La Sacra Bibbia: ‘Il Vangelo secondo Matteo’ – Edizioni Paoline, 1968
(G.L.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 20 – Ed. Segno, 1997)
2. Figlio dell’Uomo e Figlio di Dio
Mt 20, 1-16:
Il Regno dei Cieli, infatti, è simile ad un padrone di casa, che di buon mattino uscì a contrattare dei lavoratori per la sua vigna.
Dopo aver fissato con i lavoratori un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna.
Uscì verso l’ora terza e ne vide altri che se ne stavano in piazza sfaccendati e disse loro: «Andate anche voi nella mia vigna e vi darò quel che sarà giusto». Essi andarono.
Uscì di nuovo verso l’ora sesta e l’ora nona e fece lo stesso.
Uscito poi verso l’undecima ora, trovò altri che se ne stavano sfaccendati e domandò loro: «Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far nulla?». Gli risposero: «Perché nessuno ci ha presi a giornata».
Egli disse loro: «Andate anche voi nella vigna».
Venuta la sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: «Chiama i lavoratori e paga loro la mercede, cominciando dagli ultimi fino ai primi».
Si presentarono dunque quelli dell’undecima ora ed ebbero un denaro per uno. Vennero in seguito anche i primi, pensando di ricevere di più, ma ebbero anch’essi un denaro per uno. E nel riceverlo mormoravano contro il padrone di casa dicendo: «Questi ultimi hanno lavorato un’ora sola e li hai trattati come noi che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo!».
Ma egli, rispondendo a uno di loro, disse:«Amico, io non ti faccio torto: non hai fissato con me un denaro? Prendi il tuo e vattene. Io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare del mio quello che voglio? O sei tu invidioso perché io sono generoso?».
Così gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi.
Mt 16, 5-20:
Passando all’altra riva, i discepoli si erano dimenticati di prendere dei pani.
Gesù disse loro: « Fate attenzione e guardatevi dal lievito dei Farisei e dei Sadducei ».
Ma essi ragionavano fra di loro dicendo: « Non abbiamo preso pane! ».
Gesù, conosciuto ciò, disse: « Di che ragionate fra di voi, o uomini di poca fede? Per non aver preso pane? Non avete ancora capito? Non vi ricordate dei cinque pani per i cinquemila uomini e di quante ceste ne raccoglieste? Né dei sette pani per i quattromila e di quante ceste ne riempiste? Come non intendete che non è per il pane che io vi ho detto: Guardatevi dal lievito dei Farisei e dei Sadducei? ».
Allora compresero che non aveva detto di guardarsi dal lievito del pane, ma dalla dottrina dei Farisei e dei Sadducei.
Arrivato Gesù nel territorio di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli: « La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo »?
Essi risposero: « Alcuni dicono che sia Giovanni Battista, altri Elia, altri Geremia, o uno dei profeti ».
« Ma voi, domandò loro, chi dite ch’io sia? ».
Rispose Simon Pietro: « Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivente ».
E Gesù a lui: « Beato te, Simone, figlio di Giona, perché non la carne né il sangue ti ha rivelato questo, ma il Padre mio che è nei Cieli. Ed io dico a te, che tu sei Pietro e su questa Pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’Inferno mai prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del Regno dei Cieli: qualunque cosa legherai sulla terra sarà legata anche nei cieli; e qualunque cosa scioglierai sulla terra sarà sciolta anche nei cieli».
Allora comandò ai suoi discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.
2.1 Gli operai dell’undicesima ora
Seguendo quindi la concatenazione degli avvenimenti valtortiani, dopo l’episodio del capitolo precedente relativo alla uguaglianza di tutti gli uomini che sono tutti ‘fratelli’ perché ognuno ha una identica anima creata da Dio e sono dunque ‘figli’ dello stesso Padre, assistiamo ad un altro episodio famoso raccontato da Matteo, quello degli operai dell’undicesima ora chiamati dal Padrone a lavorare nella ‘vigna’.
Il Gesù valtortiano è ad Alessandroscene, una piccola cittadina della siro-fenicia prossima alla costa mediterranea, ed è giorno di mercato. Vi è in piazza una gran folla pronta ad ascoltare, e frammisti ai bene intenzionati vi sono i soliti scribi e farisei astiosi pronti a contestare Gesù e ad insultarlo.
Gesù parla però per tutti, anche e soprattutto per loro, e vuole fare capire quanto il Padre ami i suoi ‘figli’, anche se peccatori, che Dio vorrebbe salvare ad ogni costo, sol che essi lo vogliano.
Per fare comprendere a cosa sia assimilabile il Regno dei Cieli Gesù racconta dunque la parabola di quegli operai che vanno a lavorare nella vigna del padrone alla fine della giornata.
La vigna, si sa, richiede spesso molta manodopera, specie durante la vendemmia.
Il ‘padrone’ si reca in piazza il mattino per ingaggiare della manodopera, pattuisce con i lavoratori una paga giusta che spetterà loro per il lavoro della giornata, e quelli si avviano.
Il padrone però vuole ancora ‘manodopera’, ritorna più tardi ed ingaggia altri lavoratori, finché a sera, all’undecima ora, cioè un’ora prima della fine della ‘giornata’ (che a quei tempi in Israele era calcolata in 12 ore, dall’alba al tramonto) torna sulla piazza e vede due poveretti, afflitti per essere rimasti senza lavoro e paga perché nessuno li aveva chiamati.
Il padrone, mosso a pietà, avvia anche loro nella sua vigna.
Terminato il lavoro, egli – che ha osservato attentamente quanto hanno fatto tutti gli operai - ordina al fattore di dare ai due ultimi – che peraltro, riconoscenti per la sua bontà si erano anche dati da fare in quell’ora più di quanto gli altri negligenti avessero fatto nell’intera giornata - la stessa paga giornaliera convenuta con i primi.
I primi però, invidiosi, si ribellano e protestano, vorrebbero di più avendo lavorato più a lungo.
La risposta del Padrone è severa. Egli è libero di fare con le sue sostanze quello che vuole, e non ha fatto loro torto perché essi – nonostante abbiano lavorato con molta minor lena dei due ultimi - hanno percepito il pattuito, anzi di più perché Egli, buono, ha concesso loro dei turni di riposo ed anche dei pasti non previsti dagli accordi.
La morale spirituale è questa: nel regno dei Cieli tanti che erano gli ultimi saranno primi e tanti primi saranno ultimi, perché i chiamati sono molti ma gli eletti sono pochi.
Ma quale è, ancora, il significato di questa parabola?
Lo scopo della vita dell’uomo non deve essere quello della prepotenza, dell’egoismo, del piacere senza controllo, ma quello di conquistarsi con una vita da ‘giusti’ – e cioè con il rispetto della legge naturale interiore, riassunta nei principi che conosciamo anche come i ‘dieci comandamenti’ – l’altra vita, quella spirituale, che è eterna.
Vi avevo spiegato che nell’attimo creativo, prima che Dio la infonda nell’embrione umano concepito dai due genitori, l’anima ha una visione infinitesimale ma folgorante della Verità, cioè di Dio stesso.
Nel precedente volume abbiamo parlato a lungo dell’anima che – una volta infusa nell’embrione – rimane smemorata ma che talvolta ‘ricorda’, in vita, alcuni brandelli di quella Verità che ha ‘visto’ in quell’attimo creativo.
Il fenomeno ad esempio delle ‘reminescenze’, e cioè l’impressione di aver già visto certe cose o di aver vissuto certe esperienze, non è indicativo di una vita vissuta in precedenza per cui - come taluni pensano - l’anima rivive una seconda volta, quanto invece del fatto che nel momento della sua creazione l’anima ha visto la Verità, e quindi anche il suo futuro, e porta con sé nella propria vita terrena ‘particelle’ della Intelligenza eterna che di tanto in tanto affiorano dagli strati profondi dell’inconscio fino al livello del proprio ‘io’ cosciente.1
E’ proprio perché l’uomo rimane ‘smemorato’ della Verità intravista che Dio ha dotato l’anima della ‘legge naturale’, affinché essa – sviluppandosi di pari passo con la crescita fisiologica ed intellettuale dell’uomo – sappia come condursi, per salvarsi, indipendentemente dal fatto di essere della religione vera o non vera.
L’uomo mostra però spesso di non voler sempre assecondare questa interiore spinta al bene che anzi egli non di rado addirittura sopprime.
Se solo però volesse in qualche modo ravvedersi, ma si ritenesse indegno, o incapace, o ritenesse esser troppo tardi per pentirsi, ecco che Dio gli va incontro e gli fa capire che invece non è tardi, perché Egli – anche alla fine - si accontenta del suo pentimento e della sua buona volontà.
Dio è un Padre buono, ha creato tutte le anime e – nel rispetto assoluto della libertà e della volontà di ognuna di esse - le vorrebbe tutte salve, anche se sono anime della ‘undicesima ora’.
2.2 E’ lo stato di colpa derivante dal Peccato originale quello che permette agli uomini meritevoli di guadagnarsi il Paradiso
Anch’io sono un operaio dell’undicesima ora. Questo che scrivo adesso è anche il mio undicesimo libro in sette anni e forse ho anch’io cercato di recuperare, come quei due ultimi operai della vigna, il ‘lavoro’ che non ho fatto nelle precedenti dieci ore della giornata.
Non so quanto la mia ‘conversione’, termine che uso con prudenza mettendolo tra virgolette, sia in realtà genuina.
Non so cioè fino a che punto essa sia solo una conversione intellettuale più che del cuore.
Vi ho spiegato nella Introduzione tutte le mie difficoltà nell’abbandono nelle mani del Signore, e sono spesso pieno di dubbi, intellettuali ma pur sempre dubbi.
Come metterla ora, ad esempio, con questo nostro Signore della parabola che si mostra da un lato Padre buono e misericordioso con gli uomini che vuole ad ogni costo salvare, ma che dall’altro ha consentito il Peccato originale con tutte le sue nefaste conseguenze sul resto della discendenza dei primi due, e quindi sulla intera Umanità, che nessuna colpa aveva per il peccato compiuto dai due progenitori?
Perché le sofferenze ed i dolori del mondo?
Ho scritto un libro intero2 sul perché di queste sofferenze. Sono dovute all’egoismo, alla superbia, all’orgoglio, alla volontà di prevaricazione dell’uomo ormai decaduto ed alle tentazioni di Satana.
La ragione però per cui il ‘Dio buono e misericordioso’ abbia consentito ai primi due di cedere alla tentazione del Serpente, è stata sempre un dubbio che ogni tanto torna serpentinamente a insinuarsi nella mia mente, e chissà di quante altre persone ancora.
Se Dio è così buono – torno a ripetermi - perché ha permesso il Peccato originale dal quale è poi derivato il nostro attuale stato di sofferenza morale, di malattia e di morte, lo stato insomma di noi che nessuna colpa abbiamo mai avuto per quel Peccato?
Questo era anche un dubbio che assillava particolarmente uno di quei tre teologi che ho citato nell’Introduzione, Bultmann, il quale non riusciva a capacitarsi del fatto che l’uomo, senza responsabilità e quindi senza colpa, debba ora soffrire di questa situazione.3
Assurdo, per lui! Ed egli negava quindi la realtà del Peccato originale raccontato nella Genesi, ritenendolo un mito.
A Bultmann erano però sfuggiti due concetti.
Il primo è quello che Dio è ‘Dio di Libertà, e quindi ha creato angeli e uomini assolutamente liberi, perché nella libertà sta la loro felicità e dignità. Fu dunque esercitando liberamente questo loro ‘diritto’ ma abusando di questa libertà che gli angeli ribelli sbagliarono, venendo cacciati all’inferno, come pure sbagliarono i due progenitori, anche se in maniera meno grave perché – inferiori agli angeli – vennero circuiti ed indotti dall’angelo tentatore per eccellenza.
Il secondo concetto è che se gli uomini discendenti dei due progenitori soffrono dolore e morte è semplicemente perché essi – pur non essendo stati responsabili di quel lontano peccato - ne subiscono le conseguenze.
Loro non ne hanno colpa ma subiscono le conseguenze della Colpa. Allo stesso modo di quel figlio che – senza propria colpa - ha ereditariamente e geneticamente contratto una malattia che i suoi genitori poco avveduti si erano precedentemente procurati per loro colpa.4
La ‘Colpa d’origine ’, consistente in un atto di superbia, tradimento e ribellione, fu voluta liberamente dai primi progenitori che – pur essendo i ‘re’ del Creato – pretesero di voler essere anche come Dio, simili a Lui nella potenza creativa, appetendo per ciò al frutto dell’Albero proibito, quello della conoscenza del Bene e del Male.
Essi persero l’amicizia ed i ‘doni’ di Dio, e quindi l’integrità spirituale e, a cascata – in forza dell’unità psicosomatica che caratterizza l’uomo – anche l’integrità fisica, con la malattia e la morte.
Volendo creare essi finirono per ‘procreare’, ma nella ‘animalità, dando alla luce – per difetto ‘genetico’ - figli ormai ‘tarati’ spiritualmente, moralmente e fisicamente: i figli del Peccato originale, appunto, che avrebbero a loro volta ritrasmesso queste tare ai discendenti successivi.
Ecco anche per voi, però, la risposta che nel mio primo libro mi dette al riguardo della ‘bontà’ di Dio, quella che io chiamo la ‘Luce’ del mio Subconscio creativo5:
Luce:
Dio creò l'uomo 'perfetto': destinato al Paradiso perpetuo.
Satana, invidioso dell'uomo, perché rabbioso di essere stato cacciato dal Paradiso, volle - anche in 'odio' a Dio - rovinare - con la sua 'tentazione' ed il Peccato originale - l'opera di Dio!
L'uomo perse la Grazia, divenne imperfetto e perse il Paradiso. Ma proprio lo stato di colpa - che rende imperfetti e soggetti alle malattie fisiche e spirituali, soggetti al peccato - permette agli uomini meritevoli di 'guadagnarsi' il Paradiso. Ciò per merito della 'buona volontà' e di quel Libero Arbitrio che Dio aveva loro donato.
Quindi Satana, il Male, si è fatto inconsapevolmente strumento del Bene, perché per l'uomo è più merito 'conquistarsi' il Paradiso che riceverlo in dono senza alcuno sforzo.
Dio, Dio ha fatto gli uomini a sua immagine e somiglianza!
Dio è Amore, e ama gli uomini come figli, di un amore intensissimo, infinito.
L'uomo, a causa del libero arbitrio, e quindi della sua 'volontà', si è dato al Male perdendo la Grazia e ottenendo morte e dolore. Satana imperversa fra gli uomini. Dio, immenso nella sua bontà, ha per amore voluto riscattare l'uomo ed i suoi peccati offrendo in sacrificio se stesso. Dio si è fatto uomo, ha sofferto, si è immolato dopo aver evangelizzato ed insegnato all'uomo la Dottrina dell'Amore che è necessaria alla sua salvezza.
Così come l'uomo con il suo libero arbitrio si è perduto, così ora l'uomo - grazie all'insegnamento della Dottrina dell'Amore consacrata nella Passione - con lo stesso libero arbitrio potrà imparare ad amare e riconquistare lo stato di 'grazia' perduto.
Dio ha fatto dunque sacrificio di se stesso per salvare i suoi figli uomini.
E' come se un padre o una madre offrissero la propria vita per la salvezza di quella dei figli.
Pare insomma di comprendere che Adamo ed Eva – se Dio avesse loro impedito di peccare – avrebbero avuto un Paradiso di felicità eterna senza alcun merito, mentre l’uomo decaduto - che con la sua volontà tenace vuole però risalire la china – meriterà proprio per questo la ‘gloria’.
2.3 Oh! Donna! Grande è la tua fede. E con questo consoli lo spirito mio.
Lasciata la cittadina di Alessandroscene il gruppo apostolico si rimette in marcia. Il morale degli apostoli è tuttavia alquanto basso perché in molti luoghi essi hanno incontrato ostilità, specie da parte di scribi e farisei.
La tecnica di predicazione di Gesù era molto semplice, egli si spostava di paese in paese e quando vi arrivava e giudicava che le circostanze fossero favorevoli all’ascolto, si metteva in una posizione ben visibile e, aiutato dal suo bell’aspetto e dal tono autorevole ma anche dolce della sua voce, cominciava a parlare del Regno dei Cieli e della propria venuta.
Egli parlava con grande sapienza e la gente, che all’inizio si avvicinava a sentire per curiosità, lo ascoltava sempre più affascinata perché avvertiva nelle sue parole una grande giustizia ed anche il taglio di una voce profetica.
Ma gli accadeva anche sovente di essere stato preceduto in quei luoghi dalla sua fama di ‘guaritore’, ed ecco che allora gli si paravano davanti vere e proprie ‘corsie’ di ammalati che lo invocavano con fede e che egli dunque guariva.
Egli guariva per amore, per lenire quelle sofferenze umane, ma nello stesso tempo si serviva strumentalmente del miracolo e del fascino che esso suscitava nei presenti per attrarre le genti alla sua dottrina e salvarle più facilmente.
A proposito di fede. E’ dopo la sosta in una casa ospitale e dopo che il gruppo apostolico si è rimesso in cammino che, nell’opera valtortiana, avviene il colorito episodio della donna cananea, cioè una pagana, che viene raccontato nel Vangelo di Matteo (Mt 15, 21-28) e di Marco.
Costei aveva una figlia posseduta dal demonio che le faceva fare cose vergognose. Lei ne soffriva molto ed era per di più schernita da tutti i conoscenti. Avendo saputo che il Messia era arrivato da quelle parti lo attende fuori dalla porta della casa dove Gesù aveva passato la notte e, alla sua partenza, gli si getta ai piedi esponendo il suo caso ed invocando pietà.
Gesù tira dritto per la sua strada, senza degnarla di un’occhiata. Ma quella continua a seguirlo e ad invocarlo ad alta voce. Il gruppo apostolico attraversa il paese e la gente – sentendo le grida della donna – si affaccia alle porte. Gesù continua ad ignorarla. La gente capisce ma conoscendo la fama caritatevole di Gesù e la sua potenza di miracolo rimane interdetta nel vederlo così insensibile.
I paesani si accodano allora al gruppo apostolico, curiosi di vedere come andrà a finire quella storia. Gli apostoli sono dapprima imbarazzati, anch’essi stupiti per l’atteggiamento di Gesù, ma poi vanno nel panico perché la donna continua ad invocare ad alta voce ed essi temono uno scandalo sempre maggiore con tutto quel corteo di gente dietro che si ingrossa sempre di più. Che Gesù la guarisca o almeno la mandi via…!
Gesù allora si ferma, si volta a guardare la donna e, davanti a tutti, le dice con tono severo che il Messia è venuto per aiutare e salvare solo le ‘pecore di Israele’, e che non è bene togliere il pane ai propri figli e gettarlo ai cani, cioè ai pagani di altri popoli.
Ma la donna non si arrende, rinnova le sue richieste di pietà e replica che anche i cani mangiano le briciole che cadono dalle mense dei padroni.
Lei non gli chiede di trattarla come una ‘figlia’ né di farla sedere alla sua mensa, ma almeno di dargli le briciole che si danno ai cani…
Il viso severo di Gesù si illumina di gioia, si trasfigura, « Oh! Donna! Grande è la tua fede. E con questa tu consoli lo spirito mio. Và. Dunque, e ti sia fatto come tu vuoi. Da questo momento il demonio è uscito dalla tua figliola. Và in pace. E, come da cane disperso hai saputo voler essere cane della casa, così sappi in futuro essere figlia, seduta alla mensa del Padre. Addio ».
La donna al colmo della felicità e della commozione lo benedice, ma è indecisa se seguirlo e stare con lui o correre via dalla figlia. Gesù la invita ad andare e quella corre come una gazzella, mentre il corteo dei paesani segue lei per andare a vedere come è finito il miracolo…
Gesù, dopo tante delusioni voleva tirare su il morale degli apostoli e nello stesso tempo voleva provare la fede della donna ma anche insegnare il valore e l’insistenza nella preghiera.
Quando si prega il Padre con fede e con perseveranza, le preghiere vengono esaudite, anche se sembra che Egli non ascolti.
Il gruppo riprende la sua strada.
2.4 Questo è il senso della tua ‘divinità’. Non è bestemmia.
Come stavo dicendo sopra, in questo terzo anno Gesù ed i suoi incontrano sempre maggiori difficoltà nella predicazione. La fama di Gesù è infatti ormai grande e l’odio dei sacerdoti del Tempio aumenta di pari passo.
Essi – fin dall’episodio della Pasqua del primo anno di vita pubblica, quando Gesù aveva cacciato a suon di frusta i mercanti che avevano reso il piazzale del Tempio un indegno caravanserraglio, mercato che i sacerdoti permettevano ricevendone vantaggi economici - vedono in lui un sobillatore religioso che li addita alla vergogna del popolo.
Essi si sentono peraltro in colpa, reagiscono aggressivamente e allora per sbarazzarsene ‘legalmente’ senza che il popolo incolpi loro lo additano perfidamente ai romani come un agitatore politico che vorrebbe farsi ‘messia’, cioè ‘re’ di Israele, per indurre il popolo a ribellarsi al potere imperiale romano.
Scribi e farisei – nella speranza che Gesù si comprometta - cominciano nel terzo anno a tenerlo d’occhio più da vicino, lo fanno seguire dai loro emissari e spesso lo fanno anche precedere nei luoghi dove essi intuiscono che si recherà. Tutte le volte che possono lo provocano, cercano di aizzare la folla, fare scoppiare tumulto, sperando che i soldati romani intervengano per sedarlo ma poi arrestino lui da essi accusato come sedizioso.
Ma anche i soldati conoscono Gesù di fama. La voce corre fra i legionari. Essi sanno che Gesù fa miracoli, parla da sapiente e da giusto, e soprattutto rispetta i romani pagani e predica la non-violenza, nonché la non ribellione alle autorità costituite, perché sarà semmai Dio a fare giustizia e a chiedere ad esse conto un giorno del loro cattivo operato.
Poiché l’odio di scribi, sadducei e farisei è grande, negli apostoli monta tuttavia istintivo nei loro confronti uno spirito di rivalsa.
Essi reagiscono con sempre maggiore malanimo al loro odio ed è qui che – non lontano dalla cittadina di Cesarea di Filippo, attraversato il fiume Giordano – avviene un altro episodio raccontato da Matteo ma anche da Marco e Luca.
Gli apostoli, fra un commento acido e l’altro sull’odio dei loro nemici, si accorgono di essere rimasti senza pane, per di più in una località isolata.
Gesù li invita da parte sua a stare attenti al lievito dei farisei. Quelli si chiedono fra di loro cosa c’entri lo stare attenti al lievito dei farisei nel pane, visto che il pane si sono dimenticati di comprarlo.
Ma Gesù li rimprovera due volte.
Sono uomini di poca fede nella bontà del Padre perché si preoccupano del pane che manca senza più ricordare che Gesù aveva già moltiplicato dei pani per migliaia di persone.
Sono inoltre ‘tardi’ nel comprendere la sua allegoria del ‘lievito’ dei farisei, che non è certo quello materiale che si mette nel pane ma il ‘lievito’ spirituale costituito dal loro odio, odio che gli apostoli non devono contraccambiare perché bisogna imparare ad amare anche i propri nemici.
Il malanimo degli apostoli nei loro confronti è già una forma inferiore di odio, e spesso gli prepara la strada.
Ma dove c’è malanimo, per non dire odio, non c’è più Dio che è Amore.
Senza l’ispirazione divina entrano poi nella mente le false dottrine, le eresie, quelle appunto di scribi e farisei che si erano allontanati dalla vera fede dei Padri.
Gesù chiede a questo punto ai propri apostoli cosa ne pensi il popolo – che con lui ha più soggezione ma con loro ha rapporti di dialogo diretti e più alla buona – di chi Egli sia in realtà.
Gli apostoli, a turno, si sbizzarriscono perché le opinioni della gente sono le più svariate.
Alcune persone lo considerano un ‘rabbi’, altre un profeta, altre ancora un indemoniato che fa miracoli perché il demonio lo aiuta. Taluni lo chiamano il ‘Figlio dell’uomo’, come Gesù stesso dice di sé. Altri obiettano che ciò non è possibile o perché lo considerano di più, in quanto ‘Figlio di Dio’, o perché non lo considerano nemmeno il ‘Figlio dell’uomo’ ma un poveretto agitato da Satana o sconvolto dalla demenza.
Altri ancora pensano che l’appellativo di ‘Figlio dell’uomo’ vada applicato a profeti come Geremia, Elia, o allo stesso Giovanni Battista.
Taluni profeti, vi dirò per inciso, alcuni secoli prima avevano nelle loro visioni preannunciato la venuta – ad un certo punto della storia – di un ‘Figlio dell’uomo’, personaggio misterioso descritto come un essere di sembianze e di origini soprannaturali, un ‘Unto’, segnato dai crismi della potenza e della regalità.
Pochi sono quelli – continuano poi gli apostoli – che possono o vogliono ammettere che Dio abbia potuto mandare suo Figlio sulla terra, non essendo convinti della infinita bontà di Dio che essi vedono più come un ‘Dio di rigore’.
Quando Gesù chiede allora agli apostoli cosa invece ne pensino personalmente essi, ecco che Pietro cade in ginocchio, le braccia tese in alto verso il volto di Gesù, prorompendo in quel ‘Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivente’.
Ed è qui che Gesù, con un volto luminoso, si china a rialzare Pietro, dandogli atto della fede ‘rocciosa’ che lui ha sempre avuto sulla sua natura di ‘Figlio di Dio’, perché è stato direttamente il Padre ad averlo ispirato. E’ per questo che Gesù lo ha soprannominato Cefa, che vuol dire ‘pietra’, e su quella ‘pietra’ Egli avrebbe fondato la sua Chiesa contro la quale non avrebbero prevalso le forze dell’Inferno. E qualunque cosa il Capo della Chiesa avesse legato o sciolto in terra sarebbe stato legato o sciolto anche in Cielo: insomma una cambiale firmata in bianco! L’assistenza garantita dello Spirito Santo su tutto quanto egli – primo papa - e i suoi successori avrebbero in futuro stabilito in materia di fede.
E’ l’investitura ufficiale di Pietro a Capo della Chiesa nascente e l’episodio dal quale discende l’infallibilità papale, ovviamente in materia di fede, a livello universale.
Nel racconto di Matteo l’episodio si chiude con una raccomandazione agli apostoli - che potrebbe sembrare contraddittoria per uno come Gesù che in qualche circostanza aveva già affermato di essere ‘Figlio di Dio’ - vale a dire di non dire ad alcuno che Egli era ‘Gesù, il Cristo’, cioè il Salvatore e l’Unto per eccellenza.
Ma l’apparente contraddizione del testo di Matteo la scioglie la visione dell’Opera valtortiana dove si legge più precisamente che Gesù – nel riprendere il cammino verso Cesarea – dice in realtà agli apostoli: ‘Pietro ha detto la verità. Molti l’intuiscono, voi la sapete. Ma voi, per ora, non dite ad alcuno ciò che il Cristo è nella verità completa di ciò che sapete. Lasciate che Dio parli nei cuori come parla nel vostro. In verità vi dico che quelli che alle mie asserzioni o alle vostre aggiungono la fede perfetta e il perfetto amore, giungono a sapere il vero significato delle parole ‘Gesù, il Cristo, il Verbo, il Figlio dell’uomo e di Dio’.
Ragioni di prudenza suggerivano a Gesù di non toccare troppo spesso o anzitempo il tasto della sua natura anche divina. La sua missione di Redenzione non doveva essere umanamente compromessa prima che i tempi fossero maturi.
Solo alla fine del terzo anno Gesù attesterà con sempre maggior forza questa sua natura, e sarà anzi quella l’affermazione che – come si vedrà anche nel sommario processo che gli verrà fatto dal Gran Sacerdote – gli costerà la condanna a morte finale: la ‘bestemmia’, cioè, di dichiararsi ‘Figlio di Dio’.
Ma ormai Gesù poteva permetterselo, perché la predicazione era terminata e la Redenzione era ormai prossima a compiersi, anzi doveva compiersi con la sua morte atroce ed ignominiosa sul patibolo nell’imminenza della Pasqua dove l’Agnello sacrificale per eccellenza – di cui l’agnello rituale ebraico era solo figura anticipatrice - sarebbe stato proprio Lui.
E con questo - quanto cioè al perché del chiamarsi, da parte di Gesù, ‘Figlio di Dio’ e ‘Figlio dell’uomo’ - il signor Renan, per il momento, è servito.
Tuttavia anche noi comuni mortali potremmo chiamarci ‘figli di Dio’ e ‘figli dell’uomo’.
Una volta - meditando un’altra opera di Maria Valtorta6, dove a parlarle non era Gesù ma lo Spirito Santo - mi aveva shoccato il leggere che a causa delle conseguenze del peccato originale l’uomo diventa - facendosi adulto - un ‘ibrido’ in cui sono fusi uomo, animale e demonio.
Vi avevo detto, nella Introduzione di questo libro, di quel mio perenne conflitto interiore fra la mia ‘testa di destra’ e la mia ‘testa di sinistra’, cioè fra l’uomo ‘vecchio’, peccatore, che vuole salvaguardare la sua ‘umanità’ e l’uomo ‘nuovo’ che cerca di emanciparsene.
Ebbene, per quanto sia sgradevole il solo pensarlo, è come se dentro di noi avessimo un ‘dio’ e un ‘demone’. Il ‘demone’ va tenuto in catene, anzi in gabbia, e non bisogna mai avvicinarglisi… ‘a portata di zampa’.
A questo riguardo, e cioè quello del ‘figlio di Dio’ e del ‘figlio dell’uomo’ che sono anche in ciascuno di noi, una volta la mia ‘Luce’ mi aveva ancora spiegato:
Luce:
Figlio di Dio e figlio dell'uomo sei, anche tu.
Questo è il senso della tua 'divinità'. Non è bestemmia.
Come il Cristo, frutto dell'incarnazione dello Spirito, come Cristo Dio-Verbo era per parte propria - quale Verbo - figlio di Dio, e come Cristo, Cristo-Gesù, era per parte di madre figlio dell'uomo, così tu per parte di 'carne' sei figlio dell'uomo e per parte di 'spirito', figlio anche tu dello Spirito di Dio, sei 'figlio' di Dio.
Come il Cristo, perché 'Cristo' devi essere.
Questa è la tua vera predestinazione alla Gloria, questa è la vera predestinazione che, attraverso la predestinazione alla Grazia - passaggio intermedio necessario - Io vorrei da tutti gli uomini solo che questi non volessero comportarsi da ingrati, veri figlioli prodighi che Io richiamo al Padre come faccio con te bandendo feste, suoni, canti, in previsione del tuo prossimo - prossimo per il 'tempo' di Dio, prossimo come 'venturo' - ritorno alla Casa che ti ho preparato: la tua casa, dove ritroverai la tua stanza, quella preparata fin da quando la tua anima infante uscì dal seno mio.
Nel Regno dei Cieli molte sono le dimore. Ogni mio figlio ne ha una sua solo che accetti la sua missione (quella che sente dentro ed Io aiuto a riscoprire), sol che egli dimostri buona volontà.
Apostolato è la tua missione, come lo fu del Cristo. E' la missione, dovrebbe essere la missione, di tutti i figli miei. Apostolato verso se stessi, apostolato verso il prossimo, per essere tutti, come il Cristo, in Cristo, Figli Miei.
1 G.L.: “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. III, Capp. 15 e 16 – Ed. Segno, 2003
2 G.L.: ‘Alla scoperta del Paradiso perduto’ – Vol. I – Edizioni Segno, 1999
3 Sul pensiero di E. Renan, A. Loisy e R. Bultmann vedi la più ampia trattazione nella Introduzione del Vol.
II de ‘I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni’ – Ed. Segno 2002
4 Per una trattazione più completa sul Peccato originale vedi – dell’autore - ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’, Capp. dal 20 al 36, Ed. Segno 1997 nonché il secondo volume de “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni”, Cap. 5, Ed. Segno 2002
5 G.L.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 20: La creazione dell’uomo – Ed. Segno, 1997
6 M.V.: ‘Lezioni sull’epistola di Paolo ai Romani’ – dettato 29.5.48 e 3.6.48 – Centro Ed. Valtortiano