(M.V.: ‘I Quaderni del 1943’ – Dettato 29.11.43 – Centro Ed. Valtortiano)

7. E non era tanto sacro al Signore il luogo corrotto dove viveva schiavo il Profeta Daniele, sacro per la santità del suo servo che santificava il luogo, da meritare le alte profezie del Cristo e dell’Anticristo,
chiave dei tempi d’ora e dei tempi ultimi?


7.1 Sta dunque attento alla parola e procura di intendere la visione…

Mi dico e mi ripeto più volte che l’opera valtortiana nasconde nei suoi forzieri una serie inestimabile di grandi e piccole gemme.
Prendiamo ad esempio quelle poche parole pronunciate da Gesù in merito al Profeta Daniele nella descrizione che la nostra mistica fa di quella visione del settimo discorso della montagna.
Avevamo detto che il giorno del sesto discorso stava volgendo al termine perché si stava avvicinando il tramonto che segnava appunto – nel calendario ebraico – l’inizio del sabato.
Gesù – dopo il miracolo del lebbroso e vista ormai l’impossibilità di raggiungere i paesi più vicini in tempo utile - decide di fare accampare la moltitudine sul posto per trascorrervi lì il giorno di festa.
Il mattino dopo Egli  si rivolge alla folla ed inizia a parlare osservando che l’essersi fermati in quel luogo è stata volontà di Dio perché l’andare oltre  violando i precetti della ‘Legge’ sarebbe stato ‘scandalo’, almeno fino al giorno in cui quei precetti non fossero stati superati dal Nuovo Patto di alleanza fra Dio e gli uomini che sarebbe stato successivamente scritto.
Quanto poi al non poter essere in una sinagoga per la preghiera, Gesù aggiunge che in realtà tutto il  Creato – e quindi anche le falde del monte -  può essere ‘luogo di preghiera’, come lo furono  l’arca di Noè mentre andava alla deriva in mezzo ai flutti, come lo fu il ventre della balena in cui era finito Giona o come lo fu la stessa pagana Babilonia dove il luogo in cui viveva il profeta giovinetto Daniele era stato a tal punto santificato dalle sue preghiere ‘da meritare le alte profezie del Cristo e dell’Anticristo’, chiave dei tempi d’ora e dei tempi ultimi’.
Quest’ultima breve frase è piuttosto ermetica, né Gesù spiega qui nient’altro al proposito perché Egli inizia subito dopo quel suo discorso sulla necessità, appunto, di ‘fare la volontà divina’, discorso indirizzato principalmente ad apostoli e discepoli, figure dei successivi vescovi e sacerdoti.
Quale era dunque stata l’alta profezia che Daniele aveva ricevuto?
Procediamo con ordine.1
Cinque secoli circa prima di Cristo, mentre il giovanetto Daniele era schiavo alla corte del Re Nabucodonosor a Babilonia dove vi era stato deportato da Gerusalemme insieme a tanti altri suoi connazionali, egli  pregava il Signore (Dn 9, 1-27) affinché il suo Popolo, cioè il ‘popolo di Dio’, venisse liberato dalla schiavitù dei babilonesi e potesse ritornare in patria.
Dio – commosso dalla sua stupenda accorata preghiera – decide di fare di più e gli manda l’arcangelo Gabriele che non solo gli conferma la prossima liberazione del popolo e la ricostruzione di Gerusalemme ma pure gli profetizza l’epoca in cui vi sarebbe stata in Israele la manifestazione del Messia di cui tanto avevano parlato altri profeti.
L’arcangelo dice infatti a Daniele che il Messia promesso dal Cielo sarebbe arrivato ‘settanta settimane’ dopo il decreto del Re con cui sarebbe stata data agli ebrei l’autorizzazione a ritornare  a Gerusalemme.
Dovete sapere che questo tipo di profezia, che riguarda il futuro dell’uomo e del mondo, è solitamente  ‘velato’.
Non è infatti prudente che l’Umanità conosca con troppa precisione il proprio futuro e anzi una sua conoscenza esatta potrebbe per tante ragioni risultare addirittura dannosa.
Dio inoltre non vuole mettere l’Umanità di fronte a delle rivelazioni schiaccianti che la opprimerebbero e inficerebbero quella libertà di azione che l’uomo, per dono divino, possiede al massimo grado.
Cionondimeno Dio, che oltre ad essere Re di Giustizia è anche Padre, talvolta la vuole avvisare per rimetterla sulla buona strada, vuole fare sapere all’uomo che, continuando egli in certi comportamenti, arriverà poi anche la punizione della Giustizia divina per indurlo ad un ravvedimento e possibilmente salvarlo.
Tale punizione, a ben pensarci, equivale al comportamento pedagogico di un buon padre che - prima - cerca più volte di correggere un figlio scapestrato ma poi – se quello proprio non vuol capire – gli allenta qualche sonora sberla per indurlo a più miti consigli, per suo bene.
Nessuno dotato di buon senso si sognerebbe di dire che quello è un padre snaturato.
Queste profezie sul futuro, oltre che velate, possono anche essere  ripetitive  perché – come in una logica di corsi e ricorsi storici – esse si possono riavverare quando ricorrano situazioni storiche analoghe a quelle che hanno determinato la loro prima concretizzazione.
Sono rivelazioni – come quelle dell’Apocalisse – che sono destinate magari a realizzarsi tanti secoli dopo e vengono date non solo per mettere sull’avviso ed invitare alla prudenza nei comportamenti ma anche perché i posteri – quando queste profezie si saranno avverate – possano a quel punto dire ‘Ma Dio ce l’aveva detto….’ ed imparino a rispettare il valore delle profezie.
Le modalità esatte ed i tempi precisi di avveramento vengono dunque celati attraverso un linguaggio che risulta in definitiva polivalente ed oscuro anche agli ‘esperti’.
Gli stessi profeti che le danno possono giudicare queste rivelazioni incomprensibili, oppure possono esserne illuminati al momento della rivelazione ma esserne subito dopo smemorati,  o infine ricordarne il significato ma essere invitati da Dio a porvi il sigillo fino al momento in cui Dio stesso – forse secoli e secoli dopo, quando i tempi saranno maturi per una piena rivelazione e magari servendosi di altri profeti – non deciderà di fare conoscere l’esatto valore e significato della rivelazione a suo tempo data.
E’ come se Dio ci dicesse: ‘Io ti avviso. Se tu hai buona volontà ti tieni pronto con le lampade accese ben fornite d’olio, perché non sai quando verrà esattamente il Signore, che potrebbe presentarsi all’improvviso in casa tua come un ladro mentre dormi…’.
La profezia magari si avvera dopo duemila anni, ma Dio vuole che tutte le generazioni si tengano spiritualmente pronte perché è dalla loro vigilanza che dipenderà poi la loro salvezza spirituale.
Ma con Daniele – proprio per via di quella sua appassionata preghiera a favore del popolo di Israele che stava espiando in esilio per il proprio precedente allontanamento da Dio - Dio fa una eccezione, e gli dà, come avevo letto una volta in un libro di Vittorio Messori, l’unica profezia cristiana con tanto di data di avveramento, e per giunta gliela dà  con un anticipo di ben cinquecento anni.
Ernest Renan, l’ex seminarista diventato teologo anticristiano, scriveva a proposito di Daniele che ‘l’attesa messianica era un’attesa frutto di frustrazioni e di sogni’ e cheGesù ‘si era imbevuto di letture profetiche, in particolare Daniele, credendosi alla fine il Figlio dell’Uomo, il Messia, con relativa gloria e corollario di terrori apocalittici’.
Ecco comunque – indipendentemente dalle illazioni di Renan - come Daniele (Dn 9,20-27) descrive le circostanze e il contenuto della visione e delle profezia:

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Io parlavo ancora, pregavo, confessavo il mio peccato e le colpe del mio popolo Israele e umiliavo la mia supplica davanti al Signore Dio mio, per il santo monte del mio Dio, ancora avevo sulle labbra le parole e la preghiera, quando  Gabriele, quell’essere che avevo veduto prima nella visione, volando rapidamente s’avvicinò a me, verso il tempo dell’oblazione pomeridiana.
E così mi parlò: «Daniele, ecco, io sono uscito ora per darti piena conoscenza. All’inizio della tua preghiera, una parola fu pronunziata ed io sono venuto a riferirtela; poiché tu sei l’uomo delle predilezioni di Dio. Sta dunque attento alla parola e procura di intendere la visione:

« Settanta settimane sono fissate, per il tuo popolo e la tua santa città, per mettere fine alla prevaricazione, porre i sigilli al peccato, espiare l’iniquità, instaurare un’eterna giustizia, far avverare visione e profezia, ungere il Santo dei Santi.
Sappi ancora e intendi bene: dal momento in cui fu detta questa parola: ‘Si ritorni e sia ricostruita Gerusalemme’, fino a che sorga un Principe Unto, vi sono sette settimane.
E durante sessantadue settimane essa risorgerà e sarà riedificata, con piazze e mura di cinta, nell’angoscia dei tempi.
E dopo sessantadue settimane sarà tolto di vita un Unto, in cui non v’è colpa.
La città e il santuario saranno distrutti da un principe che verrà.
La sua fine sarà in un cataclisma e fino al termine vi saranno guerra e devastazioni decretate.
E stringerà una forte alleanza con molti durante una settimana.
E nel mezzo della settimana farà cessare  il sacrificio e l’oblazione.
E sopra l’ala del Tempio vi sarà l’abominazione della desolazione, finché la rovina decretata ricada sul devastatore.


7.2 La profezia ‘ripetitiva’ di Daniele, la ‘nuova Gerusalemme’ e il ‘nuovo Tempio’

Converrete con me che si tratta decisamente di una profezia ‘velata’, non facile da interpretare se non con il ‘senno di poi’.
Sospetto anzi fortemente che l’Arcangelo Gabriele fosse dotato di un certo senso dell’umorismo e sorridesse nel dare a Daniele una profezia del genere ma nello stesso tempo ‘pretendere’ che egli stesse attento a ‘intendere bene’ la parola.
Ma perché l’angelo lo aveva ammonito ad intendere bene?
Perché evidentemente, sotto al significato relativamente palese della pur velata profezia,  doveva essercene sottinteso anche un altro, ancora più profondo che sarebbe sfuggito ad una lettura di superficie.
In merito alla natura delle settimane,  passate le prime settanta settimane di giorni, e poi le altre settanta di mesi senza che il Messia si fosse manifestato, fu finalmente chiaro agli ebrei di allora che i tempi di avveramento della profezia dovessero riferirsi a settimane di anni.
Essi avrebbero dovuto dunque attendere 490 anni, insomma cinque secoli.
Israele – con l’avvicinarsi dei tempi di scadenza della profezia - cominciò tuttavia a vivere quell’attesa molto intensamente.
La misteriosa profezia veniva scrutata e riscrutata in tutte le sue pieghe dai Rabbi, anche perché – di dominazione straniera in dominazione straniera – i Capi politici ed i Grandi Sacerdoti  di Israele avevano finito per augurarsi non certo un Liberatore da Satana e dal Peccato, ma un Messia di Guerra, un Condottiero, un Re terreno che li liberasse una volta per sempre da tutti i nemici del circondario.
L’immagine di un Dio di Amore che si incarna in un uomo per parlare un linguaggio ‘umano’ ed insegnargli la via per la sua liberazione dal Peccato era infatti troppo diversa e deludente rispetto all’attesa e all’idea del Messia che essi si erano fatti da secoli.
Questa fu una delle ragioni per cui, al momento dell’avveramento, gli ebrei non seppero e non vollero riconoscere nel ‘falegname’ Gesù quel Messia – di lignaggio anche regale – che essi invece attendevano.
Ma ritornando alla frase sibillina del Gesù valtortiano, cosa significava quella allusione al fatto che la profezia di Daniele si riferiva non solo al Cristo ma anche all’Anticristo ed era chiave dei ‘tempi d’ora’ e dei ‘tempi ultimi’?
Ragioniamo.
Gesù stava parlando duemila anni fa: se i ‘tempi di ora’ si riferivano dunque ai tempi della sua vita terrena di allora, quali sarebbero stati i ‘tempi ultimi’? Forse quelli della fine del mondo, come potrebbe sembrare a prima vista?
La profezia, poi, non fa nomi e parla genericamente di un ‘santo dei santi’ e di un ‘unto senza colpa’ tolto di vita.
L’unzione di cui in essa si parla era, di norma, un simbolo di regalità, quella che si riservava alla incoronazione dei re.
E con questa ‘unzione’ si sarebbe posto fine alla prevaricazione, al peccato, all’iniquità instaurando un’eterna giustizia.
I teologi cristiani – così spesso in discussione fra di loro quando si tratta di interpretare la Bibbia – hanno tuttavia sempre considerato unanimemente tale profezia come ‘messianica’, cioè come riferita alla incarnazione di Gesù Cristo, anche perché – appunto con il ‘senno di poi’ - i tempi delle settanta settimane di anni e le circostanze di avveramento come la distruzione di Gerusalemme hanno coinciso in modo impressionante con l’epoca di Gesù.
Ma ecco come il Gesù di Maria Valtorta - commentando questo brano di Daniele - spiega Egli stesso alla mistica alcuni aspetti di quella profezia2:

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Dice Gesù:
….

…A Daniele che ancora pregava – e la preghiera di lui potreste dirla anche ora – il mio angelo parlò.
Il Consolatore, che è anche l’Annunziatore, non è mai disgiunto da ciò che mi riguarda. Messaggero di Dio, messaggero ubbidiente e amoroso, fece sempre suo gaudio portare i voleri di Dio agli uomini e consolare coloro che soffrono. Non lasciò rapido il Cielo unicamente per l’annunzio beato, per consolare Giuseppe, per confortare la mia tremenda agonia. Già ai profeti era andato a portare la parola e a disvelare il futuro che mi concerne come Messia. Spirito infiammato d’amore, ai desiderosi di Dio aleggia da presso e porta i sospiri degli amanti a Dio e le luci di Dio ai suoi amanti.
Uno solo poteva levare prevaricazione, peccato e ingiustizia sulla Terra, che era meritevole di un nuovo diluvio e che fu unicamente sommersa e mondata da un Sangue divino e innocente. Io, Dio vero fatto carne per voi.
Corruzione, peccato, ingiustizia e guerra fra l’uomo  e Dio, avrebbero avuto termine quando non di regale unzione ma di unzione funebre sarebbe stato unto il Santo dei Santi, l’Innocente ucciso per amore degli uomini.
Sospiro dei Patriarchi e di tutto il popolo di Dio, il Messia doveva sorgere per creare la Gerusalemme nuova che non muore in eterno. La Chiesa che vive e vivrà fino alla fine dei secoli e che continuerà a vivere nei suoi santi oltre il giorno di questa Terra.
E a Daniele viene dato a conoscere il numero dei giorni che separavano i viventi del tempo del Signore e le conseguenze della nequizia del popolo che al prodigio di Dio risponde con una condanna.
La condanna del Cristo segna la condanna del popolo.
Sempre un delitto attira una punizione. E dato che nessun delitto è più grande di quello di infierire sugli innocenti e calunniare gli incolpevoli, quale punizione poteva essere serbata a chi aveva ucciso l’Innocente, che non fosse distruzione totale del luogo dove l’abominio s’era istallato?
Inutili ormai i sacrifici quando la misura è sorpassata. Dio è longanime, ma non è ingiusto.
E perdonare la pertinacia nel peccare dopo aver dato tutti i mezzi  per conoscere l’errore ed uscirne, e per tornare a Dio, sarebbe stato da parte di Dio ingiustizia verso i giusti e verso coloro che i malvagi hanno torturato…

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Riflettendoci però ancora sopra, cosa significa - nella profezia di Daniele - quel riferimento alla rovina finale che si abbatte sul ‘devastatore’?
Chi era in realtà il ‘devastatore’?
Erano forse i sacerdoti deicidi del Tempio che avevano preteso da Pilato la condanna a morte di Gesù, preferendo poi – di fronte ad una prospettiva di concessione di grazia da parte di Pilato – quella a favore del delinquente Barabba?
Perché rovina finale su di loro?
Lo storico giudeo Giuseppe Flavio – ufficiale delle truppe ebraiche  catturato dai romani - racconta che lo scontro fra i romani assedianti ed i giudei barricati nella città fu di inaudita ferocia.
Di un milione originario di ebrei – convenuti da ogni dove nella città per trascorrervi le feste pasquali e rimastivi intrappolati dall’assedio improvviso – i romani fecero solo 97.000 prigionieri.
Molti ebrei superstiti preferirono suicidarsi in massa piuttosto che farsi catturare. Quelli che non perirono in combattimento, morirono per fame e malattie. Vi furono persino casi di cannibalismo. Il Tempio – capolavoro artistico che i romani avrebbero voluto salvare - andò a fuoco per un insieme di fatalità.
Il generale Tito – durante gli anni di assedio – aveva chiesto invano ai Capi politici ed ai Capi dei sacerdoti di negoziare una resa per evitare ulteriori perdite umane, ma essi avevano rifiutato.
E quando poi i sacerdoti catturati dopo la presa del Tempio chiesero pietà, Tito li fece mettere a morte rinfacciando loro che per essi era ormai passato il tempo del perdono, che l’unica cosa decente per cui avrebbe avuto senso il salvarli era la bellezza di quel capolavoro artistico che era il Tempio, ma poiché esso in quel momento se ne stava andando in cenere, che vi perissero pure loro insieme.
Ma se il ‘devastatore’ di 2000 anni fa fu la classe sacerdotale ebraica – che era anche la classe dirigente  e che trascinò con sé nella rovina tutto il popolo - e se dovessimo dare un valore ripetitivo a questa profezia, chi sarebbe allora il ‘devastatore’ del futuro e di quale città e santuario si tratterà?
Inoltre, cosa ci fa pensare che la profezia possa essere ripetitiva ed essere ancora applicabile ad un futuro da realizzare?
Ce lo fa pensare – oltre al Gesù valtortiano – anche il Gesù che parla nel Vangelo di Matteo.
Il Gesù di Matteo - in occasione dell’ultima Pasqua che Egli trascorre con i discepoli a Gerusalemme, nell’imminenza della sua cattura - lascia il Tempio e si avvia con i discepoli fuori mura verso il Monte degli ulivi.
All’uscita dal Tempio (Mt 24, 1-3) Gesù – pensando alla sua prossima cattura e crocifissione da parte dei giudei – parla loro della distruzione del Tempio, di una futura grande tribolazione e di una sua futura ‘venuta’.
Giunti sul Monte degli ulivi, i discepoli vorrebbero capire meglio e approfondire l’importante argomento e gli fanno infatti una triplice domanda: ‘Spiegaci quando avverranno queste cose  e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo’.
E il Gesù di Matteo (Mt 24, 4-35) – spingendo il proprio sguardo nel futuro - risponde con un discorso chiaro ma nello stesso tempo velato.
La sua è una profezia escatologica come quella di Daniele, profezia dunque di non facile interpretazione ma che molti esegeti sono propensi a interpretare di norma – per quanto attiene alla tribolazione - come riferita alla distruzione di Gerusalemme del 70 d.C. e, per quanto riguarda la futura venuta, a quella della fine del mondo.
Essi dicono infatti che in questo discorso ‘escatologico’ velato viene messo assieme l’annuncio della distruzione di Gerusalemme con la distruzione della fine del mondo di cui la prima sarebbe ‘figura’.
Questa ipotesi non è da escludere, anzi direi che è perfettamente possibile, ma non basta a spiegare questo brano del Vangelo di Matteo, perché – limitata a ciò – essa crea più interrogativi di quanti non ne risolva.
Gesù dice testualmente in Matteo che, subito dopo una grande tribolazione, Egli tornerà sulla terra e che tale tribolazione sarà ‘tanto grande quanto mai ve ne è stata dall’inizio del mondo né mai ve ne sarà una eguale fino alla fine’.
Diventa pertanto importante – anche al fine di valutare quando ci si possa aspettare questo ‘ritorno’ di Gesù – stabilire di quale ‘tribolazione’  si parli.
Riflettiamo ora con grande attenzione sui vari passaggi del seguente ragionamento.
. La tribolazione non può essere identificata con quella della distruzione della Gerusalemme di duemila anni fa.
Infatti, da un lato, dobbiamo constatare che il ‘ritorno’ di Gesù (Mt 24, 29-30) - di cui la tribolazione della distruzione di Gerusalemme  avrebbe dovuto essere un ‘segno’ precursore – non è affatto avvenuto, dall’altro dobbiamo rilevare che, mentre il Gesù di Matteo (Mt 24,21) sottolinea che una tal tribolazione non ci sarà mai più nella Storia, la Storia, al contrario, ha dimostrato che nel xx secolo l’Umanità ha avuto cento milioni di morti frutto della prima e della seconda guerra mondiale, oltre che di una serie interminabile di altre terribili guerre locali, morti dei quali ben cinque milioni appartengono agli ebrei eliminati nelle camere a gas dei campi di sterminio nazisti.
. Tale tribolazione non può però nemmeno essere intesa come riferentesi alla fine del mondo.
In primo luogo perché non si capirebbe altrimenti come mai il Gesù di Matteo descriva il contesto successivo di una Umanità che continua a vivere precisando anzi che quei giorni di tribolazione verranno abbreviati da Dio perché altrimenti nessuno si salverebbe (Mt 24, 22). Se  i giorni vengono ‘abbreviati’ significa infatti che la Storia continua, e lo stesso dicasi del fatto che la gente si salva, segno che il mondo non finisce.
In secondo luogo perché - se Gesù dice che ‘di tribolazioni come questa non ve ne saranno mai più fino alla fine’ – segno è che quella tribolazione, con la successiva ‘venuta’ di Gesù - non sarà quella che caratterizzerà la fine del mondo
Quello della fine del mondo e della venuta finale di Gesù sarà invece un argomento che – sempre nel Vangelo di Matteo – sarà trattato solo alla conclusione del successivo Cap. 25.
In tale capitolo, dopo un ampio ‘stacco’ ( Mt 25, 1-30) rispetto al discorso del precedente Cap. 24 sulla grande tribolazione, stacco in cui si illustra il Regno dei Cieli, Gesù parlerà infatti qui chiaramente della sua venuta effettiva così come è comunemente intesa, cioè la venuta in occasione di quello che è il Giudizio universale (Mt 25, 31-46) dove Egli darà alle anime di ogni uomo, resuscitate e rivestite con il proprio corpo, la destinazione ultima: ‘pecore’ alla sua destra e ‘capri’ alla sinistra.
.  Si può invece sostenere che la profezia di Daniele sia ‘ripetitiva’.
Non lo dice – lo ribadisco – solo il Gesù valtortiano quando nella visione del settimo discorso spiega che detta profezia era ‘chiave’ di interpretazione delle profezie del Cristo e dell’Anticristo, nonché dei tempi di allora e dei tempi ultimi - ma anche lo stesso Gesù di Matteo (Mt, 24,15) quando precisa che, avvenuta l’abominazione della desolazione nel luogo santo di cui aveva parlato Daniele, subito dopo (Mt 24, 29-30) apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’Uomo il quale ritornerà manifestandosi all’Umanità con grande potenza e splendore.
Se la profezia di Daniele di cinquecento anni prima è da considerare ‘messianica’, come la maggior parte degli esegeti ritengono, e cioè riferita alla venuta di Gesù, allora l’abominio della desolazione (con distruzione e tribolazione conseguente) del tempo dell’incarnazione di cui la profezia parlava era certo da riferire al deicidio.
Ma poiché, meditando e ragionando, abbiamo appena compreso dal vangelo di Matteo che la grande tribolazione sarà un segno precursore della venuta di Gesù, e poiché abbiamo pure compreso che tale tribolazione non poteva riferirsi, o non poteva solo riferirsi, alla Gerusalemme di allora, ecco che il riferimento del Gesù di Matteo alla futura tribolazione e abominio della desolazione nel luogo santo già predetta da Daniele doveva velatamente riferirsi anche ad avvenimenti successivi alla sua vita di allora in Israele, avvenimenti molto più in là nel tempo che però, per le ragioni già spiegate, non sono neppure quelli della fine del mondo.

Riepilogando, se dunque - per tante ragioni - la tribolazione di cui parla Gesù e che precederebbe il suo ritorno non è quella, o non è solo quella, della Gerusalemme del 70 d.C. e neppure quella della fine del mondo, non rimane che concludere che si tratti di una ‘tribolazione intermedia’, durante il corso della storia, dopo la quale Gesù si manifesterà all’Umanità in quella che – forse con termine improprio - viene chiamata da molti profeti moderni ‘seconda venuta’, venuta da non confondere con quella effettiva del Giudizio Universale, ma da interpretare piuttosto come una ‘manifestazione’ gloriosa, nella potenza dello Spirito Santo, quando tutti vedremo in cielo il ‘segno’ del Figlio dell’Uomo (Mt 24, 29-30).
Vi sarà forse venuto il mal di testa nel cercare di seguire queste circonvoluzioni e riflessioni ma questa è del resto la situazione che si evince dalla sequenza degli avvenimenti che emergono da una attenta e meditata  analisi del Vangelo di Matteo.
Sequenza che invece appare ancora più chiara dal testo dell’Apocalisse di San Giovanni, scritta un mezzo secolo dopo il Vangelo di Matteo.
Nel testo letterale dell’Apocalisse – che riguarda gli avvenimenti futuri -  si legge infatti che, ad un certo punto del corso della Storia, l’Umanità - sempre più perversa e lontana da Dio – incorrerà in una grande tribolazione e purificazione, vi sarà una manifestazione dell’Anticristo che si porrà alla guida degli uomini, e quindi la ‘venuta’ gloriosa di Gesù che lo sconfiggerà per instaurare finalmente fra gli uomini, percossi e pentiti, il suo Regno in terra: quello cioè che invochiamo nella preghiera del Padre nostro.
 Sarà un Regno della durata di ‘mille anni’ (da interpretare forse simbolicamente come un lunghissimo tempo),  durante i quali Satana verrà ‘incatenato’ nell’Abisso, cioè messo nell’impossibilità di nuocere agli uomini.
Trascorso questo lungo periodo Satana sarà nuovamente libero di agire e - non più per l’interposta persona dell’Anticristo ormai all’inferno dai ‘mille anni precedenti’ ma questa volta direttamente - si metterà alla testa di molti uomini  che, dimentichi delle brutte esperienze e della grande tribolazione dell’epoca passata,  ricominceranno a peccare e a fare guerra ai cristiani e alla Chiesa.
Sarà allora che Gesù dirà il suo definitivo ‘Basta!’, ritornerà questa volta sulla terra come Giudice - con il suo corpo glorificato come apparso nella Resurrezione -  per dichiarare finita la storia dell’Umanità, per chiudere per l’eternità Satana all’inferno insieme alle anime degli uomini cattivi suoi seguaci e per fare entrare i suoi ‘santi’ in Paradiso, con i loro corpi risorti anch’essi ‘glorificati’ come quello di Gesù.
Ne parleremo ancora nel prossimo capitolo.


1 Sulla profezia di Daniele, sull’Anticristo e sulla venuta ‘intermedia’ del Messia, vedere la trattazione più ampia dell’autore in “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. I - Capp. 10 e 11 – Ed. Segno, 2001

2 M.V.: ‘I Quaderni del 1943 – Dettato del 29.11.43 – Centro editoriale Valtortiano