(La Sacra Bibbia: ‘Il Vangelo di San Luca’ – Edizioni Paoline, 1968
(M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. VI, Cap. 414 – Centro Ed. Valtortiano)
7. Ma il giudizio di Dio è voce che resta e non è soggetto a dimenticanza…
Lc 11, 37-54:
Al termine del suo dire un Fariseo lo invitò a pranzo da lui.
Entrato in casa, Gesù si mise a tavola. Il Fariseo osservò con meraviglia, che egli non aveva fatto le abluzioni prima del pranzo.
Ma il Signore gli disse: «Dunque voi, Farisei, purificate l’esterno della coppa e del piatto, ma il vostro interno è pieno di rapina e di iniquità. Insensati! Colui che ha fatto l’esterno, non ha fatto anche l’interno? Piuttosto, date il contenuto in elemosina, ed ecco che tutto sarà puro per voi.
Ma guai a voi, Farisei, che pagate la decima della menta, della ruta e di tutti i legumi, mentre trascurate la giustizia e l’amore di Dio! Tutto questo bisognava praticare, senza però trascurare il resto.
Guai a voi, Farisei, perché amate i seggi d’onore nelle sinagoghe e d’essere salutati sulle pubbliche piazze!
Guai a voi, perché voi siete come i sepolcri che non si vedono, e sui quali si cammina senza saperlo!».
Allora un dottore della legge gli rivolse la parola protestando: «Maestro, parlando così offendi anche noi!».
Ed egli rispose: « Guai anche a voi, dottori della legge! Perché imponete agli uomini dei pesi insopportabili, mentre voi non li toccate neppure con un dito.
Guai a voi che innalzate sepolcri ai profeti, mentre i vostri padri li hanno uccisi! Voi, così, siete testimoni e approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite i sepolcri. Per questo, appunto, la Sapienza di Dio ha detto: ‘Io manderò loro profeti e apostoli: uccideranno gli uni e perseguiteranno gli altri, affinché sia chiesto conto a questa generazione del sangue di tutti i profeti versato fin dalla creazione del mondo, dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria, ucciso fra l’altare e il Tempio!».
Sì, io ve lo dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione!
Guai a voi dottori della legge! Perché avete preso la chiave della scienza, ma non siete entrati voi e lo avete impedito a quelli che volevano entrare!».
Quando fu uscito di lì, gli Scribi e i Farisei incominciarono ad essergli fieramente avversi e cercavano di farlo parlare su molte questioni, tendendogli insidie, per sorprendere qualche parola della sua bocca.
7.1 Il pregiudizio antiebraico
Dalla lettura dei Vangeli, ed in particolare dal resoconto del processo a Gesù e della sua condanna a morte, emerge l’immagine di una classe di governo ebraica che – facendosi appoggiare in piazza, come accade anche oggi a tanti politici estremisti, da una nutrita massa di facinorosi – rifiuta la liberazione del Figlio di Dio, al quale preferisce il criminale Barabba, ed anzi ne invoca la condanna a morte.
Niente lascia pensare che il resoconto degli evangelisti sia un falso storico e che l’accusa ai giudei di allora sia stata una sorta di vendetta postuma degli evangelisti contro le persecuzioni che i primi cristiani dovettero subire proprio dagli stessi ebrei. Oltretutto studi recenti hanno appurato che i vangeli dei tre sinottici sono stati scritti pochi anni dopo Gesù.
Molti dei primi cristiani di allora, e per di più molti ebrei, erano dunque stati testimoni oculari delle vicende narrate nei vangeli che quindi non potevano mentire salvo essere clamorosamente sconfessate.
Facciamo dunque ora qualche riflessione su quello che viene definito dalla Stampa come il ‘pregiudizio antisemita’, che sarebbe invece meglio chiamare più propriamente ‘antiebraico’.
Da parte ebraica talvolta vengono presentate sugli organi di informazione linee di pensiero che vorrebbero contestare le affermazioni dei Vangeli che addosserebbero ‘agli ebrei’ la responsabilità della morte di Gesù. Si sostiene che gli ebrei di allora non uccisero in realtà nessuno perché a farlo furono semmai i romani, attraverso la condanna di Ponzio Pilato.
Mi sembra sterile che qualcuno, da una parte o dall’altra, ‘polemizzi’ o strumentalizzi oggi quella vicenda come se le colpe degli ebrei di allora fossero anche quelle degli ebrei di adesso. Non è così.
Stiamo parlando di episodi avvenuti duemila anni fa e sarebbe per esempio assurdo che qualcuno condannasse oggi noi italiani ritenendoci ‘responsabili’ delle conquiste e delle nazioni ridotte in schiavitù dalla potenza romana dei Cesari.
Ma dall’opera di Maria Valtorta, e cioè dalle visioni di una mistica anima vittima e non di un agitatore politico antiebraico, emerge uno ‘spaccato’ molto particolare.
Israele era una provincia romana retta amministrativamente dagli ebrei ma controllata militarmente dal potere superiore di Roma.
A Gerusalemme comandava il Sinedrio, ma sopra il Sinedrio – per quanto concerne il diritto di vita e di morte – vi era Roma, cioè il Procuratore romano Ponzio Pilato.
Il Sinedrio poteva solo ‘richiedere’ una condanna a morte, ma era poi nella facoltà del Procuratore concederla o meno.
Dall’opera valtortiana e dagli stessi Vangeli emerge infatti che Gesù fu condannato da Roma, ma su istigazione del Sinedrio.
Le ‘motivazioni’ della richiesta diventano a questo punto fondamentali.
L’accusa principale dei sinedristi a Gesù, accusa che per essi era vera bestemmia, fu il suo essersi dichiarato ‘Figlio di Dio’, figliolanza oltretutto inconcepibile per il concetto spirituale di Dio che gli ebrei avevano.
Di fronte a Pilato, tuttavia, l’accusa che essi gli presentarono fu quella di essersi Egli dichiarato ‘Messia’, e più precisamente ‘Re di Israele’, quindi un personaggio politico con potenziali velleità di sedizione che certo Roma non avrebbe apprezzato.
Ponzio Pilato era un militare, ma anche un politico. Marito di Claudia, della potente famiglia romana dei Claudii, contava di fare carriera e di poter ambire in futuro al governo di province ben più importanti e ‘civilizzate’ di quella oscura Giudea, considerata una ‘periferia’ dell’Impero.
Il Senato romano e lo stesso Imperatore giudicavano tuttavia l’efficienza dei loro governatori dalla loro capacità di tenere ‘buone’ le province conquistate.
Un governatore doveva quindi da un lato lavorare di diplomazia, ma dall’altro – quando lo avesse reputato necessario – usare il pugno di ferro e stroncare sul nascere qualsiasi velleità di indipendenza.
Era questa la situazione nel momento del processo a Gesù, con un popolo che mal sopportava il dominio di Roma.
Pilato – che era un pagano – era molto scettico e anche menefreghista delle questioni religiose ebraiche, che egli vedeva come delle beghe incomprensibili, ma non era insensibile all’accusa che avrebbe potuto essergli rivolta di aver graziato un ‘nemico’ politico di Roma.
Erode Antipa, ebreo e tetrarca della Galilea, anch’egli ben ‘ammanigliato’ con Roma avrebbe ad esempio potuto nuocere alla sua carriera, come pure molti personaggi del Sinedrio, sadducei e farisei, che di fatto erano in Israele ‘collaborazionisti’ di Roma dalla quale avevano poi avuto l’autorizzazione a gestire il potere a Gerusalemme.
Ecco dunque che Pilato, come si vede dai Vangeli, cerca in un primo tempo di salvare Gesù, affermando davanti alla canea dei persecutori che egli non vedeva colpe in lui, ma poi – quando capisce che quelli non vogliono sentir ragioni – si arrende alla piazza.
In fin dei conti per lui – romano – si trattava della condanna a morte di un ebreo voluta dai suoi stessi connazionali, non valeva la pena di farne un ‘casus belli’ e doverne poi pagare politicamente le conseguenze.
Quindi, Pilato si arrende – nonostante la moglie gli avesse mandato in corso di processo un biglietto per invitarlo ad essere ‘prudente’ con Gesù – ma in un soprassalto di dignità per una condanna che egli riteneva ingiusta, si lava ostentatamente le mani di fronte alla folla urlante, scandendo che lui vuole averle nette dal sangue di quel ‘giusto’.
Atto davanti al quale la marmaglia assatanata conferma la richiesta di morte gridandogli, come scrive l’evangelista Matteo: «Il sangue suo cada su di noi e sui nostri figli!».
Non vi è dubbio di come la massa – nel momento in cui perde la sua identità individuale e diventa branco – sappia esprimere livelli di estrema brutalità, e questo è la storia ad insegnarcelo.
Ma non vi è a mio avviso neppure dubbio che i resoconti dei vangeli possano aver pesato come macigni sulla coscienza collettiva dei futuri cristiani che – quando il Cristianesimo, grazie all’Imperatore Costantino, divenne religione ufficiale dell’Impero romano nel quarto secolo d.C. - se la devono essere legata al dito dando origine nelle masse cristiane ad un ‘pregiudizio antiebraico’ che – tramandato nei secoli - è duro a morire anche ai nostri giorni persino in quei cristiani che di cristiano non hanno ormai altro che lo stato anagrafico del battezzato.
Questo pregiudizio è poi stato sfruttato cinicamente, su di un piano politico, non solo in persecuzioni antiebraiche dei secoli scorsi ma anche in occasione dell’Olocausto della seconda guerra mondiale del novecento.
Se il Papa Giovanni Paolo II ha ritenuto di dover andare a chiedere scusa agli ebrei presso il ‘Muro del pianto’ di Gerusalemme per gli errori commessi dai cristiani, qualche buona ragione l’avrà pure avuta.
Può però la condanna di un Uomo - che per i cristiani è anche Dio -spiegare la tragedia ormai bimillenaria della diaspora ebraica e di episodi agghiaccianti come i sei milioni di ebrei periti o gassificati nell’Olocausto dell’ultima guerra mondiale?
Può un Dio, che si considera ‘buono’ e ‘giusto’ condannare non solo il ‘popolo’ di allora, ma anche i discendenti futuri ad una sorte così triste ed ingiusta, non avendo - i successivi - alcuna colpa?
I figli non sono responsabili – si dice – delle colpe dei padri, ma è indubbio che molte volte le colpe dei padri ricadono sui figli.
E’ quello che successe ad Israele, dopo che Gesù – poco prima della sua cattura, uscito dal magnifico Tempio e voltatosi a guardarlo – ne predisse agli apostoli la futura distruzione.
La popolazione di Gerusalemme qualche anno dopo, nel 66 d.C., si ribellò a Roma sotto la guida di un capopopolo che si accreditava o si spacciava come il Messia tanto atteso, il liberatore dalla ‘schiavitù’ non del Demonio ma di Roma.
Il cosiddetto ‘Messia’ era sostenuto da quella stessa gerarchia sacerdotale e politica che aveva invece negato a Gesù la sua messianicità.
La città venne circondata a sorpresa dalle legioni romane mentre era affollata fino all’inverosimile di pellegrini pervenuti dalla diaspora in occasione di una Pasqua.
L’assedio e la guerra – come racconta lo storico di allora Giuseppe Flavio – durarono anni e furono contrassegnati da ferocie inaudite.
I romani catturavano e impalavano sotto le mura – a centinaia – gli abitanti che cercavano di fuggire dalla città affamata e percorsa dalle epidemie.
Alla fine di una strenua ed eroica difesa Gerusalemme – nel 70 d.C. – capitolerà.
I morti – racconta Giuseppe Flavio nelle ‘Guerre giudaiche’ - saranno oltre un milione, i sopravvissuti solo centomila.
Gerusalemme sarà rasa al suolo con le sue mura ciclopiche, il Tempio verrà distrutto, la classe sacerdotale verrà eliminata fisicamente con il Tempio e la popolazione riceverà un decreto che ne imporrà l’espulsione per sempre dalla ‘Terra promessa’ che a quel punto verrà ‘occupata’ dalle altre popolazioni contigue.
Fu una tragedia di immani proporzioni, che non deve stupirci dopo aver visto – come già detto sopra – quanto è successo agli ebrei nel secolo scorso con i sei milioni di morti della Shoah nei campi di concentramento e nei forni crematori.
Non si può non restare pensosi sulla tragedia di questo popolo, rimasto ramingo per duemila anni fino alla recente costituzione dello Stato di Israele da parte delle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale, a parziale compensazione delle sofferenze subite a causa dell’Olocausto.
La Nazione ebraica – come per una qualche forma misteriosa di Nemesi storica – pare quasi aver subito su di sé, in quanto ‘Nazione’, le conseguenze di quel grido davanti a Pilato: ‘Il suo sangue cada pure su di noi e i nostri figli!’.
E’ appena dei giorni scorsi (sto scrivendo nel novembre del 2003) la notizia di un sondaggio fra i cittadini europei, commissionato dalla Commissione europea, che ha destato grande scalpore in tutto il mondo per i suoi risultati.
Da esso emergerebbe che la maggioranza, circa un sessanta per cento, ritiene in questo momento Israele come il maggior pericolo per la pace mondiale.
L’esito del sondaggio è stato considerato dal governo israeliano e dalle comunità ebraiche, ma anche da osservatori ‘neutrali’, fuorviato da una non corretta formulazione delle domande poste, ciò non toglie comunque che sia stato anche considerato come l’indicatore di una certa ostilità verso gli ebrei dovuta anche ad una insufficiente opera di informazione ed ‘educazione’ dei cittadini da parte dei Governi europei.
E’ noto peraltro che da anni, ormai, i telegiornali si aprano sovente con notizie tremende che vengono da Israele sulla lotta fra israeliani e palestinesi, i quali ultimi vorrebbero ricacciare a mare gli ebrei che essi ritengono usurpatori della loro patria.
Gli ebrei – che per contro dopo duemila anni si sono finalmente ripresi la ‘loro’ patria – non hanno ovviamente alcuna intenzione ora di andarsene, se non morti.
Da un lato terroristi suicidi palestinesi che perpetrano stragi agghiaccianti fra la popolazione civile, dall’altra carri armati israeliani ed aerei che sparano cannonate e missili senza guardare molto in faccia a nessuno, e poi ancora gente da una parte e dall’altra che piange i suoi morti e grida vendetta.
Pochi – viene fatto osservare – conoscono la storia ebraica, e l’immagine televisiva molte volte deforma la realtà. La potenza militare di Israele, rispetto alla mancanza di mezzi dei palestinesi, lo farebbe apparire come un potente usurpatore su di un popolo inerme costretto ad usare i sassi nella Intifada.
Non vi è dubbio che il messaggio dei ‘mass media’ – a seconda anche delle opinioni e degli orientamenti politici per non dire dei pregiudizi di cui abbiamo parlato – possa essere percepito ‘sic et simpliciter’ da una parte cospicua della popolazione europea come quello di uno strapotere tecnologico e militare del popolo ebraico che ‘conculca’ i diritti legittimi del popolo palestinese spodestato dalla sua terra.
E’ un problema che – almeno nel medio termine - si presenta come apparentemente irrisolvibile e che per giunta, attraverso il gioco delle ‘alleanze’ politico-militari a favore di un popolo o dell’altro, rischia di degenerare all’improvviso in un conflitto non più locale ma mondiale.
Ero impegnato in riflessioni del genere anche qualche anno fa mentre stavo leggendo un brano di un’altra opera di Maria Valtorta.1
La mistica parlava – anzi a parlare, in quel libro, non era lei ma lo Spirito Santo che le commentava per noi l’Epistola di San Paolo - della giustizia e della bontà di Dio .
Mi ero domandato allora in particolare se fosse stata giusta, per un ‘Dio’ che viene definito per antonomasia ‘buono’, la sorte toccata dopo la Colpa del Peccato originale ai discendenti di Adamo ed Eva e – per associazione di idee - quella toccata ai discendenti dell’antico popolo ebraico.
E fu allora che la mia ‘Luce’…2
Luce:
Il peccato e la condanna di Israele.
Ti capiterà più volte di parlare del peccato di Israele e della sua condanna, a molti non parendo giusta quella dei discendenti.
Ma, come ingiusta pare quella dei discendenti di Adamo ma 'giusta' fu (perché pur incolpevoli essi ne portarono le conseguenze, per cui non colpa d'origine fu ma piuttosto conseguenza della Colpa, conseguenza provocata dai 'Primi': come le malattie ereditarie dei figli sono conseguenza della trasmissione dei 'geni' da parte dei genitori) così fu per Israele.
La Nazione, politicamente, paga le conseguenze morali, rispetto al resto dell'Umanità, provocate dalla colpa dei padri politici: responsabili di deicidio.
Infatti i 'padri', che padri non furono, non vollero riconoscere il Cristo.
Essi, i capi (ché sacerdoti, farisei, scribi erano i 'capi' politici di una nazione organizzata su base religiosa) si erano per primi allontanati - nei secoli - dalla Legge di Dio, ed il popolo li aveva seguiti, non praticando la legge mosaica che - per una nazione del genere, preparata per secoli e secoli al ruolo di popolo 'eletto' da Dio - era molto più di una 'legge' : era la Legge di Dio.
Non praticandola essi sapevano di respingere non legge d'uomo ma Legge di Dio.
Essi ne praticavano solo l'esteriorità, cioè quel tanto che bastava ad apparire santi per mantenersi degni del ‘Potere’.
Orgoglio, superbia ed avarizia spirituale, dalla quale ultima deriva quella naturale, furono dunque non solo la 'causa' del deicidio ma, prima ancora, la conseguenza e causa nello stesso tempo del loro progressivo precedente allontanamento da Dio.
E allora, quando venne il Cristo, non poterono riconoscerlo, nonostante conoscessero le Scritture, perché non più illuminati dallo Spirito che non era più in loro.
Orgoglio e superbia postulavano per loro senso del potere, innanzitutto politico, e quindi avevano finito per aspettarsi un Messia di guerra, un Messia d'odio, l'odio che avevano nei cuori per tutti i popoli che li avevano sottomessi.
E quando sentirono di un Messia, e poi lo videro, che parlava non d'odio, non di 'potere' ma di amore, essi lo ripudiarono perché professava una dottrina che era estranea al loro cuore e che essi quindi ripudiavano, l’Amore predicato essendo anche l'antitesi della avarizia spirituale che, come quella materiale, è mancanza di 'carità', cioè sempre di Amore.
E il popolo, come sempre, il 'gregge' subì le conseguenze delle colpe dei suoi 'pastori', come i figli spesso subiscono le colpe dei padri.
Ed Israele-popolo fu trascinato nella maledizione che avevano invocato i deicidi, i 'pastori', chiedendo che il Sangue del Cristo ricadesse pure sui loro figli: vera provocazione, bestemmia satanica contro Dio.
Ed il Sangue ricadde, perché i peccati contro lo Spirito Santo - e quello fu un gravissimo peccato contro l'Amore, il Deicidio - non vengono perdonati.
Ma il popolo, non il popolo inteso come 'nazione' ma il popolo dei 'giusti', quello non pagò se non per espiare le 'proprie' colpe individuali e guadagnarsi ancor più merito in Cielo.
Perché sempre, sempre, sempre ti devi sforzare di valutare quanto succede sulla terra nella prospettiva del Cielo perché altrimenti la mia Dottrina non ha senso soprannaturale ma solo 'morale'.
La mia non è dottrina morale di legge morale: è dottrina soprannaturale di Legge di Dio. Dunque i 'giusti' di Israele verranno premiati indipendentemente dalle colpe dei 'padri'.
Ma la 'Nazione', da tutti per opposte ragioni e convenienze combattuta, verrà perdonata - in quanto 'nazione'- quando, in quanto 'nazione', sarà pentita e mi riconoscerà.
E sarà allora, dopo di allora, che Io potrò mettere la parola 'Fine' alla storia dell'Umanità, perché anche l'ultima mia 'pecora', quella del mio popolo eletto che era stata anche la prima, sarà ritornata all'ovile come il figliol prodigo alla casa.
Allora sì che potrò veramente bandire anche per lei feste, suoni e canti, chiudere le porte dell'Inferno, aprire per tutti i 'giusti' del Mondo quelle del Paradiso perché la felicità in tutti sia eterna: in Dio.
7.2 Ora comincia a maturare la decisione di uccidere senz’altro Gesù…
Beh…, vi confesso che - rileggendola con voi ora - quella della Luce del mio ‘Subconscio Creativo’, era una ‘lezione’ che - a distanza di sette anni - ricordavo ormai solo vagamente.
Torniamo però ora al Gesù valtortiano del capitolo precedente che, con gli apostoli, si era avviato al seguito dei farisei di Elchia.3
414. Invettiva contro farisei e dottori
al convito in casa del sinedrísta Elchia.
10 aprile 1946.
Gesù entra nella casa del suo ospite, poco lontana dal Tempio ma spinta verso il rione che è ai piedi di Tofet. Una casa dignitosa, un poco arcigna, di stretto osservante, anzi di esagerato osservante. Credo che anche i chiodi siano messi in numero e in posizione quale qualcuno dei seicentotredici precetti lo indica per buono. Non c'è un disegno nelle stoffe, non un fregio alle pareti, non un ninnolo... nulla di quei minimi che anche nelle case di Giuseppe e Nicodemo e degli stessi farisei di Cafarnao sono presenti per abbellire la casa. Questa è... trasudante da ogni parte lo spirito del proprio padrone. Gelida, tanto è spoglia di ciò che è ornamento. Dura nei mobili scuri e pesanti squadrati come tanti sarcofaghi. Respingente. Una casa che non accoglie ma che si serra nemica a chi vi penetra.
Ed Elchia lo fa notare vantandosene. «Lo vedi, o Maestro, come io sono osservante? Tutto lo dice. Guarda: tende senza disegno, mobili senza ornati, niente vasi a scoltura o lampadari che imitano fiori. C'è tutto. Ma tutto regolato sul precetto: "Non ti farai nessuna scultura, né rappresentazione di quello che è lassù nel cielo, o quaggiù in terra, o nelle acque sotto la terra". Così nella casa come nelle vesti mie e dei miei famigliari. Io, ad esempio, non approvo in questo tuo discepolo (l'Iscariota) quei lavori sulla veste e sul manto. Tu mi dirai: “li por-tano in molti”. Dirai: "Non è che una greca". Va bene. Ma con quegli angoli, con quelle curve, troppo ricorda i segni dell'Egitto. Orrore! Cifre demoniche! Segni di negromanzia! Sigle di Belzebul! Non ti fai onore, o Giuda di Simone, a portarli, né Tu, Maestro, a concederglielo».
Giuda risponde con una risatina sarcastica. Gesù risponde umilmente: «Più che i segni delle vesti Io sorveglio che non siano segni d'orrore sui cuori. Ma pregherò, anzi da ora lo prego il mio discepolo, di portare vesti meno ornate, onde non scandalizzare nessuno».
Giuda ha un movimento buono: «Veramente il mio Maestro mi ha più volte detto che avrebbe preferito più semplicità nelle mie vesti. Ma io... ho fatto ciò che volevo perché mi piace essere vestito così».
«Male, molto male. Che un galileo insegni a un giudeo è molto male; a te, poi, che eri del Tempio... oh!». Elchia mostra tutto il suo scandalo e i suoi amici lo secondano.
Giuda è già stanco d'esser buono. E rimbecca: «Oh! allora ci sarebbero tante pompe da levare anche a voi del Sinedrio! Se vi doveste levare tutti i disegni messi a coprire le facce delle vostre anime, apparireste ben brutti».
«Come parli?».
«Come uno che vi conosce».
«Maestro! Ma lo senti?».
«Sento e dico che occorre umiltà da una parte e dall'altra, e in ambe verità. E reciproco compatimento. Solo Dio è perfetto».
«Ben detto, o Rabbi!» dice uno degli amici... Sparuta, solitaria voce nel gruppo farisaico e dottorale.
«Mal detto, invece» ribatte Elchia. «Il Deuteronomio è chiaro nelle sue maledizioni. Dice: "Maledetto l'uomo che fa immagine scolpita o di getto, cosa abbominevole, opera di mano d'artefici, e..."».
«Ma queste sono vesti, non sono scolture» risponde Giuda.
«Silenzio tu. Parla il tuo Maestro. Elchia, sii giusto e distingui. Maledetto chi fa idoli. Ma non chi fa disegni copiando il bello che il Creatore ha messo nel creato. Cogliamo pure i fiori per ornare ... ».
«Io non ne colgo né voglio vederne ornate le stanze. Guai alle mie donne se fanno questo peccato anche nelle loro. Solo Dio va ammirato».
«Giusto pensiero. Solo Dio. Ma si può ammirare Dio anche in un fiore, riconoscendo che Lui è l'Artefice del fiore».
«No, no! Paganesimo! Paganesimo!».
«Giuditta si ornò, e si ornò Ester per scopo santo ... ».
«Femmine! E la femmina è sempre essere spregevole. Ma te ne prego, Maestro, di entrare nella sala del convito mentre io mi ritiro un momento dovendo parlare coi miei amici».
Gesù acconsente senza discussione.
«Maestro... Respiro male! ... » esclama Pietro.
«Perché? Ti senti male?» chiedono alcuni.
«No. Ma a disagio... come uno caduto in un trabocchetto».
«Non ti agitare. E siate tutti molto prudenti» consiglia Gesù.
Restano in gruppo e in piedi, finché rientrano i farisei seguiti dai servi.
«Alle tavole senza indugio. Abbiamo adunanza e non possiamo attardarci» ordina Elchia. E distribuisce i posti, mentre già i servi scalcano le vivande.
Gesù è a lato di Elchia, e al suo fianco è Pietro. Elchia offre i cibi, e il pasto ha inizio in un silenzio agghiacciante... Ma poi hanno principio le prime parole. Naturalmente rivolte a Gesù, perché gli altri dodici sono lasciati in trascuranza come non ci fossero.
Il primo ad interrogare è un dottore della Legge. «Maestro, dunque Tu sei sicuro di essere ciò che dici?».
«Non Io lo dico di mia bocca. I profeti lo hanno detto prima che Io fossi fra voi».
«I profeti!... Tu che neghi che noi si sia santi, puoi anche accogliere per buono il mio detto se dico che i profeti nostri possono essere degli esaltati».
«I profeti sono santi».
«E noi no, non è vero? Ma guarda che Sofonia unisce i profeti ai sacerdoti nella condanna contro Gerusalemme: “I suoi profeti sono degli esaltati, uomini senza fede, e i suoi sacerdoti profanano le cose sante e violano la Legge". Tu questo ce lo rimproveri di continuo. Ma, se accetti il profeta nella seconda parte del suo detto, lo devi accettare anche nella prima e riconoscere che non c'è base di appoggio sulle parole che vengono dagli esaltati».
«Rabbi d'Israele, rispondi a Me. Quando poche righe di poi Sofonia dice: "Canta e rallegrati, o figlia di Sion... il Signore ha ritirato il decreto contro te... il Re d'Israele è in mezzo a te” il tuo cuore le accetta queste parole?».
«E’ la mia gloria ripetermele sognando quel giorno».
«Ma sono parole di un profeta, di un esaltato, perciò ... ».
Il dottore della Legge resta per un momento interdetto.
Lo soccorre un amico. «Nessuno può mettere in dubbio che Israele regnerà. Non uno, ma tutti i profeti e i pre-profeti, ossia i patriarchi, hanno detto questa promessa di Dio».
«E non uno dei pre-profeti e profeti ha mancato di indicarmi per quello che sono».
«Oh! bene! Ma noi non abbiamo le prove! Puoi essere Tu pure un esaltato. Che prove ci dai che sei Tu il Messia, il figlio di Dio? Dammi un termine perché io possa giudicare».
«Non ti dico la mia morte descritta da David e da Isaia. Ma ti dico la mia risurrezione».
«Tu? Tu? Risorgere Tu? E chi ti farà risorgere?».
«Non certo voi. Non il Pontefice, non il monarca, non le caste, non il popolo. Da Me stesso risorgerò».
«Non bestemmiare, o Galileo, e non mentire!».
«Non faccio che rendere onore a Dio e dire verità. E con Sofonia ti dico: “Aspettami alla mia risurrezione". Fino ad allora potrai avere dubbi, potrete averli tutti, e potrete lavorare a istillarli al popolo. Ma più non potrete quando l'eterno Vivente da Se stesso, dopo aver redento, risusciterà per non più morire, Giudice intangibile, Re perfetto che col suo scettro e la sua giustizia governerà e giudicherà fino alla fine dei secoli e continuerà a regnare nei Cieli in eterno».
«Ma non sai che parli a dottori e sinedristi?» dice Elchia.
«E che perciò? Voi mi interrogate. Io rispondo. Voi mostrate desiderio di sapere. Io vi illustro la verità. Non vorrai farmi venire alla mente, tu che per un disegno su una veste hai ricordato la maledizione del Deuteronomio, l'altra maledizione dello stesso: "Maledetto chi colpisce di nascosto il suo prossimo"».
«Io non ti colpisco. Ti do cibo».
«No. Ma le insidiose domande sono colpi dati alle spalle. Attento, Elchia. Perché le maledizioni di Dio si seguono, e quella che ho citata è seguita dall'altra: "Maledetto chi accetta doni per condannare a morte un innocente"».
«In questo caso i doni li accetti Tu, mio ospite».
«Io non condanno neppure i colpevoli se sono pentiti».
«Non sei giusto, allora».
«No, giusto è. Perché Egli calcola che il pentimento merita perdono, e perciò non condanna» dice quello che ha già approvato Gesù nell'atrio della casa.
«Taci là, Daniel! Vuoi saperne più di noi? 0 sei sedotto da uno sul quale molto è ancora a decidere e che nulla fa per aiutarci a decidere in suo favore?» dice un dottore.
«So che voi siete i sapienti ed io un semplice giudeo, che neppure so perché mi vogliate spesso fra voi ... ».
«Ma perché sei parente! E facile a capirsi! Ed io voglio santi e sapienti coloro che entrano nella mia parentela! Io non posso permettere ignoranze nella Scrittura, nella Legge, negli Halasciot, Midrasciot e nell'Haggada. E non le sopporto. Tutto va conosciuto. Tutto osservato ... ».
«E grato ti sono di tanta cura. Ma io, semplice coltivatore di terre, divenuto indegnamente tuo parente, non mi sono preoccupato che di conoscere la Scrittura e i Profeti per avere conforto nella mia vita. E, con la semplicità di un indotto, ti confesso che riconosco nel Rabbi il Messia preceduto dal suo Precursore che ce lo ha indicato... E Giovanni, non lo puoi negare, era invaso dallo Spirito di Dio».
Un silenzio. Negare che il Battista era infallibile non vogliono. Dirlo infallibile neppure.
E allora un altro dice: «Via... Diciamo che il Precursore è precursore di quell'angelo che Dio manda a preparare la via al Cristo. E... ammettiamo che nel Galileo vi è sufficiente santità per giudicarlo tale angelo. Dopo di Lui verrà il tempo del Messia. Non vi pare conciliante a tutti questo mio pensiero? Lo accetti, Elchia? E voi, amici miei? E Tu, Nazareno?».
«No». «No». «No». I tre "no" sono sicuri.
«Come? Perché non approvate?».
Elchia tace. Tacciono i suoi amici. Solo Gesù, sincero, risponde: «Perché non posso approvare un errore. Io sono da più di un angelo. L'angelo fu il Battista, Precursore del Cristo, e il Cristo Io sono».
Un silenzio glaciale, lungo. Elchia, il gomito appoggiato al lettuccio, la guancia appoggiata alla mano, pensa, duro, chiuso come tutta la sua casa.
Gesù si volge e lo guarda, e poi dice: «Elchia, Elchia, non confondere la Legge e i Profeti con le piccinerie!».
«Vedo che hai letto il mio pensiero. Ma non puoi negare che Tu hai peccato trasgredendo al precetto».
«Come tu, e con astuzia, perciò con più colpa, hai trasgredito al dovere dell'ospite, con volontà di farlo lo hai fatto, e mi hai distratto e poi qui mandato mentre tu cogli amici ti purificavi, e al tuo ritorno ci hai pregato di esser solleciti ché avevi adunanza, e tutto per potermi dire: "Hai peccato"».
«Potevi ricordarmi il mio dovere di darti di che purificarti».
«Tante cose potrei ricordarti, ma non servirebbe altro che a farti più intransigente e nemico».
«No. Dille, dille. Ti vogliamo ascoltare e ... ».
«E accusare presso i Principi dei Sacerdoti. Per questo ti ho ricordato l'ultima e la penultima maledizione. Lo so. Vi conosco. Sono qui, inerme, fra voi. Sono qui, isolato dal popolo che mi ama e davanti al quale non osate aggredirmi. Ma non ho paura. Ma non vengo a compromessi né faccio viltà. E vi dico il vostro peccato, di tutta la casta vostra e vostro, o farisei, falsi puri della Legge, o dottori, falsi sapienti, che confondete e mescolate di proposito il vero e il falso buono, che agli altri e dagli altri esigete la perfezione anche nelle cose esteriori e da voi nulla esigete. Voi mi rimproverate, uniti al vostro e mio ospite, di non essermi lavato avanti il desinare. Lo sapete che vengo dal Tempio, al quale non si accede altro che dopo essersi purificati dalle immondezze della polvere e della via. Volete allora confessare che il Sacro Luogo è contaminazione?».
«Noi ci siamo purificati avanti le mense».
«E a noi è stato imposto: “Andate là, attendete". E dopo: “Alle tavole senza indugio". Fra le tue pareti monde di disegni uno dunque ve ne era: quello di trarmi in inganno. Quale mano l'ha scritto sulle pareti il motivo per potermi accusare? Il tuo spirito o un'altra potenza che te lo regola e che ascolti? Orbene, udite tutti».
Gesù si alza in piedi e, stando con le mani appoggiate all'orlo della tavola, comincia la sua invettiva:
«Voialtri farisei lavate l'esterno del calice e del piatto, e le mani vi lavate e i piedi vi lavate, quasi che piatto e calice, mani e piedi avessero ad entrare nel vostro spirito che amate proclamare puro e perfetto. Ma non voi, sibbene Dio questo lo deve proclamare. Ebbene sappiate ciò che Dio pensa del vostro spirito. Egli pensa che è pieno di menzogna, sozzura e rapina, pieno di nequizia è, e nulla può dall'esterno corrompere ciò che già è corruzione».
Stacca la destra dalla tavola e involontariamente comincia a gestire con essa mentre continua:
«Ma chi ha fatto il vostro spirito, come ha fatto il vostro corpo, non può esigere, almeno con uguale misura, il rispetto all'interno che avete per l'esterno? O stolti che mutate i due valori e ne invertite la potenza, ma non vorrà l'Altissimo un'ancor maggior cura per lo spirito, fatto a sua somiglianza e che per la corruzione perde la Vita eterna, che non per la mano o il piede la cui sporcizia può esser detersa con facilità e che, se anche rimanessero sporchi, non influirebbero sulla nettezza interiore? E può Dio preoccuparsi della nettezza di un calice o di un vassoio quando questi non sono che cose senz'anima e che non possono influire sulla vostra anima? Leggo il tuo pensiero Simone Boetos. No. Non regge. Non è per pensiero di salute, per tutela della carne, della vita, che voi
avete queste cure, che praticate queste purificazioni. Il peccato carnale, anzi i peccati carnali della gola, delle intemperanze, delle lussurie, sono certo più dannosi alla carne di un poco di polvere sulle mani o sul piatto. Eppure voi li praticate senza preoccuparvi di tutelare la vostra esistenza e l'incolumità dei vostri familiari. E peccato fate di più nature, perché, oltre che la contaminazione dello spirito e del corpo vostro, lo sperpero di sostanze, il mancato rispetto ai familiari, fate offesa al Signore per la profanazione del vostro corpo, tempio dello spirito vostro, in cui dovrebbe essere il trono per lo Spirito Santo; e offesa per il giudizio che fate, che da voi vi dovete tutelare dai morbi venienti da un po' di polvere, quasi che Dio non potesse intervenire a proteggervi dai morbi fisici se a Lui ricorreste con spirito puro. Ma Colui che ha creato l'interno non ha forse creato anche l'esterno e viceversa? E non è l'interno il più nobile e il più marcato dalla divina somiglianza? Fate allora opere che siano degne di Dio e non grettezze che non si alzano dalla polvere per la quale e della quale sono fatte, della povera polvere che è l'uomo preso come creatura animale, fango composto in forma e che polvere torna, polvere che il vento dei secoli disperde. Fate opere che restino, che siano opere regali e sante, opere che si incoronano della divina benedizione. Fate carità e fate elemosina, siate onesti, siate puri nelle opere e nelle intenzioni e, senza ricorrere all'acqua delle abluzioni, tutto sarà puro in voi. Ma che vi credete? Di essere a posto perché pagate le decime sugli aromi? No. Guai a voi, o farisei che pagate le decime della menta e della ruta, della senape e del comino, del finocchio e d'ogni altro erbaggio, e poi trascurate la giustizia e l'amor di Dio. Pagare le decime è dovere e va fatto. Ma ci sono più alti doveri e anche quelli vanno fatti. Guai a chi osserva le cose esteriori e trascura le altre interiori basate sull'amore a Dio e al prossimo. Guai a voi, farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e nelle adunanze e amate essere riveriti sulle piazze, e non pensate a fare opere che vi diano un posto in Cielo e vi meritino la riverenza degli angeli. Voi siete simili a sepolcri nascosti che passano inosservati a chi li sfiora e non ne ha ribrezzo, ma ribrezzo ne avrebbe se potesse vedere cosa è chiuso in essi. Dio però vede anche le più riposte cose e non si inganna nel giudicarvi».
Lo interrompe, alzandosi esso pure in piedi, in contraddittorio, un dottore della Legge.
«Maestro, così parlando Tu offendi noi pure; e non ti conviene, perché noi ti dobbiamo giudicare».
«No. Non voi. Voi non potete giudicarmi. Voi siete i giudicati, non i giudici, e chi vi giudica è Dio. Voi potete parlare, emettere suoni con le vostre labbra. Ma anche la voce più potente non giunge ai cieli né scorre tutta la terra. Dopo poco spazio è silenzio... E dopo poco tempo è oblìo. Ma il giudizio di Dio è voce che resta e non è soggetto a dimenticanze.
Secoli e secoli sono passati da quando Dio ha giudicato Lucifero e ha giudicato Adamo. Ma la voce di quel giudizio non si spegne. Ma le conseguenze di quel giudizio sono.
E se ora Io sono venuto per riportare la Grazia agli uomini, mediante il Sacrificio perfetto, il giudizio sull'atto di Adamo resta quello che è, e chiamato sarà "colpa d'origine" sempre.
Saranno redenti gli uomini, lavati da una purificazione superiore ad ogni altra. Ma nasceranno con quel marchio perché Dio ha giudicato che quel marchio debba essere su ogni nato da donna, meno per Colui che, non per opera d'uomo, ma per Spirito Santo fu fatto, e per la Preservata e il Presantificato, vergini in eterno.
La Prima per poter essere Vergine Deipara, il secondo per poter precorrere l'Innocente nascendo già mondo per una prefruizione dei meriti infiniti del Salvatore Redentore.
Ed Io vi dico che Dio vi giudica. E vi giudica dicendo: "Guai a voi, dottori della Legge, perché caricate la gente di pesi insopportabili, rendendo un castigo il paterno decalogo dell'Altissimo al suo popolo". Egli con amore e per amore lo aveva dato, onde l'uomo fosse sorretto da una giusta guida, l'uomo, l'eterno e imprudente e ignorante bambino. E voi, alle amorose dande con cui Dio aveva abbracciato le sue creature perché potessero procedere per la sua via e giungergli sul cuore, avete sostituito montagne di pietre aguzze, pesanti, tormentose, un labirinto di prescrizioni, un incubo di scrupoli, per cui l'uomo si accascia, si smarrisce, si ferma, teme Dio come un nemico. Voi ostacolate l'andare a Dio dei cuori. Voi separate il Padre dai figli. Voi negate, con le vostre imposizioni, questa dolce, benedetta, vera Paternità. Ma voi, però, quei pesi che agli altri date, non li toccate neppure con un dito. Vi credete giustificati solo per averli dati. Ma, o stolti, non sapete che sarete giudicati per quel che avete giudicato esser necessario a salvarsi? Non sapete che Dio vi dirà: “Voi dicevate sacra, giusta la vostra parola. Orbene, Io pure la giudico tale. E poiché l'avete imposta a tutti e sul come fu accolta e praticata avete giudicato i fratelli, ecco Io vi giudico con la vostra parola. E poiché non avete fatto ciò che avete detto di fare, siate condannati”?
Guai a voi che innalzate sepolcri ai profeti che i vostri padri uccisero. E che? Credete con ciò di diminuire la grandezza della colpa dei padri vostri? Di annullarla agli occhi dei posteri? No anzi. Voi testimoniate di queste opere dei padri vostri. Non solo. Ma le approvate, pronti ad imitarli, elevando poi un sepolcro al profeta perseguitato per dirvi: "Noi lo abbiamo onorato". Ipocriti! E’ per questo che la Sapienza di Dio ha detto: "Manderò loro dei profeti e degli apostoli. Ed essi ne uccideranno alcuni ed altri li perseguiteranno, onde si possa chiedere a questa generazione il sangue di tutti i profeti che è stato sparso dalla creazione del mondo in poi, dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria, ucciso fra l'altare e il santuario". Sì, in verità, in verità vi dico che di tutto questo sangue di santi ne sarà chiesto conto a questa generazione che non sa distinguere Dio là dove è, e perseguita il giusto e l'accora perché il giusto è il confronto vivente con la sua ingiustizia.
Guai a voi, dottori della Legge, che vi siete usurpata la chiave della scienza e ne avete chiuso il tempio per non entrarvi ed essere da essa giudicati, e non avete permesso che altri vi entrassero. Perché sapete che, se il popolo fosse ammaestrato dalla vera Scienza, ossia dalla Sapienza santa, potrebbe giudicarvi. Onde lo preferite ignorante perché non vi giudichi. E mi odiate perché Io sono Parola di Sapienza e vorreste chiudermi anzitempo in una carcere, in un sepolcro perché lo non parlassi più.
Ma Io parlerò finché al Padre mio piacerà che lo parli. E dopo parleranno le mie opere più ancora delle mie parole.
E parleranno i miei meriti più ancora delle opere, e il mondo sarà istruito e saprà, e vi giudicherà. Il primo giudizio su voi.
E poi verrà il secondo, il singolo giudizio ad ogni singola vostra morte.
E infine l'ultimo: quello universale. E ricorderete questo giorno e questi giorni e voi, voi soli conoscerete il Dio terribile che vi siete sforzati di agitare come una visione d'incubo davanti agli spiriti dei semplici, mentre voi, nell'interno del vostro sepolcro, vi siete irrisi di Lui, e dal primo e principale comandamento, quello dell'amore, all'ultimo dato sul Sinai, non ne avete avuto rispetto e avete disubbidito.
Inutilmente, o Elchia, non hai figurazioni nella tua casa. Inutilmente, o voi tutti, non avete oggetti scolpiti nelle vostre case. Nell'interno del cuore avete l'idolo, più idoli. Quello di credervi dèi, quelli delle concupiscenze vostre.
Venite, voi. Andiamo».
E, facendosi precedere dai dodici, esce per ultimo.
Un silenzio...
Poi i rimasti fanno un clamore dicendo tutti insieme: «Bisogna perseguitarlo, coglierlo in fallo, trovare oggetti di accusa! Ucciderlo bisogna!».
Altro silenzio.
E poi, mentre due se ne vanno, disgustati dell'odio e dei propositi farisaici, e sono il parente di Elchia e l'altro che per due volte ha difeso il Maestro, i rimasti si chiedono: «E come?».
Altro silenzio.
Poi, con una risata chioccia, Elchia dice: «Occorre lavorare Giuda di Simone...».
«Già! Buona idea! Ma tu l'hai offeso! ... ».
«Ci penso io» dice quello che Gesù ha chiamato Simone Boetos. «Io e Eleazaro di Anna... Lo circuiremo ... ».
«Un poco di promesse ... ».
«Un poco di paura ... ».
«Molto denaro ... ».
«No. Molto no ... Promesse, promesse di molto denaro ... ».
«E poi?».
«Cosa, e poi?».
«Eh! Poi. A cose fatte. Che gli daremo?».
«Ma nulla! La morte. Così... non parlerà più» dice lentamente e crudelmente Elchia.
«Uh! la morte ... ».
«Ne hai orrore? Ma va' via! Se uccidiamo il Nazareno che... è un giusto... potremo uccidere anche l'Iscariota che è un peccatore ... ».
Vi sono incertezze...
Ma Elchia, alzandosi, dice: «Sentiremo anche Anna... E vedrete che... dirà buona l'idea. E ci verrete anche voi... Oh! se ci verrete ... ».
Escono tutti dietro al loro ospite, che se ne va dicendo: «Ci verrete... Ci verrete!».
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Bene, anche voi avrete ora un chiaro spaccato della situazione che si stava addensando sulla testa di Gesù e che porterà un anno dopo, quando le circostanze e Dio lo permetteranno, alla sua cattura e condanna a morte.
1 M.V.: ‘Lezioni sull’epistola di Paolo ai Romani’ - Dettato del 29.10.50 – Centro Ed. Valtortiano
2 G.L.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 92:Il peccato e la condanna di Israele – Ed. Segno, 1997
3 M.V. ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. VI – Cap 414 – Centro Ed. Valtortiano