(M.V: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. V - Cap. 307 -  Centro Edit.Valtortiano)


17. La Colpa d’origine sarà cancellata nei credenti in Me. Ma lo

spirito conserverà una tendenza al peccato che senza la colpa originale non avrebbe avuto.


17.1 In Israele i ‘Messia’ hanno sempre fatto una brutta fine.

E’ arrivato il momento di continuare il lungo cammino con la carovana di Alessandro Misace.
L’ultimo miracolo di Gesù fatto a quel peccatore che aveva tradito la moglie ma che aveva poi saputo aver fede,  ed il successivo insegnamento notturno – alla luce della fiamma del camino – sulle reminescenze delle persone che ‘ricordano’ brandelli di quella Verità che avevano intravisto tutta intera nell’attimo sfolgorante del momento creativo, hanno lasciato il segno nello spirito del mercante che da qualche giorno cominciava a porsi domande sempre più importanti.
Quando Alessandro Misace lo aveva accolto nella propria carovana, Gesù  – sondandolo nel cuore e leggendovi una natura fondamentalmente buona - gli aveva detto con noncuranza che alla fine gli avrebbe lasciato un ‘dono’.
Apprendiamo ora, dal seguito della vicenda, che Egli alludeva al dono della fede, che è un potente aiuto per la salvezza che Dio dà in premio a quelli che veramente lo cercano.
Ad un certo punto, rivediamo il mercante nel momento in cui le strade della carovana e del gruppo apostolico si dividono. E’ un ‘Misace’ profondamente cambiato quello che – deferente - chiede a Gesù la sua benedizione.
Anche gli apostoli, che erano tipi che badavano al sodo, se ne accorgeranno quando - trascorsa qualche ora dalla separazione, come chiesto dal mercante al piccolo Marziam – quest’ultimo si sentirà finalmente ‘autorizzato’ a consegnare a Gesù un fagotto.
 Si rivelerà pieno di pietre preziose, un vero e proprio tesoro che il mercante portava evidentemente con sé nelle sacche della sua sella.
Ecco perché lui e i suoi uomini erano tutti armati sino ai denti, mi dico.
Gli apostoli guardano stupefatti.
‘Ma era ben ricco quell’uomo!’, dicono.
E Pietro – che a furia di camminare per giorni e giorni seduto sulla gobba dura di un cammello aveva il ‘fondoschiena’ a pezzi – fa ridere tutti dicendo: « Abbiamo trottato su un trono di gemme. Non credevo di essere un simile splendore. Ma fosse stato più morbido…!».
Poco dopo il gruppo apostolico si divide a sua volta.  Gesù e gli apostoli proseguono per continuare il tragitto che si erano prefissi per la loro missione di evangelizzazione, che ormai è però quasi giunta al termine, mentre le donne - con alcuni discepoli che le accompagnano - prendono invece un’altra strada che le porterà alle rispettive località di provenienza.
Si avvicina il mese di casleu, dove nel giorno 25 cade la Festa delle Luci o Festa delle Encenie. Ne ho già parlato, era una festa che prendeva anche il nome di ‘Festa della purificazione’ o della ‘dedicazione del Tempio’, ed era anche l’anniversario della nascita di Gesù nella grotta di Betlemme, il nostro Natale.
Il mese ebraico di casleu corrispondeva al nostro periodo di novembre-dicembre, il clima era freddo e piovoso e ormai poco adatto alla predicazione per un gruppo apostolico che, come mezzo di locomozione, usava i piedi su strade in terra battuta che erano sempre più ridotte a percorsi fangosi.
In prossimità delle feste, che duravano vari giorni, Gesù decide dunque  di mandare i vari apostoli e discepoli a passare le vacanze in famiglia.
Sono tutti contenti.
E Gesù? Gesù dove poteva mai tornare se non a Nazareth dove avrebbe nuovamente trovato la Mamma ad attenderlo?
Ed è qui, in casa di sua madre, che la Valtorta lo sorprende con un’altra delle sue visioni.
Nazareth, la città natale che un giorno lo avrebbe persino cacciato tanto da far dire a Gesù la celebre frase ‘Nessuno è profeta in patria’, gli rimarrà per sempre ostile.
Le gesta di Gesù, e soprattutto le voci di miracolo che arrivavano dalle contrade più lontane, lasciavano i nazareni stupiti e perplessi, ma prevaleva in essi l’incredulità e soprattutto l’invidia per quel loro concittadino famoso sul quale non avrebbero puntato nemmeno un soldo.
Non che Gesù avesse cattiva fama, anzi. E anche la Madonna era conosciuta come una santa donna.
 I problemi erano però sorti quando erano cominciate ad arrivare le voci di tutti quei miracoli che egli faceva, il che pareva impossibile perché più che lavori di falegnameria non gli avevano mai visto fare.
E poi avevano anche saputo che si dichiarava Messia.
 Dichiararsi Messia era una cosetta pericolosa, a quei tempi, in Israele, e lo abbiamo visto anche con l’episodio della strage degli innocenti ordinata trenta anni prima dal Re Erode, appunto per sbarazzarsi di un futuro pretendente al trono.
Per avere idea della ferocia dei potenti di quell’epoca barbara – ma non solo di quell’epoca -  basterà ricordare che Erode, avendo saputo dai tre re Magi che il Messia era nato da poco e saputo anche da Scribi e sacerdoti che le antiche profezie lo facevano nascere a Betlemme  - non conoscendo da che famiglia potesse essere nato e di quanti mesi fosse, aveva dato ordine alle sue soldataglie di andare subito a Betlemme e dintorni e di eliminare non solo i nati da poco ma tutti i nati dai due anni in giù, così da non correre il rischio di lasciare per errore in vita il futuro Messia.
A quell’epoca c’era anche, ogni tanto, qualche esaltato od opportunista politico  che - credendosi o facendosi passare per Messia - alimentava le speranze del popolo e fomentava delle ribellioni contro Roma per porsi a capo dello stato di Israele e diventare il Re dei re.
Anche Roma, dunque,  andava giù con la mano pesante e questi tentativi finivano regolarmente in un bagno di sangue.
L’essere parenti di un sedicente Messia poteva quindi esser rischioso non solo per gli stessi famigliari che – considerati ‘solidali’ e complici - avrebbero potuto essere arrestati insieme a lui ma anche per i paesani di Nazareth che non avrebbero avuto niente da guadagnare da uno scontro con le autorità politiche e religiose.
I nazareni rimproveravano poi a Gesù di aver fatto miracoli di guarigione ovunque ma di non essersi mai ‘degnato’ di guarire i suoi compaesani.
Essi non sapevano che una delle condizioni indispensabili per meritare potenza di miracolo era il pentimento per i propri peccati e la fede in Gesù.
Quando un giorno Gesù sarà costretto a spiegarglielo, quelli lo prenderanno a male parole, tentando anzi di cacciarlo giù da un dirupo (Lc 4, 14-30).
I nazareni di una certa età – a cominciare da Alfeo, fratello di San Giuseppe – lo avevano visto crescere come tutti gli altri bambini.
Nulla sapevano del suo concepimento ‘spirituale’ perché Giuseppe e la Madonna – dopo l’Annunciazione dell’Arcangelo Gabriele a Maria e più ancora dopo l’avviso dato in sogno a Giuseppe di fuggire da Betlemme e rifugiarsi in Egitto - lo avevano tenuto nascosto per tutelare l’incolumità fisica del piccolo.
E’ chiaro che se Dio avesse voluto avrebbe reso ‘invulnerabile’ Gesù, ma non era questo lo scopo della missione del Verbo sulla terra. Anzi, il contrario.
Il Verbo eterno, da fuori del tempo, sapeva come le cose sarebbero poi andate nel tempo.
Egli sapeva che gli uomini, istigati da Satana, avrebbero finito per metterlo in Croce, ma era proprio questo il senso del suo Sacrificio: un Uomo-Dio che si lascia inchiodare in croce per poi poter chiedere al Padre – in forza di questo volontario sacrificio di un Dio – il riscatto di tutta la razza umana, cioè la Redenzione, onde riaprire le porte del Paradiso agli uomini di buona volontà.
Ciò non toglie che i genitori dovessero proteggere il bimbo, anche umanamente, per evitare che ne venisse impedita prematuramente la futura missione di Uomo-Dio.
E’ questa la ragione del nascondimento di Gesù fino ai trent’anni, momento dell’inizio della sua missione pubblica.
Gesù riuscirà a cavarsela in molti frangenti pericolosi ma non sfuggirà alla sua sorte quando i tempi saranno ‘maturi’.
L’ultima cosa dunque a cui i nazareni e gli stessi parenti di Gesù avrebbero potuto pensare era che Gesù potesse essere ‘figlio di Dio’.
Suo zio Alfeo e i suoi due figli maggiori, Simone e Giuseppe, non avevano poi perdonato a Gesù che egli avesse lasciato sola a Nazareth sua madre, ormai vedova e senza risorse economiche se non quelle del proprio modesto lavoro di cucito.


17.2 La sua anima non ha più colpa d’origine. Questo non le dà, allora, una vigoria inattaccabile ad ogni languore?

E’ dunque nel clima di ‘questa’ Nazareth che – come già detto – ritroviamo Gesù, in casa di sua Madre.
Vi era ospite anche Sintica che - come vedrete - non la smetteva mai di fare domande…1:


307. Nella casa di Nazareth si discute delle colpe dei nazareni.
Lezione sulla tendenza al peccato malgrado la Redenzione.

19 ottobre 1945.
Il telaio è inoperoso perché Maria e Sintica cuciono svelte svelte le stoffe portate dallo Zelote. I pezzi delle vesti già tagliate sono piegati in mucchio ordinato sulla tavola, colore per colore, e ogni tanto le donne ne prendono un pezzo imbastendolo poi sulla tavola, così che gli uomini sono respinti verso l'angolo dell'inoperoso telaio, vicini ma non interessati al lavoro delle donne.
Sono presenti anche i due apostoli Giuda e Giacomo d'Alfeo, che a loro volta osservano il daffare femminile, senza fare domande ma credo non senza curiosità.
E i due cugini raccontano dei fratelli, specie di Simone che li ha accompagnati fino alla porta di Gesù e poi se ne è andato «perché ha un bambino sofferente», dice Giacomo per medicare la notizia e scusare il fratello. Giuda è più severo e dice: «Proprio per questo avrebbe dovuto venire. Ma sembra anche lui divenuto ebete. Come tutti i nazareni, d'altronde, se si escludono Alfeo e i due discepoli che ora chissà dove sono. Si capisce che Nazaret non ha altro di buono, e il buono lo ha sputato tutto, come fosse sapore molesto a questa città nostra ... ».
«Non dire così» prega Gesù. «Non ti intossicare l'animo... Non è colpa loro ... ».
«Di chi, allora?».
«Di tante cose... Non indagare. Ma Nazaret non è tutta nemica. I bambini ... ».
«Perché sono bambini».
«Le donne ... ».
«Perché sono donne. Ma non sono né i bambini né le donne quelle che affermeranno il tuo Regno».
«Perché, Giuda? Sei in errore. I bambini di oggi saranno proprio i discepoli di domani, quelli che propagheranno il Regno su tutta la terra. E le donne... Perché non lo possono fare?».
«Non potrai certo fare delle donne degli apostoli. Saranno, al massimo, delle discepole, come Tu hai detto, di aiuto ai discepoli».
«Ti ricrederai di tante cose in futuro, fratello mio. Ma non tento neppure di farti ricredere lo. Cozzerei contro una mentalità che ti viene da secoli di concetti e preconcetti erratí sulla donna. Ti prego soltanto di osservare, di annotare, in te, le differenze che vedi fra le discepole e i discepoli, e di notare, spassionatamente, la loro rispondenza ai miei insegnamenti. Vedrai che, incominciando da tua madre, che se si vuole è stata la prima delle discepole in ordine di tempo e di eroismo - e lo è tuttora, tenendo coraggiosamente testa a tutto un paese che la schernisce perché m'è fedele, resistendo anche alle voci del sangue suo che non le risparmia rimproveri perché mi è fedele - vedrai che le discepole sono migliori di voi».
«Lo riconosco, è vero. Ma in Nazaret anche le donne discepole dove sono? Le figlie di Alfeo, le madri di Ismaele e di Aser, le loro sorelle. E basta. Troppo poco. lo vorrei non venire più a Nazaret per non vedere tutto ciò».
«Povera mamma! Le daresti un grande dolore» dice Maria intervenendo nella conversazione.
«E’ vero» dice Giacomo. «Ella spera tanto di arrivare a conciliare i fratelli con Gesù e con noi. Credo che non desideri che questo. Ma non è certo con lo stare lontani che lo faremo. Fino ad ora ti ho dato retta con lo starmene come isolato. Ma da domani voglio uscire, avvicinare questo e quello... Perché, se dovremo evangelizzare anche i gentili, non evangelizzeremo la città nostra? lo mi rifiuto a crederla tutta malvagia, non convertibile».
Giuda Taddeo non ribatte. Ma è palesemente inquieto.
Simone Zelote, che era rimasto sempre zitto, interviene: «Io non vorrei insinuare sospetti. Ma lasciate che, per sollevarvi lo spirito, vi faccia una domanda. Questa: siete sicuri che nella             sostenutezza di Nazaret non siano estranee forze venute da altrove, che qui lavorano bene in base ad un elemento che dovrebbe, se si ragionasse con giustizia, dare le migliori garanzie per fare sicuri che il Maestro è il Santo di Dio? La conoscenza della vita perfetta di Gesù, cittadino di Nazaret, dovrebbe rendere più facile ai nazareni di accettarlo per il promesso Messia. Io più di voi, e con me molti della mia età, in Nazaret abbiamo conosciuto, almeno di fama  dei pretesi Messia. E vi assicuro che la loro vita intima sfatava la più ostinata asserzione di messianità in loro. Roma li ha perseguitati ferocemente come ribelli. Ma, a parte l'idea politica, che Roma non poteva permettere esistesse dove essa regna, questi falsi Messia, per molti motivi privati, avrebbero meritato punizione. Noi li agitavamo e li sostenevamo perché ci servivano a satollare il nostro spirito di ribellione a Roma. Noi li secondavamo perché, ottusi come siamo, abbiamo creduto - finché il Maestro non ha chiarito la verità, e purtroppo, nonostante questo, ancora non crediamo come dovremmo, ossia totalmente - vedere in loro il “re” promesso. Essi ci cullavano lo spirito afflitto con speranze di indipendenza nazionale e di ricostruzione del regno d'Israele. Ma, oh! miseria! Quale regno labile e corrotto sarebbe mai stato?! No, che in vero chiamare quei falsi Messia re d'Israele e fondatori del Regno promesso era avvilire profondamente l'idea messianica. Nel Maestro, alla profondità della dottrina si unisce la santità della vita. E Nazaret, come nessun'altra città, la conosce. Neppure penso a fare accusa di miscredenza nazarena per il soprannaturale della sua venuta, che essi, i nazareni, ignorano. Ma la vita! Ma la sua vita!... Ora tant'astio, tanta impenetrabile resistenza... Ma che dico! Tanta aumentata resistenza non potrebbe avere origine da manovre nemiche? Noi li conosciamo i nemici di Gesù. Sappiamo ciò che valgono. Credete voi che solo qui siano stati inerti e assenti, se dovunque ci hanno o preceduto, o affiancato, o seguito per distruggere l'opera del Cristo? Non accusate Nazaret come unica colpevole. Ma piangete su di essa, traviata dai nemici di Gesù».
«Hai detto molto bene, Simone. Piangete su di essa ... » dice Gesù. Ed è mesto.
Giovanni di Endor osserva: «Hai detto anche molto bene quando hai detto che l'elemento favorevole si muta in sfavorevole, perché l'uomo raramente usa giustizia nel pensare. Qui il primo ostacolo è la nascita umile, l'infanzia umile, l'adolescenza umile, la giovinezza umile di Gesù nostro. L'uomo dimentica che i valori si celano sotto apparenze modeste, mentre le nullità si camuffano da grandi esseri per imporsi alle folle».
«Sarà... Ma nulla modifica il mio pensiero circa i concittadini. Qualunque cosa possa loro essere stata detta, dovevano saper giudicare sulle opere reali del Maestro e non sulle parole di sconosciuti».
Un silenzio lungo, rotto solo dal rumore di tele che la Vergine divide in strisce per farne delle balze. Sintica non ha mai parlato pure rimanendo attentissima. Essa conserva sempre il suo atteggiamento di profondo rispetto, di riservatezza, che solo con Maria o col bambino si fa meno rigido. Ma ora il bambino si è addormentato, seduto su un panchetto proprio al piedi di Sintica e colla testa appoggiata sui ginocchi di lei, sul braccio ripiegato. Perciò ella non si muove e attende che Maria le passi le strisce.
«Che sonno innocente!... Sorride ... » osserva Maria curvandosi sul visetto dormente.
«Chissà cosa sogna» dice sorridendo Simone.
«E un bambino intelligente molto. Impara con prontezza e vuole avere spiegazioni nette. Fa domande molto acute e vuole risposte chiare. Su tutto. Confesso che delle volte sono imbarazzato a rispondere. Sono argomenti superiori alla sua età, e talora anche alla mia capacità di spiegarli» dice Giovanni.
«Già! Come quel giorno... Ricordi, Giovanni? Avesti due alunni molto tormentosi quel giorno! E molto ignoranti» dice Sintica, sorridendo lievemente e fissando il discepolo col suo sguardo profondo.
Giovanni sorride a sua volta e dice: «Sì. E voi aveste un maestro molto incapace, che dovette chiamare in aiuto la vera Maestra... perché in nessuno dei molti libri che aveva letto, questo stolto pedagogo aveva trovato la risposta da dare ad un bambino. Segno che sono un pedagogo ignorante ancora».
«La scienza umana è ignoranza ancora, Giovanni. Non il pedagogo, ma ciò che gli avevano dato per esserlo era insufficiente. La povera scienza umana! Oh! come mi sembra mutilata! Mi fa pensare ad una deità che era onorata in Grecia. Ci voleva proprio la materialità pagana per poter credere che, perché era priva d'ali, la Vittoria fosse per sempre possesso dei greci! Non solo le ali alla Vittoria, ma la libertà ci è stata levata... Meglio era avesse avuto l'ali, nella credenza nostra. Avremmo potuto pensarla capace di volare a rapire fulmini celesti per saettare i nemici. Ma, così come era, non dava speranza, ma sconforto, ma parola di tristezza. Non la potevo vedere senza soffrirne... Mi pareva sofferente, avvilita della sua mutilazione. Un simbolo di dolore e non di gioia... E lo fu. Ma, come per la Vittoria, l'uomo fa con la Scienza. Le mutila le ali, che intingerebbero il sapere nel soprannaturale dando chiave ad aprire tanti segreti dello scibile e del creato. Hanno creduto e credono di tenerla captiva col mutilarla delle ali... Ne hanno fatto solo una deficiente... La Scienza alata sarebbe Sapienza. Così come è, è soltanto intendimento parziale».
«E mia Madre vi ha risposto quel giorno?».
«Con perfetta chiarezza e con casta parola, atta ad esser udita da un fanciullo e da due adulti di sesso diverso senza che nessuno avesse ad arrossire».
«Su che verteva?».
«Sulla colpa d'origine, Maestro. Ho segnato la spiegazione di tua Madre per ricordarmela» dice ancora Sintica, e Giovanni di Endor lui pure dice: «Anche io. Credo che sarà una cosa molto richiesta, se un giorno si andrà fra i gentili. lo non penso di andarvi perché...».
«Perché, Giovanni?».
«Perché poco ancora vivrò».
«Ma vi andresti volentieri?».
«Più di molti altri in Israele, perché non ho prevenzioni. E anche... Sì, anche per questo. Io ho dato malesempio fra i gentili, a Cintium e in Anatolia. Avrei voluto poter arrivare a fare del bene dove ho fatto del male. Il bene da fare: portare la tua parola là, farti conoscere... Ma sarebbe stato troppo onore...Non lo merito».
Gesù lo guarda sorridendo ma non dice nulla in proposito. Chiede: «E non avete altre domande da fare?».     
«Io ne ho una. Mi è sorta l'altra sera quando parlavi dell'ozio col bambino. Ho cercato di darmi una risposta. Ma senza riuscirvi. Attendevo il sabato per fartela, quando le mani sono inoperose e l'anima nostra, nelle tue mani, viene alzata a Dio» dice Sintica.
«Fà ora la tua domanda, mentre si attende l'ora del riposo».
«Ecco, Maestro. Tu hai detto che, se uno si intiepidisce nel lavoro spirituale, si indebolisce e predispone alle malattie dello spirito. Non è vero?».
«Sì, donna».
«Ora questo mi pare in contrasto su quanto ho udito da Te e da tua Madre sulla colpa d'origine, i suoi effetti in noi, la liberazione da essa per mezzo tuo. Mi avete insegnato che con la Redenzione sarà annullata la colpa d'origine. Credo di non errare dicendo che sarà annullata non per tutti, ma solo per coloro che crederanno in Te».
«E’ vero».
«Trascuro perciò gli altri e prendo uno di questi salvati. Lo contemplo dopo gli effetti della Redenzione. La sua anima non ha più la colpa d'origine. Torna dunque in possesso della Grazia così come l'avevano i Progenitori. Questo non le dà, allora, una vigoria inattaccabile ad ogni languore? Tu dirai: ‘L’uomo fa anche peccati personali’. Sta bene. Ma penso che essi pure cadranno con la tua Redenzione. Non ti chiedo come.
Ma suppongo che, a testimonianza dell'essere essa stata veramente - e non so come avverrà, per quanto ciò che a Te si riferisce nel Libro sacro faccia tremare, e mi auguro che sia sofferenza simbolica, ristretta al morale, benché non è illusione il dolore morale ma spasimo forse molto più atroce di quello fisico - Tu lascerai dei mezzi, dei simboli. Tutte le religioni ne hanno, e sono talora chiamati misteri... Il battesimo attuale, vigente in Israele, ne è uno, non è vero?».
«Lo è. E ci saranno, con nome diverso da quello che tu dai loro, anche nella mia religione dei segni di questa mia Redenzione, applicati alle anime per purificarle, fortificarle, illuminarle, sostenerle, nutrirle, assolverle».
«E allora? Se sono assolte anche dai peccati personali, sempre saranno in grazia... Come allora saranno deboli e predisposte a malattie spirituali?». «Ti porto un paragone. Prendiamo un bambino appena nato da genitori sanissimi, sano esso pure e robusto. Nessuna tara fisica, ereditaria, è in lui. Il suo essere è perfetto nello scheletro e negli organi, gode di un sangue sano. Ha perciò tutti i requisiti per crescere forte e sano, anche perché la madre ha latte abbondante e sostanzioso. Ma nel primo momento della sua vita viene colpito da gravissima malattia, non si sa come causata. Una malattia mortale proprio. Se ne salva a stento per pietà di Dio, che gli trattiene la vita già in procinto di fuggire da quel corpicino. Ebbene, credi tu che, dopo, quel bambino sarà robusto come se non avesse avuto quel male? No, avrà un indebolimento perenne in sé. Anche se non sarà palese, vi sarà e lo predisporrà, con più facilità che se non fosse stato malato, alle malattie. Qualche organo non sarà mai più integro co     me prima. Il suo sangue sarà meno forte e puro di prima. Tutte ragioni per cui più facilmente contrarrà malattie. Le quali,   ogni volta che lo colpiranno, lo lasceranno più facile a riammalarsi. Lo stesso è per il campo spirituale.
La colpa d'origine sarà cancellata nei credenti in Me. Ma lo spirito conserverà una tendenza al peccato che senza la colpa originale non avrebbe avuto. Perciò occorre sorvegliare e continuamente curare il proprio spirito, così come fa una madre sollecita col suo figliolino rimasto indebolito da una malattia infantile. Perciò bisogna non oziare, ma sempre essere solerti per irrobustirsi in virtù. Se uno cade in accidia o in tiepidezza, più facilmente sarà sedotto da Satana. E ogni peccato grave, essendo simile a grave ricaduta, sempre più predisporrà a infermità e morte dello spirito. Mentre se la Grazia, restituita dalla Redenzione, viene coadiuvata da una volontà attiva e instancabile, ecco che essa si conserva. Non solo. Ma si aumenta, perché viene associata alle virtù conseguite dall’uomo. Santità e Grazia! Che sicure ali per volare a Dio! Hai compreso?».
«Sì, mio Signore. Tu, ossia la Trinità Ss., date il Mezzo base all'uomo. L'uomo, col suo lavoro e la sua attenzione, non lo deve distruggere. Ho compreso. Ogni peccato grave è distruzione della Grazia, ossia della salute dello spirito. I segni che ci lascerai renderanno la salute, è vero. Ma il peccatore ostinato, che non lotta per non peccare, sarà ogni volta più debole anche se ogni volta è perdonato. Occorre perciò vigilare per non perire. Grazie, Signore... Marziam. si sveglia. E tardi ... ».
«Sì. Preghiamo tutti insieme e poi andiamo al riposo».
Gesù si alza e tutti lo imitano, anche il bambino ancora mezzo assonnato. E il "Pater noster" risuona forte e armonico nella piccola stanza.

 

17.3 Il frutto dell’Albero della Conoscenza del Bene e del Male: una faccenda di gola, di sesso o qualcosa di spiritualmente molto più profondo?

Non mi ricordo più quante volte, nei miei scritti, ho dovuto trattare il tema del Peccato e della Colpa d’origine, magari approfittando di qualche argomento che vi poteva essere collegato.
Non si tratta qui di ripetersi ancora una volta, ma questo è un tema importante perché senza la sua comprensione – come mi pare di aver già detto, e lo ribadisco - crolla tutta l’essenza del Cristianesimo.
Nel mio primo libro, ‘Alla Ricerca del paradiso perduto’, avevo  dedicato ben diciassette capitoli a questo argomento, ed altri ancora – con taglio diverso – in libri successivi.
Una volta avevo sentito persino un sacerdote dire che considerava la storia del peccato originale alla stregua di un mito, come riteneva lo stesso Voltaire il quale avrebbe voluto distruggere quella che definiva la ‘superstizione’ del Cristianesimo.
E’ però una verità importante perché, senza Peccato d’origine, non avrebbe senso neanche la missione del Dio-Verbo che si incarna in un uomo per farsi Redentore.
Redentore di cosa, infatti, se l’Umanità non ha bisogno di alcun riscatto perché il Peccato d’origine è un mito e quindi non esiste?
Nella attuale cultura dominante, che è sostanzialmente agnostica quanto dottrinariamente anche scarsamente informata, non sono pochi quelli che credono di trovarsi effettivamente di fronte ad un racconto fiabesco, con quei primi due là nel Paradiso terrestre, soli e nudi in mezzo ai prati fioriti, e con quel serpente, attorcigliato ai rami di un albero, che – come ad un pic-nic - invita la donna a mangiarsi il frutto.
‘Chiaro – dicono costoro, i nipotini di Voltaire e Rousseau - che finisse ‘a tarallucci e vino’, lei era una bella donna e lui doveva essere un bell’uomo...non erano forse perfetti? E non era stato Dio stesso a dire loro ‘Crescete e moltiplicatevi’? E loro lo avevano preso in parola, subito’.
Questo lo dico solo per farvi capire la confusione e anche la superficialità.
Per chiarire però le cose in estrema sintesi, e rinviando per più approfonditi chiarimenti ad altri miei scritti dove ho trattato l’argomento2 a fondo, vi dirò che l’Albero della conoscenza del Bene e del Male, con i suoi ‘frutti’, era solo un comune albero al quale Dio – nei confronti dei primi due – aveva però conferito un valore altamente ‘simbolico’.
Essi avevano ricevuto quell’unico divieto: non mangiare quel frutto proibito, quello della Conoscenza dell’Albero del Bene e del Male, perché mangiandone essi sarebbero morti.
Dietro questa minaccia apparentemente assurda si nascondeva una profonda verità. Disubbidendo e perdendo i doni di perfezione conferiti loro da Dio  essi avrebbero infatti conosciuto, oltre che la morte fisica, la morte che veramente conta, quella spirituale.
I due progenitori erano stati costituiti da Dio ‘dominatori’ su tutta la terra e sul mondo animale, oltre che sulla propria natura spirituale.
Essi avevano tutto, soprattutto Dio che parlava loro nei ‘silenzi della sera’, cioè nei momenti di pace spirituale.
Giusto che ad essi fosse stata messa di fronte da Dio una prova di obbedienza, che è sempre una prova d’amore, e che avrebbe dato un senso di merito ai grandi doni da essi ricevuti da Dio gratuitamente.
E quando il ‘serpente’ - che nella iconografia viene rappresentato come un comune serpente, ma che in realtà come già in precedenza spiegato simboleggiava Satana, astuto per eccellenza – insinua ad Eva che Dio era ‘geloso’ del proprio potere e aveva impartito loro quella proibizione solo perché non voleva che essi, mangiandone, diventassero sapienti, potenti e creatori come Dio, ecco che allora Eva disubbidisce e coglie il frutto, convincendo poi anche Adamo a mangiarlo.
Si tratta quindi non di una infantile disubbidienza, insomma di un innocente peccatuccio di gola per un frutto, come il ‘colto’ ma irridente Voltaire aveva scritto rimproverando al ‘crudele Dio dei cristiani’ una assurda severità, ma di un atto intellettuale, cioè spirituale, che nella sua profondità interiore presuppone nell’uomo una vera e propria volontà di usurpazione, cioè di tradimento nei confronti di Dio che all’uomo aveva dato tutto: un regno fatto a sua misura per lui e soprattutto la prospettiva della vita eterna.
Istantanea fu quindi la perdita dei doni soprannaturali che rendevano quei primi due perfetti e invulnerabili, istantanea fu pure la perdita della purezza spirituale.
Essi si ritrovarono ‘cadaveri’, cioè con l’anima spirituale morta e sopravvissuti solo nell’anima-animale.
E i due - divenuti ‘animali’ alle stregua degli altri animali, sia pur umanamente intelligenti - divennero ‘creatori’, ma creatori in maniera ‘animale’, e cioè nella sessualità.
Sessualità che negli animali è solo un innocente atto volto alla riproduzione ed al mantenimento della specie nel rispetto dell’ordine della natura e secondo la volontà di Dio ma che nell’uomo ormai corrotto nello spirito - se non finalizzata alla procreazione di una famiglia nel matrimonio - diventerà molto spesso un atto di ‘libidine’ fine a se stesso.
Dall’Opera valtortiana si apprende che Dio aveva dato ai primi due il comando che essi crescessero e si moltiplicassero.
Anche Dio li voleva dunque ‘creatori’, ma non tanto di ‘uomini di carne’ quanto di uomini dotati d’anima  che – conducendosi ‘santamente’ perché privi di peccato originale – diventassero, dopo l’esperienza sulla terra, dei ‘figli di Dio’ in Cielo, non più con i loro corpi materiali terreni ma con i corpi di materia ‘glorificata’.
Dio voleva che l’uomo procreasse non la carne mortale ma l’anima immortale che vivesse per l’eternità in Paradiso.
Invece, a causa dell’accaduto, tutti i successivi - i figli dei figli che pur da parte loro non commisero il Peccato originale - di questo peccato dei progenitori subirono le conseguenze.
Anche Rudolf Bultmann, l’ideologo della ‘demitizzazione, considerava il racconto in Genesi del Peccato originale la quint’essenza del ‘mito’.
Egli non riusciva fra l’altro ad accettare l’idea  che – poiché la ‘colpa’ è un atto di responsabilità individuale – anche i discendenti senza colpa dei due progenitori avessero contratto le conseguenze della ‘Colpa’.
Torniamo dunque qui brevemente su questo aspetto che ho già trattato più a fondo in altri lavori.
Il peccato originale – oltre che di disobbedienza - fu un peccato di superbia e di orgoglio, e cioè un peccato della Psiche.
Il complesso psichico, cioè lo spirito, perse il contatto con Dio ed anche il suo ordine interiore.
Tale disordine – in forza della unità psicosomatica che costituisce l’uomo – si ripercosse anche sul corpo.
Il sistema endocrino ed il metabolismo umano vennero sconvolti insieme al sistema genetico, l’uomo cominciò ad ammalarsi sempre di più, ad invecchiare e poi a morire.
Ma, oltre al corpo, degenerò progressivamente anche lo spirito, per cui l’uomo – che nei primi due aveva peccato contro Dio solamente – nei discendenti successivi (a cominciare da Caino contro Abele), avendo ormai perso i doni di perfezione spirituale, cominciò a peccare anche contro il prossimo, rendendo completa la sua mancanza d’amore.
E’ la storia discendente dell’Umanità dove la massa dei peccati collettivi pregressi diventa un macigno che – nella riproduzione della specie che trasmette un ‘Dna’ psicofisico tarato – sempre più opprimerà l’umanità futura.
I discendenti successivi non compirono dunque il Peccato originale, che fu un peccato personale solo dei primi due, ma essi ne subirono le conseguenze, come i figli possono subire le conseguenze di una malattia contagiosa contratta precedentemente da dei loro incauti genitori.
Il primo atto concreto di Dio dopo il Peccato fu dunque la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre, cioè dalla loro situazione di privilegio.
Se essi non avessero peccato sarebbero stati destinati a vivere a lungo, salvo accedere – in una sorta di ‘assunzione’ come quella della Madonna o quella di Gesù risorto, nuovi Adamo ed Eva - nel Paradiso spirituale una volta che Dio avesse giudicato terminata la loro ‘missione’ in terra.
Eccoci dunque giunti allo sviluppo conclusivo del tema di questo nostro capitolo ed ecco allora la domanda di Sintica a Gesù: Tu hai detto che, se uno si intiepidisce nel lavoro spirituale, si indebolisce e predispone alle malattie dello spirito. Ma se con la Redenzione sarà annullata la Colpa d’Origine, questo non dà allora all’anima una vigoria inattaccabile ad ogni languore?’
La risposta che Gesù dà a lei ma che avrebbe potuto dare anche a Rudolph Bultmann è chiara: la Colpa d’origine sarà cancellata  ma lo spirito dell’uomo ne risulterà in seguito indebolito come la salute di un bambino colpito in tenera età da una malattia quasi mortale.
Il bimbo sopravviverà ma, come il suo corpo risulterà maggiormente predisposto ad altre malattie future, così anche lo spirito dell’uomo conserverà una tendenza al peccato che senza la colpa originale non avrebbe avuto.
Ecco dunque il perché della necessità del lavoro spirituale su se stessi: per mantenersi sempre in forma ed evitare… ricadute.


1 M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. V - Cap. 307 – Centro Ed. Valtortiano

2 G.L.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’- Capp. dal 20 al 36 – Edizioni Segno, 1997
  G.L.: “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Cap. 5  Ed. Segno, 2002