(La Sacra Bibbia: ‘Il Vangelo secondo Matteo’ – Ed. Paoline, 1968)
(M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. V - Cap. 327 – Centro Edit. Valtortiano)
1. Anche se pare inesistente, una parentela è sempre negli uomini.
Quella della provenienza da un unico Creatore.
L’uguaglianza dei popoli…
Mt 13, 33:
Disse loro un’altra parabola: « Il regno dei cieli è simile al lievito che una donna ha preso e messo in tre misure di farina, finché tutto viene a fermentare ».
1.1 Israele maturò una errata concezione della figura e del ruolo del Messia e quando questi venne… non lo riconobbe.
Ho già accennato al fatto che, sia nei tre precedenti volumi come in questo quarto, i miei commenti ai vangeli di Matteo, Marco e Luca vengono fatti alla luce delle visioni avute circa mezzo secolo fa dalla grande mistica Maria Valtorta.
Più precisamente - da un punto di vista storico, geografico, ambientale e temporale - gli episodi narrati dagli evangelisti vengono da me inquadrati secondo la collocazione che emerge dai dieci volumi de ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’, editi dal Centro Editoriale Valtortiano di Isola del Liri.
Nel mio commento cerco poi sovente lo spunto per mettere a fuoco quei concetti della teologia cristiana che mi sembrano funzionali ad una sua miglior comprensione, con particolare riguardo ad un approccio razionale da parte di chi, pur non avendo fede, voglia tuttavia ‘capire’.
Nel mio primo volume di questa serie sui sinottici (altri commenti al vangelo di Giovanni, in tre volumi, fanno invece parte di un’altra precedente serie) vi avevo parlato della nascita e dell’infanzia di Gesù fino al suo ritrovamento – dodicenne – fra i dottori del Tempio.
Nel secondo volume avevo messo a fuoco la sua predicazione durante il primo anno di vita pubblica quando, dopo il Battesimo al Giordano da parte di Giovanni Battista, Gesù aveva iniziato la sua missione.
L’anno si sarebbe concluso in casa dell’amico Lazzaro di Betania, nel giorno in cui si festeggiava la Festa delle Encenie, detta anche Festa delle Luci, che cadeva il 25 del mese ebraico di casleu, corrispondente al nostro novembre/dicembre.
Gesù aveva raccontato ai commensali l’episodio della sua nascita a Betlemme, in una lontana notte di quello stesso giorno, trenta anni prima.
Nel terzo volume avevo parlato del secondo anno di vita pubblica - anno iniziato con un viaggio in Samaria e con l’incontro famoso con la samaritana del pozzo di Sichar - che si era concluso all’inizio della stagione invernale, con un ritorno di Gesù a Nazareth dove la Mamma lo attendeva.
Si approssimava infatti anche quest’anno la ‘Festa delle ‘luci’, l’anniversario della nascita di Gesù, che questa volta la festa voleva passarla ‘in famiglia’.
Anche gli apostoli, stanchi dopo un anno di continui viaggi e di predicazione, erano stati temporaneamente messi in libertà affinché potessero rientrare in seno alle loro famiglie.
In questo quarto volume vedremo ora Gesù che - terminato il suddetto periodo di feste - riprenderà i suoi viaggi dando inizio al suo terzo anno di vita pubblica che culminerà nella Passione in occasione della Pasqua dell’anno successivo.
Nel primo anno Egli aveva evangelizzato le genti mostrandosi il paziente Maestro delle verità divine.
Nel secondo anno Egli si era mostrato il Misericordioso, il Dio che aveva assunto vesti umane per parlare direttamente agli uomini e chiamarli a sé.
Nel terzo Egli sarà il Redentore che – offrendosi Vittima sacrificale – espierà per amore i peccati passati, presenti e futuri di tutti gli uomini per ottenere dal Padre – dopo l’esilio a seguito del Peccato originale commesso dai due progenitori - la loro riammissione nel Regno dei Cieli.
Nel contempo baleneranno però in lui i lampi del Giusto e del Forte perché l’Amore divino non esclude la forza della Giustizia.
Sarà questo infatti l’anno dello scontro finale con i capi politico-religiosi di Israele.
Essi respingeranno la sua predicazione d’amore e negheranno con protervia, contro ogni ragionevole evidenza, la presenza in lui di una natura divina, compiendo così un grave peccato contro lo Spirito Santo.
Vi domanderete come mai i capi religiosi di Israele rifiutarono di riconoscere in Gesù il Messia.
La storia del popolo ebraico, come emerge dal Vecchio Testamento, è la storia di un popolo che nei secoli tradisce sovente il patto di alleanza stipulato con il suo Dio e Questi, a sua volta, pedagogicamente lo punisce abbandonandolo alla mercé dei suoi nemici ma riaccogliendolo sotto la sua protezione dopo averlo fatto espiare e quando si mostri pentito.
Nel periodo storico che precede la venuta di Gesù i capi religiosi e politici di Israele, e con essi il popolo che li seguiva, si erano ormai da tempo allontanati dallo spirito della Legge della quale ne seguivano ormai per lo più solo la forma esteriore.
Lo Spirito Santo che illumina i cuori non era quindi più presente in loro ed essi interpretavano le Scritture umanamente anziché spiritualmente.
I profeti avevano previsto da vari secoli l’avvento di un Messia, di un inviato di Dio, un Liberatore che, forte della potenza di Dio, avrebbe ‘governato’ il mondo. Un Re di fronte al quale i potenti della terra avrebbero chinato la testa, insomma un ‘Re dei re’.
Bisogna sapere che le profezie, anche se si ammantano di un aspetto umano, hanno sempre un significato spirituale.
Gli ebrei di allora lo avevano dimenticato e così non compresero le parole del grande profeta Isaia che, sette/otto secoli prima di Gesù, così si era espresso in merito al futuro Messia (Is 53), presentandolo come ‘l’uomo dei dolori’:
‘Chi crederà a ciò che abbiamo annunziato? E la potenza del Signore a chi sarà rivelata? Egli è cresciuto davanti a lui come un germoglio, come una radice da un suolo arido; senza grazia, senza beltà da attrarre lo sguardo, senza aspetto da doversene compiacere. Disprezzato, rifiutato dall’umanità, uomo dei dolori, assuefatto alla sofferenza, come uno davanti al quale ci si copre il volto, disprezzato, così che non l’abbiamo stimato. Veramente egli si è addossato i nostri mali, si è caricato dei nostri dolori. Noi lo credevamo trafitto, percosso da Dio e umiliato, mentre egli fu piagato per le nostre iniquità, fu calpestato per i nostri peccati. Il castigo, che è pace per noi, pesò su di lui e le sue piaghe ci hanno guariti. Tutti noi andavamo errando come pecore, ciascuno deviava per la sua strada, ma il Signore ha fatto ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. Maltrattato, si è umiliato e non ha detto una parola; quale agnello che si porta ad uccidere, come pecora muta davanti a chi la tosa, egli non ha aperto bocca. Con iniqua sentenza fu condannato. Chi pensa alla sua sorte, come egli è tolto dalla terra dei vivi e messo a morte per l’iniquità del suo popolo? Gli fu preparata una tomba fra gli empi, lo si unì nella morte con i malfattori. Eppure egli non commise ingiustizia e non fu trovata menzogna nella sua bocca. Ma piacque al Signore consumarlo con la sofferenza. S’egli offre la sua vita in espiazione, avrà una discendenza, moltiplicherà i suoi giorni e ciò che vuole il Signore riuscirà per mezzo suo. Dopo le sofferenze dell’anima sua egli vedrà la luce e tale visione lo ricolmerà di gioia. Il giusto, mio servo, con le sue pene giustificherà delle moltitudini e prenderà sopra di sé le loro iniquità. Perciò gli darò in eredità i popoli e riceverà come bottino genti infinite, perché consegnò la sua vita alla morte, e fu annoverato fra i malfattori, egli che tolse i peccati di molti e si fece intercessore per i peccatori’.
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I Capi – pieni di ambizione, di orgoglio, di spirito di potenza – avevano però preferito interpretare quelle parole misteriose, che certo non si addicevano alla loro aspettativa di Messia, in senso allegorico.
Non poteva certo essere quella che sembrava apparire dal testo letterale della profezia di Isaia la vera figura del futuro e tanto vagheggiato Messia.
Essi non pensavano né aspiravano ad un ‘Liberatore dal Peccato’, cioè dalla schiavitù di Satana, ma ad un ‘Re dei re’ che fosse un dominatore politico e militare e soggiogasse tutti i loro antichi nemici.
Il messaggio d’amore di Gesù, quello del Verbo di Dio che si incarna in un uomo per diffondere fra gli uomini lo spirito di amore, combattere il peccato e quale vittima di espiazione riaprire ad essi le porte dei cieli, era deludente rispetto alle loro aspettative molto ‘terrene’.
Attendendo un re condottiero, scribi e dottori della legge si immaginavano dunque il Messia come un personaggio di alto lignaggio, non certo un modesto figlio di falegname.
Gesù venne quindi da essi considerato un impostore che – fatto fortemente aggravante - li metteva in grave imbarazzo di fronte al popolo con quelle sue continue accuse sulla loro scarsa spiritualità e sul loro cattivo esempio, come vedremo proseguendo la nostra lettura.
Un soggetto scomodo, dunque, anzi un falso profeta del quale liberarsi alla prima occasione utile.
1.2 L’attesa messianica e l’apostolo Giuda Iscariota. Come mai Gesù, che era Dio, non ha saputo prevedere ed impedire il tradimento di Giuda?
Questa errata concezione nella società ebraica della figura messianica è anche quella che sta alla base del tradimento di Giuda.
Giuda – così come la sua figura emerge dall’opera valtortiana - era un giovane brillante e ambizioso formatosi alla scuola dei rabbi che frequentavano il Tempio. Attratto dai miracoli e dalla fama di Gesù e ritenendolo quindi il Messia, ma il Messia ‘politico’ di cui abbiamo sopra parlato, egli era riuscito ad aggregarsi al gruppo apostolico sperando di ricavarne un futuro di gloria… terrena.
Grande la sua delusione nel sentirsi in seguito spiegare da Gesù stesso il significato spirituale della propria missione in terra e della reale figura del Messia.
Giuda – che fin dall’inizio non era uno stinco di santo, rubava dalla cassa comune e si permetteva altre piccole ‘licenze’ - non si rassegnerà.
Egli – apostolo umanamente ‘brillante’, anzi il più brillante del gruppo - finirà per sentirsi tradito nelle sue aspettative ed ambizioni, giudicherà l’uomo-Gesù un imbelle, un illuso visionario, finirà – come Lucifero nei confronti di Dio - per ritenersi perfino superiore a lui e, quando nell’ultimo anno sentirà stringersi intorno al gruppo apostolico la stretta dei Capi di Israele che cercavano solo l’occasione propizia per arrestare Gesù, deciderà di tradirlo per salvare la propria pelle e riceverne onori.
Dopo la disillusione e la frustrazione, l’idea del tradimento germoglia in lui solo negli ultimi mesi ma già nel terzo anno Giuda – ispirato da Satana che asseconda e stimola le sue passioni – comincia a ‘fertilizzare’ il terreno del proprio cuore e a consolidare l’allontanamento dalla retta via.
Continuamente combattuto fra l’aspirazione al bene e la spinta al male, Giuda sarà fonte di un continuo dolore per Gesù che non lesinerà sforzi sino alla fine per trattenerlo sulla via buona e per evitare che gli altri apostoli – che pur avevano cominciato ad intuire la natura di Giuda – sospettassero troppo e passassero sbrigativamente a vie di fatto.
La figura della personalità di Giuda che emerge dall’Opera della mistica – e ne parleremo ancora in futuro - è complessa nei suoi chiaroscuri.
Ci si potrebbe chiedere come mai Gesù - se era Dio e come tale onnisciente ed onnipotente – non abbia saputo prevedere e prevenire questo tradimento.
In Gesù coesistevano due nature, quella umana e l’altra divina.
Il Verbo divino che era nell’uomo Gesù, uomo nato dalla carne di Maria, sapeva bene – da fuori del tempo - quale sarebbe stato il trattamento che gli uomini – nel tempo – avrebbero riservato al Gesù-Messia.
Il Verbo aveva però comunque accettato di incarnarsi e di affrontare questo sacrificio perché sarebbe stato proprio grazie a questo suo sacrificio di vittima che Egli avrebbe potuto chiedere al Padre il perdono dei peccati dell’Umanità ed ottenerne l’ammissione nel Regno dei Cieli chiusi ad essa dopo il Peccato originale.
In questa logica di un Dio che si fa uomo per divenire vittima di espiazione – perché è con la sofferenza che si espiano i peccati e solo l’espiazione di un Dio poteva far dimenticare al Padre l’immensa catena di peccati compiuti dall’Umanità - ci stava dunque anche la figura di un traditore.
Tuttavia Gesù – che era anche Uomo con tutti i sentimenti di un uomo – non avrebbe voluto che il responsabile della sua morte fosse addirittura un amico, anzi un membro del suo stesso gruppo apostolico con il quale aveva condiviso viaggi, predicazione, fatiche, amore.
Dall’Opera valtortiana emerge che il Verbo-Dio, che era la seconda natura dell’Uomo-Gesù, si manifestava come Dio - nei miracoli o nei discorsi più potenti - in maniera funzionale alle finalità della missione.
Per il resto Gesù appariva Uomo, sia pur ‘perfetto’ in quanto esente dalla Macchia e dalle tare del Peccato originale.
Il Verbo-onnisciente che coesisteva con l’Uomo-Gesù centellinava in certo qual modo all’Uomo le informazioni sul futuro, perché doveva tenere conto della sua fragilità umana.
L’Uomo-Gesù aveva ‘intuito’ fin dalla iniziale richiesta di Giuda di aderire al gruppo apostolico il ruolo negativo che questi avrebbe assunto, e anzi era stato riluttante ad accettarlo.
La piena conoscenza del tradimento - come abbiamo anche visto nel precedente volume quando ne avevo parlato commentando il ‘Discorso della montagna’ – fu rivelata da Dio all’Uomo solo successivamente perché più si avvicinava il momento della Passione e più la sua sofferenza di Redentore doveva realizzarsi in pienezza.1
All’inizio di questo terzo anno di vita pubblica, mentre un gruppo di apostoli scorta fuori dai confini di Israele fino ad Antiochia i discepoli Giovanni di Endor e Sintica, è dunque un Gesù affranto per colpa di Giuda quello che nelle visioni valtortiane vediamo attendere il loro ritorno.
Giovanni di Endor era un ex galeotto convertito mentre Sintica era una giovane greca, bella e colta, che – fatta schiava – era poi fuggita dal suo ‘padrone’ romano di Gerusalemme rifugiandosi al seguito del gruppo apostolico dove si era anch’essa convertita.
Gesù li aveva accolti per compassione ed amore ma – durante uno dei tanti viaggi del gruppo a Gerusalemme – Giuda, che continuava a frequentare i suoi vecchi amici del Tempio, aveva parlato troppo.
I Capi ormai ‘sapevano’ e l’occasione di compromettere Gesù catturando i due ‘ricercati’ proprio mentre erano in mezzo al gruppo apostolico era per essi troppo ghiotta.
Questo tradimento di Giuda a danno dei due discepoli, che prefigura e anticipa quello finale a danno di Gesù, sarà fonte di grandi sofferenze per i due che dovranno andare a vivere in esilio, lontani per sempre da Gesù e dal gruppo apostolico.
Gesù, che sapeva amare con perfezione, soffre per i due esiliati ma soffre anche per Giuda che – pur conoscendo l’inutilità dei propri sforzi, perché Dio rispetta la libertà dell’uomo – Egli tenterà fino alla sera dell’Ultima Cena di portare a ravvedersi e salvare, anche per insegnarci – a futura memoria – quanto nulla debba essere lasciato di intentato per salvare un’anima che rischia altrimenti di perdersi per l’eternità.
Egli – nell’attesa che ritornino gli apostoli partiti - si ritira dunque ora in una grotta su un monte sia per prepararsi spiritualmente nella preghiera e nella penitenza alla missione del terzo anno, sia per perorare davanti al Padre la grazia per la salvezza di Giuda.
Ma - come già detto - Gesù avrebbe dovuto essere vittima di espiazione, ed il Cielo resterà allora muto alla sua preghiera, come resterà muto quando Gesù dalla Croce implorerà quel ‘Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato’.
1.3 Questa è la nuova Legge, santa e gradita al Signore: che i seguaci del Redentore redimano là ovunque è da redimere, perché Dio sorrida alle anime tornate alla Casa paterna.
E’ dunque un Gesù emaciato, sofferente e stravolto quello che gli apostoli ritrovano al ritorno dalla loro missione ad Antiochia, un Gesù tuttavia spiritualmente rafforzato pronto ad iniziare l’anno conclusivo, quello della Redenzione, e che ora vediamo in questa visione della nostra mistica2:
327. Ai confini della Fenicia. Discorso sulla uguaglianza dei popoli e parabola del lievito.
[senza data]
La strada che dalla Fenicia viene verso Tolemaide è una bella strada che taglia, diritta diritta, la pianura fra il mare e i monti. E, per il modo come è mantenuta, è molto frequentata. Sovente tagliata da strade minori, che dai paesi dell'interno vanno a quelli della costa, offre numerosi crocivia presso i quali è generalmente una casa, un pozzo e una rudimentale mascalcia per i quadrupedi che possono aver bisogno di ferri.
Gesù, coi sei rimasti con Lui, percorre un bel tratto di strada, due chilometri e più, sempre vedendo le stesse cose. Infine si ferma presso una di queste case con pozzo e mascalcia, ad un bivio presso un torrente sormontato da un ponte che, per essere robusto, ma largo appena quanto basta al passaggio di un carro, fa sì che vi sia sosta forzata di chi va e di chi viene, perché le due correnti opposte non potrebbero passare insieme. E ciò dà modo ai passeggeri, di razze diverse, da quel che riesco a capire, ossia fenici ed israeliti veri e propri, in odio fra di loro, di accumunarsi in un unico intento: quello di imprecare a Roma... Senza Roma essi non avrebbero neanche quel ponte, e col torrente colmo non so come avrebbero potuto passare. Ma tant'è! L'oppressore è sempre odiato anche se fa cose utili!
Gesù si ferma presso il ponte, nell'angolo pieno di sole dove è la casa che sul lato lungo il torrente ha la maleodorante mascalcia, nella quale si stanno forgiando ferri per un cavallo e due asinelli che li hanno perduti. Il cavallo è attaccato ad un carro romano, sul quale sono militi che si dilettano a fare boccacce agli ebrei imprecanti. E ad un vecchio nasuto, astioso più di tutti, una vera bocca viperina che credo morderebbe volentieri i romani pur di avvelenarli, tirano addosso una manciata di letame equino...
Figurarsi quello che avviene! Il vecchio ebreo scappa urlando come lo avessero infettato di lebbra, e a lui si uniscono in coro altri ebrei. I fenici gridano ironici: «Vi piace la manna nuova? Mangiate, mangiate, per aver lena a gridare contro quelli che sono troppo buoni con voi, ipocrite vipere». I soldati sghignazzano... Gesù tace.
Il carro romano parte finalmente, salutando il maniscalco col grido: «Salve, o Tito, e prospero soggiorno!». L'uomo, gagliardo, anziano, dal collo taurino, il volto sbarbato, gli occhi nerissimi ai lati di un naso robusto e sotto la tettoia di una fronte sporgente e ampia, un poco stempiata per mancanza di capelli che, là dove sono, sono corti e alquanto cresputi, alza il pesante martello con gesto di addio e poi si volge da capo all'incudine, sulla quale un giovane ha posto un ferro rovente, mentre un altro ragazzo brucia lo zoccolo di un somarello per regolarlo alla prossima ferratura.
«Sono quasi tutti romani questi maniscalchi lungo le strade. Soldati rimasti qui dopo il servizio. E ci guadagnano…Non hanno mai impedimenti a curare le bestie…E un asino può sferrarsi anche avanti al tramonto del sabato o in tempo di Encenie » osserva Matteo.
«Quello che ci ha ferrato Antonio era sposato ad una ebrea» dice Giovanni.
«Le donne stolte sono più delle donne savie» sentenzia Giacomo di Zebedeo.
«E i figli di chi sono? Di Dio o del paganesimo?» chiede Andrea.
«Sono del coniuge più forte, generalmente» risponde Matteo. « E, solo che la donna non sia lei una apostata, sono ebrei, perché l’uomo, questi uomini, lasciano fare. Non sono molto fanatici neppure del loro Olimpo. Credo che ormai non credano altro che al bisogno del guadagno. Sono pieni di figli».
«Spregevoli unioni, però. Senza una fede, senza una vera patria…invisi a tutti…» dice il Taddeo.
«No. Ti sbagli. Roma non li disprezza. Anzi li aiuta sempre. Servono più così che quando portavano le armi. Penetrano in noi con la corruzione del sangue più che con la violenza. Chi soffre, se mai, è la prima generazione. Poi si spargono e il mondo dimentica » dice Matteo, che pare molto pratico.
«Sì, sono i figli quelli che soffrono. Ma anche le donne ebree, congiunte così…Per loro stesse e per i loro figli. Mi fanno pietà. Nessuno parla loro più di Dio. Ma ciò non sarà più in avvenire. Allora non saranno più queste separazioni di creature e di nazioni, perché le anime saranno unite in una sola Patria: la mia» dice Gesù, fino allora silenzioso.
«Ma allora saranno morte! » esclama Giovanni.
«No. Saranno raccolte nel mio Nome. Non più romani o libici, greci o pontici, iberi o gallici, egizi o ebrei, ma anime di Cristo. E guai a coloro che vorranno distinguere le anime, tutte da Me ugualmente amate e per le quali in uguale modo avrò sofferto, a seconda delle loro patrie terrene. Colui che così facesse dimostrerebbe di non avere compreso la Carità, che è universale».
Gli apostoli sentono il velato rimprovero e curvano il capo tacendo…
Il fragore del ferro battuto sull'incudine si è taciuto e già rallentano i colpi sull'ultimo zoccolo asinino. Gesù ne approfitta per alzare la voce e farsi sentire dalla folla. Pare continui il discorso ai suoi apostoli. In realtà parla ai passanti e forse anche a chi è nella casa, delle donne certo, perché richiami di voci femminee vanno per l'aria tiepida.
«Anche se pare inesistente, una parentela è sempre negli uomini. Quella della provenienza da un unico Creatore. Che, se poi i figli di un unico Padre si sono separati, non per questo si è mutato il legame d'origine, così come non si muta il sangue di un figlio quando ripudia la paterna casa. Nelle vene di Caino fu il sangue di Adamo anche dopo che il delitto lo mise in fuga per il vasto mondo. E nelle vene dei figli nati dopo il dolore di Eva, gemente sul figlio ucciso, era lo stesso sangue che bolliva in quelle del lontano Caino.
Lo stesso, e con più pura ragione, è dell’uguaglianza fra i figli del Creatore. Sperduti? Sì. Esiliati? Sì. Apostati? Sì. Colpevoli? Sì. Parlanti e credenti lingue e fedi a noi aborrite? Sì. Corrotti per unioni con pagani? Sì. Ma l'anima loro è venuta da Un solo, ed è sempre quella, anche se lacerata, sperduta, esiliata, corrotta... Anche se è oggetto di dolore al Padre Iddio, è sempre anima da Lui creata.
I figli buoni di un Padre buonissimo devono avere sentimenti buoni. Buoni verso il Padre, buoni verso i fratelli, quali che siano divenuti, perché figli di uno Stesso. Buoni verso il Padre col cercare di consolarlo del suo dolore riportandogli i figli, che sono il suo dolore, o perché peccatori, o perché apostati, o perché pagani. Buoni verso gli stessi perché essi hanno l'anima venuta dal Padre chiusa in un corpo colpevole, bruttata, ebete per errata religione, ma sempre anima del Signore e uguale alla nostra.
Ricordate, o voi d'Israele, che non vi è alcuno, fosse pure l'idolatra più lontano, con la sua idolatrica religione, da Dio, fosse pure il più pagano fra i pagani, o il più ateo fra gli uomini, che sia assolutamente privo di una traccia della sua origine. Ricordate, o voi che avete sbagliato staccandovi dalla giusta religione, scendendo a mescolanza di sessi che la nostra religione condanna, che anche se vi pare che tutto ciò che era Israele sia morto in voi, soffocato dall'amore per un uomo di diversa fede e di diversa razza, morto non è. Uno che vive ancora. Ed è Israele. E voi avete il dovere di soffiare sul quel fuoco morente, di alimentare la scintilla che sussiste per volontà di Dio, per farla crescere al di sopra dell’amore carnale. Questo cessa con la morte. Ma la vostra anima non cessa con la morte. Ricordatelo. E voi, voi, chiunque siate, che vedete, e molte volte inorridite di vedere gli ibridi connubi di una figlia di Israele con uno di un'altra razza e fede, ricordate che avete l'obbligo, il dovere di aiutare caritatevolmente la sorella smarrita a ritrovare le vie del Padre.
Questa è la nuova Legge, santa e gradita al Signore: che i seguaci del Redentore redimano là ovunque è da redimere, perché Dio sorrida delle anime tornate alla Casa paterna. E perché non sia reso sterile o troppo meschino il sacrificio del Redentore.
Per fare fermentare molta farina, la donna di casa prende un pezzettino della pasta fatta la settimana avanti. Oh! Una briciola levata dalla grande massa! E la seppellisce nel mucchio di farina, e tiene ciò al riparo dei venti ostili, nel tepore previdente della casa.
Fate voi cosi, veri seguaci del Bene, e fate voi così, creature che vi siete allontanate dal Padre e dal suo Regno. Date voi, i primi, una briciola del vostro lievito ad aggiunta e a rinforzo alle seconde, che lo uniranno alla molecola di giustizia che sussiste in esse. E voi ed esse tenete al riparo dai venti ostili del Male, nel tepore della Carità - che è, a seconda di ciò che siete, signora vostra o tenace superstite in voi, anche se ormai languente - il lievito novello. Serrate ancora le pareti della casa, della correligione, intorno a ciò che lievita nel cuore di una correligionaria smarrita, che si senta amata ancora da Israele, ancora figlia di Sionne e sorella vostra, perché fermentino tutte le buone volontà e venga nelle anime e per le anime, tutte, il Regno dei Cieli».
«Ma chi è? Ma chi è?» si chiede la gente, che non sente più fretta di passare nonostante il ponte sia sgombro, né di proseguire se lo ha superato.
«Un rabbi».
«Un rabbi d'Israele»
«Qui? Ai confini della Fenicia? E la prima volta che ciò accade!».
«Eppure è così. Aser mi ha detto che è quello che dicono il Santo».
«Allora forse si rifugia fra noi perché di là lo perseguitano».
«Sono certi rettili!».
«Bene se viene da noi! Farà prodigi ».
Intanto Gesù si è allontanato, prendendo un sentiero nei campi, e se ne va…
1.4 Questo brano si presta a qualche riflessione…
Innanzitutto è stupefacente come quelle due semplici righe del Vangelo di Matteo : ‘Disse loro un’altra parabola:«Il regno dei cieli è simile al lievito che una donna ha preso e messo in tre misure di farina, finché tutto viene a fermentare», inserite in un contesto di alcuni altri brani raggruppati da Matteo dove Gesù spiega in parabole a cosa sia assimilabile il Regno dei Cieli, trovino invece qui nel vangelo valtortiano una loro precisa e logica collocazione ambientale nel discorso che Gesù rivolge agli ebrei ed ai pagani che si accalcano sul ponticello vicino all’officina del maniscalco.
Gli evangelisti – non mi stancherò mai di ricordarvelo - non avevano voluto scrivere delle opere storiche o letterarie nel significato ‘scientifico’ che noi diamo oggi a questo termine, ma mettere insieme in forma estremamente sintetica e semplice una serie di episodi e frasi, anche scollegate dal contesto in cui erano state pronunciate, ma utili ai fini della loro opera di apostolato.
La nostra mistica, con le sue visioni, ci consente ora di inquadrarle nella circostanza ambientale in cui furono pronunciate e quindi di capirne meglio il senso.
Questo è un fatto che si presenterà chiaro ai nostri occhi in tutti i brani evangelici, così come visti dalla Valtorta, che prenderemo in esame.
Gesù, nella sua predicazione, soleva approfittare e cogliere spesso spunto dalle situazioni che si presentavano al momento. Per lui tutte le occasioni erano buone!
Nel caso specifico si tratta di una lite scoppiata fra giudei, soldati romani ed altri pagani presso il ponticello sul rio, presso la bottega del maniscalco romano, lite che fa intendere gli odi fra questi popoli di origine diversa.
Roma nelle sue guerre utilizzava spesso legionari che provenivano dai più svariati paesi già precedentemente conquistati, galli, iberici, sassoni, africani, etc.
I veterani che si distinguevano per la loro fedeltà ed il loro coraggio venivano premiati con la concessione – a fine servizio – di terreni o di licenze per attività commerciali, quando non anche con la cittadinanza romana.
Costoro si stabilivano nella provincia prescelta dove sovente si sposavano con donne locali.
Per i romani la religione dei loro dèi non era un tabù, ma per la rigida mentalità degli ebrei di allora – per i quali già il toccare fisicamente un pagano, specie se occupante romano, era una impurità che li obbligava ad abluzioni a non finire – lo sposarlo addirittura era praticamente il massimo della perversione.
Le norme di legge e gli usi stigmatizzavano i matrimoni con uomini o donne di altre religioni, ma se nello spirito originario dell’epoca dei Patriarchi dette norme erano rivolte ad evitare la corruzione della fede del vero Dio con altre dottrine pagane, di fatto nella pratica popolare la cosa finiva a quei tempi per tradursi in una sorta di razzismo.
Gli apostoli osservano il maniscalco, capiscono che si è sposato un’ebrea e commentano fra di loro mentre ebrei e pagani si insultano.
Gesù coglie quindi lo spunto per insegnare loro che essi devono invece imparare tutti ad amarsi, lezione che vale anche e soprattutto per i nostri tempi.
Le unioni miste fra ebrei e pagani non erano deprecabili in se stesse quanto piuttosto per il fatto che le mogli ebree, o i mariti, avrebbero finito per annacquare la loro fede, trasmettendo la tepidezza se non l’ignoranza anche ai figli e nipoti ai quali nessuno avrebbe più parlato del vero Dio.
Era quello che era successo ad esempio a molti ebrei che qualche secolo prima erano stati tradotti schiavi a Babilonia, i cui discendenti si erano poi stabiliti colà definitivamente finendo per diventare pagani.
Un giorno però – spiega Gesù – queste differenze fra nazioni cesseranno perché moltitudini immense finiranno per convertirsi alla dottrina vera, al cristianesimo.
In ogni caso – continua Gesù parlando ad alta voce perché tutti i presenti sentano bene, a cominciare dagli apostoli – tutti gli uomini sono uguali perché fra di essi vi è già una parentela.
Un evoluzionista, specie se razionalista che per prevenzione ideologico-religiosa nega la creazione di Adamo ed Eva descritta nella Bibbia, si affretterebbe oggi a dire che questa parentela é una ovvietà perché ‘è noto’ che discendiamo tutti da una scimmia.
Un terzomondista barricadero sosterrebbe invece l’uguaglianza in nome della fratellanza solidaristica fra i popoli.
La verità – fa invece comprendere Gesù – è che la uguaglianza trae origine dal fatto che Dio, al momento del concepimento da parte dei due genitori, ha infuso a tutti gli uomini di qualsivoglia razza una identica anima spirituale.
Siamo inoltre tutti ‘parenti’, anzi fratelli, non perché potremmo discendere dalla famosa scimmia ma perché – nell’anima spirituale - siamo tutti ‘figli’ dello stesso Padre che ci ha creati affinché, dopo la nostra esperienza in terra, potessimo raggiungerlo in spirito nel Regno dei Cieli.
1.5 Una tiratina d’orecchi per certi moderni ‘ecumenisti’ ad oltranza…
Chi avrà avuto la sorte di essere della religione ‘giusta’ e dovesse dunque unirsi in matrimonio con persona di altra religione non dovrà rinunciare a coltivare la propria religione ma sforzarsi piuttosto di convertire per quanto possibile il compagno, non con fanatismo ma con amore, per una sua più agevole salvezza.
Il Verbo si è incarnato e fatto uomo per insegnare all’uomo la dottrina vera, la sua vera origine spirituale, per espiare i peccati dell’umanità e riaprire all’uomo quei Cieli che il Peccato dei due progenitori aveva loro precluso.
In ogni uomo, anche della religione ‘non giusta’ perché frutto non di rivelazione divina ma di costruzione umana, vi è ‘farina di giustizia’, cioè ‘senso di Dio’.
Il contributo di conversione di chi ha la fortuna di avere la fede nel vero Dio e nella vera dottrina sarà quindi come quel piccolo pezzo di pasta lievitata conservata dalla massaia dopo la panificazione della settimana precedente che, amalgamata e reimpastata con la nuova farina senza lievito, la farà lievitare a sua volta per poter confezionare il nuovo pane.
Ecco cosa bisognerebbe spiegare a certi ‘ecumenisti’ odierni che – sia pur a fin di bene, in nome di una concezione solidaristica fra le religioni e per un malinteso spirito di ‘fratellanza’ fra i popoli - sarebbero disposti ad annacquare i princìpi spirituali della religione vera, rinunciando ad obbedire al comando di Gesù di convertire tutte le genti, pur di trovare ad ogni costo un comune ‘modus vivendi’.
E’ giusto rispettare le religioni altrui, ma non rinunciare alle Verità della propria pur di ottenere un minimo comune denominatore che ci faccia andare d’accordo con tutti ma snaturi la Verità che Cristo ci ha rivelato.
Gesù ci ha chiesto di convertire gli altri popoli, ovviamente non con la spada ma con l’amore, e non di farci convertire.
Nel volume precedente avevamo trattato ampiamente il tema delle religioni non vere e della loro origine.3
Tutti gli animali - e con essi l’uomo in quanto ‘animale’ – possiedono come se fosse incorporato nel proprio Dna un’anima animale, che è un misterioso principio vitale ed intelligente che regola la vita dell’animale secondo la ‘missione’ che Dio gli ha assegnato in terra.
Ma la Creazione, se ben notate, è fatta non di evoluzioni ma di gradini ascendenti: mondo minerale, mondo vegetale, mondo animale.
Ed all’interno di ogni ‘mondo’ vi sono perfezioni creative sempre maggiori delle quali l’animale-uomo rappresenta il gradino più elevato.
Ed è all’animale-uomo – perfezione del Creato – che Dio ha concesso in più il dono dei doni, un’anima spirituale che, infusa nell’embrione umano al momento del concepimento ed aggiunta a quella ‘animale’, non muore con il corpo come muore invece l’anima degli animali, ma sopravvive eterna per entrare nel Regno dei Cieli.4
Ebbene l’anima spirituale, nel momento fulminante della sua creazione, nell’attimo infinitesimale prima di essere infusa nell’embrione umano, ha la visione del Dio che la crea e conosce un abbaglio di Verità.
Una volta infusa nell’embrione, coperta dal velo della ‘carne’, essa rimane però smemorata della visione avuta e della Verità conosciuta.
Essa conserverà tuttavia – a livello inconscio - almeno un vago ricordo della Verità, cioè di Dio.
E’ questa la ragione per cui tutti i popoli, di qualsiasi razza e latitudine, tendono istintivamente a Dio ma, avendo ‘dimenticato’, finiscono per farsene una propria idea più o meno lontana dalla realtà perché frutto di congetture umane o di Verità divina colta solo in misura parziale perché non frutto di specifica e voluta Rivelazione da parte di Dio.
Questa è la ragione per cui Dio Padre, arrivato il momento storico di perdonare l’Umanità radiata dai Cieli dopo il Peccato di Adamo ed Eva e dei loro discendenti, ha inviato il Verbo-Figlio-Gesù.
Questi doveva insegnare agli uomini la vera religione, vista non come strumento che si contrappone ad altre religioni, ma come mezzo che consente agli uomini di buona volontà un cammino più agevole, rapido e sicuro sulla strada della salvezza.
Avevamo spiegato che anche gli uomini ‘giusti’ delle altre religioni ‘non vere’ – se in buona fede e convinti di esser della religione vera – si salvano e vanno in Paradiso.
Tuttavia, secondo le spiegazioni del Gesù valtortiano, mentre i giusti cristiani - per l’aver voluto essere seguaci del Cristo, e cioè del Dio vero, e per essersi comportati da cristiani di fatto e non solo di nome - avranno ‘il premio’ di poter accedere al Paradiso subito dopo la morte del corpo (salvo che non debbano scontare prima i loro peccati in Purgatorio), i giusti non cristiani dovranno invece attendere nel ‘Limbo’.
Attesa che sarà comunque già ‘gioia’ in quanto aspettativa di gioia, Limbo dove essi sosteranno fino al momento del Giudizio universale quando verrà chiusa da Dio la storia dell’Umanità, ammessi in quel momento alla Gloria del Cielo avendo saputo essere stati ‘giusti’ per propria capacità naturale pur senza aver conosciuto la religione ‘giusta’.
Altra ragione in più – questa loro lunga attesa – per sforzarci di evangelizzarli e farli diventare da giusti non cristiani a ‘giusti cristiani’.
1 G.L.: “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. III, Cap. 6.2 – Ed. Segno, 2003
2 Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. V - Cap. 327 – Centro Editoriale Valtortiano
3 G.L.: “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. III, Cap. 3, Ed. Segno
4 G.L. “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. II, Cap. 5.7 – Ed. Segno 2002