazioni di giusti, fatta Tempio per aver accolto gli sponsali di Dio, fatta Cielo per aver ospitato fra le sue mura la Trinità chiusa nell'anima del Cristo di Dio!
Nostalgia delle folle umili e schiette alle quali davo luci e grazie, e dalle quali mi veniva amore! Voci di bambini che mi chiamavano con un sorriso, voci di madri che mi chiamavano con un singhiozzo, voci di malati che mi chiamavano con. un gemito, voci di peccatori che mi chiamavano con un tremito! Tutte le udivo e mi dicevano:
“Perché ci abbandoni? Non ci vuoi più accarezzare? Chi ci darà carezze, sui ricci biondi o bruni, simili alle tue?”.
“Non vuoi più renderci le creature estinte, guarirci le morenti? Chi avrà pietà delle madri come Tu, Figlio santo?”.
“Non vuoi più sanarci? Chi ci guarirà se Tu scompari?”.
"Non vuoi più redimerci? Non ci sei che Tu che sei Redenzione. Ogni tua parola è forza che schianta una corda di peccato nel nostro buio cuore. Noi siamo più malati dei lebbrosi, perché per loro la malattia cessa con la morte, per noi si accresce. E Tu te ne vai? Chi ci capirà? Chi sarà giusto e pietoso? Chi ci rialzerà? Resta, Signore!".
“Resta! Resta! Rimani” urlava la folla buona.
“Figlio!” urlava mia Madre.
“Salvati” urlava la vita.
Ho dovuto spezzare queste gole che urlavano, strozzarle per non farle più urlare, per aver forza di spezzarmi il cuore, strappando uno per uno i suoi nervi per compiere la Volontà di Dio.
Ed ero solo. Cioè: ero con Satana.
La prima parte dell'orazione era stata penosa, ma ancora potevo sentire lo sguardo di Dio e sperare nell'amore degli amici.
La seconda fu più penosa perché Dio si ritirava e gli amici dormivano.
Riconfermavano il sibilo di Satana e la voce della vita: "Ti sacrifichi per nulla. Gli uomini non ti ameranno per il tuo sacrificio. Gli uomini non comprendono".
La terza... La terza fu la demenza, fu la disperazione, fu l'agonia, fu la morte. La morte dell'anima mia. Non è risorto soltanto il corpo mio. Anche la mia anima ha dovuto risorgere. Poiché conobbe la Morte.
Non vi paia eresia. Cosa è la morte dello spirito? La separazione eterna da Dio. Ebbene: lo ero separato da Dio. Il mio spirito era morto. E’ la vera ora di eternità che Io concedo ai miei prediletti. Quella che tu, piccola sposa, ti sei chiesta che fosse da quando ti hanno detto che tu hai sorte simile a Veronica Giuliani, che al termine della esistenza conobbe questo strazio superiore a tutti gli strazi sovrumani.
Noi conosciamo la morte dello spirito, senza averla meritata, per comprendere l'orrore della dannazione che è tormento dei peccatori impenitenti.
La conosciamo per ottenere di salvarli. Lo so. Il cuore si spezza. Lo so. La ragione vacilla. So tutto, anima diletta. L'ho provato prima di te. E’ l'orrore infernale. Siamo in balìa del Demonio poiché siamo separati da Dio.
Credi tu che Marta, che vinse il dragone, abbia tremato più di noi? No. La sofferenza è più grande in noi. La belva vinta da Marta era una spaventosa belva, ma sempre una belva della Terra. Noi vinciamo la Belva-Lucifero. Oh! non c'è confronto! E la Belva-Lucifero viene sempre più vicino quanto più tutto, in Cielo e in Terra, da noi si allontana.
Ero già stato tentato nel deserto. Una fola di tentazione, poiché allora avevo soltanto la debolezza del cibo materiale. Ora ero affamato di cibo spirituale e affamato di cibo morale, e non c'era pane per il mio spirito e pane per il mio cuore. Non più Dio per lo spirito mio. Non più affetti per il cuore mio.
Ecco, allora, esile come lama di vento, penetrante come pungiglione d'ape, irritante come veleno di colubro, la voce di Lucifero.
Un flauto che suona in sordina, così piano, così piano che non desta la nostra vigile attenzione. Penetra con la seduzione della sua magica armonia, ci fa sonnecchiare, sembra un conforto, ha aspetto di conforto soprannaturale.
Oh! Ingannatore eterno, come sei sottile! L'io non chiede che di essere aiutato. E pare che quel suono aiuti. Parole di compassione e di comprensione, dolci come carezze su una fronte febbrile, calmanti come unguento su una bruciatura, stordenti come vino generoso versato a chi è digiuno. L'anima stanca si addormenta.
Se non fosse più che vigile col suo subcosciente, il quale è vigile soltanto in coloro che nutrono sé stessi di costante unione all'Amore, finirebbe col cadere in un letargo che la darebbe in balìa totale di Satana, in un ipnotico sonno durante il quale Lucifero le farebbe compiere qualsiasi azione. Ma l'anima che ha nutrito sé stessa costantemente di Amore non perde l'integrità del suo subcosciente, neppure nelle ore che uomini e Dio pare si uniscano per fare di lei una demente. E il subcosciente sveglia l'anima. Le grida: "Agisci. Sorgi. Satana ti è alle spalle".
La lotta tremenda ha inizio. Il veleno è già in noi. Occorre perciò lottare coi suoi effetti e contro le ondate accelerate, sempre più veementi e accelerate, del nuovo veleno della parola satanica che si versa su noi.
Il frastuono cresce. Non è più suono di flauto in sordina, non è più carezza e unguento. E’ clangore di strumenti pieni, è percossa, è ferita di gladio, è fiamma che soffoca e arde.
E nella fiamma ecco la vita che passa davanti allo sguardo spirituale. Già c'era passata col suo rassegnato aspetto di cosa sacrificata. Ora torna con veste di prepotente regina e dice: "Adorami! Io son che regno! Questi sono i miei doni. I doni che ti ho dato e più belli ti darò se tu mi sarai fedele".
E nel suono degli strumenti tornano le voci delle cose e delle persone.
Non pregano più. Comandano, imprecano, insultano, maledicono, perché le abbandoniamo. Tutto torna per tormentarci. Tutto. E l'anima sbalordita lotta sempre più debolmente.
Quando vacilla come guerriero svenato e cerca un appoggio in Cielo o in Terra per non procombere, ecco che Lucifero le dà la sua spalla. Non c'è che lui... Si chiama al soccorso... Non risponde che lui... Si cerca uno sguardo di pietà... Non si trova che il suo...
Guai a illudersi sulla sua sincerità! Col resto di energia che sopravvive bisogna scostarsi da quell'appoggio, rientrare nella solitudine, chiudere gli occhi e contemplare l'orrore del nostro destino piuttosto che il suo subdolo aspetto, alzare le mani che tremano e stringerle sulle orecchie per fare ostacolo alla voce che inganna.
Cade ogni arma nel fare così. Non si è più che una povera cosa morente e sola. Non si riesce neppur più a pregare con la parola, perché l'acre del fiato di Satana ci strozza le fauci.
Solo il subcosciente prega. Prega. Prega. Come batter convulso di farfalla trafitta esso agita le sue ali nell'agonia, ed ogni colpo d'ala dice: "Credo, spero, amo. Credo ugualmente, spero ugualmente, ti amo ugualmente".
Non dice: "Dio". Non osa più pronunciare il suo Nome. Si sente troppo insozzato dalla vicinanza di Satana. Ma quel Nome lo tracciano le lacrime di sangue del cuore sulle ali angeliche dello spirito, che voi chiamate subcosciente mentre in realtà è il super cosciente e, ad ogni colpo d'ala quel Nome sfavilla come rubino percosso dal sole, e Dio lo vede, e le lacrime di pietà di Dio circondano di perle il rubino del vostro sangue che goccia in pianto eroico...
Oh! anime che salite a Dio con quel Nome scritto così in rubini e perle!... Fiori del mio Paradiso!
Satana mi diceva, poiché la voce entrava nonostante ogni mio riparo: "Tu vedi. Ancora non sei morto e già sei abbandonato. Tu vedi. Hai beneficato e sei odiato. Tu vedi. Lo stesso Dio non ti soccorre. Se non ti ama Dio, di cui sei Figlio, puoi mai sperare ti siano grati gli uomini del tuo sacrificio? Sai cosa occorre per loro? La Vendetta, non l'Amore come Tu credi. Vendicati, o Cristo, di tutti questi stolti, di tutti questi crudeli. Vendicati. Colpiscili con un miracolo che li fulmini. Appari quale sei: Dio. Il Dio terribile del Sinai. Il Dio terribile che mi ha fulminato e che ha cacciato Adamo dal Paradiso.
Fino ad ora hai detto parole di bontà. I tuoi rari rimproveri erano sempre troppo dolci per queste belve dalla pelle spessa più del cuoio dell'ippopotamo. Il tuo sguardo medicava le tue parole. Non sai che amare. Odia. E regnerai. L'odio tiene curve le schiene sotto la sua sferza e passa trionfante su queste schiene servili. Le schiaccia. E sono felici d'esserlo. Non sono che dei sadici, e la tortura è l'unica carezza che apprezzano e che ricordano.
E tardi? No, che non è tardi. Già gli armati vengono a questa volta? Non importa. Lo so che Tu ti appresti ad esser mite. Sei in errore. Una volta ti avevo insegnato a trionfare nella vita. Non hai voluto ascoltarmi e Tu vedi che sei un vinto. Ora ascoltami. Ora che ti insegno a trionfare della morte.
Sii Re e Dio. Non hai armi? Non milizie? Non ricchezze? Te l'ho detto già una volta che un resto di amore, quel poco che può essermi rimasto dal tesoro d'amore che era la mia vita angelica, è in me per Te che sei buono. Ti amo, mio Signore, e ti voglio servire.
Sei il Redentore degli uomini. Perché non vuoi esserlo del tuo angelo decaduto? Ero il tuo prediletto perché ero il più luminoso e Tu sei la Luce. Ora sono la Tenebra. Ma le lacrime del mio tormento hanno empito l'Inferno di liquido fuoco tanto sono numerose. Lascia che io mi redima. Un poco soltanto. Che da demone divenga uomo. L'uomo è sempre tanto inferiore agli angeli. Ma quanto è superiore a me, demonio!
Fa' che io divenga uomo. Dammi una vita d'uomo tribolata, torturata, angosciosa quanto ti pare. Sarà sempre un paradiso rispetto al mio tormento demonico. E potrò viverla in modo da meritare di espiare per dei millenni e giungere infine di nuovo alla Luce: a Te.
Lascia che io ti serva in cambio di questo che ti chiedo. Nessun'arma vince le mie. Nessun esercito è più numeroso del mio. Le ricchezze di cui dispongo non hanno misura, perché ti farò re del mondo se Tu accetti il mio aiuto, e tutti i ricchi saranno gli schiavi tuoi. Guarda: i tuoi angeli, gli angeli del Padre tuo sono assenti. Ma i miei sono pronti a vestirsi di angelici aspetti per farti corona e stupire la plebe ignorante e malvagia.
Non sai dire parole di imperio? Io te le suggerirò. Sono qui per questo. Tuona e minaccia. Ascoltami. Di' parole di menzogna. Ma trionfa. Di' parole di maledizione. Di' che te le suggerisce il Padre.
Vuoi che simuli la voce dell'Eterno? Lo farò. Tutto posso fare. Sono il Re del mondo e dell'Inferno. Tu non sei che il Re del Cielo. lo sono più grande perciò di Te. Ma metto tutto ai tuoi piedi se Tu lo vuoi.
La Volontà del Padre tuo? Ma come puoi pensare che Egli voglia la morte del suo Figlio? Pensi che possa illudersi sull'utilità della stessa? Tu fai torto all'Intelligenza di Dio.
Già hai redento coloro che sono suscettibili di redenzione con la tua santa Parola. Non occorre di più. Credi che chi non muta per la Parola non muta per il tuo Sacrificio. Credi che il Padre ti ha voluto provare. Ma gli basta la tua ubbidienza. Non vuole di più.
Quanto lo servirai di più vivendo! Puoi percorrere il mondo. Evangelizzare. Guarire. Elevare. O sorte felice! La Terra abitata da Dio! Ecco la vera redenzione. Rifare della Terra il Paradiso terrestre dove l'uomo torna a vivere in santa amicizia con Dio e ne ode la voce e ne vede l'aspetto. Più ancora felice della sorte dei due Primi. Poiché vedrebbero Te: vero Dio, vero Uomo.
La Morte! La tua Morte! Lo strazio di tua Madre! Lo scherno del mondo! Perché? Vuoi essere fedele a Dio? Perché? Ti è fedele Lui? No. Dove sono i suoi angeli? Dove è il suo sorriso? Cosa hai per anima, adesso? Un cencio lacero, afflosciato, abbandonato.
Deciditi. Dimmi: 'Si'.
Senti? Escono dal Tempio i sicari. Deciditi. Liberati. Sii degno della tua Natura.
Tu sei un sacrilego, perché permetti che mani sozze di sangue e libidine tocchino Te: Santo dei santi. Sei il primo sacrilego del mondo. Dai la Parola di Dio in mano ai porci, in bocca ai porci.
Deciditi. Sai che morte ti attende. Io ti offro la vita, la gioia. La Madre ti riporto.
Povera Madre! Non ha che Te! Guardala come agonizza... e Tu ti appresti a farla agonizzare più ancora. Che figlio sei? Che rispetto porti alla Legge? Non rispetti Dio-Te. Non rispetti la Genitrice. Tua Madre... Tua Madre... Tua Madre ...”
Ho risposto... Maria, ho risposto radunando le forze, bevendo pianto e sangue che colavano dagli occhi e dai pori, ho risposto:
"Non ho più madre. Non ho più vita. Non ho più divinità. Non ho più missione. Nulla ho più. Fuorché fare la Volontà del Signore mio Dio. Va' indietro, Satana! L'ho detto la prima e la seconda volta. Lo ridico per la terza: 'Padre, se è possibile passi da Me questo calice. Ma però non la mia, la tua Volontà sia fatta'. Va' indietro, Satana. Io son di Dio'.
Maria, ho risposto così... E il Cuore si è franto nello sforzo. Il sudore è divenuto non più stille, ma rivoli di sangue. Non importa. Ho vinto.
lo ho vinto la Morte. Io. Non Satana. La Morte si vince accettando la morte.
Ti avevo promesso un grande regalo. Come a pochi l'ho concesso. Te l'ho dato.
Hai conosciuto l'estrema tentazione del tuo Gesù. Te l'avevo già svelata. Ma eri ancora immatura per conoscerla in pieno. Ora lo puoi fare.
Vedi che ho ragione di dire che non sarebbe compresa e ammessa da quei piccoli cristiani che sono larve di cristiani e non cristiani formati?
Va' in pace, ché Io sono con te ».
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Nessun commento si può fare ad un brano di questo genere, se non quello per cui, l’aver letto quello che ha sofferto e pensato Gesù in quella sera del Gestsemani, è un privilegio ed un dono che Gesù stesso ha fatto non solo alla sua piccola mistica ma anche a tutti noi che leggiamo.
C’è solo un particolare che il Gesù di quest’ultimo ‘Dettato’, qui, non menziona, ed è il ruolo di quell’Angelo del Getsemani di cui Luca racconta che gli apparve per dargli conforto.
Mi ricordo che avevo potuto trovare qui e là ‘pezzetti’ di spiegazione nel contesto di alcuni altri brani dettati da Gesù alla sua mistica.
Mi sembra di ricordare che l’Angelo del Getsemani fosse apparso a Gesù proprio dopo l’essudazione di sangue descritta con quelle parole con cui Egli termina il suo racconto: ‘Maria, ho risposto così... E il Cuore si è franto nello sforzo. Il sudore è divenuto non più stille, ma rivoli di sangue. Non importa. Ho vinto’.
Mentre gli apostoli Pietro, ed i due fratelli Giovanni e Giacomo di Zebedeo, dormivano saporitamente - e Gesù sudava sangue - la Valtorta vedeva Gesù prostrato in preghiera, affranto, quando un alone di leggera luminosità appare sopra di lui.
La sua Voce interiore le fa capire che quello era l’Angelo del Conforto che appariva allo spirito di Gesù.
L’Angelo del Conforto non era previsto nel Piano di Dio, ma l’Uomo- Gesù lo aveva ottenuto grazie alla preghiera fervida e disperata di Maria SS. che – consapevole per illuminazione divina della Passione imminente e delle sofferenze del Figlio – era rimasta nella sua cameretta al Cenacolo a pregare il Padre per tutta la notte.
Dio – altro esempio della Comunione dei Santi – può modificare i suoi decreti grazie alle preghiere dei ‘buoni’ e – nel caso specifico – del dolore di una Madre che, fin da quando era fanciulla, aveva accettato senza riserve la sua missione di ‘corredenzione’.
Satana, sconfitto, aveva ormai rinunciato ad incalzare oltre Gesù che tuttavia, anche se non aveva voluto cedere, era rimasto però nella disperazione.
Ecco allora l’Angelo del Conforto che appare al suo occhio spirituale e gli enumera soprannaturalmente i nomi di tutti coloro che nei secoli futuri lo avrebbero amato, anche totalmente, fino a dividere con lui – per amore di compartecipazione – le sue torture, e lo illumina di tutto il bene futuro che la sua Morte avrebbe portato, opposta a tutto il male che la sua morte non avrebbe vinto.
Quello dell’Angelo fu dunque un calice per mitigare l’amarezza del calice paterno.
Sulle lacrime di Gesù fiorì allora il sorriso perché il sacrificio, pur restando tremendo, diviene sopportabile quando si sa che è utile.
1 G.L.: “Il Vangelo del ‘grande’ e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. III, Capp. 6 e 7 – Ed. Segno, 2001
2 G.L.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 105 – Ed. Segno, 1997
3 G.L.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ - Cap. 110 – Ed. Segno, 1997
4 M.V.: ‘Preghiere’: ‘L’ora del Getsemani’ – Dettato del 6 luglio 1944 – Centro Edit. Valtortiano