(La Sacra Bibbia – Il Vangelo secondo Matteo, Giovanni e Luca – Ed. Paoline, 1968)
(M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. V, Cap. 363 – Vol. VI, Cap, 413 – Centro Ed. Valt.)
6. Due millenni in balìa di Satana…
Mt 15, 29-39:
Partito di là, Gesù andò verso il Mare di Galilea; e salito sul monte, si fermò là.
Gli si avvicinò allora una gran folla che aveva con sé zoppi, storpi, ciechi, muti e molti altri ammalati; li posero ai suoi piedi ed egli li guarì, di modo che la folla restava ammirata di vedere che i muti parlavano, gli storpi erano guariti, i zoppi camminavano, i ciechi vedevano; e glorificava il Dio d’Israele.
Gesù, chiamati i suoi discepoli, disse loro: «Ho pietà di questo popolo, perché sono già tre giorni che sta con me e non ha niente da mangiare. Non voglio mandarli via digiuni, affinché non abbiano a venir meno per la strada».
Gli dissero i discepoli: «Dove potremo procurarci, in un deserto, pani sufficienti per sfamare tanta gente?».
Gesù domandò loro: «Quanti pani avete?». Risposero: «Sette e pochi pesciolini».
Fece allora sedere la folla per terra, prese i sette pani e i pesci e, dopo aver reso le grazie, li spezzò, li diede ai suoi discepoli e i discepoli alla folla.
Tutti mangiarono fino a saziarsi, e dei pezzi avanzati ne raccolsero sette ceste piene.
Quelli che avevano mangiato erano circa quattromila uomini, senza contare le donne e i fanciulli.
Licenziata poi la folla, egli salì sopra la barca e andò nella regione di Magadan.
Gv 6, 22-71:
Il giorno dopo, la gente rimasta di là del mare osservò che non c’era che una barca, e Gesù non era entrato in essa con i suoi discepoli, ma che i discepoli soli erano partiti.
Giunsero intanto altre barche da Tiberiade, presso il luogo dove avevano mangiato quel pane, dopo che il Signore ebbe reso le grazie.
La gente, adunque, visto che lì non c’era né Gesù né i suoi discepoli, salì anch’essa nelle barche e andò a Cafarnao in cerca di Gesù.
Trovatolo di là del mare, gli domandarono: ‘Maestro, quando sei venuto qua?’
Gesù rispose loro: ‘In verità, in verità vi dico: voi cercate me, non per i miracoli che avete veduto, ma perché avete mangiato di quei pani e ve ne siete saziati. Cercate di procurarvi non il cibo che perisce, ma il cibo che dura per la vita eterna, quello che il Figlio dell’Uomo vi darà; perché è lui che il Padre, Dio, ha segnato con il suo sigillo’.
Gli dissero: ‘Che dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?’
Gesù rispose loro: ‘Questa è l’opera di Dio: che crediate in Colui che Egli ha mandato’.
Gli domandarono: ‘Che miracolo fai tu, affinché lo vediamo e crediamo in te? Che opera fai? I nostri padri mangiarono la manna nel deserto, così come sta scritto: ‘Diede loro da mangiare pane venuto dal cielo’.
Gesù rispose loro: ‘In verità, in verità vi dico: non Mosè vi diede il pane del cielo, ma il Padre mio vi dà il vero pane del cielo, poiché il pane di Dio è quello che discende dal cielo e dà la vita al mondo’.
Gli dissero allora: ‘Signore, dacci sempre di questo pane’.
Gesù dichiarò loro: ‘Io sono il pane di vita: chi viene a me non avrà più fame; e chi crede in me non avrà più sete. Ma io ve l’ho detto: voi mi vedete, ma non credete. Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: e chi viene a Me, Io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma quella di Colui che mi ha mandato. Or la volontà di Colui che mi ha mandato è questa: che io non perda niente di quanto egli mi ha dato, ma che lo resusciti nell’ultimo giorno. Poiché la volontà del Padre mio è che chiunque conosce il Figlio e crede in lui, abbia la vita eterna: ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno’.
I giudei mormoravano di lui perché aveva detto: ‘Io sono il pane disceso dal cielo’, e dicevano: Non è costui Gesù, figlio di Giuseppe, del quale conosciamo il padre e la madre?’ Come mai ora dice: ‘Sono disceso dal cielo’?
Gesù rispose loro: ‘Non mormorate fra voi. Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato, ed Io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: ‘Saranno tutti istruiti da Dio’. Chiunque, pertanto, ha udito il Padre e accoglie il suo insegnamento, viene a me. Non già che qualcuno abbia visto il Padre, eccetto che colui che viene da Dio: questi ha visto il Padre. In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna.
‘Io sono il Pane di vita. I padri vostri mangiarono la manna nel deserto e morirono. Questo è il pane disceso dal cielo, affinché chi ne mangia non muoia. Sono Io il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno; e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo’.
Discutevano perciò fra di loro i Giudei dicendo: ‘Come può darci da mangiare la sua carne?’.
Gesù disse loro: ‘In verità, in verità vi dico: se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui. Come il Padre vivente ha mandato me ed io vivo per il Padre, così chi mangia me vivrà anch’egli per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non come quello che mangiarono i padri e morirono: chi mangia questo pane vivrà in eterno’.
Queste cose disse Gesù, insegnando nella sinagoga di Cafarnao.
Molti dei suoi discepoli, udito che l’ebbero, esclamarono: ‘Questo linguaggio è duro. Chi lo può ammettere?’.
Gesù, conoscendo in se stesso che i suoi discepoli mormoravano di ciò, disse loro: ‘Ciò vi scandalizza?
Che sarà, dunque, se vedrete il Figlio dell’uomo ascendere dov’era prima?
E’ lo spirito che vivifica, la carne non giova a nulla: le parole che io vi dico sono spirito e vita. Ma ci sono fra voi alcuni che non credono’.
Gesù, infatti, sin da principio sapeva chi erano i non credenti e chi l’avrebbe tradito.
Poi aggiunse: ‘Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre’.
Da allora molti dei suoi discepoli si ritrassero e non andavano più con lui.
Allora Gesù disse ai Dodici: ‘Volete andarvene anche voi?’
Simon Pietro rispose: ‘Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna. Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio’.
Gesù rispose loro: ‘Non ho eletto Io voi Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo’.
Egli alludeva a Giuda, figlio di Simone Iscariote, poiché costui, uno dei Dodici, lo avrebbe tradito.
Lc 13, 31-35:
In quel medesimo giorno si presentarono alcuni Farisei e gli dissero: «Parti, allontanati da qui, perché Erode ti vuole uccidere».
Rispose loro: «Andate a dire a quella volpe: ‘Ecco, io caccio i demoni e opero guarigioni oggi e domani, e il terzo giorno avrò terminato. Ma oggi, domani e doman l’altro bisogna che io sia in cammino, perché non è conveniente che un profeta perisca fuori di Gerusalemme’.
«Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto radunare i tuoi figli, come la gallina i suoi pulcini sotto le ali… e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa sarà deserta. Vi assicuro che non mi vedrete più fino a quando verrà il giorno in cui direte: ‘Benedetto colui che viene nel nome del Signore!’ ».
Lc 11, 33-36:
«Nessuno accende la lucerna e la mette in luogo nascosto o sotto il moggio, ma sopra il porta lucerne, affinché quelli che entrano vedano la luce.
La lucerna del tuo corpo è il tuo occhio. Se il tuo occhio è semplice, anche tutto il tuo corpo è illuminato, ma se il tuo occhio è guasto, anche tutto il tuo corpo è tenebroso.
Stai attento, dunque che la luce che è in te non sia tenebre! Se tutto il tuo corpo è illuminato, senza avere alcuna parte oscura, sarà tutto nella luce, come quando la lucerna t’investe con i suoi raggi».
6.1 La moltiplicazione dei pani, quella dell’Eucarestia e quella della… Parola.
Dopo la sosta a Nazaret e l’episodio sul Tabor della Trasfigurazione di Gesù - terminata la quale Gesù aveva parlato ai tre apostoli della sua seconda venuta e dell’Anticristo (notizia che mi ha obbligato a dedicare a questo tema il capitolo precedente) – il gruppo apostolico riprende il suo cammino verso Cafarnao, sul lago di Tiberiade, detto anche mar di Galilea.
Su di un monte non molto lontano dal lago avviene ora l’episodio della moltiplicazione dei pani narrato qui da Matteo.
Il miracolo è certamente strepitoso ma Matteo – e con lui gli altri due sinottici Marco e Luca che hanno seguito nei loro vangeli la falsariga di quello di Matteo – sembra non aver colto, pur essendone stato testimone, un importante aspetto che invece non è sfuggito all’evangelista Giovanni: il discorso che Gesù tenne a Cafarnao, il giorno dopo il miracolo, sul Pane del Cielo.
Si sa che Giovanni, l’apostolo più giovane, aveva un ‘filo diretto’ con Gesù, di cui fu il prediletto.
Dalla Croce, Gesù affidò infatti a lui la propria mamma Maria ed a lui venne molti anni dopo fatto il dono della rivelazione dell’Apocalisse, l’opera profetica per eccellenza del Nuovo testamento.
Lo stesso Vangelo di Giovanni è però particolarmente ispirato e quindi non a caso l’evangelista mette in rilievo tutti quegli aspetti di alta dottrina che gli altri evangelisti non avevano saputo trattare o vedere.
Sarà dunque bene accennarne qui, pur avendovi dedicato due capitoli in un libro precedente.1
Mi sia però consentita una parentesi.
Grazie all’opera valtortiana, questa nostra lettura si propone, - come ho anche spiegato e fatto nei volumi precedenti - di mettere in evidenza e risolvere anche alcune ‘discordanze’ riscontrate dai critici nei testi.
Quella raccontata da Matteo che il Gesù della Valtorta colloca in questo periodo del terzo anno di vita pubblica è la seconda moltiplicazione dei pani, che narra anche Marco in Mc 8, 1-10.
La prima moltiplicazione era stata invece ‘vista’ in visione dalla Valtorta nel corso del precedente anno, ed è raccontata da Matteo (Mt14, 15-23), da Marco (Mc 6, 35-46), da Luca (Lc 9, 12-17).
Ma non si tratta dello stesso miracolo ed episodio, raccontato due volte in modi differenti, perché dal testo complessivo si evince con chiarezza che le circostanze sono diverse.
La prima riguardava cinque pani trasformati in pane per cinquemila uomini, la seconda concerneva sette pani per quattromila uomini.
Contrariamente ai sinottici che raccontano entrambi i miracoli, Giovanni (Gv 6, 1-14) ne racconta invece uno solo, e cioè il primo dell’anno precedente (cioè cinque pani per cinquemila persone), ma a quello ‘incolla’ nel suo vangelo il discorso sul ‘Pane del cielo’ (Gv 6, 22-71), discorso che invece il Gesù valtortiano pronuncia solo dopo il secondo miracolo, quello descritto da Matteo all’inizio di questo capitolo.
Un errore di memoria dovuto all’età di Giovanni che ebbe a scrivere il suo Vangelo quando era ormai centenario?
Non necessariamente. Ho già detto che all’epoca non vi era ancora una mentalità ‘storica’ come la intendiamo noi moderni, e certi particolari cronologici non sembravano importanti, ma soprattutto agli evangelisti – che scrivevano per indottrinare i primi cristiani – interessava far loro entrare in testa gli elementi fondamentali, i concetti degli insegnamenti di Gesù.
Credo quindi che a Giovanni dovette esser sembrato sufficiente raccontare il primo esaltante miracolo salvo poi – per associazione di idee – collegare didatticamente a quel racconto il discorso sul ‘Pane’ del Cielo che Gesù – come già detto - tenne in realtà un anno dopo, in occasione del secondo miracolo, nella sinagoga di Cafarnao davanti a molta folla ed a settantadue discepoli.
Ho già detto e spiegato nei precedenti volumi che i tre sinottici hanno dato di Gesù soprattutto la dimensione umana, mentre Giovanni colmò qualche decennio dopo la lacuna mettendo in evidenza – fin dal famoso Prologo del suo Vangelo, con il Verbo che si fa uomo – la sua divinità.
La Valtorta vede dunque ora in visione Gesù che predica su un monte con tanta gente - uomini, donne e bambini - che però, lontana dai paesi, non aveva di che rifocillarsi.
E Gesù ripete il miracolo della moltiplicazione del pane dell’anno precedente, ma il giorno dopo - rientrato a Cafarnao – fa ai suoi discepoli ed agli abitanti di Cafarnao, che si erano radunati nella sinagoga per ascoltarlo, l’ormai famoso discorso che molti di quei discepoli avrebbero rifiutato.
Gesù non aveva mai fatto mistero di quanto fosse difficile seguire la sua strada e di quanto fosse stretta la ‘porta’ spirituale attraverso la quale era necessario passare, e non tutti – pur ammirandone la sapienza – erano convinti di poterlo o volerlo veramente fare.
Molti lo seguivano per il gusto di poter assistere con i propri occhi a questi suoi straordinari miracoli, altri per ottenere molto più praticamente guarigioni per sé o per propri parenti o amici, altri ancora per semplice curiosità o per il gusto di sentire certi discorsi sapienti o, come dicevano i romani che lo ammiravano molto, i suoi discorsi da ‘filosofo’ ed oratore efficace.
Quelli che lo seguivano per ragioni veramente spirituali, cioè per guadagnarsi il Regno di Dio, erano veramente pochi, e quei pochi trovavano per di più la sua Dottrina difficile da seguire e quindi da accettare.
Quella che Gesù proponeva ai suoi stretti discepoli, ancora più che al popolo, era infatti la via dell’ascesi, cioè della rinuncia alla propria umanità, al proprio ‘io’ protervo ed egoista per divenire ‘spiriti’, o meglio uomini ‘spirituali’.
Il discorso del Pane del Cielo pronunciato a Cafarnao è ora però la goccia che fa traboccare il vaso.
Fin da subito - lo si vede dal testo di Giovanni - le cose si mettono male.
Gesù, all’inizio della sua predicazione, aveva stabilito la sua base operativa di partenza proprio in quella cittadina dove aveva parlato innumerevoli volte e fatto parecchi miracoli.
Ciononostante gli abitanti di Cafarnao non si convertirono che in minima parte.
Allora, nella sinagoga piena di discepoli e paesani, Gesù mette da parte l’abituale ‘diplomazia’ e sbatte in faccia a tutti una accusa brutale: molti lo seguono non per acquisire fede, grazie ai miracoli che Egli opera, ma piuttosto nella speranza di riempirsi la pancia con il pane che lui faceva materializzare come aveva fatto il giorno prima.
Mi sembra di sentire i mormorii che devono essersi levati fra la gente.
Gesù – e nel terzo anno di vita pubblica lo vedremo sempre più spesso essere severo anche con scribi e farisei – era Verità, era strumento di contraddizione e doveva con la spada della sua Parola tagliare nettamente in due ed operare una discriminazione fra buoni e cattivi.
Ma quando ‘scuoteva’ lo faceva sempre a fin di bene, per dare uno scrollone psicologico ricorrendo anche a rimproveri estremi per richiamare sulla via giusta.
Era dunque opportuno mettere in chiaro le cose e liberarsi dei seguaci ipocriti.
Dopo quella stoccata diretta a chi pensava allo stomaco – Gesù prosegue dicendo che è invece bene non procurarsi il cibo che nutre il corpo ma quello che rigenera lo spirito, perché con il primo si muore ma con il secondo si guadagna la vita eterna.
E qui Gesù precisa che il cibo di vita eterna lo darà lui agli uomini, perché Egli stesso è ‘Pane’ del Cielo.
Avrete notato sia dai Vangeli ufficiali che dal testo valtortiano che Gesù si esprimeva sovente in forma velata, riservando certe rivelazioni più esplicite ai tempi finali, quando ormai la prudenza umana non aveva più scopo e tutto poteva e doveva essere ormai detto.
Non doveva ad esempio ancora essere detto nulla dell’Eucarestia, il dono più strepitoso ed in un certo senso più difficile da comprendere che Egli avrebbe lasciato all’Umanità riservandone l’annunzio ai suoi apostoli solo nel corso dell’Ultima Cena.
Qui – in questo discorso - Gesù comincia però a preparare il ‘terreno’ facendone ripetutamente una anticipazione velata, proprio ricollegandosi al recente miracolo della moltiplicazione dei pani.
La gente però non capisce e mormora: quella faccenda di Gesù che si dice ‘Pane del Cielo’ gli sembra una stravaganza, anzi una assurdità.
Ma Gesù rincara la dose e aggiunge che il ‘Pane’ che lui darà loro è la sua ‘carne’ e questa sarà ‘vita’ del mondo.
Lo sconcerto aumenta, i presenti discutono fra di loro sempre più animatamente : ‘Come può costui darci a mangiare la sua carne?’.
E Gesù di rimando: ‘In verità, in verità vi dico: se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita…’.
Immaginate la gente…, non più solo il ‘pane’, non più solo la ‘carne’, ma ora anche il ‘sangue’!
Ecco perché Giovanni – ancor più ispirato degli altri evangelisti – fu l’unico a riportare quel lungo discorso così importante collegandolo alla moltiplicazione dei pani.
Il miracolo della moltiplicazione dei pani è una allegoria del futuro miracolo della moltiplicazione del Pane dell’Eucarestia, della ‘moltiplicazione’ di Gesù Eucaristico.
Giovanni voleva che fosse chiaro il collegamento concettuale fra il pane materiale, che serve a nutrire il corpo, e la persona di Gesù.
Gesù – a memoria delle generazioni successive e dei critici razionalisti specie di area ‘protestante’ che vedono nell’Eucarestia solo un simbolo – voleva far comprendere che così come Dio, essendo Creatore, poteva moltiplicare all’infinito pani e pesci, bastando a ciò soltanto un atto del suo pensiero e della sua volontà per ‘materializzarne’ a sufficienza per migliaia di persone, così Dio non ha alcuna difficoltà a ‘moltiplicare se stesso’ transustanziandosi nell’Eucarestia per sfamare spiritualmente l’Umanità fino alla fine del mondo e darle il Pane di Vita eterna.
Per quei discepoli, tuttavia, quel suo invito oscuro a mangiare la sua ‘carne’ ed a bere il suo ‘sangue’ per avere la Vita eterna, interpretato alla lettera, assumeva valenze umanamente ripugnanti ed inaccettabili.
Molti dei settantadue lo rifiutano e – ritenendole farneticazioni – abbandonano Gesù.
Come mai – vi potreste domandare - Gesù fece un discorso così difficile da accettare, ancor di più perché in forma velata, a questi suoi primi settantadue discepoli che avrebbero dovuto essere i continuatori e coadiutori diretti degli apostoli?
Proprio per questa ragione! Egli voleva provare la loro fede. Sarebbero infatti arrivati tempi di persecuzione e perché il nascente Cristianesimo potesse sopravvivere sarebbe stata necessaria una fede rocciosa in Gesù, anzi una fede cieca negli insegnamenti che Gesù aveva in precedenza impartito.
‘Meglio perderli che trovarli… - deve aver pensato Gesù - se non mi credono’.
E Gesù, infatti, poco dopo li rimpiazzò tutti con altri di provata fede.
Ma, attenzione, il Gesù valtortiano fa anche capire che il miracolo della moltiplicazione dei pani non è solo ‘figura’ della ‘moltiplicazione’ dell’Eucarestia, ma anche della… Parola.
E ora vi spiego il concetto con parole mie.
Noi uomini – rispetto a Dio che parla – siamo tanto spiritualmente tardi che non saremmo neanche in condizione di saper valutare il significato profondo di quanto Gesù ci spiega con la sua Parola, ed allora lo Spirito Santo – anziché imbottirci la testa con i cento significati che quella parola, che è Parola di Dio, avrebbe nella sua pienezza – ce ne illumina di volta in volta le sfumature di significato che per noi, in quel particolare momento della giornata o della nostra vita, è quello necessario.
Se siete in buoni rapporti con lo Spirito Santo e volete chiedergli consiglio su una importante questione spirituale che vi tormenta – tranne i numeri per una vincita all’Enalotto – rivolgetegli una preghiera mentale, aprite a caso il Vangelo e vedrete – se saprete stare in ascolto - che la risposta spirituale vi arriverà dalla lettura della pagina che leggerete o addirittura dal brano specifico sul quale vi sarà caduto l’occhio.
L’ispirazione arriva, ed ogni volta é adatta alla situazione del caso.
Si avvicina però la Pasqua ed il gruppo apostolico lascia Cafarnao e prende la strada per Gerusalemme – distante in linea d’aria circa 130 chilometri - dove arriverà di lì a qualche giorno.
6.2 Nostradamus ed il prossimo futuro: la guerra fra ‘cristiani’ ed ‘islamici’ e la successiva pace universale.
E’ a Rama - una cittadina nei pressi di Gerusalemme dove Gesù si era fermato ospite della famiglia dell’Apostolo Tommaso – che, nell’Opera della nostra mistica, assistiamo ad un primo violento scontro con i farisei, quello del Vangelo di Luca riportato all’inizio di questo capitolo dopo il brano di Giovanni relativo al ‘Pane del Cielo’.
Molti, sparsasi la voce dell’arrivo del Messia del quale il loro compaesano Tommaso aveva a lungo parlato, accorrono facendo ressa per ascoltarlo e porgli tante domande.
Gesù parla loro con la solita sapienza, finché un gruppetto di scribi e farisei si avvicina sornione e si intrufola.
Fingendosi ‘amici’ - ma sperando sempre di ingannarlo, farlo compromettere pubblicamente e farlo condannare a morte – ‘consigliano’ a Gesù di starsene ben alla larga da Gerusalemme perché Erode aveva intenzione di catturarlo e condannarlo a morte.
Gesù si guarda bene dall’inveire contro Erode.
Egli aveva una doppia natura, umana e divina. La natura divina del Verbo coesisteva con l’anima dell’Uomo, ma – dall’Opera di Maria Valtorta - si comprende che il Verbo divino si manifestava in lui-Uomo solo quando le circostanze lo richiedevano per il buon esito della missione, come ad esempio nella potenza di miracolo.
Nella altre circostanze Gesù appariva come un uomo ‘normale’ ma – essendo il nuovo ‘Adamo’, essendo cioè privo di peccato d’origine come l’Adamo originario, aveva anche i doni iniziali di perfezione morale, spirituale, fisica ed intellettuale che Dio aveva dato all’uomo, e fra questi quello della ‘introspezione dei cuori’.
Questa consisteva nella capacità – indipendentemente dalla onniscienza che è di Dio – di saper intuire il pensiero e l’animo dell’uomo.
E’ per questo che Gesù smaschera i farisei e, di fronte alla loro perfidia per allontanarlo da Gerusalemme e alla loro volontà di nuocergli, prorompe in quella invettiva finale che avrete già letto sulla ‘Gerusalemme’ che uccide i profeti.
Gesù sa bene, infatti, che Egli morirà fra le colline di Gerusalemme ma non per mano di Erode – come i farisei avevano cercato di fargli credere - ma per volontà di chi lo odia più sottilmente di Erode, e cioè i sacerdoti del Tempio che vedono in lui l’Usurpatore delle loro prerogative sacerdotali ed il Purificatore delle loro malattie spirituali.
I Sacerdoti ed il resto della classe dirigente di Gerusalemme negavano infatti la sua messianicità e dunque non lo meritavano.
E’ quindi per questo che Gesù prorompe alla fine con quegli scribi e farisei in quella invettiva profetica: « Ecco, la vostra Casa sarà deserta! Vi assicuro che non mi vedrete più fino a quando verrà il giorno in cui direte: Benedetto Colui che viene nel nome del Signore».
La ‘casa’ è un’allusione al territorio e alla nazione di Israele.
Vi devo però a questo punto un supplemento di spiegazione rispetto a quanto già detto nel precedente capitolo sulla venuta ‘intermedia’ del Signore, nella potenza dello Spirito Santo, alla ‘fine dei tempi’.
Parlando dell’interpretazione letterale dell’Apocalisse, avevamo spiegato che nel linguaggio profetico-carismatico per ‘fine dei tempi’ non si debba intendere ‘fine del tempo’ cioè fine del mondo, bensì la chiusura di un’epoca con l’inizio di un’altra.
In tale circostanza si sarebbe scatenata la battaglia spirituale di Armageddon narrata nell’Apocalisse, con la sconfitta dell’Anticristo e del ‘falso profeta’, nemici dei cristiani, ad opera del Figlio dell’Uomo, il Vincente, il Verace, che in qualche modo sarebbe tornato trionfalmente.
Una volta un mio caro amico, un teologo, aveva inarcato un poco il sopracciglio sentendo nominare da me ‘Nostradamus’.2
In realtà Michel de Notredame (1503-1566), di origine ebraica ma convertito al cristianesimo, non era un ‘mago’ con la palla di vetro ma un profondo credente al quale gli studiosi hanno dedicato circa duemila opere, indagando sulla sua vita e sulle sue celebri profezie (Centuries et propheties).
Egli era un medico-scienziato, molto apprezzato ai suoi tempi come tale, ma riverito e consultato soprattutto da Re e alti Prelati della Chiesa per le sue profezie, relative a fatti importanti dei suoi tempi, che si realizzavano regolarmente.
Cinquecento anni fa Nostradamus aveva fra l’altro previsto - proprio per i tempi in cui noi ora ci apprestiamo a vivere – un periodo di massacri e una guerra fra ‘cristiani’ ed islamici (cioè fra occidentali ed orientali) destinata a durare a fasi alterne un paio di decenni, con la vittoria finale degli ‘occidentali’ ed una conseguente era di pace universale, una sorta di ‘età dell’oro’, o meglio del ‘Regno di Dio’ in terra, quel millennio di ‘pace’ con Dio di cui parla l’Apocalisse.
Oggi siamo alla fine del 2003, e il mondo – dopo la tragedia della distruzione, l’undici settembre del 2001, delle Twin Towers di New York ad opera dei terroristi islamici di Osama bin Laden – è continuamente sconvolto da atti di terrorismo che toccano anche Israele.
George W. Bush, attuale Presidente degli Stati Uniti, ha definito a chiare parole quel tremendo attacco terroristico al suo Paese come il segnale dell’inizio di una vera e propria guerra mondiale, che sarebbe stata combattuta con mezzi nuovi, senza regole, e che sarebbe destinata a durare molti anni.
Molti altri commentatori di politica internazionale e capi di governo sono convinti di questa realtà.
Per ora le prime reazioni sul piano militare sono state – da parte degli Stati Uniti d’America - l’invasione dell’Afganistan, protettore di quei terroristi, quindi quella dell’Iraq, considerato uno dei cosiddetti ‘stati canaglia’ fomentatori del terrorismo internazionale…, ma domani?
Cosa ci può riservare in futuro l’innesco di reazioni e controreazioni ed i relativi ‘effetti domino’?
Vi ripropongo una domanda che mi ero già fatto.
Se questa non è ancora una ‘guerra’ globale in senso proprio, non saranno magari questi i prodromi di un lungo periodo di instabilità mondiale destinato a sfociare nei prossimi anni in qualcosa di molto peggiore?
Nostradamus – nella sua ‘Lettera a Enrico, re di Francia’ – spiegava infatti che ‘…Al termine di questo periodo (Ndr.: dopo il 2000 e prima dell’anno 2025), che gli uomini avranno giudicato molto lungo (venticinque anni), la faccia della terra verrà rinnovata grazie all’avvento dell’età dell’oro. Nell’udire le grida di afflizione del suo popolo, il Creatore Iddio decreterà che Satana venga messo in catene e precipitato nell’abisso dell’Inferno, nella fossa profonda: inizierà allora fra Dio e gli uomini la pace universale, mentre Satana rimarrà legato per circa mille anni, ciò che accrescerà, infondendole nuova forza, la potenza della Chiesa; ma poi le sue catene verranno nuovamente sciolte…’.3
Si tratta di un evidente riferimento al testo dell’Apocalisse che vi ho spiegato nel capitolo precedente.
Nostradamus nella sua Opera insisteva molto su questo Regno di Dio in terra.
Un Regno di Pace che – alla fine di una lunga grande guerra cominciata all’inizio del terzo millennio – sarebbe decorso a partire dall’anno 2025.
Attiro peraltro l’attenzione sul fatto che le date delle profezie di Nostradamus debbono essere prese con una relativa elasticità.
Si tratta infatti di date ‘interpretate’ dai suoi ‘studiosi’.
Egli aveva dichiarato al Re di Francia che gli sarebbe stato facilissimo indicare in ‘anni’ la data di avveramento delle sue profezie ma - proprio per il fatto che ciò le avrebbe rese a tutti troppo comprensibili - aveva stabilito di renderle più sfumate, e quindi psicologicamnte meno traumatiche, legando gli avvenimenti profetizzati, anche essi espressi in forma simbolica e quindi da interpretare, non ad anni precisi ma a periodi di tempo legati a determinate congiunzioni astrali, peraltro calcolabili matematicamente in ‘anni’ dagli astronomi.
Le sue profezie sono sostanzialmente come dei ‘rebus’, cioè relativamente comprensibili per gli esperti di enigmistica, ma indecifrabili per uno come me.
Il suo scopo dichiarato non era quello di traumatizzare e rendere infelice l’Umanità dicendo con precisione i fatti e le date in cui certi avvenimenti si sarebbero verificati, ma di metterla in guardia per farle capire a quali conseguenze avrebbero potuto portare certi comportamenti ove questi non fossero stati corretti.
E’ un poco la stessa pedagogia degli avvertimenti profetici velati del Dio del Vecchio Testamento: ‘Se continuerete a comportarvi così, vi succederà (detto in maniera ‘velata’) così…’.
Il rinsavimento degli uomini – questo non bisogna mai dimenticarlo - può però indurre Dio a modificare il suo decreto, come successe nel caso della conversione della città di Ninive a seguito della predicazione del profeta Giona.
A posteriori, quando si avverano, i fatti delle profezie del veggente francese si riconoscono facilmente.
La loro interpretazione deve essere però sempre lasciata agli ‘specialisti’ che meglio conoscono il linguaggio particolare, le allegorie e i simboli che il veggente utilizzava e che facevano parte del suo ‘vocabolario’.
Le profezie sono inoltre scritte nel francese di cinquecento anni fa la cui traduzione sia nel francese moderno che ancor più nelle altre lingue non rende le cose più facili.
A priori, invece, l’evento che deve accadere si intuisce solo nelle sue linee generali, anche se non di rado con delle indicazioni abbastanza precise, come quel periodo di grave instabilità mondiale al quale abbiamo sopra accennato.
Più che ad un anno specifico, per ‘datare’ l’inizio di questo venticinquennale periodo di tribolazioni a livello mondiale bisognerebbe quindi riferirsi ad un periodo di tempo: il nostro, appunto, all’inizio del terzo millennio.
Del resto anche la celebre profezia messianica di Daniele delle settanta settimane di anni che sarebbero intercorsi dal decreto di liberazione degli ebrei da Babilonia fino all’avvento del Messia, e cioè 490 anni, non fu esatta all’anno ma fu precisa - con un margine di pochi anni - quanto al periodo di tempo.
A parte il fatto che il tempo previsto – come avevo letto una volta in una spiegazione della Madonna di Maria Valtorta – avrebbe dovuto essere conteggiato in anni lunari e non solari come hanno fatto molti studiosi.
6.3 Due ‘giorni’ nella tomba....
Prescindendo da Nostradamus, vi avevo detto che numerose voci di mistici moderni annunciano ora anch’esse con sempre maggiore insistenza una imminente ‘venuta intermedia’ del Signore per dare attuazione al Regno millenario di pace previsto dall’Apocalisse.
Come mai un Regno di Dio in terra così tardi, addirittura duemila anni dopo la Redenzione?
Innanzitutto, Dio, è un ‘Dio di Libertà’ che vive ‘fuori del tempo’, è un Dio che quindi non ha ‘fretta’ e soprattutto lascia agli uomini tempo e libertà per convertirsi a Lui.
Il suo è un ‘Regno di Dio nei cuori’ ed i cuori egli li vuole conquistare con l’amore e non con la spada.
Poi perché gli uomini non l’avrebbero meritato prima poiché – nonostante il Sacrificio di un Dio che si fa uomo e accetta di finire in croce e nonostante il dono della Redenzione – essi avrebbero continuato a ‘crocifiggerlo’ bestemmiandolo e uccidendo nuovamente Lui nelle proprie anime con le proprie cattive opere.
Essi sarebbero stati quindi lasciati ad espiare per due millenni in balìa di Satana, che con ogni arma li avrebbe percossi e li avrebbe uccisi come gli uomini avevano fatto e avrebbero continuato a fare con il Santo, finché per l’Umanità – dopo aver espiato con lo stesso percorso mistico di Gesù crocifisso, restato due ‘giorni’ nella tomba – sarebbe giunto il ‘terzo giorno’ della ‘resurrezione’, cioè il terzo ‘millennio’, con la piena attuazione appunto del ‘Regno di Dio’ in terra, nel cuore degli uomini, nel trionfo dello Spirito. 4
Vi avevo però detto qualche pagina fa che tutto questo supplemento di spiegazioni ve lo avrei dato per capire meglio il senso delle parole con le quali Gesù aveva chiuso quella sua ‘invettiva’ contro scribi e farisei: «Ecco, la vostra casa sarà deserta. Vi assicuro che non mi vedrete più fino a quando verrà il giorno in cui direte: ‘Benedetto colui che viene nel nome del Signore’».
Si tratta di un preannunzio, in profezia velata, della seconda venuta, la cosiddetta venuta intermedia, e della conversione degli ebrei al Cristianesimo, fatto che – secondo l’Apocalisse ed altre profezie valtortiane - avverrà dopo la grande tribolazione e dopo la sconfitta dell’Anticristo.
Ora vi traduco dunque in chiaro il significato implicito in quelle parole di Gesù: ‘Israele a causa del suo Peccato verrà cacciato dalla sua terra e verrà disperso in tutto il mondo. Ed il popolo di Israele non potrà vedere il ritorno di Gesù finché non si sarà convertito, benedicendolo, convinto ormai che era proprio Lui, Gesù, quel Messia tanto atteso che Israele aveva rifiutato. Solo dopo questa conversione vi sarà la venuta intermedia, di qualunque natura questa ‘venuta’ sia, palese od occulta, nel segreto dei cuori o meno, e solo allora avrà inizio il Regno di Pace, il Regno pieno di Dio in terra’.
Diciamocelo francamente: tutto potremmo pensare, noi, e tutto potrebbero pensare o volere ‘loro’ - cioè gli ebrei stessi, i nostri ‘fratelli’ maggiori del giorno d’oggi - fuorché una ‘loro’ conversione al Cristianesimo.
Siamo tutti liberi di non crederlo.
I primi cristiani sono tuttavia venuti proprio dall’ebraismo e – per quanto concerne il nostro ‘credere’ cristiano - è stato lo stesso ebreo San Paolo, il più grande ispirato del Nuovo Testamento, a dire di avere avuto da Dio questa misteriosa rivelazione, come egli ci spiega nella sua Lettera ai romani (11, 25-32), precisando che ad un certo punto della storia il dono della conversione sarebbe stato dato agli ebrei perché essi – per i meriti dei Patriarchi – erano un popolo caro a Dio.5
6.4 Nel Nuovo Testamento l’offerta purificale a Dio non è più quella di un animale ma quella dell'uomo in spirito…
Dopo questo primo scontro a Rama con i farisei, il gruppo apostolico giunge a Gerusalemme. Manca solo qualche giorno alla Pasqua.
E’ la terza Pasqua del terzo anno di vita pubblica di Gesù.
La quarta - quella dell’inizio dell’anno successivo di lì a dodici mesi - sarà quella della sua Passione.
Tale ricorrenza cadeva nel plenilunio di nisan (marzo-aprile) e la festa durava parecchi giorni.
Nel quattordicesimo giorno del mese successivo vi era una Pasqua in tono minore, cioè la ‘Pasqua supplementare’, per coloro che non avevano potuto partecipare alla prima. Seguiva quindi la Festa di Pentecoste.
Gesù e gli apostoli trascorrono dunque le giornate di questi giorni pasquali al Tempio, in città e nella vicina cittadina di Betania, nella casa di Lazzaro.
E’ in questa casa che avviene l’episodio raccontato da Luca (Lc 10, 38-42) in cui Marta - sorella di Maria (detta anche Maddalena o di Magdala) e dello stesso Lazzaro – si lamenta con Gesù perché Maria se ne sta lì ad ascoltarlo incantata mentre lei deve darsi da fare da sola per sopperire alle esigenze di tutti gli ospiti.
Classico rimbrotto fra sorelle, dove però Gesù replica bonariamente a Marta, anch’essa sua discepola, che Maria, nello star lì sempre ad ascoltarlo, s’era scelta la parte migliore, quella dello spirito.
Finite le feste, gli apostoli riprendono poi il loro viaggio di evangelizzazione.
Ritorneranno a Gerusalemme per la Festa di Pentecoste ed è in questa seconda occasione che il rapporto ‘acceso’ con scribi e farisei - già alimentato dallo scontro precedente, a Rama - diventa incandescente. 6
In città c’è un gran via-vai di gente che si reca al Tempio per la preghiera.
Per andare al Tempio gli ebrei erano soliti purificarsi con abbondanti abluzioni e presentare a Dio offerte di animali, che dovevano essere i più belli, che venivano portati presso un altare dove venivano immolati.
A quell’epoca non c’erano ‘animalisti’, da quelle parti.
Con il Nuovo Testamento Gesù introduce invece una diversa purificazione: non più l’offerta a Dio di prodotti della terra o di incolpevoli animali ma quella di se stessi, o meglio dello spirito dell’uomo, attraverso il combattimento spirituale contro il proprio ‘io’ che ci rende merito e ci fa diventare ‘figli di Dio’.
La ‘vittima’ diventa l’uomo che offre al Signore il sacrificio delle sue passioni personali così come il Gesù della Redenzione – ma lui anche fisicamente - si era offerto personalmente ‘vittima di espiazione’ al Padre.
Gli apostoli – nel giorno della Festa - lasciano dunque la casa ospitale di Gerusalemme che li aveva accolti e si dirigono al Tempio.
Il gruppo apostolico era numeroso e non passava certo inosservato, la fama di Gesù era grande e la conoscevano persino gli ebrei che convenivano a Gerusalemme dalla diaspora, cioè dai territori di altre nazioni dove essi vivevano.
Il popolo vedeva in Gesù un grande profeta, ne ammirava la sapienza e la capacità oratoria ed era sempre pronto ad accorrere per ascoltarlo.
Voi stessi avete letto come fosse fisicamente ‘bello’ il Gesù valtortiano e potete ben immaginare come dovesse essere vederlo dal ‘vivo’, sentirne il timbro di voce e le intonazioni, coglierne le espressioni del volto e lo sguardo a volte dolce e mite, a volte maestoso ed altre volte dardeggiante quando si sdegnava.
Vi dirò una cosa che forse vi sorprenderà. Dire che Gesù fosse bello potrebbe sembrare una affermazione dettata dal nostro amore di cristiani per cui ci pare che uno come Gesù, figlio di Dio, non potesse essere che necessariamente bello, come ‘bella’ dovesse essere stata anche la Madonna.
La spiegazione è un’altra e l’avevo ricavata da uno degli innumerevoli passi dell’Opera valtortiana che ora non saprei neanche più dove rintracciare.
La bruttezza dell’uomo attuale, rispetto alla bellezza del modello originario costituito da Adamo ed Eva, è dipesa dalla unità psicosomatica.
Il Peccato originale e poi una vita di peccato dell’Umanità, per millenni e millenni, si è ripercossa sui geni, alterandoli.
Ne sono discesi uomini sempre meno perfetti, sempre più brutti, moralmente, spiritualmente e fisicamente, e quelli che oggi giudichiamo fisicamente belli rappresentano l’eccezione alla regola, un pallido ricordo della bellezza antica che emerge da un casuale rimescolamento di cromosomi, magari trasmessi geneticamente simili dai genitori ai figli.
E anche quando gli uomini sono belli, ciò non esclude che dentro siano brutti spiritualmente, mentre uno brutto esteriormente potrebbe avere una bellezza interiore eccelsa.
Ma Gesù e Maria SS. erano rispettivamente il Nuovo Adamo e la Nuova Eva.
In forza dello loro missione in terra, Gesù come Redentore e Maria come ‘corredentrice’, nessuna Macchia d’origine e nessun peccato individuale era in loro.
In Maria perché doveva ospitare nel suo seno il Verbo di Dio, in Gesù perché la sua natura di Uomo avrebbe dovuto coesistere con quella di Dio.
Essi furono quindi perfetti non solo nel morale e nello spirito, ma anche nel fisico.
Mentre dunque il gruppo apostolico sale al Tempio anche questa volta la gente lo vede, lo raggiunge e lo circonda chiedendo a Gesù di parlare.
Ma fra la gente si infila un gruppo di scribi, farisei e dottori della legge che al Tempio erano proprio di casa.
Era allora uso, per scribi e dottori della legge, utilizzare i piazzali ed i porticati del tempio come luoghi di insegnamento.
Tenevano lezione per i propri allievi ma, quando vedevano che i pellegrini si avvicinavano incuriositi ad ascoltare, le lezioni diventavano delle vere e proprie ‘conferenze’ dove i ‘Maestri’ facevano a gara per far vedere la propria sapienza dottrinale e la propria capacità oratoria.
Un occhio rivolto agli ascoltatori ed un altro ai loro ‘concorrenti’.
Preziosità linguistiche, frasi ad effetto, tutto per attirare l’attenzione sulla loro ‘scienza’ e l’ammirazione su di sé. In fin dei conti erano esseri umani.
Della ‘legge’ non praticavano la sostanza spirituale, quanto invece gli aspetti esteriori ma ergendosi – di fronte al ‘popolo’ - a moralizzatori dei costumi.
Fra i dottori ve ne erano però taluni che invece erano veramente sapienti e soprattutto dei ‘giusti’, come ad esempio i grandi Hillele e Gamaliele, quest’ultimo citato anche negli Atti degli Apostoli.
Ora però Gamaliele non c’è e gli altri – nel vedere che Gesù vorrebbe sottrarsi alla richiesta di parlare – sogghignano sardonici commentando fra di loro che il ‘galileo’ deve aver finalmente imparato ad essere prudente, avendo capito da che parte tira ormai il vento.
Gesù però – mosso a compassione dalla ‘fame’ che il popolo aveva della Parola di Dio – si lascia convincere e tiene un discorso, denso di significato anche se breve.
Egli ricorda come – dopo essersi ribellato tante volte a Dio, ricevendone punizione – il popolo di Israele continui a farlo anche ora.
Solo il pentimento e la penitenza avrebbero potuto indurre Dio a modificare il suo decreto di punizione dell’Israele ribelle.
Israele non si è pentito in passato, quando a parlare erano i profeti, ma non si pente nemmeno ora quando a parlare è addirittura il Messia, che è la stessa ‘voce’ di Dio.
‘Pentitevi – dice in sostanza Gesù – perché quando il decreto di Dio verso Israele impenitente si compirà, almeno i migliori si trovino ad esser liberi da colpa e – pur avendo perduto i beni terreni – non abbiano a perdere la vita eterna’.
E’ chiaro per noi, avendo letto i capitoli precedenti, che vi è una allusione alla terribile sventura che si sarebbe abbattuta nel 70 d.C. su Gerusalemme che - ribellatasi ai romani avendo seguito un falso Messia, un agitatore politico che si era dichiarato tale e che voleva sconfiggere Roma – venne assediata per anni, poi conquistata e infine rasa al suolo, con un milione di morti, come racconta lo storico ebreo di allora, Giuseppe Flavio, ex ufficiale delle truppe israeliane, catturato e poi ‘convertitosi’ per opportunismo alla potenza imperiale di Roma.
Scribi e farisei si erano intanto imbufaliti ed avevano fatto chiamare i soldati del Tempio, una specie di milizia privata gestita dai Sacerdoti di allora.
La gente rumoreggia però contro l’intrusione delle milizie, finché – sentendo il clamore – intervengono i soldati romani del vicino corpo di guardia che erano sempre pronti a sedare le risse suscettibili di degenerare.
I legionari con un colpo d’occhio fotografano la situazione, vedono scribi e farisei e la loro soldataglia che essi – da veri combattenti quali si sentono - disprezzano, vedono Gesù, che essi stimavano considerandolo un gran giusto che insegnava ad avere rispetto delle Autorità, impongono silenzio ai contestatori e danno libertà di parola a Gesù.
La gente – che ha sentito prima Gesù accennare ad una prossima punizione – gli chiede se Dio – dunque – non ami più il popolo di Israele…
Gesù risponde che è invece il contrario, tanto che ha mandato lui – il Messia - a fondare il suo Regno facendo conoscere alla gente la Parola di Dio.
Infatti – continua Gesù – la sua ‘natura’ è quella di poter essere Parola che traduce il Pensiero di Dio che gli è Padre.
Al sentir ciò, Farisei e Scribi – fra i quali vi è Elchia, un Capo, un sinedrista falso, bigotto e feroce – gli chiedono melliflui una conferma del suo dichiararsi ‘Figlio di Dio’ – e Gesù, incrociando con lo sguardo i loro occhi, glielo conferma.
Questo è infatti l’anno decisivo di Gesù, non più solo Maestro ma anche Redentore. Egli dovrà mettere ora da parte una certa prudenza tattica del passato per affermare sempre più chiaramente la propria divinità affinché tutti ne siano informati e possano convertirsi o non abbiano ad accampare scuse di non aver saputo.
Gesù era Verbo, Parola tagliente, che era sceso in terra per salvare l’Umanità facendo però una discriminazione fra buoni e cattivi, come aveva detto l’anziano Simeone - nell’episodio raccontato da Luca in occasione della Presentazione di Gesù bambino al Tempio – il quale, illuminato dallo Spirito Santo, aveva profetizzato a Maria: ‘Ecco. Egli è posto per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione: e a te pure una spada trapasserà l’anima. Così si sveleranno i pensieri di molti cuori’ (Lc 2,34).
Scribi e farisei cambiano tattica, fanno finta di accettare un dialogo ‘accademico’, di mostrarsi non ostili, anzi ‘amici’, e obbiettano a Gesù che – se anche Egli dice di essere il Messia – è pur vero che non si vedono eserciti ai suoi ordini...
E’ il fatale errore di Israele che si attendeva un Messia di guerra.
Gesù soggiunge infatti di essere un ‘Dio d’amore’…e come gli ebrei al tempo della prigionia d’Egitto vennero segnati e salvati dal sangue dell’agnello sacrificale pennellato sugli stipiti e sugli architravi delle porte delle loro case, così il Sangue di ben altro Agnello salverà quelli che lo amano.
Per gli ‘altri’ – conclude Gesù - vi sarà invece il ‘marchio’ di Caino, assassino di Abele, che non si pentì e non venne perdonato da Dio e – come racconta la Genesi – ‘andò ramingo e fuggiasco per la terra finché ebbe vita’.
Farisei e scribi comprendono che quell’accenno di Gesù agli ‘altri’ è riferito a loro e si fingono ingiustamente offesi, rimproverandogli di essere troppo severo con loro.
Ed è a questo punto che Gesù conclude con le parole citate nel vangelo di Luca all’inizio di questo capitolo, quelle sul dover essere – loro – ‘luce’ per il popolo.
Egli – dice di sé il Gesù valtortiano – è Luce, e la Luce è stata mandata per illuminare le Tenebre. Sarebbe stato inutile che l’Altissimo avesse mandato la sua Luce e poi le avesse imposto il ‘moggio’. Anche gli uomini, se accendono un lume, lo fanno perché chi entra in casa lo possa vedere. ‘Benedite questa Luce – dice Gesù – perché è segno dell’amore di Dio che vuole salvarvi. Ma ricordate che, per vedere, oltre al lume ci vuole l’occhio netto…’.
I Farisei si guardano con un gesto di intesa fra di loro e poi Elchia – tutto ossequioso – invita il ‘Maestro’ ad onorarlo della sua presenza in casa, a pranzo.
Gesù non vorrebbe accettare, ma neppure vorrebbe offenderlo rifiutando, per cui alla fine finisce per acconsentire e seguire il gruppo farisaico con i suoi apostoli, niente affatto contenti.
Tutto finito a tarallucci e vino?
Neanche per sogno. Lo vedremo nel prossimo capitolo.
1 G.L.: “Il Vangelo del ‘grande’ e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. I – Capp. 11 e 13 – Ed. Segno, 2000
2 G.L.: ‘Alla scoperta del Paradiso perduto’ (Apocalisse e nuovi tempi) – Capp. 13 e 14 – Ed. Segno, 2001
3 J.C. de Fontbrune. ‘Nostradamus, le nuove profezie fino al 2025’ – Ed. Mondadori
4 M.V. ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. X, Cap. 593.3 – Centro Ed. Valtortiano
5 Per una trattazione più completa sulla conversione degli ebrei al cristianesimo e sulla ricostituzione recente dello Stato di Israele, vedi – dell’autore – il Vol. III, Cap. 10, de “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni”.
6 M.V.’L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. VI, Cap. 413 – Centro Ed. Valtortiano)