(La Sacra Bibbia – ‘Il Vangelo secondo Matteo, Luca e Marco’ - Edizioni Paoline, 1968)
(M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Cap. 169 . Centro Edit. Valtortiano)

5. Guai, tre volte guai ai pastori che perdono la carità…, Guai, tre volte guai ai maestri che ripudiano la Sapienza per saturarsi di scienza sovente contraria…, Guai, sette volte guai ai morti nello spirito fra i miei sacerdoti…, Maledizione di Dio sui corruttori del mio piccolo, amato gregge…


Mt 5, 1-3:

« Gesù, veduta la folla, salì sul monte e quando si fu seduto, gli s’accostarono i suoi discepoli. Allora egli aprì la bocca per ammaestrarli, e disse: « Beati i poveri di spirito, perché di essi è il Regno dei cieli! ….’.

Mt.5, 13-16:
« Voi siete il sale della terra. Ma se il sale perde il sapore, con che cosa glielo si restituirà? Non serve ad altro che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.
Voi siete la luce del mondo. Non può rimanere nascosta una città situata sopra una montagna, né si accende una lucerna e la si pone sotto il moggio, ma sul porta-lucerna e fa luce a tutti quelli che sono in casa.
Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché veggano le vostre opere buone e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli ».

 
5.1 Il primo discorso della montagna: « Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo…’»

Poco tempo dopo l’episodio della spiegazione dell’anima alle donne romane nella villa di Giovanna di Cusa, Gesù ed apostoli si ritrovano come già precedentemente fra loro convenuto e, nei pressi di Tiberiade, salgono su un monte, diverso da quello della elezione apostolica, dove Gesù pronuncerà quello che verrà chiamato in seguito ‘Il discorso della montagna’.
Esso - riportato ampiamente nel vangelo di Matteo ai capitoli 5,6 e 7 - costituisce la ‘summa’ della Dottrina e dell’etica cristiana.
Sarebbe profondamente istruttivo ed anche edificante poterlo commentare per intero ma per questo vi è l’opera integrale della Valtorta, mentre io andrei fuori dallo scopo e dalla linea che mi sono proposto nel comporre questa serie di miei commenti evangelici che, ancorché articolati in più volumi, si propongono di mettere a fuoco solo alcuni degli aspetti della predicazione di Gesù, predicazione da me commentata ovviamente nell’ottica dell’opera valtortiana.
Rilevo comunque al riguardo che - quantunque Matteo presenti quello della montagna come un unico discorso pronunciato senza soluzione di continuità – dall’opera della mistica emerge invece che in realtà si trattò di argomenti approfonditi da Gesù in ben sette diversi discorsi, uno al giorno.
Ci limiteremo dunque qui ad esaminare il primo e l’ultimo che – dal punto di vista dell’interesse del lettore che non pretenda di voler diventare ‘santo’ leggendoli tutti  – mi sembrano abbastanza ‘intriganti’.
Il primo discorso venne tenuto rigorosamente ‘a porte chiuse’, cioè sulla montagna ma senza la presenza delle folle che attendevano più in basso: un discorso ‘a quattr’occhi’ fra Gesù da un lato e gli apostoli e i discepoli dall’altro.
Si tratta del tema che Matteo racchiude  in quel  ‘Voi siete il sale della terra. Voi siete la luce del mondo…’ e riguarda quella che sarebbe stata nel futuro la missione rispettivamente dei vescovi (gli apostoli)  e dei  sacerdoti  (i discepoli).
Essi – apostoli e discepoli - dovevano infatti comprendere da un lato il privilegio di questa designazione divina ma dall’altro anche la loro tremenda responsabilità se essi avessero tradito i doni di Dio portando a perdizione il ‘gregge’  che si sarebbe affidato a loro, credendoli ‘uomini di Dio’.
Si comprende dal contesto valtortiano che quella sorta di ‘Convention  all’aperto’ doveva essere stata in precedenza ampiamente ‘reclamizzata’ da apostoli e discepoli sparsisi un poco ovunque a diffonderne la notizia.
Giusto quindi che l’uomo-Gesù – prescindendo dalla divinità che pure era in lui - per quell’occasione così importante  si fosse ritirato sul monte per prepararsi nella preghiera.
Giusto anche che venisse invitata ad ascoltare così tanta gente, sia pur  in buona parte desiderosa di guarigioni e di vedere miracoli.
I discepoli sono infatti molti, e così pure il popolo che in gran numero attende accampato più in basso.
Agli apostoli che al mattino del primo giorno chiedono istruzioni per organizzare l’afflusso della folla – Gesù comunica dunque che il primo discorso lo avrebbe invece dedicato solo a loro e ai discepoli, mentre al resto del popolo si sarebbe rivolto a partire dal giorno dopo.
Gli apostoli scendono a valle per avvisare quelli che erano in attesa e al  tramonto essi ritornano conducendo con sé numerosissimi discepoli.
Dopo una parca cena, a sera,  si accendono i fuochi e tutti – un centinaio di persone – si stringono intorno a Gesù, pronti a non perdere una parola di quanto egli si appresta a dire loro.
In quella sera di tiepida primavera, all’aperto, doveva trattarsi di una scena veramente suggestiva.
Gesù informa i discepoli di aver voluto parlare a tutti loro in disparte  dal resto del popolo perché egli – in quanto discepoli e quindi stretti seguaci – li considera amici particolari e perché, pur avendo già provveduto alla elezione ufficiale del collegio apostolico, egli avrà in futuro molto bisogno del loro aiuto.
E Gesù poi così continua1:

 

169. Primo discorso della Montagna: la missione degli apostoli e dei discepoli

     22 maggio 1945
     ……….

…Or dunque ascoltate, e voi e voi, apostoli e discepoli. Voi apostoli avete già sentito questi concetti. Ma ora li capirete con più profondità. Voi discepoli non li avete ancora uditi o ne avete udito frammenti. E vi necessita di scolpirveli nel cuore. Perché Io sempre più vi userò, dato che sempre più cresce il gregge di Cristo. Perché il mondo sempre più vi assalirà, crescendo in esso i lupi contro Me Pastore e contro il mio gregge, ed lo voglio mettervi in mano le armi di difesa della Dottrina e del gregge mio. Quanto basta al gregge non basta a voi, piccoli pastori. Se è lecito alle pecore di commettere errori, brucando erbe che fanno amaro il sangue o folle il desiderio, non è lecito che voi commettiate gli stessi errori, portando molto gregge a rovina. Perché pensate che là dove è un pastore idolo periscono per veleno le pecore o per assalto di lupi.
Voi siete il sale della terra e la luce del mondo. Ma se falliste alla vostra missione diverreste un insipido e inutile sale. Nulla più potrebbe ridarvi sapore, posto che Dio non ve l'ha potuto dare, posto che avendolo avuto in dono voi lo avete dissalato lavandolo con le insipide e sporche acque dell'umanità, addolcendolo con il corrotto dolciore del senso, mescolando al puro sale di Dio detriti e detriti di superbia, avarizia, gola, lussuria, ira, accidia, di modo che risulta un granello di sale ogni sette volte sette granelli di ogni singolo vizio. Il vostro sale allora non è che una mescolanza di pietre in cui si sperde il misero granello sperduto, di pietre che stridono sotto il dente, che lasciano in bocca sapore di terra e fanno ripugnante e sgradito il cibo. Neppur più per usi inferiori è buono, ché farebbe nocumento anche alle missioni umane un sapere infuso nei sette vizi. E allora il sale non serve che ad essere sparso e calpestato sotto i piedi incuranti del popolo. Quanto, quanto popolo potrà calpestare così gli uomini di Dio! Perché questi vocati avranno permesso al popolo di calpestarli incurante, dato che non sono più sostanza alla quale si accorre per avere sapore di elette, di celesti cose, ma saranno unicamente detriti.
Voi siete la luce del mondo. Voi siete come questo culmine che fu l'ultimo a perdere il sole ed è il primo a inargentarsi di luna. Chi è posto in alto brilla ed è visto perché l'occhio anche più svagato si posa qualche volta sulle alture. Direi che l'occhio materiale, che viene detto specchio dell'anima, riflette l'anelito dell'anima, l'anelito inavvertito spesso ma sempre vivente finché l'uomo non è un demone, l'anelito dell'alto, dell'alto dove la istintiva ragione colloca l'Altissimo. E cercando i Cieli alza, almeno qualche volta nella vita, l'occhio alle altezze.
Vi prego di ricordarvi di ciò che facciamo tutti, fin dalla fanciullezza, entrando in Gerusalemme. Dove corrono gli sguardi? Al monte Moria, incoronato dal trionfo di marmo e oro del Tempio. E che, quando siamo nel recinto dello stesso? Di guardare le cupole preziose che splendono al sole. Quanto bello è nel sacro recinto, sparso nei suoi atrii, nei suoi portici e cortili! Ma l'occhio corre lassù. Ancora vi prego ricordarvi di quando si è in cammino. Dove va il nostro occhio, quasi per dimenticare la lunghezza del cammino, la monotonia, la stanchezza, il calore o il fango? Alle cime, anche se piccole, anche se lontane. E con che sollievo le vediamo apparire se siamo in una pianura piatta e uniforme! Qui è fango? Là è nitore. Qui è afa? Là è frescura. Qui è limitazione all'occhio? Là è ampiezza. E solo a guardarle ci sembra meno caldo il giorno, meno viscido il fango, meno triste l'andare. Se poi una città splende in cima al monte, ecco che allora non vi è occhio che non l'ammiri. Si direbbe che anche un luogo da poco si abbelli se si posa, quasi aereo, sul culmine di una montagna. Ed è per questo che nella vera e nelle false religioni, sol che si sia potuto, si sono posti i templi in alto e, se un colle od un monte non c'era, si è fatto ad essi un piedestallo di pietre, costruendo a fatica di braccia l'elevazione su cui posare il tempio. Perché si fa questo? Perché si vuole che il tempio sia visto per richiamare con la sua vista il pensiero a Dio.
Ugualmente ho detto che voi siete una luce.
Chi accende un lume a sera in una casa dove lo mette? Nel buco sotto il forno? Nella caverna che fa da cantina? 0 chiuso dentro un cassapanco? 0 anche semplicemente e solamente lo si opprime col moggio? No. Perché allora sarebbe inutile accenderlo. Ma si pone il lume sull'alto di una mensola, o lo si appende al suo portalume perché essendo alto rischiari tutta la stanza e illumini tutti gli abitanti in essa. Ma appunto perché ciò che è posto in alto ha incarico di ricordare  Iddio e di fare luce, deve essere all’altezza del suo compito.
Voi dovete ricordare il Dio vero. Fate allora di non avere in voi   il paganesimo settemplice. Altrimenti diverreste alti luoghi profani con boschetti sacri a questo o quel dio e trascinereste nel vostro paganesimo coloro che vi guardano come templi di Dio.
Voi dovete portare la luce di Dio. Un lucignolo sporco, un lucignolo non nutrito di olio, fuma e non fa luce, puzza e non illumina. Una lampada nascosta dietro un quarzo sudicio non crea la leggiadria splendida, non crea il fulgido giuoco della luce sul lucido minerale. Ma langue dietro il velo di nero fumo che fa opaco il diamantifero riparo.
La luce di Dio splende là dove è solerte la volontà a pulire giornalmente dalle scorie che lo stesso lavoro, coi suoi contatti, e reazioni, e delusioni, produce. La luce di Dio  splende là dove il lucignolo è immerso in abbondante liquido di orazione e di carità. La luce di Dio si moltiplica in infiniti splendori, quante sono le perfezioni di Dio delle quali ognuna suscita nel santo una virtù esercitata eroicamente, se il servo di Dio tiene netto il quarzo inattaccabile della sua anima dal nero fumo di ogni fumigante mala passione. Inattaccabile quarzo. Inattaccabile!
(Gesù tuona in questa chiusa e la voce rimbomba nell'anfiteatro naturale).
Solo Dio ha il diritto e il potere di rigare quel cristallo, di scriverci sopra col diamante del suo volere il suo santissimo Nome. Allora quel Nome diviene ornamento che segna un più vivo sfaccettare di soprannaturali bellezze sul quarzo purissimo.
Ma se lo stolto servo del Signore, perdendo il controllo di sé e la vista della sua missione, tutta e unicamente soprannaturale, si lascia incidere falsi ornamenti, sgraffi e non incisioni, misteriose e sataniche cifre fatte dall'artiglio di fuoco di Satana, allora no, che la lampada mirabile non splende più bella e sempre integra, ma si crepa e rovina, soffocando sotto i detriti del cristallo scheggiato la fiamma, o se non si crepa fa un groviglio di segni di inequivocabile natura nei quali si deposita la fuligine e si insinua e corrompe.
Guai, tre volte guai ai pastori che perdono la carità, che si rifiutano di ascendere giorno per giorno per portare in alto il gregge che attende la loro ascesi per ascendere. lo li percuoterò abbattendoli dal loro posto e spegnendo del tutto il loro fumo.
Guai, tre volte guai ai maestri che ripudiano la Sapienza per saturarsi di scienza sovente contraria, sempre superba, talora satanica, perché li fa uomini mentre - udite e ritenete - mentre se ogni uomo ha destino di divenire simile a Dio, con la santificazione che fa dell'uomo un figlio di Dio, il maestro, il sacerdote ne dovrebbe avere già l'aspetto dalla terra, e questo solo, di figlio di Dio. Di creatura tutt'anima e perfezione dovrebbe avere aspetto. Dovrebbe avere, per aspirare a Dio i suoi discepoli. Anatema ai maestri di soprannaturale dottrina che divengono idoli di umano sapere.
Guai, sette volte guai ai morti allo spirito fra i miei sacerdoti, a quelli che col loro insapore, col loro tepore di carne mal viva, col loro sonno pieno di allucinate apparizioni di tutto ciò che è fuorché Dio uno e trino, pieno di calcoli di tutto ciò che è fuorché soprumano desiderio di aumentare le ricchezze dei cuori e di Dio, vivono umani, meschini, torpidi, trascinando nelle loro acque morte quelli che li seguono credendoli “vita ".
Maledizione di Dio sui corruttori del mio piccolo, amato gregge. Non a coloro che periscono per ignavia vostra, o inadempienti servi del Signore, ma a voi, di ogni ora e di ogni tempo, e per ogni contingenza e per ogni conseguenza, Io chiederò ragione e vorrò punizione.
Ricordatevi queste parole. Ed ora andate. Io salgo sulla cima. Voi dormite pure.
Domani, per il gregge, il Pastore aprirà i pascoli della Verità ».


5.2 Le discordanze evangeliche e l’esegesi storico-scientifica …

Nei miei precedenti lavori di commento ai vangeli ho già avuto occasione di attirare l’attenzione sul fatto che gli evangelisti non si preoccuparono tanto di redigere un resoconto ‘scientifico’ secondo i criteri che noi moderni diamo a questo termine, o comunque un resoconto cronologicamente ‘storico’ degli episodi evangelici.
Essi cercarono piuttosto di seguire l’ordine che dovette loro apparire adatto ai fini della catechesi che essi si proponevano di  svolgere.
Le ragioni le avevo in particolare ampiamente illustrate nel primo volume di questa serie.2
Avevo con l’occasione anche spiegato che questi tre testi vengono chiamati ‘sinottici’ (termine di derivazione greca che significa qualcosa come ‘sguardo d’insieme’) perché sono tra loro somiglianti nella distribuzione e nella narrazione dei fatti tanto da renderne possibile la stampa in tre colonne dove gli episodi  corrispondono fra loro consentendo uno studio contemporaneo dei contenuti.
Padre Enrico Zoffoli3 osserva al proposito che restano però le ‘divergenze’ che hanno sollevato la questione ‘sinottica’ dei rapporti di dipendenza e quindi dell’origine dei tre testi.
Quest’ultimo è un tema che ho pure trattato nel primo volume di questa serie sui sinottici ragionando alla luce delle spiegazioni del Gesù di Maria Valtorta.
Senza ripetermi, riassumerò qui semplicemente che il primo vangelo fu quello di Matteo, testimone diretto dei fatti.
Seguirono poi gli altri due i quali ne rispettarono più o meno la falsariga strutturale (da cui quindi la definizione di ‘sinottici’ applicata ai tre) integrandola tuttavia con sfumature od episodi da essi raccolti successivamente, come ad esempio i fatti ‘privati’ relativi all’infanzia di Gesù che l’evangelista Luca venne a conoscere verosimilmente dalla Madonna.
Al di là però delle ‘divergenze’ sollevate - come dice padre Zoffoli - dalla questione ‘sinottica’ sui rapporti di dipendenza fra i tre testi, rimane il problema delle altre ‘divergenze’, o meglio delle ‘discordanze’, così come vengono chiamate dallo scrittore Vittorio Messori4  che le definisce  ‘croce e delizia’ di tanti commentatori.
Croce, non essendo possibile ai credenti dar loro una spiegazione logica, delizia perché – per certi teologi razionalisti alla Voltaire, alla Loisy, alla Renan, e che dire di Bultmann? – l’apparente incongruenza di certi passi consentiva di coglierne il pretesto per scagliarsi contro la storicità e veridicità dei vangeli in nome di una ‘scientifica’ esegesi critico-storica.
Vittorio Messori scrive che proprio l’episodio evangelico del discorso della montagna, con alcune discordanze inspiegabili fra il testo di Matteo e quello di Luca, rappresenta  uno dei cavilli al quale si sono attaccati certi critici.
Nel testo del vangelo di Luca, prima viene quell’episodio della elezione apostolica (Lc 6, 12-19) di cui avevamo parlato nel capitolo precedente, e subito dopo (Lc 6, 20-40) viene quello del discorso della montagna, nei termini seguenti che ripetiamo:

Lc 6, 12-19:
In quei giorni Gesù si recò sul monte a pregare e trascorse tutta la notte in orazione a Dio.
Quando fu giorno, chiamò i suoi discepoli e ne scelse Dodici, ai quali dette il nome di Apostoli: Simone, che chiamò Pietro, Andrea suo fratello, Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo e Tommaso, Giacomo figlio di Alfeo e Simone, detto lo Zelatore, Giuda fratello di Giacomo, e Giuda Iscariote, che divenne traditore.
Poi, sceso con loro, si fermò su di un ripiano dov’era gran folla dei suoi discepoli e una moltitudine di popolo, venuta da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dalle contrade marittime di Tiro e di Sidone per ascoltarlo e per essere guariti dalle loro infermità.
Coloro infatti che erano tormentati dagli spiriti impuri, venivano liberati, e tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una virtù che guariva tutti.

Lc 6, 20:
Ed egli sollevando lo sguardo sopra i suoi discepoli, disse: ‘Beati voi, poveri, perché vostro è il Regno di Dio….’ .

Ometto i restanti versetti dal 21 al 40 del Cap. 6. perché qui non rilevanti ai fini del nostro discorso.
La concatenazione fra il brano della elezione apostolica e quello del discorso della montagna ha dunque fatto pensare a più di un critico  che elezione apostolica e discorso della montagna fossero un unico episodio, per cui – come sembrerebbe dal testo di Luca – il discorso della montagna venne tenuto non sul monte ma dopo che Gesù scese da esso fermandosi a parlare in…pianura.
Così interpretando, il testo di Matteo 5, 1-3  – dove invece si dice che Gesù, anziché discendere,  salì sul  monte e quando si fu seduto cominciò ad ammaestrare: ‘Beati i poveri di spirito…’, etc.appare in contrasto con quello di Luca.
Ora, non vi sembra di sentirli anche voi questi ‘critici’ alla Voltaire o alla Loisy?
‘Ma insomma – dicono con malcelato sarcasmo –  quel Gesù, sale o scende? Il discorso lo fa in montagna o in pianura? Che si mettano d’accordo, gli evangelisti, a parte il fatto che nel discorso  mettono in bocca  a Gesù delle frasi che sono solo una raccolta di citazioni e di massime copiate da altri…’.
Sono evidentemente argomentazioni risibili che si soffermano su particolari trascurabili.
Esse fanno tuttavia in realtà comprendere come certa critica – nata nell’ottocento in un clima politico-ideologico illuminista ferocemente anticristiano che si proponeva come ‘missione’ universale l’abolizione del papato iniziando dalla dottrina e dai vangeli – non si proponga tanto la revisione critica dei vangeli in nome della ragione e della scienza quanto di smantellarli in nome della Dea Ragione e dello Scientismo.
Dalle visioni della nostra mistica si scopre tuttavia quanto avvenne in realtà, con la seguente ‘sequenza’ dei fatti: salita su un primo monte per il ritiro di una settimana ed elezione apostolica – discesa dal monte – sosta su un pianoro a mezza costa per guarire i malati – proseguimento verso valle per salire in barca e andare a Tiberiade nella villa di Giovanna di Cusa – ricongiungimento con gli apostoli ritornati dalla loro breve ‘missione’ di predicazione – salita su un secondo monte dove Gesù inizia il discorso della montagna.
Nessuna contraddizione fra i due evangelisti, dunque.
Non sappiamo, in realtà con quale tecnica siano stati composti i vangeli.
Certo non fu una tecnica letteraria né ‘storica’ nel senso che diamo noi moderni a questo termine.
Qui, in Luca, ci troviamo di fronte ai brani di due episodi accostati nel testo uno dopo l’altro, come in effetti l’Opera valtortiana ci fa capire che essi si svolsero, sia pur dopo l’intervallo del breve viaggio in barca di Gesù fino a Tiberiade e…ritorno.
Vi sono altri casi simili nei vangeli in cui un episodio – che nel testo è accostato in successione ad un altro - fa pensare ad una apparente stretta connessione  temporale fra i due, salvo magari comprendere poi che così non fu, se non scoprire addirittura che il secondo è stato temporalmente precedente al…primo.
Non è stato Luca a scrivere che i due episodi fanno parte di un unico avvenimento, ma sono stati solo certi critici che, ignorando il reale svolgersi dei fatti, hanno creduto di poterlo dedurre, a meno che – altra ipotesi – Luca, che non era stato un testimone diretto e che compose i vangeli a distanza di vari anni sulla base di altre testimonianze, non li avesse in buona fede intesi come un tutt’uno.
Nella composizione del testo – ripeto, fatta a distanza di parecchi anni dagli avvenimenti - egli può aver semplicemente fuso i due episodi (elezione apostolica e discorso della montagna) in un unico racconto come se essi si fossero succeduti nel tempo senza soluzione di continuità, forse anche perché così erano stati ‘annotati’ negli appunti a futura memoria che apostoli e discepoli prendevano e sui quali egli si era basato nel proprio lavoro.
Mi sono sempre domandato quale progressi enormi farebbe la Critica dei vangeli e lo stesso approfondimento della dottrina cristiana se essa – anziché basarsi per razionalismo solo sui metodi cosiddetti scientifici, che poi talvolta scientifici non sono perché viziati da palesi pregiudizi ideologici – prendesse in considerazione  la possibilità di utilizzare,  anche solo  ‘ufficiosamente’, l’opera straordinaria di questa grande mistica, opera che Gesù ha dichiaratamente dedicato - parlandogliene in un dettato  – all’uomo razionalista che non crede nel soprannaturale ed al teologo moderno, specie se ‘modernista’.
Diceva infatti Gesù: 5

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La ragione più profonda del dono di quest’opera, fra le molte altre che il mio portavoce conosce, è che in questi tempi, nei quali il modernismo condannato dal mio S.Vicario Pio X si corrompe in sempre più dannose dottrine umane, la S. Chiesa, rappresentata dal mio Vicario, abbia materia di più a combattere coloro che negano:
la soprannaturalità dei dogmi;
la divinità del Cristo;
la verità del Cristo Dio e Uomo, reale e perfetto così nella fede come nella storia che di Lui è stata tramandata (Vangelo, Atti degli Apostoli, Epistole apostoliche, tradizione);
la dottrina di Paolo e Giovanni e dei Concili di Nicea, Efeso e Calcedonia, e altri più recenti, come mia vera dottrina da Me verbalmente insegnata o ispirata;
la mia sapienza illimitata perché divina;
l’origine divina dei dogmi, dei sacramenti e della Chiesa una, santa, cattolica, apostolica;
l’universalità e continuità, sino alla fine dei secoli, del Vangelo da Me dato per tutti gli uomini;
la natura, perfetta dall’inizio, della mia dottrina, che non si è formata quale è attraverso successive trasformazioni, ma tale è stata data: dottrina del Cristo, del tempo di Grazia, del Regno dei Cieli e del Regno di Dio in voi, divina, perfetta, immutabile, Buona Novella per tutti i sitibondi  di Dio.
Al Dragone rosso con sette teste, dieci corna e sette diademi sulle teste, che con la coda trae dietro la terza parte delle stelle del cielo e le fa precipitare – e in verità vi dico che esse precipitano ancor più in basso che sulla terra – e che perseguita la donna; alle bestie del mare e della terra che molti, troppi adorano, sedotti come sono dai loro aspetti e prodigi, opponete il mio Angelo volante nel mezzo del cielo tenendo il Vangelo eterno ben aperto anche sulle pagine sin qui chiuse, perché gli uomini possano salvarsi per la sua luce dalle spire del gran Serpente dalle sette fauci, che li vuole affogare nelle sue tenebre, ed al mio ritorno Io ritrovi ancora la fede e la carità nel cuore dei perseveranti e siano questi numerosi più di quanto l’opera di Satana e degli uomini non danno a sperare che possano essere.

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Ora che sappiamo dalla Valtorta che il Discorso della montagna fu tenuto nel corso di vari giorni, dove in ognuno veniva sviluppato un determinato argomento, comprendiamo anche perché le frasi di Gesù riportate nei testi evangelici non hanno quella consequenzialità logica, quel nesso fra una frase precedente e quella successiva, che un lettore si sarebbe aspettato da un unico discorso fatto senza soluzione di continuità.
Si tratta infatti dei vari ‘temi’ – espressi sotto forma di massime o citazioni - assegnati a ciascun differente discorso.
Ed è proprio questa constatazione di mancanza di continuità, come pure il fastidio per la presenza di tutte quelle folle di cui parlano i testi - che farà scrivere ad Alfred Loisy:‘…Il  celebre discorso della Montagna, con tutte queste folle, è una esagerazione dovuta alla devozione, mentre le sentenze ed i passi didattici del discorso sono un insieme di citazioni originariamente distinte ma in realtà mai pronunciate in quella maniera. Il suo insegnamento non fu mai raccolto dai discepoli che, nell’attesa imminente del Regno di Dio, non si preoccupavano di fissare alcunché per iscritto. Solo dopo vennero messi insieme gli scritti che noi ora chiamiamo vangeli. I vangeli sostengono più gli elementi della primitiva catechesi cristiana che gli insegnamenti realmente impartiti da Gesù in Galilea e a Gerusalemme…’.
Come faccia, oggi, Loisy a dire che le folle di allora erano una esagerazione e che gli apostoli non prendevano appunti non lo spiega neanche lui.
Grazie comunque al ‘filmato’ delle visioni valtortiane sul discorso della montagna –  è agevole constatare che quelle che Loisy derubrica al ruolo di semplici massime o enunciazioni di principi da parte di Gesù risultano essere frasi che il povero Matteo – prendendo velocemente e scomodamente appunti mentre era seduto ad ascoltare sulle pendici di quel monte – ha enucleato dal discorso molto più ampio ed articolato del Maestro per poter fornire un ‘aggancio’ postumo alla memoria, alla meditazione ed alla predicazione apostolica.
Dalla visione valtortiana si comprende semmai che solo in una cosa Loisy mostra di aver ragione e cioè quando afferma che Gesù non poteva aver pronunciato quelle frasi in quella maniera.
Dai sette discorsi della montagna - così come trascritti dalla nostra mistica - scaturisce infatti un’oratoria di Gesù elegante e travolgente tale da far impallidire i più abili retori e dialettici di quell’epoca e della nostra.
La cosa non deve stupire, anzi ci dovrebbe semmai meravigliare il contrario,  ove si consideri che Gesù era Uomo ma che da lui trasluceva la sua Divinità interiore ogni qualvolta Essa – per le esigenze della missione - doveva particolarmente rivelarsi.
E’ una constatazione alla quale è impossibile sottrarsi nel leggere l’Opera.
Il ‘carisma’ della nostra mistica non consiste solo nell’aver saputo letterariamente esprimere concetti e discorsi di tal fatta – peraltro di taglio enormemente superiore alla sua istruzione - quanto anche nell’aver avuto da Dio il dono miracoloso di poter avere quelle visioni, riuscendo per di più a trascriverle con gran rapidità e senza errori in tempo reale sotto il controllo e sorveglianza dei sacerdoti dell’Ordine dei Servi di Maria che giorno per giorno le fornivano una direzione spirituale e che battevano subito a macchina i suoi scritti.
Quanto ad un’altra critica rivolta invece da Renan a Gesù, e cioè di utilizzare ‘massime’ riprese da altri testi profetici – sottintendendo con ciò che Gesù oppure i suoi ‘evangelisti’ erano stati praticamente degli ‘scopiazzatori’ – giova sapere che Gesù nel predicare si è sempre appellato alla precedente Tradizione biblica per dimostrare ai suoi connazionali che Egli era veramente il Messia predetto dai Profeti e per ribadire inoltre che il suo messaggio evangelico, ancorché presentato in forma nuova, era un messaggio di continuità e di conformità con quello precedente del Vecchio Testamento.
Infine – cosa però quasi inutile dire a chi non crede nella incarnazione del Verbo in Gesù Cristo – sottolineo che quelle massime dei secoli precedenti apparentemente ‘ripetute’ da Gesù altro non erano che una riconferma delle stesse eterne parole che il Verbo Eterno, prima di incarnarsi, aveva sussurrato telepaticamente all’orecchio spirituale dei profeti.
Il Gesù Uomo-Dio – così facendo - non citava in realtà i profeti, ma citava sé stesso, Verbo incarnato.
Non ripetizione di concetti già espressi umanamente da altri, ma rivalutazione con amplificazione e approfondimento dei concetti eterni di Dio, resa possibile dal fatto che la Parola aveva ormai preso Carne per parlare agli uomini da una dimensione di uomo.
Gesù ricorda questi detti per far capire – e lo vedremo in seguito – quale fossero state le intenzioni di Dio nel raccomandare certe norme al suo popolo, e come Egli – Gesù-Verbo – fosse ora venuto nella pienezza della Rivelazione a completare l’insegnamento, depurandolo dalle sovrastrutture aggiunte dagli uomini, per farlo risplendere in tutta la sua bellezza e verità.
Ripensando all’ex-sacerdote Loisy, mi dico che fa comunque bene, Gesù, a concludere quel suo primo discorso ad apostoli e discepoli con quel ‘Ricordatevi queste parole!’.
A proposito infatti di sacerdoti razionalisti, nel volume precedente vi avevo una volta  raccontato di quello che ogni tanto frequento nelle mie vacanze in Sardegna, una brava persona che tuttavia una volta non aveva nascosto – certo senza rendersi pienamente conto di quel che diceva - le sue giovanili ‘simpatie sessantottine’ per un ‘teologo’ appunto come Rudolf Bultmann.
Bultmann fu quell’insigne studioso tedesco che aveva ridotto tutto il vangelo ad un mito. 
Vittorio Messori é caustico nei suoi confronti, lo considera un teologo ‘da biblioteca’, uno ‘studioso da tavolino’, lo definisce ‘veneratissimo maestro della ‘demitizzazione’ della Scrittura, il biblista tedesco che pretese di sezionare il testo del Nuovo testamento mettendo nel ghetto del mito tutti i versetti…decidendo che nel Nuovo testamento non c’era nulla che avesse a che fare con la storia, che tutto era leggenda, inaccettabile da un professore ‘moderno’  come lui…’.
Bultmann non credeva nel miracolo, non credeva ad una visione della realtà articolata in terra, cielo e inferi, non credeva negli angeli né nei demoni, né tantomeno nell’anima. 6
Non credeva nel peccato originale né nella Resurrezione, insomma non cedeva in nulla, ed era quindi ovvio che non potesse che concludere che tutto quanto raccontato nei vangeli fosse una invenzione mitica delle prime comunità cristiane.
Questo sacerdote - ammiratore della demitizzazione bultoniana, sia pur da lui denunciata come un ‘peccato di gioventù’ - si era dunque lasciato una volta scappare che riteneva anch’egli la Genesi come una raccolta di episodi mitici - a cominciare dal  Peccato originale - per non parlare, secondo lui,  di tanti altri episodi dei vangeli che dovevano essere letti, per essere credibili, solo in chiave ‘simbolica’.
Ma se non si crede al racconto biblico del Peccato originale con la caduta dell’uomo - gli avevo replicato – come si fa a credere alla successiva incarnazione del Verbo divino in Gesù per redimere l’Umanità e per liberarla  dalla schiavitù di Satana e del peccato?
Tolta la Colpa, tolta la necessità della Redenzione ad opera di un Dio che si fa uomo a tale scopo, cade il Cristianesimo.
Perché restare preti, allora?


1 M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Cap. 169 – Centro Edit. Valtortiano

2  - G.L. “ I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” –
     Vol. I: Introduzione e Cap. 1 – Ed. Segno, 2001

3 - E.Zoffoli: ‘Dizionario del Cristianesimo’ – Ed. Sinopsis-Iniziative culturali - 1992

4 - V.Messori: ‘Ipotesi su Gesù’ – Cap. 6: ‘La Ragione borghese e le discordanze dei vangeli’- SEI

5 M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Cap. 652 – Centro Ed. Valtortiano

6 R.Bultmann: ‘Nuovo Testamento e mitologia’ -  Queriniana Brescia, 1973