(La Sacra Bibbia – I Vangeli secondo Luca ,Marco, Matteo - Ed. Paoline, 1968)
(M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Cap. 167 – Centro Ed. Valtortiano)


3. L’origine delle religioni

 

Lc 5, 33-39:

Allora essi gli dissero: « I discepoli di Giovanni, come pure quelli dei Farisei, digiunano spesso e fanno delle preghiere, mentre i tuoi mangiano e bevono ».
Egli rispose: « Potete voi far digiunare gli amici dello sposo mentre lo sposo è con loro? Verranno i giorni quando sarà tolto lo sposo, allora, in quel tempo, essi digiuneranno ».
Aggiunse anche una parabola: « Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo, per applicarlo sopra un abito vecchio, altrimenti strappa l’abito nuovo e il pezzo che ne ha preso non combina affatto con il vecchio. Come nessuno mette del vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino nuovo rompe gli otri e si versa, e gli otri vanno a male. Bisogna mettere il vino nuovo in otri nuovi. Nessuno che beve vino vecchio, vuole quello nuovo, perché dice: ‘Il vecchio è migliore’ ».

 

3.1  L’anima…di Claudia Procula, la bella moglie di Pilato

Nel capitolo precedente  avevamo detto che il secondo anno di vita pubblica di Gesù era cominciato con quel viaggio da Gerusalemme alla Samaria, dove Egli si era incontrato con la bella samaritana e con quei cittadini di Sichar che erano convinti di esser perduti al Cielo per non esser della religione giusta.
E ne è uscito quel po’ po’ di roba sul Limbo tanto da farci meritare quasi un accusa di eresia se non avessimo poi scoperto che anche i teologi ufficiali non sanno poi niente di preciso, a parte il Teologo dei teologi che è quello che ispira la mistica Valtorta.
Peraltro, ora sappiamo anche per quali ragioni si possono salvare i non cristiani.
Indipendentemente cioè dalla loro religione più o meno ‘vera’, per Dio – che scruta nel profondo dei loro cuori – fa testo la loro buona fede  di essere nella religione vera e di comportarsi anzi – pur senza conoscerla - nel rispetto della ‘legge naturale’  incisa da Dio nella loro anima, nella loro coscienza, legge che essi seguono di propria libera iniziativa.
L’evangelista Giovanni (Gv 4, 39-44) racconta comunque che molti – durante quel viaggio in Samaria credettero in Gesù e fra questi la samaritana che – essendosi vista scoprire i suoi ‘altarini’…coniugali - ne aveva dedotto che quel Gesù doveva essere davvero un gran ‘profeta’.
Partito dopo due giorni dalla Samaria, Gesù se ne torna in Galilea, e più precisamente a Cana (Gv 4, 45-54), dove ben lo conoscevano perché vi aveva fatto l’anno precedente quel suo primo miracolo dell’acqua trasformata in vino.
E a Cana Gesù fa un secondo miracolo – lo racconta sempre l’evangelista Giovanni – guarendo …a distanza il figlioletto di un ufficiale regio che giaceva a letto in fin di vita nel paese di Cafarnao (Gv 4, 46-54).
Dopo questo episodio Gesù continua instancabile il suo viaggiare.
Ogni sosta in un villaggio o cittadina è occasione di continuo ammaestramento di chi lo ascolta, anche dei pagani, come Maria Valtorta lo vedrà fare poco dopo a Cesarea.
Questa città era situata sulla costa del Mar Mediterraneo, a circa una ottantina di chilometri in linea d’aria dal Lago di Tiberiade, che era invece all’interno.
Essa disponeva di un vero e proprio porto, centro di traffici, dove approdavano navigli commerciali, navi da guerra e galere romane piene di schiavi incatenati al remo o di detenuti comuni condannati a quella pena.
Roma aveva creato il suo impero sconfiggendo le popolazioni ‘nemiche’, e i vinti venivano spesso ridotti in schiavitù che, in quell’epoca pre-cristiana, era una cosa del tutto normale.
I vinti – a seconda delle esigenze - venivano trasformati in manodopera a buon mercato per costruire strade e ponti o per fungere appunto da ‘propellente a remi’ delle navi militari o commerciali romane, incatenati ai banchi di voga sotto la sferza dei sorveglianti che controllavano continuamente il ritmo della vogata, insomma che quel ‘motore marino’ umano non perdesse ‘colpi’.
Chi non resisteva – poiché crollava sotto le fatiche e la malattia - veniva gettato a mare in pasto ai pesci come noi oggi getteremmo nella pattumiera  i cocci di un piatto rotto.
A Cesarea i romani erano dunque presenti in forze commercialmente e militarmente e, proprio di fronte ad una di queste galere, Gesù – dal molo – si accinge a fare un discorso alzando la voce per farsi ben intendere dagli schiavi che sono incatenati ai banchi ma anche dai soldati romani di guardia che rimangono in ascolto.
Egli fa sapere ai condannati che – nonostante il loro dolore – è ora arrivato sulla terra un Dio di Misericordia che – al di là dell’orrore di questa vita terrena – schiuderà ad essi una vita eterna, felice, perché l’anima è immortale e sopravvive alla morte del corpo.
Gesù parla a dei pagani e per convincerli alla sua dottrina, che è dottrina di speranza, spiega loro come Dio abbia messo anche nei loro corpi di schiavi – galli, iberici, traci, germani o celti – un’anima uguale agli uomini del popolo di Israele ed agli stessi romani che li hanno soggiogati.
Gesù invita gli schiavi a sopportare con rassegnazione ed i romani a non infierire su di loro se essi non vorranno – al momento della loro morte – che ben altro Giudice li leghi ad una galera eterna affidando quel loro staffile macchiato di sangue ai demoni perché anch’essi siano percossi e torturati come a loro volta essi percossero e torturarono gli altri.
E’ un discorso potente quello di Gesù, in piedi sulla banchina, vicino alla galera con le occhiaie dei remi vuote, con un silenzio di tomba che viene dall’interno dove gli schiavi ascoltano le sue parole, e con un silenzio stupefatto di fuori dove un centurione romano, sull’attenti nella sua corazza luccicante, ascolta meravigliato quelle parole nuove, attorniato da uomini e donne, israeliti, pagani e romani, che si chiedono da dove venga tanta sapienza.
Ed è qui che il centurione, Publio Quintilliano, uomo retto che apprezzava la saggezza, indica a Gesù - fra un ‘Per Giove!’ di meraviglia e l’altro – una lettiga poco distante sulla banchina, sussurrandogli all’orecchio che là dentro vi è Claudia Procula che lo vorrebbe udire ancora e gli vorrebbe parlare.
Claudia Procula, della potente famiglia romana dei Claudi, era una bellissima donna, trentenne, moglie del Procuratore romano Pilato.
E’ un incontro importante questo di Gesù e Claudia Procula, del quale persino i vangeli ufficiali conservano una traccia anche se riferita solo al momento in cui Pilato dovrà pronunciare – durante il processo del Venerdì santo – la sua sentenza su Gesù.
E’ lei infatti quella famosa ‘moglie’ - di cui parla Matteo in Mt 27, 19 - che, due anni dopo, tentando un ‘salvataggio in extremis’  di Gesù manderà a dire a suo marito Pilato seduto in Tribunale per giudicare Gesù ‘Non t’impicciare delle cose di quel giusto, perché oggi, in sogno, ho sofferto molto a motivo di lui…’, facendogli così presagire che una sua condanna sarebbe stata nefasta.
La donna della lettiga è rimasta dunque colpita dal discorso di Gesù sull’anima, concetto nuovo per i romani, un’anima che – spiega Gesù -  negli uomini di tutti i popoli del mondo tende spontaneamente all’adorazione di Dio perché, creata da Dio, essa ricorda inconsciamente l’attimo di Cielo visto prima di essere infusa nell’embrione umano.
Claudia Procula chiede dunque a Gesù se questa cosa che egli asserisce essere in noi e che si ricorda dei Cieli è davvero ‘eterna’.
‘Che cosa è l’anima?’, chiede la donna.
L’anima è la vera nobiltà dell’uomo, risponde Gesù.
Se lei, Claudia Procula, è nobile perché di nobile famiglia, famiglia che però così come ha avuto una origine avrà anche una fine, l’anima – continua Gesù - lo è molto di più: essa, nell’uomo, è come il ‘sangue spirituale’ del Creatore dell’uomo.
E alla sua domanda se anche lei - che è pagana – abbia un’anima, Gesù risponde che l’anima ce l’ha anche lei, solo che è in letargo e bisogna svegliarla  portandola a conoscere la Verità per ottenere la Vita.
Ed è questa la ragione per cuicome spiega Gesù a Claudia Procula – gli uomini di tutte le razze tendono spontaneamente all’adorazione di Dio: la loro anima conserva a livello inconscio la memoria di quell’attimo di Cielo!
A proposito dell’anima che ricorda a livello inconscio quell’attimo di Cielo intravisto nel momento della sua creazione, la psicanalisi e la psicologia dell’inconscio – pur fra tante teorie discutibili ancora tutte da dimostrare – sostengono di aver dimostrato con sufficiente sicurezza come molte esperienze anche dei nostri primi giorni di vita vengano ‘archiviate’ e…dimenticate dall’io conscio in fondo a quell’immenso archivio costituito dall’inconscio, sempre tuttavia pronte a balzare autonomamente fuori  senza che noi comprendiamo neppure il perché né l’origine di certi nostri comportamenti apparentemente irrazionali.
Naturalmente lo psicanalista ateo ed il positivista-razionalista – il quale rifiuta ‘il credere’ di possedere un’anima perché preferisce ‘il credere’ di discendere da una scimmia - storcerà il naso di fronte a questi concetti espressi da Gesù sulla memoria inconscia posseduta dall’anima di quell’attimo di Cielo, concetti che gli parranno blasfemi  anche perché al Cielo non crede.
Costui inoltre, non credendo appunto nell’anima spirituale ed immortale, non crederà a maggior ragione nemmeno nelle religioni che la propugnano.
Anche il teologo Renan – insieme a Voltaire, Rousseau e ai famosi ‘teologi’ Loisy e Bultmann di cui abbiamo parlato nel precedente volume, nonché ai loro ammiratori contemporanei – non credeva né all’anima né alle religioni, ritenute tutte sprezzantemente di ispirazione umana, fabbricate dall’uomo per crearsi una illusoria e confortante prospettiva di sopravvivenza dopo la morte.
Vittorio Messori, il noto giornalista e scrittore cattolico, non deve tuttavia aver avuto una gran buona opinione di Renan se in uno dei suoi tanti libri di successo ebbe lapidariamente a definirlo ‘prete mancato e scomunicato, idolo della borghesia positivista dell’ottocento che gli era grata e che infatti lo ricolmò di onori…’.
Nella sua opera ‘La vita di Gesù’, il teologo - positivista-evoluzionista - scriveva testualmente: ‘Quando l’uomo si distinse dall’animale, l’uomo divenne religioso…Le antiche religioni, frutto di questo sentimento di religiosità insito nell’animo dell’uomo, sono un fenomeno storico che si è evoluto nei tempi da forme più rozze ad altre sempre più evolute…non senza aberrazioni e deviazioni…. Le religioni in realtà non provengono da Dio ma sono delle grandi regole dogmatiche… Le civiltà che si sono susseguite le hanno fatte però progredire ed il cristianesimo ne costituisce in un certo senso l’apice… Le religioni sono dunque elaborazioni umane…’.

Renan fa di ogni erba un fascio e nel mazzo delle tante religioni ‘umane’ ci infila dunque anche quella cristiana, anche se da lui – anticristiano per eccellenza – quest’ultima è ritenuta, bontà sua, all’apice.
Non è tuttavia difficile – almeno in questo aspetto della ‘elaborazione umana’ di molte religioni - dargli parziale ragione.
Ed è lo stesso  Gesù di Maria Valtorta che ce ne fa capire il motivo, diverso però da quello addotto da Renan.
Quest’ultimo, che non crede all’anima, ritiene infatti che le religioni nascano da un ‘sentimento’ che scaturisce in qualche modo non dall’anima ma dall’animo umano: in sostanza una specie di deformazione mentale illogica che nascerebbe dalla psicopatologia della imperfetta natura umana.
Gesù chiarisce invece – come già detto - che non di psicopatologia si tratta ma del ricordo inconscio dell’attimo di Cielo intravisto dall’anima nel momento folgorante del suo istante creativo, prima di rimanerne smemorata dopo essersi rivestita della ‘carne’ dell’embrione umano.
Ecco dunque perché – come dice il Gesù di Maria Valtorta - la fede è lo stato permanente e necessario dell’uomo, anche se l’uomo poi – a livello conscio – ‘traduce’ quel che avverte confusamente nel profondo di sé in quelle ‘elaborazioni umane’ che sono le ‘religioni’ di cui parla Renan.
Elaborazioni talvolta completamente sbagliate – specie se di fonte satanica come quelle idolatriche o che spingono ai sacrifici umani -  talaltra parzialmente giuste, perché provenienti dai vissuti interiori della propria anima inconscia ma sviluppate e adattate dall’io conscio alla cultura ed ai valori di ogni singolo popolo.
Sempre a Cesarea, ambiente romaneggiante di pagani, Gesù trova poi il modo di parlare ancora di anima, vincendo la diffidenza degli apostoli che – in quella prima fase della loro formazione evangelica – sembrano poco inclini ad evangelizzare i gentili e, nella loro chiusa mentalità ebraica,  forse poco contenti di apprendere che anche i gentili avevano un’anima che si poteva salvare
E Gesù, a dei farisei che astiosi gli rinfacciano infatti il suo voler far proseliti fra i pagani, scaglia in volto un’invettiva inneggiando poi al suo popolo, che tutto discende da Adamo ma che si è disperso per colpa di Satana e che egli cerca ora di ricondurre al Padre chiamandolo con la voce dell’amore perché, in fondo al cuore di ogni uomo, egli vede infatti quella scintilla meravigliosa creata da Dio che è appunto l’anima.

 

3.2 Una ‘discordanza’ evangelica. Quale è il nesso fra la domanda dei discepoli di Giovanni Battista sul digiuno e  la risposta apparentemente illogica di Gesù?

Per ritornare alla sosta di Gesù nella città marittima di Cesarea dirò ancora che è in questa circostanza che Gesù – con uno dei suoi soliti miracoli non raccontati dai vangeli ufficiali (ma che dovettero essere numerosissimi a sentire l’affermazione volutamente iperbolica di San Giovanni alla conclusione del suo Vangelo, secondo la quale il mondo non potrebbe contenere i libri per scrivere tutti gli episodi non raccontati della vita di Gesù) – nella visione valtortiana salva da morte sicura la piccina di una giovane donna romana, Valeria, amica di Claudia Procula, che – ancorchè romana - si era prostrata ai suoi piedi in lacrime per implorare la guarigione della figlia in fin di vita.
Valeria – folgorata dal miracolo ed affascinata poi dall’apprendimento della dottrina cristiana - diventerà in seguito una discepola, come altre donne romane sue amiche che - ben mimetizzate, vestite all’ebraica e coperte da veli per non farsi riconoscere dalla folla inferocita e dai soldati romani - la Valtorta vedrà poi in visione fra le donne ebraiche al seguito di Gesù sulla salita del Calvario.
E’ più o meno a questo punto che i tre evangelisti ‘sinottici’ – i quali avevano lasciato un vuoto narrativo a partire dalla cacciata di Gesù da Nazareth di cui abbiamo parlato verso la fine del precedente volume1, vuoto riempito in piccola parte dall’evangelista Giovanni ed in parte molto maggiore dal ‘piccolo Giovanni’, e cioè Maria Valtorta – riprendono la loro narrazione raccontando l’episodio di quei discepoli di Giovanni Battista che si recano da Gesù  per interrogarlo sul digiuno.
Si tratta di un episodio che io chiamo di ‘discordanza’ perché esprime una apparente contraddizione o comunque un elemento di apparente illogicità nell’ambito dello sviluppo del racconto evangelico.
Ce ne sono vari, nei vangeli. E’ il caso ad esempio delle quattro differenti versioni fornite dagli evangelisti sulla presenza delle donne  e su quanto esse avevano constatato al momento della resurrezione di Gesù.2
Le incongruenze trovano una loro logica spiegazione alla luce delle visioni valtortiane ma – rilevate nei vangeli senza poterne capire la ragione – danno fiato a certi critici per poter gridare allo scandalo, alla manomissione dei testi, al falso.
E’ questa dunque la ragione per cui – oltre al soddisfacimento di una legittima curiosità  come già fatto nei due precedenti volumi di questa serie dei vangeli sinottici - mi soffermerò su questi particolari.
Anche essi serviranno a far capire come anche certi piccoli fatti incomprensibili dei vangeli ufficiali diventino perfettamente chiari nelle visioni di Maria Valtorta, ed a fare comprendere che la sua opera non è una semplice e sia pur geniale opera letteraria, frutto di fantasia, ma è costituita da autentiche visioni carismatiche nelle quali la mistica ‘vede’ la realtà evangelica di duemila anni fa.
Quello della domanda dei discepoli del Battista sul digiuno e della risposta di Gesù, se rileggerete bene il testo del vangelo di Luca che è riportato all’inizio di questo capitolo, ne è dunque un esempio.
Osservate bene.
Luca narra che i discepoli di Giovanni Battista chiedono a Gesù come mai i  suoi ‘discepoli’ non pratichino il digiuno di penitenza come fanno invece i discepoli del Battista e gli stessi farisei.
Gesù risponde loro  che i suoi discepoli  - la ‘penitenza’ - la faranno a suo tempo, quando lui – lo ‘sposo’ - non ci sarà più, alludendo in ciò alla sua futura crocifissione e morte e a dopo che egli li avrà lasciati ascendendo al Cielo.
Egli sottintende velatamente che la loro sarà anche una penitenza di martirio.
E Gesù – secondo il racconto di  Luca, meglio chiarito anche da Matteo e Marco – completa il suo discorso sul digiuno con tre distinti paragoni.
Se si mette una toppa di panno nuovo su un abito vecchio, questa finisce per strapparlo.
Se si mette del vino nuovo in otri vecchi questi si rompono per cui il vino nuovo va messo in otri nuovi.
Se uno è abituato al vino vecchio non apprezza poi di buon grado il gusto di quello nuovo.
E’ a prima vista evidente che non vi è nesso logico apparente fra la domanda dei discepoli del Battista - con la risposta di Gesù sul digiuno – ed i tre paragoni che Egli poi sembrerebbe aggiungere a maggior chiarimento.
Potreste sbizzarrirvi anche voi cercando di immaginarvi un nesso plausibile, ma certamente non riuscireste a trovarne uno come quello che con così grande compiutezza vede in visione la nostra mistica.
Esso sta in un passaggio del racconto dell’episodio, passaggio che è stato omesso dagli evangelisti che magari a distanza di anni non se lo ricordavano più tanto bene, ma che a Maria Valtorta – che trascrive le sue visioni in tempo reale, sul suo blocco di quaderni mentre giace inferma a letto appoggiata allo schienale dei suoi cuscini -  non è assolutamente sfuggito.
Il Gesù della visione valtortiana sta dunque parlando alla folla in un villaggio sulla riva del lago, in un paesaggio ridente ed in un clima di tepore primaverile che anticipa e favorisce ancor più la fioritura degli alberi.
Egli invita gli ascoltatori ad essere sinceri ed onesti, a non mescolare – nella pratica – l’osservanza parziale delle norme della Legge ebraica e nello stesso tempo il fare ciò che la Legge proibisce.
Dio – in sostanza - non gradisce gli ipocriti, quelli che non sono né caldi né freddi, cioè i tiepidi, perché preferisce dall’uomo piuttosto un coraggioso errore che non una ipocrita professione e mescolanza di fedi, a seconda dei propri compromessi di comodo, che disgusta Dio e procura morte agli spiriti.
Finito il discorso si avvicina a Gesù un gruppetto di persone anziane che lo salutano con rispetto e si qualificano per discepoli di Giovanni Battista che – avendo avuta conoscenza dei suoi prodigi – si sono recati lì da lui per conoscerlo.
Prendendo lo spunto da alcune parole del discorso di Gesù sulle ‘idolatrie’ comuni in tanti fedeli e considerando quel che egli ha detto sulle persone che tengono opportunisticamente ‘il piede in due scarpe’, e cioè parte dentro e parte fuori della Legge, come mai –  chiedono i discepoli di Giovanni – egli, Gesù, non sdegna i romani, li frequenta e anzi è loro amico?

E’ noto che per gli ebrei osservanti era considerato estremamente ‘impuro’ aver contatti con i pagani – e maggiormente i romani che erano una Potenza militare occupante -  considerati alla stregua di elementi contaminanti: roba da farsi un bagno completo dopo aver malauguratamente dovuto stringer loro la mano!
Gesù risponde che – contrariamente a certi ebrei che di fronte agli altri fanno i ‘puri’ ma poi sottobanco trescano con i pagani quando si tratta di curare i propri interessi commerciali – egli non frequenta i romani per averne utile personale ma per portarli al Signore perché le loro anime vengono da un unico Dio, lo stesso Dio degli ebrei.
I discepoli del Battista si dicono d’accordo ma sempre a proposito della necessità di non tenere ‘il piede in due scarpe’ -  essi avanzano a questo punto la ‘contestazione’ riportata nei vangeli ufficiali: « I discepoli di Giovanni, come pure quelli dei farisei, digiunano spesso e fanno delle preghiere, mentre i tuoi mangiano e bevono ».
Essi premettono di non pretendere che Gesù, personalmente, non debba mangiare. Tutto sommato lo stesso profeta Daniele fu un ‘santo’ agli occhi di Dio pur essendo un ‘grande’ alla corte di Babilonia, cosa  che  ‘assolve’ Gesù, che è ben più importante di Daniele.
Come mai però – mentre i discepoli del Battista fanno grandi digiuni – non lo fanno almeno i discepoli di Gesù?
Gesù spiega allora che l’apostolato ha le sue necessità e se qualcuno, anche pagano,  lo invita a pranzo – e con lui i suoi discepoli - per conoscere meglio lui e la sua dottrina, egli e i discepoli vanno, non per la gioia della mensa opulenta, ma per l’interesse di Dio.
Ma verrà il momento in cui – continua Gesù - i discepoli dovranno anch’essi fare la loro ‘penitenza’.
Ogni tempo ha infatti bisogno del suo metodo.
Il Battista – continua Gesù - fino a ieri aveva quello del rigorismo e della penitenza ma Gesù, ora che è il tempo del Messia, versa sugli  uomini la manna della Redenzione, della Misericordia, dell’Amore.
Il ‘metodo’ del Battista non avrebbe potuto stare innestato sul tempo di Gesù, come quello di Gesù non avrebbe potuto esserlo nel tempo del Battista, perché - prima di Gesù - la Misericordia non era ancora discesa sulla terra.
E inoltre ad ogni tempo le cose ad esso utili (e qui siamo alla spiegazione dei primi due paragoni): come nessuno cuce un panno nuovo su un vestito vecchio perché lavandolo la stoffa nuova si restringe e strappa la vecchia e come nessuno mette il vino nuovo negli otri vecchi perché l’effervescenza del vino nuovo li romperebbe, parimenti, la forza della nuova dottrina insegnata da Gesù consiglia metodi nuovi per diffonderla.
Ed alla domanda dei discepoli del Battista per sapere se essi - che si sentono ‘otri vecchi’ – potranno mai contenere la forza della sua dottrina, Gesù risponde affermativamente, perché essi sono stati ‘conciati’  dal Battista le cui preghiere - e quelle di Gesù - li renderanno capaci di farlo.
Ad un quesito finale – e qui sta il senso del terzo paragone, quello del gusto del ‘vino vecchio’ - per sapere se fosse stato per loro meglio stare con lui o col Battista, la risposta di Gesù è testualmente questa: Finché c’è vino vecchio, bere di quello se piace ormai al palato il suo sapore. Dopo,…poiché l’acqua putrida che è ovunque vi farà schifo, amerete il vino nuovo…, godete del vostro Giovanni finché potete e fatelo felice. Poi amerete Me. E vi sarà faticoso anche…perché nessuno che abbia abboccato al vino vecchio desidera d’un tratto il vin nuovo. Dice: ‘Il vecchio era più buono’. E infatti io avrò sapori speciali, che vi parranno aspri. Ma ne gusterete giorno per giorno il vitale sapore. Addio, amici. Dio sia con voi…’.

Grazie a Maria Valtorta - ed a soddisfazione dei teologi alla Renan o alla Bultmann - eccovi dunque spiegato il senso altrimenti oscuro dei tre paragoni riportati nel brano evangelico di Luca.


1 G.L.: “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” - Vol. II, Cap. 5.5 - Ed. Segno, 2002

2 Nota: Per un approfondimento…valtortiano su queste apparentemente inspiegabili contraddizioni evangeliche vedi - dell’autore - “Il vangelo del ‘grande’ e del ‘piccolo’ Giovanni”, Vol. III, Cap.12 –
Ed. Segno, 2000