(La Sacra Bibbia: Il Vangelo secondo Luca - Edizioni Paoline, 1968)
(M.V. :‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Cap. 106 – Centro Ed. Valtortiano)
(G.L.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap.46-47-66-79 – Ed. Segno)
5. L’evoluzione discendente e …l’uomo delinquente
di Cesare Lombroso
Lc 4, 16-30:
Si recò a Nazaret, dov’era stato allevato e, secondo il suo costume, entrò nella sinagoga in giorno di sabato e si alzò per leggere.
Gli fu presentato il volume del profeta Isaia, e svolto che l’ebbe, trovò il passo dov’era scritto: « Lo Spirito del Signore è su di me, per questo egli mi ha consacrato, mi ha inviato ad annunziare la buona novella ai poveri, la liberazione ai prigionieri, il recupero della vista ai ciechi, la libertà agli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore ».
Arrotolato quindi il volume, lo restituì all’inserviente e si sedette.
Gli sguardi di tutti i presenti nella sinagoga erano fissi sopra di lui.
Egli incominciò dunque a dir loro: «Oggi si è compiuta questa scrittura in mezzo a voi».
Or, tutti, ne parlavano in bene, ed erano meravigliati per le parole di grazia che uscivano dalla sua bocca ed esclamavano: « Non è lui il figlio di Giuseppe? ».
Ma egli disse loro: « Certamente voi mi applicherete questo proverbio: ‘Medico, cura te stesso; tutto quanto abbiamo udito che è avvenuto a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria’ ».
Poi aggiunse: « In verità vi dico: nessun profeta è bene accetto in patria sua. In verità vi dico: vi erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo rimase chiuso per tre anni e sei mesi, sicchè vi fu una grande carestia in tutta la Palestina, eppure Elia non fu inviato a nessuna di loro, salvo ad una povera vedova di Sarepta, nel territorio di Sidone. Vi erano pure molti lebbrosi in Israele al tempo di Eliseo profeta, ma nessuno di loro fu mondato, eccetto il siro Naaman ».
All’udir queste parole, tutti i presenti nella sinagoga si sentirono pieni di sdegno e, levatisi, lo cacciarono fuori dalla città e lo condussero fin sopra una rupe del colle su cui la loro città era edificata, per precipitarlo di sotto; ma egli, passando in mezzo alla folla, se ne andò.
5.1 Quegli sprazzi di… divinità, come dei ‘lampi di genio’
Dopo l’incontro di Gesù con la Maddalena sul lago, questo brano del vangelo di Luca – collocato al punto giusto come appare nella ‘cronologia’ valtortiana - racconta che egli si recò a Nazaret, ‘dove era stato allevato’.
Il testo dice ‘dove era stato allevato’ e non ‘dove era nato’ perché Gesù in realtà non era nato lì ma a Betlemme dove la famiglia a quell’epoca si era recata per iscriversi nelle liste in occasione di un censimento indetto da Roma.
I profeti avevano vaticinato da secoli che il Messia sarebbe nato a Betlemme ma Renan, per contestare la messianicità di Gesù, non trova di meglio che inventarsi soavemente – ovviamente senza alcun elemento a supporto se non la sua personale…parola – che Gesù sarebbe invece nato a Nazaret – visto che la famiglia era di lì - ma che in realtà sarebbe stato poi fatto figurare come nato a Betlemme per suffragare la sua pretesa messianicità.
Tutto possibile, in teoria, ma quanti - anche fra noi che leggiamo - non potremmo dire di essere nati in un luogo diverso da quello di origine della nostra famiglia o da quello in cui ora viviamo?
Dall’opera valtortiana si evince peraltro come, fuggita in Egitto da Betlemme per timore della rappresaglia di Erode, la Sacra Famiglia fosse poi rientrata a Nazareth alla morte del Re, con un Gesù dell’età di circa cinque anni.
E a Nazaret Gesù era cresciuto normalmente, studiando e giocando con gli altri ragazzi, e poi aiutando il padre Giuseppe dal quale avrebbe ereditato l’attività di falegname che avrebbe svolto fino all’inizio della propria missione.
Si riteneva – per via delle Scritture - che il Messia sarebbe sorto dalla stirpe di Davide (ed infatti Maria e Giuseppe erano entrambi della casa di Davide) ma i capi di Israele, allontanatisi dalla spiritualità e da Dio, interpretavano ormai i profeti in maniera ‘materiale’.
Gli ebrei – come già detto - aspettavano il Messia ma lo volevano ‘condottiero’, personaggio politico, restauratore della potenza di Israele e dominatore dei suoi atavici nemici, a cominciare dagli attuali romani.
Logico che Erode lo vedesse come un possibile usurpatore del suo potere, un pericoloso concorrente politico che lo avrebbe detronizzato.
L’episodio della strage degli innocenti, messa in atto da Erode il Grande a Betlemme, fa comprendere come a quei tempi non si scherzasse quanto a crudeltà sanguinaria e come pure non si avesse pietà verso chi fosse sospettato di essere un rivale politico.
I genitori di Gesù sapevano perfettamente queste cose e dunque sapevano anche che - prima il bambino, poi il ragazzo, infine il giovane uomo non ancora pronto per la missione - andava protetto mantenendo innanzitutto il segreto sulla sua natura messianica finchè Dio Padre o il Verbo che viveva in Gesù come sua seconda natura non avessero ritenuto che i tempi fossero ‘maturi’ per l’inizio dell’opera di Redenzione.
Giuseppe e Maria sentivano tremendamente la responsabilità di custodire il ‘figlio di Dio’.
Nel volume precedente, avevamo meditato l’episodio del ritrovamento di Gesù dodicenne nel Tempio.1
L’angoscia di Maria e di Giuseppe con quell’esclamazione della madre nel ritrovare il giovinetto, ‘Figlio, perché ci hai fatto così?’, esprime non solo e non tanto lo ‘scaricarsi’ dell’ansia di un genitore che ha finalmente ritrovato il figlio perduto, ma soprattutto quella che derivava dalla responsabilità di essere in qualche modo venuti meno verso Dio agli impegni di custodia nei confronti del figlio terreno di Dio.
Non è che il Verbo che era in Gesù non sapesse tutelare a sufficienza il Gesù ‘umano’ ispirandolo sul modo migliore di condursi.
Quando ad esempio Gesù era ancora in fasce a Betlemme fu l’Angelo che si servì di un sogno per indurre Giuseppe a condurlo via: ‘Levati, prendi il bambino e sua Madre, e fuggi in Egitto…’.
Ma i genitori – pur fiduciosi nella protezione di Dio - non volevano neanche ‘tentare’ Dio agendo in maniera umanamente imprudente.
Nonostante all’epoca del ritrovamento di Gesù dodicenne al Tempio fossero passati quasi undici anni da quella fuga precipitosa da Betlemme, essi temettero in quell’occasione che Gesù – il quale per i genitori era pur sempre un ‘ragazzo’ anche se in Israele a dodici anni si raggiungeva la maggiore età legale - si potesse tradire proprio per quegli sprazzi di ‘luce’ che ogni tanto rifulgevano, rivelando così in qualche modo la propria vera natura messianica a chi forse a Gerusalemme non aveva ancora dimenticato i Magi e quella strage di Betlemme.
Se infatti ho detto che Gesù era cresciuto come un ragazzo normale, ciò nondimeno la divinità che era in lui talvolta si rivelava per le esigenze della sua futura missione, come infatti avrebbe fatto in quell’occasione in cui Gesù avrebbe intrattenuto sapientemente i sacerdoti del Tempio.
Ecco perché, in conclusione, Giuseppe e Maria - su quella fecondazione molto particolare annunciata da un Angelo, per opera dello Spirito Santo - si erano ben guardati dal farne cenno nemmeno ai loro parenti di Nazaret.
Ma, a parte quei rari momenti di fulgore in cui il fanciullo poteva - ad una superficiale osservazione - sembrare semmai uno di quei bambini geniali come ogni tanto si sente dire di qualcuno anche al giorno d’oggi, Gesù appariva in linea di massima del tutto normale.
5.2 I parenti di Gesù
Era dunque ben comprensibile che, partito con la bisaccia da Nazareth come un normale falegname e ritornatovi qualche tempo dopo accompagnato dalla fama propagatasi dai vari villaggi della Galilea e dalla stessa Giudea di rabbi sapiente e taumaturgo, Gesù non avesse potuto essere tanto facilmente considerato ‘profeta in patria’.
Era infatti difficile per i nazareni credere che quel giovane figlio di Giuseppe - che ad un certo punto se n’era andato mollando sua madre, vedova, lì nel paesino - si fosse messo tutto d’un colpo non solo a predicare, ma addirittura, …a far miracoli.
A dire il vero, i nazareni avevano una aggravante.
Essi covavano invidia e risentimento, un po’ perché pensavano che Gesù aveva fatto miracoli dappertutto tranne che lì, come se avesse voluto ‘snobbarli’, e un po’ perché gli rimproveravano – con una punta di malizia - di aver guarito tanti estranei ma di non esser stato capace di guarire suo zio Alfeo, che infatti era morto da poco.
Era giunta anche notizia, per di più, di quel suo scontro a Gerusalemme con i sacerdoti del Tempio per via di quei mercanti cacciati via.2
In un paese come Israele - dove Stato e Religione si identificavano perché lo Stato aveva caratteristiche teocratiche - mettersi contro i sacerdoti significava mettersi contro il potere costituito, cosa che logicamente nessuno amava fare.
Anche a Nazareth, come spesso succede fra chi è per propria natura disposto a credere e chi per tendenza è invece scettico se non malpensante, le opinioni su Gesù ‘profeta’ si erano divise.
Una, minoritaria, parteggiava per Gesù, l’altra, maggioritaria, lo guardava con animo diffidente, se non ostile, a cominciare dagli stessi parenti di Gesù.
San Giuseppe aveva avuto un fratello, Alfeo – che era quindi cognato di Maria Ss. e zio di Gesù – il quale aveva avuto quattro figli: Simone, Giuseppe, Giuda e Giacomo.
Giuda e Giacomo erano coetanei di Gesù, erano stati suoi compagni di giochi e finiranno poi per seguirlo come apostoli, lasciando la famiglia contro il volere del padre Alfeo e dei loro due fratelli maggiori Simone e Giuseppe.
Questi due ultimi, insieme al loro padre, non avevano perdonato a Gesù quella sua scelta di vita, con tutte quelle cose ‘ridicole’ che egli andava dicendo sulla sua messianicità e sul suo essere - lui, il figlio del loro zio Giuseppe, quel loro piccolo cuginetto di una volta - il ‘figlio di Dio’.
A quei tempi non era raro che i nemici politici venissero combattuti anche colpendo le loro ‘famiglie’ in senso allargato, insomma il loro ‘clan’ che si poteva supporre ‘solidale’.
Essi temevano quindi – in quanto parenti – di venire involontariamente coinvolti con i ‘potenti’ della famiglia di Erode, con il partito politico degli erodiani’ e con quelli del Tempio che, tutt’altro che santi ancorchè ‘sacerdoti’, non si sarebbero fatti troppi scrupoli una volta che avessero temuto di veder mettere in gioco i propri interessi…’religiosi’.
Proprio perché in Israele i ‘potenti’ si aspettavano un Messia di tipo ‘politico’, il dichiararsi Messia ed essere suoi seguaci, o parenti, finiva per assumere una connotazione politica, e quindi potenzialmente sovversiva e pericolosa.
E poi c’era l’opinione della gente, che forse – specie in un paese dove tutti si conoscono – è il ‘nemico’ peggiore.
Solo successivamente, circa un anno dopo – lo si apprende dal vangelo di Giovanni (Gv 7, 1-9) - i suoi ‘fratelli’, vale a dire i suoi cugini, cambieranno idea al punto di dirgli di smetterla di starsene lì a predicare e far miracoli in Galilea ma di andare a Gerusalemme perché era là che c’era la gente che contava veramente.
Convertiti ed abbagliati dalla Luce del Signore? No solo da quella della loro convenienza ed umanità perché era là nella capitale che si potevano fare i giochi di ‘potere’.
Gesù aveva infatti compiuto il miracolo della prima moltiplicazione dei pani di fronte a varie migliaia di persone. 3
La notizia s’era sparsa ovunque, l’entusiasmo e il fanatismo anche, e c’era chi aveva persino cercato di incoronarlo Re (Gv 6, 14-15).
Ed i parenti, davvero poco disposti a credere che egli fosse il ‘figlio di Dio’, avevano cominciato – di fronte a tutto quell’entusiasmo delle masse e anche di alcuni ‘potenti’ – a pensare che quel loro cugino fosse davvero destinato a diventare per qualche bizzarro gioco della sorte il ‘messia politico’ che tanti attendevano, anche perché la loro famiglia, in fin dei conti, discendeva davvero dalla stirpe di Davide dalla quale i profeti avevano detto che sarebbe sorto il ‘rampollo’ messianico di quella vergine…
E quanto alla presunta verginità di Maria declamata dai profeti beh…, Maria prima di essere scelta come sposa di Giuseppe, non era stata in fin dei conti per tanti anni una ‘vergine del Tempio’ a Gerusalemme?
Essi – i due cugini anziani – erano in buona fede, non erano maliziosi, ma speravano che sull’onda dell’entusiasmo generale alla fin fine qualche vantaggio avrebbe potuto derivarne anche a loro, sarebbe stato come un colpo di fortuna.
5.3 Medico, cura te stesso!
Ma al momento di questa visita di Gesù nella sinagoga di Nazaret – prima del clima politico che si sarebbe determinato con quel tentativo di incoronazione a re - le cose non erano ancora arrivate a quel punto.
Gesù - in quel momento - appariva ai suoi parenti solo un esaltato, infiammato dai suoi ardori divini.
I nazareni, poi, lo consideravano un ‘medico’ che sapeva curare tutti meno ‘se stesso’, cioè i suoi familiari, visto che aveva appena lasciato morire - senza guarirlo – persino suo zio Alfeo.
Quella del vecchio zio Alfeo è una parentesi da fare.
Lo zio era rimasto scosso dalla decisione di Gesù di fare il ‘profeta’ e di ‘abbandonare’ – per come lui vedeva la cosa – quella povera donna di sua madre, che lui considerava troppo tenera con quel suo figlio unico, troppo incapace di opporsi a quelle sue stravaganze di giovane irrequieto e sognatore.
Ed Alfeo – che dopo la morte di San Giuseppe si sentiva secondo l’uso ebraico come una sorta di nuovo capo famiglia - aveva covato dentro di sé un certo rancore verso questo nipote che gli sembrava ‘ribelle’ ai suoi inviti.
Quando si era ammalato gravemente, Gesù – nel racconto valtortiano – era andato a trovarlo per dargli conforto ma egli lo aveva cacciato in malo modo dalla sua casa.
Alfeo giunto poi in punto di morte - nel momento della verità, trovatosi di fronte alla sua coscienza - capirà di aver sbagliato nei confronti di Gesù ed a maggior ragione nell’averlo cacciato, proverà rimorso, lo invocherà.
Ma Gesù sarebbe stato in quel momento lontano e sarebbe arrivato troppo tardi per raccogliere le ultime parole con le quali lo zio, di fronte ai suoi familiari, invocherà invano il perdono dell’assente Gesù.
Dall’opera della mistica si comprenderà però che Dio Padre, apprezzato questo pentimento, ne salverà comunque l’anima nel Limbo dei giusti, in attesa della liberazione al Cielo al momento della Redenzione.
E’ dunque questo il quadro di riferimento in cui, secondo le visioni della nostra mistica, si inserisce questo episodio della sinagoga di Nazareth.
Dopo aver saputo della morte dello zio, Gesù è venuto infatti a Nazaret per onorare la sua tomba, confortare sua zia Maria di Cleofe, ed esprimere cordoglio ai cugini.
Il cugino Giuseppe gli rinfaccia di non aver voluto far miracolo con suo padre Alfeo, che dunque si sarebbe potuto salvare.
Ma Gesù spiega allora ai cugini ed alla zia che non era vero che non avesse ‘voluto’ ma era invece vero che non aveva ‘potuto’.
Egli era infatti il Figlio di Dio, ed era in terra per compiere una missione spirituale.
Non sarebbe stato giusto che l’Uomo-Dio – per dare vantaggio ai propri parenti – sottraesse il proprio zio alle normali sventure della vita che spettano a tutti gli esseri umani.
Gesù non lo aveva fatto per il proprio padre putativo Giuseppe, né avrebbe in seguito evitato a sé la morte, né alla madre i dolori.
Simone accetterà queste spiegazioni di Gesù e quindi comincerà a riavvicinarsi a lui.
Giuseppe rimarrà invece ‘sostenuto’ nei suoi confronti, salvo poi difenderlo con grande decisione verso la fine della predicazione evangelica, quando anch’egli ormai si convincerà che quel che Gesù andava dicendo di sé – e cioè d’esser Figlio di Dio - era proprio vero.
5.4. Una digressione sulla introspezione dei cuori … e sul linguaggio delle parole
Quel sabato, dunque, Gesù si reca per la funzione nella sinagoga e, poiché i compaesani sanno che egli gode ormai gran fama di ‘sapiente’, gli occhi dell’assemblea sono tutti puntati su di lui.
Egli viene invitato a commentare i ‘rotoli’ dell’Antico Testamento, un brano di Isaia.
E’ un cosiddetto brano messianico, dove il Messia viene indicato come un personaggio venuto ad annunziare la ‘buona novella’ ai ‘poveri’ (cioè ai poveri di spirito, quelli che sanno distaccarsi dai richiami della carne e del mondo), la ‘liberazione’ ai prigionieri (non dei romani ma di Satana e del peccato), a guarire i ciechi e i sordi (e non solo fisicamente ma soprattutto spiritualmente), insomma uno che verrà ad annunciare la ‘buona novella’ che Iddio, attraverso la Redenzione, ha deciso di riaprire all’Umanità il Regno, non quello di ‘potere’ in terra, ma quello dei Cieli precluso dopo il Peccato originale.
E - di fronte alla assemblea silenziosa - Gesù commenta e svela il senso spirituale di quel brano, e con poche parole aggiunge anche che colui di cui Isaia parlava tanti secoli prima era lui, Gesù, nel quale oggi, di fronte a loro, si compiva quella Scrittura.
Silenzio di ghiaccio, sbigottimento, incredulità, mormorii.
Lui, il Messia? Lui, il figlio del falegname?
Gesù non sente le loro parole, ma legge nei loro cuori.
A riguardo del leggere nei loro cuori, c’è una spiegazione da dare su Gesù che ho ricavato dall’Opera valtortiana.
In lui convivevano come già detto le due nature, quella di Dio e quella di Uomo.
Quando prevedeva il futuro era perché emergeva quella di Dio, che è fuori del tempo e per il quale passato e futuro sono un eterno presente che scorre senza sosta dinanzi ai suoi occhi.
Quando leggeva nei cuori gli era invece sufficiente farlo come Uomo, ma – attenzione - Uomo privo del Peccato originale, Nuovo Adamo e quindi uomo perfetto che, grazie alla spiritualità di quella sua perfezione originaria aveva la ‘perspicacia’ per saper sondare anche i segreti più intimi del cuore e della mente del prossimo.
E’ un dono telepatico, questo della introspezione dei cuori, che - anche se non certo in misura perfetta come in Gesù nuovo Adamo - hanno avuto non pochi santi e sante che hanno saputo in qualche modo avvicinarsi al modello di uomo spirituale originario.
Io sono un ex-razionalista che si è convertito leggendo e meditando l’Opera di Maria Valtorta, scrivendo il mio primo libro ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’.
Ma solo alla fine della conversione mi sono accorto che la vera conversione doveva ancora cominciare, perché ero venuto a scoprire che mi ero convertito nella ‘mente’ ma non ancora nel cuore.
E continuavo a cercare di darmi una ragione di ogni cosa che non capivo, perché solo dandomene una ragione ‘razionale’ riuscivo a dare ‘tranquillità’ alla mia ‘fede’.
E nel profondo della mia psiche continuavano ad esempio ad annidarsi dei dubbi, quelli di ex-evoluzionista.
La ‘Luce’ di quel mio primo libro – in una quindicina di capitoli – aveva cercato di demolire nella mia mente contorta il mito dell’evoluzionismo, ma qualche residuo resisteva nei suoi meandri.
Mi chiedevo ad esempio – nel caso fosse stato vero che Dio aveva creato i primi due progenitori già ‘uomini’ e non scimmioidi in via di evoluzione – come avessero fatto questi uomini ad avere da subito la padronanza del linguaggio, tanto che Eva si era intesa benissimo col Serpente e la Genesi riferisce al riguardo un dialogo bellissimo, come del resto il dialogo successivo fra Dio ed Adamo.
Il linguaggio in senso proprio – soggetto, verbo, complemento oggetto, tanto per capirci – è una struttura di comunicazione complessa che, dal punto di vista evoluzionistico dell’uomo che discendesse dalla scimmia, comincerebbe con dei grugniti, si raffinerebbe in decine di millenni in suoni più dolci, si articolerebbe poi nelle prime parole essenziali e, dopo decine di millenni ancora, si articolerebbe in frasi capaci di esprimere prima dei concetti semplici e poi anche astratti per arrivare alle raffinatezze espressive delle lingue attuali.
Possibile che quei due, appena creati, già parlassero fra di loro ?
Possibile che fossero stati creati già pronti dal primo istante con il dono della parola?
Ovviamente niente è impossibile a Dio, e la Fede non chiede ragioni, ma se avessimo delle ragioni a sostegno della nostra Fede non credete che sarebbe un pochino meglio?
Ebbene, meditando, meditando su questo episodio di Maria Valtorta, mi sono dato - riflettendo sulla spiegazione valtortiana del dono discernimento degli spiriti, e cioè l’introspezione dei cuori - questa mia personale spiegazione.
Se l’uomo primo, prima del peccato originale, era perfetto, ma perfetto in un modo che nemmeno noi riusciamo ora ad immaginare.
Se Adamo aveva ricevuto fra i tanti altri anche il dono, infuso da Dio, della introspezione perfetta dei cuori, cioè delle menti, come la possono avere ad esempio gli angeli o in misura ancora più perfetta lo stesso Dio.
Che necessità c’era allora di disporre del linguaggio che, per quanto evoluto, è sempre una forma di comunicazione imperfetta, foriera anche oggi di tanti guai?
Per comunicare non doveva essere quindi necessaria la parola, bastava l’intuito, lo sguardo: insomma l’introspezione dei cuori con un occhio magari anche alla gestualità, come si dice dei nostri simpatici napoletani.
E doveva essere una capacità innata, come ce l’hanno gli animali che per comunicare fra loro non devono andare a scuola e scervellarsi sui libri di sintassi, ma riescono a farlo fin da quando nascono.
Sulla vita delle api, ad esempio, sono state scritte tantissime opere scientifiche come sulla loro capacità di fare incredibili calcoli matematici nella costruzione delle loro celle. Ed il loro linguaggio di comunicazione – senza bisogno di alfabeto e di grammatica – è perfetto, ed almeno in buona parte basato sulla ‘gestualità’ che assume un valore simbolico ma che esse acquisiscono da subito appena nascono – perché fa parte del loro Dna – e non attraverso generazioni e generazioni di apprendimento ricevuto dai genitori e trasmesso a loro volta ai figli e che i figli non apprenderebbero se i genitori non glie lo insegnassero.
Quindi, poiché gli animali in genere nascono con la capacità di comunicare, non si vede come solo l’uomo ne fosse stato privo, solo che questa sua capacità doveva essere ancora più ‘sofisticata’, basata appunto sulla ‘introspezione’ dei cuori’ di quell’uomo perfetto, prima del Peccato originale.
Ai primi due esseri umani, prima di perdere i doni a seguito del Peccato, doveva bastare guardarsi negli occhi per comprendere telepaticamente tutto.
Che bisogno c’era del linguaggio se bastava guardarsi negli occhi per capirsi?
E’ solo dopo che deve essere nato il linguaggio. Finita l’intuizione, finita la telepatia, i primi due dovettero cercare di intendersi in altra maniera, a gesti, a suoni di parole monosillabiche – come dicono gli esperti delle lingue primitive come il copto – e i monosillabi diventarono poi parole, e le parole frasi.
Una volta avevo letto da qualche parte che una domanda che angustiava gli ‘scienziati’ evoluzionisti era come mai, se è vero che è la funzione che sviluppa l’organo, come mai l’essere umano utilizza una parte così grandemente limitata del proprio cervello.
Io ho pronta una mia personale risposta: peso e struttura del cervello odierno dell’uomo è quello che serviva all’uomo originario prima del Peccato, solo che il cervello di allora lavorava perfettamente al massimo delle sue potenzialità perché era perfetto lo ‘spirito’ che lo utilizzava, oggi invece è sottoutilizzato perché lo spirito malato dell’uomo decaduto, non ha più la capacità di sfruttarlo.
Il linguaggio, a questo punto, non è più il segno della evoluzione dell’uomo – come credono gli evoluzionisti - ma della sua involuzione a seguito della perdita dei doni spirituali dati originariamente da Dio.
Perso il dono del discernimento dello spirito e quello della introspezione dei cuori, l’uomo si è risvegliato come ubriaco e abbrutito, con la mente annebbiata ed ha dovuto ricominciare da capo, dalle caverne, appunto, molto peggio delle api, imparando e servendosi del linguaggio che poi si è sempre più ‘evoluto’ – il linguaggio sì che si è evoluto…! - fino alle forme attuali.
Penso che la Genesi, con quei suoi racconti che sembrano miti e sono per certi versi senz’altro poetici, nasconda delle verità che sono tremendamente ‘scientifiche’, come quando si parla dell’anima che Dio ‘soffiò’ nel cuore dell’uomo e di cui parleremo più avanti in questo capitolo.
5.5 Abbiate la buona volontà di credere, di migliorare, di volere la salute, e la salute vi sarà data. Essa è in mia mano. Ma non la do che a chi ha buona volontà di averla.
Gesù leggeva dunque nelle menti dei nazareni il subbuglio dei loro pensieri, come pure il rimprovero di non aver neanche saputo guarire suo zio Alfeo, qui nella sua patria di Nazaret, nonostante tutti quei miracoli fatti a Cafarnao e altrove.
Ed egli replicherà loro con quel detto, rimasto ancor oggi famoso, che ‘nessuno è profeta in patria’ ma dirà anche chiaramente, e forse un poco brutalmente come per schiettezza era talvolta portato a fare, che lui - in patria - non aveva potuto far miracolo proprio a causa della mancanza di fede dei nazareni, malevoli e invidiosi, come a loro volta nemmeno Elia ed Eliseo avevano potuto – per la stessa mancanza di fede in Israele - beneficare e guarire alcuno se non una povera vedova e un unico lebbroso.
Beh…, si può a questo punto finalmente capire quella reazione violenta dei nazareni, che – dopo un tentativo non riuscito di ‘linciaggio’ - lo cacciano fuori da Nazaret.
E vediamo allora cosa vede la Valtorta 4 :
106. Cacciata da Nazareth e conforto alla Madre.
Riflessioni su quattro contemplazioni.
Sera del 13 febbraio 1944.
Vedo uno stanzone quadrato. Dico stanzone, per quanto capisca che è la sinagoga di Nazareth (come mi dice l'interno ammonitore) perché non c'è altro che le pareti nude tinte di giallino e una specie di cattedra da un parte. Vi è anche un alto leggio con sopra dei rotoli. Leggio, scansia, dica come crede. E', insomma, una specie di tavola inclinata, sorretta su un piede e sulla quale sono allineati dei rotoli.
Vi è della gente che prega, non come preghiamo noi, ma volti tutti da un lato con le mani non congiunte ma come su per giù sta un sacerdote all'altare.
Vi sono delle lampade messe sopra alla cattedra e al leggio.
Non vedo lo scopo di questa veduta, che non si cambia e che mi resta fissa così per del tempo. Ma Gesù mi dice di scriverla e lo faccio.
(... )
Mi trovo nella sinagoga di Nazareth, da capo. Ora il rabbino legge. Sento la cantilena della voce nasale, ma non capisco le parole dette in una lingua a me ignota.
Fra la gente vi è anche Gesù coi cugini apostoli e con altri che sono certo parenti essi pure, ma che non conosco.
Dopo la lettura, il rabbino volge lo sguardo sulla folla in muta domanda.
Gesù si fa avanti e chiede di tenere Lui l'adunanza, oggi.
Odo la sua bella voce leggere il passo di Isaia citato dal Vangelo: « Lo spirito del Signore è sopra di Me... ». E odo il commento che Egli ne fa, dicendosi « il portatore della Buona Novella, della legge d'amore che sostituisce il rigore di prima con la misericordia, per cui tutti coloro che la colpa d'Adamo fa malati nello spirito, e nella carne per riflesso, perché il peccato sempre suscita vizio, e il vizio malattia anche fisica, otterranno la salute.
Per cui tutti coloro che sono prigionieri dello Spirito del male avranno liberazione. Io sono venuto a rompere queste catene, a riaprire la via dei Cieli, a dar luce alle anime acciecate e udito alle anime sorde. E’ venuto il tempo della Grazia del Signore. Ella è fra voi, Ella è questa che vi parla. I Patriarchi hanno desiderato vedere questo giorno, di cui la voce dell'Altissimo ha proclamato l'esistenza ed i Profeti hanno predetto il tempo. E già, portata a loro da ministero soprannaturale, conoscono che l'alba di questo giorno s'è levata, e il loro ingresso nel Paradiso è ormai vicino e ne esultano coi loro spiriti, santi ai quali non manca che la mia benedizione per esser cittadini dei Cieli. Voi lo vedete. Venite alla Luce che è sorta. Spogliatevi delle vostre passioni per esser agili a seguire il Cristo. Abbiate la buona volontà di credere, di migliorare, di volere la salute, e la salute vi sarà data. Essa è in mia mano. Ma non la do che a chi ha buona volontà di averla. Perché sarebbe offesa alla Grazia darla a chi vuole continuare a servire Mammona ».
Il mormorio si leva per la sinagoga.
Gesù gira lo sguardo. Legge sui volti e nei cuori e prosegue: «Comprendo il vostro pensiero. Voi, poiché sono di Nazaret, vorreste un favore di privilegio. Ma questo per il vostro egoismo, non per potenza di fede.
Onde lo vi dico che in verità nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Altri paesi mi hanno accolto e mi accoglieranno con maggior fede, anche quelli il cui nome è scandalo fra di voi. Là lo mieterò i miei seguaci, mentre in questa terra nulla potrò fare, perché m'è chiusa e ostile. Ma vi ricordo di Elia e d'Eliseo. Il primo trovò fede in una donna fenicia e il secondo in un siro. E a quella e a questo poterono operare il miracolo. I morenti di fame d'Israele ed i lebbrosi d'Israele non ebbero pane e mondezza, perché il loro cuore non aveva la buona volontà come perla fine che il Profeta vedeva. Questo succederà a voi pure pure, che siete ostili e increduli alla Parola di Dio ».
La folla tumultua e impreca e tenta mettere le mani addosso a Gesù. Ma gli apostoli-cugini - Giuda, Giacomo e Simone - lo difendono, ed allora gli infuriati nazareni cacciano fuori dalla città Gesù. Lo inseguono con minacce, non solamente verbali, sino al ciglio del monte. Ma Gesù si volge e li immobilizza col suo sguardo magnetico, e passa incolume in mezzo a loro, scomparendo su per un sentiero del monte.
Vedo una piccola, piccolissima borgata. Un pugno di case. Una frazione, diremmo noi ora. E' più alta di Nazareth, che si vede più sotto, e dista dalla stessa pochi chilometri. Una borgatella misera misera.
Gesù parla con Maria stando seduto su un muretto presso una casuccia. Forse è una casa amica, o per lo meno ospitale secondo le leggi dell'ospitalità orientale. E Gesù ci si è rifugiato dopo esser stato scacciato da Nazareth, per attendere gli apostoli che certo si erano sparsi nella zona mentre Egli era presso la Madre.
Con Lui non ci sono che i tre apostoli-cugini, i quali, in questo momento, sono raccolti nell'interno della cucina e parlano con una donna anziana che Taddeo chiama «madre». Perciò capisco che è Maria di Cleofa. E' una donna piuttosto anziana e la riconosco per quella che era con Maria Ss. alle nozze di Cana. Certo Maria di Cleofa e i figli si sono ritirati là per lasciare liberi Gesù e la Madre di parlare.
Maria è afflitta. Ha saputo del fatto della sinagoga ed è addolorata. Gesù la consola. Maria supplica il Figlio di stare lontano da Nazareth, dove tutti sono maldisposti verso di Lui, anche gli altri parenti, che lo giudicano un pazzo desideroso di suscitare rancori e dispute. Ma Gesù fa un gesto sorridendo. Pare dica: « Ci vuol altro, lascia perdere! ». Ma Maria insiste.
Allora Egli risponde: « Mamma, se il Figlio dell'uomo dovesse andare unicamente là dove è amato, dovrebbe volgere il suo passo da questa terra e tornare al Cielo. Ho ovunque dei nemici. Perché la Verità è odiata, ed lo sono Verità. Ma Io non sono venuto per trovare facile amore. Io sono venuto per fare la volontà del Padre e redimere l'uomo. L'amore sei tu, Mamma, il mio amore, quello che mi compensa di tutto. Tu e questo piccolo gregge, che tutti i giorni si accresce di qualche pecorella che Io strappo ai lupi delle passioni e porto nell'ovile di Dio. Il resto è il dovere. Sono venuto per compiere questo dovere e lo devo compiere anche fino a sfracellarmi contro le pietre dei cuori tetragoni al bene. Anzi, solo quando sarò caduto, bagnando di sangue quei cuori, Io li ammollirò stampandovi il mio segno che annulla quello del Nemico. Mamma, sono sceso dal Cielo per questo. Non posso che desiderare di compiere questo».
«Oh! Figlio! Figlio mio! ». Maria ha la voce straziata. Gesù la carezza. Noto che Maria ha sul capo, oltre il velo, anche il manto. E' più che mai velata, come una sacerdotessa.
« Starò assente qualche tempo, per farti contenta. Quando sarò vicino manderò ad avvisarti ».
« Manda Giovanni. Mi pare di vedere un poco Te nel vedere Giovanni. Anche la madre sua è piena di cure per me e per Te. Ella spera, è vero, un posto di privilegio per i suoi figli. E' donna ed è mamma, Gesù. Bisogna compatirla. Ne parlerà anche a te. Ma ti è devota sinceramente. E quando sarà liberata dall'umanità, che fermenta in lei come nei suoi figli, come negli altri, come in tutti, Figlio mio, sarà grande nella fede. E' doloroso che tutti sperino da Te un bene umano, un bene che, anche se non è umano, è egoista. Ma il peccato è in loro con la sua concupiscenza. Ancora l'ora benedetta, e tanto, tanto temuta, per quanto l'amore di Dio e dell'uomo me la faccia desiderare, in cui Tu annullerai il Peccato, non è venuta. Oh! quell'ora! Come trema il cuore della tua Mamma per quell'ora! Che ti faranno, Figlio? Figlio Redentore, di cui i Profeti dicono tanto martirio? »
« Non ci pensare, Mamma. Dio ti aiuterà in quell'ora. Me e te aiuterà Dio. E dopo sarà la pace. Te lo dico una volta ancora. Ora va', ché la sera scende e lungo è il cammino. lo ti benedico.
Dice Gesù:
« Piccolo Giovanni, molto lavoro oggi. Ma siamo indietro di un giorno e non si può andare piano. Ti ho dato la forza per questo, oggi.
Le quattro contemplazioni te le ho concesse per poterti parlare sui dolori di Maria e miei, preparatori alla Passione. Avrei dovuto parlarne ieri, sabato, giorno dedicato a mia Madre. Ma ho avuto pietà. Oggi si riprende il tempo perduto. Dopo i dolori che ti ho fatto conoscere, Maria ha avuto anche questi. Ed Io con Lei.
Il mio sguardo aveva letto nel cuore di Giuda Iscariota.
Nessun deve pensare che la Sapienza di Dio non sia stata capace di comprendere quel cuore. Ma, come ho detto a mia Madre, egli ci voleva. Guai a lui per esser stato il traditore! Ma un traditore ci voleva. Doppio, astuto, avido, lussurioso, ladro, e intelligente e colto più della massa, egli aveva saputo imporsi a tutti. Audace, mi spianava la via, anche se era via difficile. Gli piaceva, oltre tutto, emergere e far risaltare il suo posto di fiducia presso di Me. Non era servizievole per istinto di carità. Ma unicamente perché era uno di quelli che voi chiamereste ‘faccendoni’. Ciò gli permetteva anche di tenere la borsa e di avvicinare la donna. Due cose che, insieme alla terza, la carica umana, amava sfrenatamente.
La Pura, l'Umile, la Distaccata dalle ricchezze terrene, non poteva non avere ribrezzo di quel serpe. Io pure ne avevo ribrezzo. Ed Io solo ed il Padre e lo Spirito sappiamo quali superamenti ho dovuto sostenere per poterlo sopportare vicino. Ma te li spiegherò in altro tempo.
Ugualmente non ignoravo l'ostilità dei sacerdoti, farisei, scribi e sadducei. Erano volpi astute che cercavano spingermi nella loro tana per sbranarmi.
Avevano fame del mio sangue. E cercavano di mettermi trappole ovunque per catturarmi, per avere arma di accusa, per levarmi di mezzo. Per tre anni è stata lunga l'insidia e non si è placata altro che quando mi hanno saputo morto. Quella sera hanno dormito felici. La voce del loro accusatore era per sempre estinta.
Lo credevano. No. Non ancora spenta. Non lo sarà mai e tuona, tuona e maledice i loro simili di ora.
Quanto dolore ebbe mia Madre per colpa di loro! Ed Io quel dolore non lo dimentico.
Che la folla fosse volubile, non era cosa nuova. Essa è la belva che lecca la mano del domatore, se è armata di scudiscio o se offre un pezzo di carne alla sua fame. Ma, basta che il domatore cada e non possa più usare lo scudiscio, oppure non abbia più prede per la sua fame, che essa si avventa e lo sbrana.
Basta dire la verità ed essere dei buoni per essere odiati dalla folla dopo il primo momento di entusiasmo. La verità è rimprovero e monito. La bontà spoglia dello scudiscio e fa sì che i non buoni non temano più. Onde: "crucifige ", dopo aver detto: " osanna ".
La mia vita di Maestro è satura di queste due voci. E l'ultima è stata "crucifige". L'osanna è come l'anelito che prende il cantore per aver fiato di fare l'acuto. Maria, nella sera del Venerdì Santo, ha riudito in sé tutti gli osanna bugiardi, divenuti urli di morte per la sua Creatura, e ne è rimasta trafitta. Anche questo lo non lo dimentico.
L'umanità degli apostoli! Quanta!
Portavo sulle braccia, per alzarli al Cielo, dei massi che pesavano verso terra. Anche coloro che non si vedevano ministri di un re terreno come Giuda Iscariota, coloro che non pensavano come lui di salire, all'occorrenza, in mia vece sul trono, erano sempre, però, ansiosi di gloria.
Venne il giorno che anche il mio Giovanni e suo fratello appetirono a questa gloria, che vi abbaglia come un miraggio anche nelle cose celesti. Non santo anelito al Paradiso, che voglio che abbiate. Ma desiderio umano che la vostra santità sia conosciuta. Non solo, ma esosità di cambiavaIute, di usuraio per cui, per un poco di amore dato a Colui al quale Io vi ho detto dovete dare tutti voi stessi, pretendete un posto alla sua destra in Cielo.
No, figli. No. Prima occorre saper bere tutto il calice che lo ho bevuto.
Tutto: con la sua carità data in compenso dell'odio, con la sua castità contro le voci del senso, con la sua eroicità nelle prove, col suo olocausto per amore di Dio e dei fratelli. Poi, quando s'è tutto compiuto del proprio dovere, dire ancora: "Siamo servi inutili ", e attendere che il Padre mio e vostro vi conceda, per sua bontà, un posto nel suo Regno.
Occorre spogliarsi, come mi hai visto spogliato nel Pretorio, di tutto ciò che è umano, tenendo solo quell'indispensabile che è rispetto verso il dono di Dio che è la vita, e verso i fratelli ai quali possiamo essere utili più dal Cielo che sulla terra, e lasciare che Dio vi rivesta della stola immortale, fatta candida nel sangue dell'Agnello.
Ti ho mostrato i dolori preparatori della Passione. Altri te li mostrerò. Per quanto siano sempre dolori, è stato riposo per l'anima tua il contemplarli. Ora basta. Sta' in pace ».
5.6 La colpa di Adamo fa malati nello spirito, e nella carne di riflesso, perché il peccato sempre suscita vizio. E il vizio malattia, anche fisica.
Gli scritti di Maria Valtorta vanno sempre meditati, se non si vogliono perdere delle autentiche ‘perle’ che, frammiste alle altre nel forziere, rischiano di sfuggire all’osservazione.
Sono perle il cui bagliore sembra talvolta come offuscato da una polvere che ne nasconde lo splendore, come se Dio volesse lasciare a noi il gusto della ricerca e la gioia di spolverarle con le nostre mani per scoprirle in tutta la loro bellezza.
In questa visione che avete appena letto vi è un concetto che forse potrebbe non essere capito se non sufficientemente analizzato.
Sono quelle poche righe, all’inizio del racconto della visione, in cui la Valtorta riporta la conclusione del commento di Gesù laddove egli spiega la figura del Messia, precisando che questi è Lui, Gesù, ‘venuto sulla terra come Liberatore per dare salute fisica e spirituale all’uomo, poiché la Colpa di Adamo lo ha reso malato nello spirito, e nella carne di riflesso, perché il peccato sempre suscita vizio, e il vizio malattia, anche fisica.
Il concetto si potrebbe anche spiegare così.
Il Peccato originale fu un peccato dello spirito, cioè della psiche di Adamo e – oltre alla perdita dei doni infusi da Dio in virtù della Grazia - provocò delle altre conseguenze negative sul piano psichico-spirituale, come ad esempio invidia, odio, egoismo, orgoglio, superbia.
Ma l’uomo non è solo ‘corpo’ e neppure solo ‘psiche’, anzi è un tutt’uno, cioè una unità psicosomatica dove ognuna delle due realtà interagisce con l’altra, come dimostrato ad esempio dalle cosiddette malattie psicosomatiche.
Il decadimento dello spirito provocò dunque il decadimento della salute del corpo, con una progressiva diminuzione – nei secoli - della durata della vita, ed un insorgere di sempre nuove malattie a causa dell’indebolimento delle difese immunitarie e del sistema endocrino.
E gli ulteriori peccati individuali dei discendenti di Adamo, peccati che Adamo ed Eva non avevano conosciuto come ad esempio l’omicidio voluto da Caino a danno di Abele – hanno aggravato ancora più le tare psicofisiche dell’uomo, imbruttendolo persino sul piano estetico.
Gesù - venuto sulla terra per riaprirci grazie ai meriti del suo Sacrificio il Regno dei Cieli fino ad allora rimasto precluso all’uomo a causa del Peccato originale e per insegnarci a combattere i nostri peccati individuali - ci dà non solo la salute spirituale, che consente la salvezza dell’anima, ma crea potenzialmente in prospettiva, nei secoli a venire, i presupposti di un miglioramento della salute fisica, altrimenti destinata – a causa del permanere di una mentalità di peccato ed in forza dell’interazione psicosomatica – ad ulteriormente peggiorare.
L’uomo dopo il Peccato originale, da essere spirituale dotato di carne, divenne ‘carne’ dotata di spirito, ma ‘spirito’ ridotto a livello embrionale.
Il Messia è venuto dunque sulla terra a reinsegnare all’uomo carnale, abbrutito dalla ‘malattia’, quale è stata la sua origine spirituale, il perché della sua attuale situazione di decadimento dovuta al peccato, non solo quello di origine dei progenitori ma il peccato personale in cui l’uomo odierno vive impastato, e ad insegnargli come risalire la china, ritornando ad essere uomo spirituale.
Bisogna quindi avere – spiega Gesù - la buona volontà di credere, di migliorare, di volere la ‘salute’ (sia spirituale che fisica) perché questa verrà data, ma solo a chi ha buona volontà di averla.
E’ su questi concetti che vi invito quindi a meditare.
Bultmann aveva testualmente scritto: ‘L’uomo moderno, che vive nel mondo della scienza e della tecnica, non può comprendere - poiché egli conosce la colpa solo come atto di responsabilità - come, a seguito della colpa di un suo antenato, egli sia condannato ad essere schiavo di un destino di morte che invece è proprio di ogni essere vivente in natura. Il peccato originale è per lui un concetto immorale e insostenibile’.
Il peccato originale è dunque per Bultmann un concetto ‘immorale e insostenibile’, come insostenibile ed immorale sembrava a mio fratello che senza l’aggravante di essere Bultmann ritornava però spesso con me su questo argomento che non gli dava pace.
Ma Bultmann sbaglia dicendo che l’uomo moderno – e quindi anche egli stesso - non può comprendere come, conoscendo la colpa solo come atto di responsabilità, egli possa essere condannato ad essere schiavo di un destino di morte.
Bultmann sbaglia perché all’uomo moderno basterebbe spiegare che non bisogna confondere il concetto di Colpa con quello delle ‘conseguenze’ della colpa, cioè la causa con l’effetto.
I discendenti di Adamo ed Eva non furono ‘condannati’ da un Dio ingiusto a subire un ‘destino di morte’ per una colpa che era in loro inesistente perché non ne avevano avuto alcuna responsabilità, ma furono piuttosto ‘condannati’ dai loro progenitori a subire le ‘conseguenze’ del proprio comportamento.
La realtà che ci circonda, la realtà che contraddistingue la storia intera dell’Umanità, è piena delle conseguenze sui figli delle colpe dei genitori, conseguenze che rappresentano l’eredità più pesante che ogni generazione riceve dalla precedente e lascia alla successiva.
E nessuno si sogna – se non magari sul piano accademico – di mettere sul banco degli accusati i propri genitori, come sicuramente ci dovremmo finire noi rispetto ai nostri figli, né tantomeno di mettere sotto accusa Dio.
Non è un Dio ingiusto, quello che ci ha condannato, ma siamo noi che subiamo le conseguenze delle colpe dei nostri genitori come i nostri figli subiranno le conseguenze delle nostre.
La prima Colpa che privò l’uomo dell’aiuto di Dio, non fu voluta da Dio – che, anzi, tutto aveva dato all’uomo e lo aveva anche messo in guardia – ma dall’uomo che – libero – aveva voluto essere come Dio attingendo, come fa anche oggi, al frutto della Scienza non illuminata dalla Sapienza, il frutto della conoscenza dell’Albero del Bene e del Male.
La Colpa dei due progenitori, insomma, comportò delle conseguenze, alla stessa stregua di come le potrebbero portare gli atti di due genitori odierni che – contratte per imprudenza certe malattie – possono poi trovarsi nella situazione di trasmetterle geneticamente ai propri figli, senza che per questo nessuno si sogni di prendersela con Dio.
E’ con i progenitori che dunque ce la dovremmo prendere a meno che – come mi diceva appunto mio fratello – non pretendessimo che Dio avrebbe ‘dovuto’ impedirci di sbagliare, legandoci cioè la nostra volontà.
Ma Dio è egli stesso ‘Dio di libertà’, e all’uomo, riflesso del suo Spirito, Egli ha dato la piena libertà, come la diede anche agli Angeli, che pur – al seguito di Lucifero – sbagliarono.
Perché è nella libertà – oltre che nello spirito - che sta la dignità dell’Uomo, e un uomo senza libertà è come un automa, macchina senza anima che non avrebbe demerito ma neanche il merito di guadagnarsi una vita eterna di incommensurabile felicità.
Mio fratello, a malincuore, se ne era fatto una ragione. Ma Bultmann?
E i ‘nipotini’ di Bultmann?
Bultmann, uomo di scienza e di tecnica, non riusciva a cogliere la logica ‘tecnico-scientifica’ delle conseguenze subite dai discendenti in seguito alla procreazione di generazione in generazione.
E allora svilupperò ora meglio in chiave ‘tecnico-scientifica’ quel concetto sopra espresso da Gesù, per cui ‘la colpa del Peccato fa malati nello spirito e nel corpo di riflesso’, e di come sia possibile – indipendentemente da considerazioni morali – che le conseguenze del Peccato si trasmettano ai discendenti che di quel Peccato non hanno avuto alcuna colpa e responsabilità.
Il Peccato originale – come abbiamo accennato più sopra - fu un peccato di disubbidienza a Dio, di orgoglio e di superbia.
Tale fu infatti il significato profondo insito nel gesto con cui Eva decise di ignorare quell’unico divieto dato da Dio ai primi due - che sulla terra avevano tutto, soprattutto Dio - di non cogliere il simbolico frutto dell’Albero della conoscenza del Bene e del Male.
Si trattò dunque di un peccato di mente, e cioè ‘spirituale’.
Il peccato ruppe il rapporto idilliaco fra l’uomo e Dio e l’uomo – insieme all’amicizia di Dio - ne perse anche i doni eccelsi che lo rendevano perfetto, spiritualmente, intellettivamente e fisicamente, cioè praticamente ‘immortale’.
Il Peccato agì come una sorta di micidiale virus spirituale che dopo la prima incubazione produce effetti sempre più devastanti quanto più la sua azione procede nel tempo.
E l’uomo divenne infatti – sia nello spirito come nel corpo – sempre più degradato, come lo diventerebbe oggi sempre più a causa del diffondersi di una grave malattia.
Caino aveva ereditato per via genetica le conseguenze di ‘contagio’ del primo Peccato compiuto dai due progenitori, con l’aggravante dello sviluppo di egoismo, invidia, odio, orgoglio e superbia che ne erano scaturite, qualità germogliate in lui come polloni vigorosi dal ceppo del genitori.
Se infatti Adamo ed Eva avevano peccato solo nel ramo dell’Amore verso Dio, Caino - assassinando suo fratello Abele – aveva peccato anche contro l’altro ramo dell’Amore, quello verso il prossimo, portando così alla perfezione il peccato dei primi due progenitori.
Da allora per i discendenti di Adamo ed Eva fu una progressiva caduta di cui l’Umanità non ha ancora toccato il fondo.
Questo concetto che vi ho spiegato della evoluzione discendente dell’uomo potrebbe anche stupire e certamente farebbe imbestialire i ‘razionalisti-materialisti-evoluzionisti’ che non si offendono nel vantare per se stessi una discendenza da una bestia ma si offendono se diciamo che – ‘bestie’ - rischiamo di questo passo di diventarlo di nuovo alla fine della evoluzione ‘ascendente’ che essi hanno immaginato per noi.
I ‘sacerdoti’ della teoria evoluzionista contestano il racconto della Genesi biblica, negano la creazione dell’uomo e degli altri esseri viventi da parte di Dio e, fra i tanti luoghi comuni senza alcuna prova scientifica che essi hanno propagandato, sostengono che l’uomo – partito dal protozoo, forma vivente unicellulare nata da sola dalla materia e da sola datasi la vita - si sia evoluto di animale in animale in meglio, secondo una logica di evoluzione ascendente progressiva.
Ma secondo le teorie dei Premi Nobel attuali, specializzati in Fisica Moderna e Cosmogonia, anche l’universo – dal Big Bang iniziale – avrebbe cominciato ad ‘evolversi’ ed espandersi salvo poi ipotizzare, raggiunto un certo sviluppo, un collasso od una successiva contrazione con una involuzione che lo riporterà gradatamente al caos iniziale.
Questo per dire che ‘evoluzione’ non significa necessariamente miglioramento, ma anche peggioramento, cioè evoluzione negativa.
E per certi versi così è stato anche per l’evoluzione dell’uomo, dopo il Peccato.
L’uomo era ed è un essere ‘spirituale’ e - da essere spirituale, dopo la caduta - ad un certo punto ha cominciato ad evolversi negativamente e ora – se non vi sarà qualche fattore straordinario – l’Umanità è in marcia verso l’autodistruzione spirituale: basta guardare come sta andando il mondo.
Se si fa eccezione per il singolo e per le minoranze ( perché il singolo sempre può autonomamente elevarsi se lo vuole) e se ragioniamo su un piano più generale, ci accorgiamo che la apparente evoluzione positiva dell’Umanità è solo ‘tecnologica’ e scientifica, una evoluzione del sapere, cioè culturale.
Migliora a livello mondiale anche la qualità della vita, ma solo per i relativamente pochi che se lo possono permettere, mentre peggiora invece per gli altri dei paesi sottosviluppati che muoiono di malattie, di fame e di stenti e si nutrono di odio verso quelli che hanno tutto e che appaiono ai loro occhi come sfruttatori e ladri delle risorse del creato.
Guerre e rivoluzioni, con stermini di massa si succedono senza posa in tutti i punti del globo.
Anziché combattere la fame con un migliore utilizzo e distribuzione delle risorse si cerca – per egoismo - di combatterla pianificando con l’aiuto delle Nazioni Unite la politica delle nascite, in pratica diffondendo una cultura di morte con aborti di massa.
Dal punto di vista spirituale – sempre su di un piano generale, ed esclusi quindi i casi individuali - c’è dunque stato un generale peggioramento perché la ferocia bruta degli uomini antichi non si è attutita, ma si è anzi raffinata.
Una volta si uccideva con le lance e con le spade, e gli uomini morivano con scorrimento di sangue a centinaia e anche a migliaia, oggi si uccide invece premendo un bottone dietro ad una consolle di computer, sganciando o lanciando una asettica bomba atomica, con gli uomini che non sono più trafitti truculentemente da una spada ma muoiono bruciati vivi a centinaia di migliaia per volta, come a Hiroshima e Nagasaki, oppure muoiono cadendo a mucchi uno sull’altro con la guerra chimica e batteriologica.
Cento milioni di morti nel ventesimo secolo!
Gli uomini attuali sono fisicamente più deboli di quelli antichi, e spiritualmente sono pure peggiorati. Evoluzione ascendente, dunque?
5.7 Le stimmate psicologiche, l’anima animale, quella spirituale, il software del computer, il virus informatico e… il peccato originale
Ma avendo ora spiegato quel concetto del Gesù valtortiano per cui il peccato fa malati nello spirito e…nel corpo, proseguiamo ora nell’approfondimento ‘tecnico-scientifico’ cercando di far meglio capire con degli esempi come abbia potuto avvenire ‘tecnicamente’ che i discendenti di Adamo ed Eva abbiano subito le conseguenze del loro peccato iniziale.
Cesare Lombroso (1835-1905), medico, psichiatra, professore di medicina legale, fu il fondatore della disciplina scientifica di antropologia criminale, che ebbe grande influenza sugli sviluppi della criminologia.
Non tutte le sue conclusioni sono state condivise dagli scienziati successivi, ma egli ebbe comunque delle geniali intuizioni.
Egli aveva studiato le personalità criminali e nella sua opera, L’uomo delinquente (1875-1876), aveva dato una identificazione clinica dei diversi tipi, in particolare anche dei delinquenti nati, che – secondo i suoi studi – erano caratterizzati da stimmate anatomiche, fisiologiche e psicologiche.
Quella delle stimmate ‘psicologiche’ può sembrare una novità e allora merita una digressione.
Nella trasmissione dei caratteri ereditari, il discendente non riceve dall’ascendente (in tutto o in parte a seconda della combinazione dei caratteri) solo le caratteristiche fisiologiche del cosiddetto Dna, come ad esempio il colore dei capelli, o degli occhi, o la struttura corporea, ma anche - come ben sanno anche coloro che selezionano le razze animali - quelle ‘psicologiche’, caratteriali, attitudinali, quelle che attengono cioè alla sfera della ‘psiche’, al ‘pensiero’ o, meglio, al ‘complesso psichico’, come ben si può rilevare quando in un bambino scopriamo ad esempio lo stesso carattere e attitudini di uno dei genitori o di un suo nonno.
Cercherò allora di spiegarmi ricorrendo a dei paragoni non magari perfettamente calzanti ma che aiutano a comprendere meglio il concetto che vorrei esprimere.
Il ‘complesso psichico’ dell’uomo non è altro che quello che noi chiamiamo, genericamente, ‘anima’.
Ma la parola ‘anima’ è un termine inteso nei sensi più disparati, secondo le diverse concezioni filosofiche relative al mondo e all’uomo.
Anima si dice ad esempio ogni principio vitale, comune alle piante ed agli animali (= anima vegetativa e anima sensitiva).
Anima si dice soprattutto parlando dell’uomo, la quale, stando alla grande tradizione cattolica e tomistica, è ritenuta ‘forma sostanziale del corpo’, essenzialmente immateriale ed incorruttibile, creata da Dio, ricca di una personalità che, maturando attraverso le esperienze della vita temporale, è destinata a realizzare la sua definitiva perfezione nel possesso intellettuale di Dio.5
L’anima dell’uomo non va quindi confusa con quella dell’animale.
Anche l’uomo – bene inteso - ha un anima ‘animale’, e cioè un principio vitale intelligente che gli consente di condursi e riprodursi in quanto ‘essere animale’.
Anche l’uomo, come tutti gli altri animali, trasmette questa sorta di anima, o meglio di principio vitale intelligente, per via naturale, e cioè con la riproduzione della specie, insieme ai propri geni.
Ma l’uomo, per la missione specifica che Dio ha previsto per lui, riceve al momento del concepimento dell’embrione un ‘quid’ in più, un ulteriore ‘principio vitale intelligente’, che è tuttavia un principio ‘vitale’ a carattere spirituale che dà una vita spirituale che non cessa con la morte del corpo come avviene per il principio vitale dell’anima animale.
Questo secondo ‘principio vitale’ viene come ‘inserito’ nell’anima animale e finisce per costituirne la parte più sosfisticata, una sorta di anima dell’anima, la parte più profonda, intelligentissima, destinata a vivere in eterno e, soprattutto, a comunicare con Dio.
Dio è purissimo spirito, gli angeli sono puri spiriti, gli uomini sono semplici spiriti che sono stati in qualche modo ‘incarnati’ in un embrione umano.
Mi sarebbe piaciuto vivere ai tempi di San Paolo non solo per conoscere Gesù ma anche per chiedere a quel suo apostolo ispirato qualche maggior chiarimento proprio sull’anima.
Egli infatti – parlando ripetutamente nelle sue lettere dell’uomo, inteso nella sua interezza - ha indicato in lui tre distinte realtà parlando specificatamente di corpo, anima e … spirito.
Ma lo spirito dell’uomo, che noi chiamiamo anche ‘anima’, altro non è che quel ‘soffio di Dio’ di cui parla la Genesi e che viene ‘insufflato’ nell’anima animale dell’uomo per renderlo diverso dagli altri animali, dandogli cioè un ‘quid’ che gli consentirà dopo la morte del corpo una vita spirituale, eterna.
Ma allora, vi domanderete, come può succedere che questa ‘anima spirituale’, questo spirito dell’anima, questa quint’essenza così perfetta, data direttamente da Dio, finisca per contrarre il Peccato Originale, cioè le sue conseguenze?
Oggi viviamo in una società tecnologica, anzi informatica, dove anche i bambini ormai imparano all’asilo a familiarizzarsi nell’uso del computer.
Ed allora - non tanto per i nipotini di Bultmann, che tanto non credono nell’anima a meno che non sia quella ‘animale’, ma per voi - spiegherò l’apparente mistero servendomi di una analogia presa dal mondo dei computers.
In casa avrete certamente un membro della famiglia che conosce l’uso di queste macchine ed al quale potrete magari poi chiedere qualche chiarimento.
Il computer lo potete immaginare come un corpo umano inanimato, come una macchina insensibile, un macchinario che di per sé non risponderebbe a nessun comando.
Ma se nel computer il fabbricante introduce il suo software di base (e cioè, per analogia, l’anima animale) ecco che il computer come per incanto si ‘anima’, si accende, comincia a girare ed al primo comando di Avvio comincia ad aprire uno dopo l’altro tutti i suoi programmi di base che servono al suo funzionamento operativo.
Ma il costruttore (e cioè Dio) non è ancora soddisfatto di un programma software di quel genere, perché quel programma ce l’hanno – più o meno – anche tutti gli altri animali, e persino i vegetali, a modo loro.
Dio vuole che quel particolare ‘computer’, cioè l’uomo, possa collegarsi attraverso un’Internet spirituale con Sé, perché Egli vuole donarsi all’uomo e vorrebbe che l’uomo si donasse a lui, amarlo ed essere amato, per l’eternità, come un figlio.
Ed ecco che allora, dopo che i due genitori concepiscono nell’amore quell’embrione d’uomo, ecco che Dio – premuroso e tempestivo – lo munisce di un software ancora più sofitsticato di quello dell’anima ‘animale’ già di per sé meraviglioso di cui l’uomo in quanto ‘animale’ viene normalmente dotato al pari degli altri esseri viventi.
Un software intelligentissimo, di natura sofisticatamente spirituale, destinato a non morire mai, neanche distruggendo il computer.
Ma questo software aggiuntivo, cioè lo spirito dell’anima, per funzionare ha bisogno del software di base del computer, e cioè dell’anima animale.
Se quest’ultimo gira bene, anche l’altro software funzionerà al meglio.
Questa era la situazione di Adamo ed Eva prima del Peccato originale.
Ma dopo, dopo che il Peccato spirituale (dovuto non ad un difetto costruttivo del Fabbricante ma ad una imprudenza degli operatori, Adamo ed Eva) ebbe danneggiato quel software sofisticatissimo del loro spirito trasmesso direttamente da Dio, perdendo il contatto con Dio, ecco che andò in cortocircuito anche l’altro software di base, e cioè quell’anima animale che si trasmette per via naturale, cioè con la riproduzione fisica, di padre in figlio.
Ora – dopo quel Peccato - i programmi ‘cortocircuitati’ del software di base del nostro computer umano non sono più perfetti come quando erano stai progettati, anzi sono tarati e vengono trasmessi geneticamente tarati di padre in figlio.
E’ come se essi fossero stati attaccati da un virus informatico al quale incautamente o involontariamente – magari entrando o scaricandoci qualcosa da Internet - abbiamo aperto la porta, e adesso non girano più tanto bene, con conseguenze ora lievi, ora più gravi, ora irreparabili.
E anche quel software aggiuntivo, lo spirito dell’anima, anche se introdotto perfetto da Dio in ogni nuovo embrione umano che viene concepito, una volta dentro, subisce le conseguenze del ‘virus’ telematico che aveva già contagiato gli altri programmi di base del computer. Esso subisce cioè le conseguenze del Peccato originale che non gli consentono più di girare secondo le aspettative di chi lo aveva creato.
Comunicare con Dio e salvarsi l’anima diventerà sempre più difficile.
Entrato per una grave imprudenza, il ‘virus’ ha arrecato al ‘computer’ delle conseguenze irreparabili che pur permettendogli ancora di funzionare ora danno continuamente quelli che in gergo vengono chiamati ‘errori’.
L’uomo non è più perfetto, i suoi programmi ‘girano’ ancora ma solo al minimo della loro potenza, con oscuramenti, inceppamenti, inconvenienti di vario tipo.
Nell’uomo la fecondazione è l’effetto costituito dalla fusione dei due gameti, maschile e femminile, dalla quale risulta la ‘cellula germinale’ o zigote, dotato del codice genetico del nascituro.
Secondo il dogma del Peccato originale, quest’ultimo (consistente nella privazione della grazia, seguita alla ribellione a Dio dei capostipiti della famiglia umana) si trasmette ‘con la natura’ – cioè attraverso la generazione umana di padre in figlio - venendosi così a contrarre dal primo momento in cui ogni individuo viene concepito.
Dio introduce un’anima perfetta in un embrione umano concepito dai genitori, ma questa l’istante dopo non funzionerà più in maniera perfetta non perché avrà contratto il ‘Peccato originale’, ma perché sarà condizionata dalle conseguenze di danneggiamento dovute al Peccato originale compiuto dai progenitori.
L’anima spirituale dell’uomo – sempre capace però di ‘condursi’ in base alla propria volontà e libero arbitrio - si ritrova dunque a fare i conti con una situazione preesistente, diciamo ereditaria.
Ecco quello che Bultmann, non voleva capire.
Ma Lombroso? Non avevamo cominciato prima a parlare di lui e del suo ‘uomo delinquente’, e delle stimmate, ecc. ecc.?
Lombroso - influenzato da Darwin, primo degli evoluzionisti – nei suoi studi di antropologia criminale partiva dal presupposto che ‘l’uomo delinquente’ di quel suo libro famoso fosse in realtà tale perché - disceso dalla scimmia – era rimasto psicologicamente allo stato primordiale di bruto - e quindi non era in grado di comprendere il significato di leggi penali promulgate per individui ad uno stadio di sviluppo più avanzato.
Non entro nel merito del fatto che l’uomo delinquente sia tale perché rimasto psicologicamente allo stato primordiale di un essere disceso per procreazione dai bruti, come è caro ‘credere’ ai sacerdoti dell’evoluzionismo, ma certo Lombroso sbagliò nel ritenere che quello odierno dell’uomo sia uno sviluppo ‘psicologicamente’ più avanzato, perché l’evoluzione spirituale dell’uomo, come ho già spiegato, è purtroppo per ora discendente, a causa del peccato.
Tuttavia - pur sbagliando in questo – Lombroso colse nel segno nell’intuire che tali individui fossero come ‘vittime di un male oscuro trasmesso dagli antenati per via genetica’, anche se certe caratteristiche possono non manifestarsi, o manifestarsi solo parzialmente, per più generazioni.
Solo che se Lombroso, anziché essere evoluzionista, avesse avuto fede e avesse creduto nella Bibbia, Parola di Dio, il fenomeno non lo avrebbe attribuito ad un male oscuro ma al…Peccato originale, o meglio alle sue conseguenze che, laddove casualmente si presentano con caratteristiche più gravi, producono il ‘criminale’, cioè l’uomo delinquente.
Peccato imputabile alla Mente dell’uomo, e cioè a carattere ‘psichico’, psicologico, spirituale, ma che – per l’interazione psicosomatica di cui vi ho già parlato – finisce per lasciare, sempre per usare le parole di Lombroso, le sue ‘stimmate’ non solo nella psiche e talvolta sul volto ma anche sul corpo e sulla salute dell’uomo, di generazione in generazione.
5.8 Una sfida era infatti corsa fra Dio e Satana…
Quella mia ‘Luce’ che si è fatta sentire nel primo capitolo di questo volume e che ho chiamato il mio ‘Subconscio creativo’, proprio a riguardo del peccato originale, una volta, in un altro mio libro mi aveva infatti spiegato 6 :
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Luce:
Dio fece l'uomo dominatore su tutto quanto era sulla terra, l'uomo, questo smemorato : smemorato dalla malattia provocata dal Peccato Originale.
Già ti dissi che l'uomo è una unità psico-somatica, per usare un termine che vi piace e che voi utilizzate per indicare in realtà che l'uomo è carne fatta anche di psiche e che Io intendo per dire invece che l'uomo è Psiche, psiche, cioè anima, non fatta ma rivestita di carne.
L'uomo, dicevamo, è una unità psicosomatica. E quando il corpo viene danneggiato ne può essere danneggiata, a seconda dei casi, la psiche. Ma per la stessa legge, inversa, quando viene danneggiata la psiche ne viene danneggiato anche il corpo.
Ed il peccato di origine - ti dissi - quale virus terribile danneggiò la psiche, cioè l'anima, privandola della Grazia e, subito dopo, il corpo - dopo la psiche - ne venne compromesso.
Seguimi nel ragionamento, vieni con Me.
E' un po’ quello che succede nelle vostre malattie, in certi vostri incidenti umani. Danneggiate ad esempio il cervello ( che è uno 'strumento' della Psiche, dell'Anima - ricordalo sempre - e non un 'produttore' di psiche ), danneggiate dunque lo strumento e perdete la memoria di voi stessi, di chi siete, dell' identità vostra, da dove venite, dove andate.
Tu, nei tuoi affetti, hai toccato con mano questa tragica esperienza.
Ma poi il medico vi aiuta, vi rieduca, vi insegna a riacquistare la memoria di voi stessi, vi 'riabilita' il corpo e con esso la mente.
Dunque - dicevo - il medico vi riabilita...
Ma quale è il Medico perfetto se non il Padre vostro ?
Ed Io all'uomo malato - contagiato nella Psiche dal virus estesosi, sempre per contagio, al corpo in forza dell'unità psicosomatica, poiché ti ho già spiegato che la Psiche, ripeto: l'Anima, permea ogni atomo del corpo - ho dato la 'medicina'.
Ho fatto innanzitutto sentire la voce dei Profeti miei per fare nuovamente sapere all'uomo, caduto e imbarbarito, la sua figliolanza.
L'evoluzione, ti dissi, fu 'discendente'. Ciò rientra nel mio 'ordine' che non ama 'rotture' istantanee. La Creazione non fu 'istantanea', anche perché per me il 'tempo' non esiste. L'evoluzione 'ascendente' dell'universo fu 'ordinata', cioè 'progressiva', 'graduale'. E così l'involuzione dell'uomo, che è anch'essa una forma negativa di evoluzione.
Adamo ed Eva (ed i loro discendenti) persero subito la Grazia, per la disobbedienza, e con la Grazia le sue virtù, ma - a parte Caino - non erano ancora capaci di fare veramente il Male, non si erano ancora perfezionati nel Male.
La loro Psiche, cioè la loro Anima, era stata 'danneggiata' ma il virus, come spesso succede in tante vostre malattie, prima 'incubò', poi si estese gradatamente, sempre di più, compromettendo sempre di più l'anima ed il corpo.
Per questo i primi uomini, come leggi nella Bibbia, vissero così a lungo. E' verità, non favola. E la ragione è quella che ti ho spiegato. Le funzioni corporee decaddero progressivamente, col tempo. La Morte arrivò, ma ritardata nel tempo rispetto ad ora.
Ma man a mano che il male contagioso si estendeva, mano a mano che il primo uomo ed i successivi si specializzavano nel Male, si specializzavano spiritualmente, cioè psichicamente, intellettualmente, anche il corpo decadeva e la vita si accorciava, il corpo si indeboliva e le malattie di conseguenza aumentavano.
Non selezione della specie, la robustezza dei primi uomini: ché voi tutto interpretate in termini di 'specie', cioè di animalità, ed in termini di 'selezione', cioè di evoluzione naturale, considerandovi voi per primi degli animali mentre vi dite padroni dell'universo.
Poi ho inviato il Figlio, lui stesso 'Medicina', che si è dato a voi in carne, sangue e Spirito per riscattare non la salute del vostro corpo ma quella dell'Anima affinché in Grazia (quella che deriva dalla applicazione pratica, dico pratica, della sua dottrina) essa potesse - con la ferita 'cicatrizzata': cioè con i 'fomiti' rimasti e fonte di pulsioni - sperare, grazie alla buona volontà, di tornare al Cielo, da Me.
Ma per tornare a me, l'uomo attuale, come il Primo, deve tornare ad essere dominatore dei suoi tre stati: quello spirituale, quello morale, quello animale, cioè della carne.
Come l' uomo malato e poi 'riabilitato' non sempre recupera la piena efficienza originaria se danneggiato gravemente (come voi foste dal Peccato d'Origine), così voi ora non potete ottenere, neanche con la Grazia, il pieno recupero.
E allora dovete 'dominare', nel senso che allora dovete 'conquistare' quel dominio che una volta vi fu dato gratuito, dovete conquistarlo con la vostra fatica: con la buona volontà, che è fatica.
E sempre conquista imperfetta sarà ma - perché frutto di sforzo, di buona volontà - sarà più gradita a Me di quella di Adamo che nessuna fatica fece, che anzi rinunciò alla buona volontà, per cui mentre lui ebbe il privilegio, calpestato, di essere figlio di Dio, voi avrete il privilegio, conquistato, di essere figli miei, ma nella Gloria, quella che non avrebbe avuto Adamo avendo ricevuto in dono gratuito, quella che invece meritano i veri figli miei che si conquistano il Padre ed il suo Regno con il martirio di sè stessi, con il martirio del proprio 'io'.
Ma non ti preoccupare. Non ti preoccupi il 'martirio'. Non ti chiedo di fare l'eroe, ché troppo sarebbe. Ti chiedo solo di 'martirizzarti', questo lo chiedo a tutti, quel tanto che basta nei limiti molto limitati della vostra buona volontà.
Voi, malati siete, e Io - buon Padre - mi accontento di questo in attesa di guarirvi del tutto quando - stanchi di una vita ma con la retta coscienza di aver fatto tutto il possibile, il 'vostro' possibile - vi presenterete a Me per il Giudizio: non giudizio di Giudice per voi ma abbraccio del Padre che vi è padre, del Figlio che vi è fratello, dell'Amore che vi ama.
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Una sfida era infatti corsa fra Dio e Satana.
Satana aveva voluto rovinare la creazione di Dio facendo ‘figli suoi’ quelli che avrebbero dovuto essere ‘figli di Dio’.
Satana – si legge in Maria Valtorta - inorgoglito dalla sua prima vittoria sull’uomo aveva gridato a Dio che tutti gli uomini da Lui creati sarebbero stati suoi e che nulla li avrebbe resi capaci di riguadagnare quel Cielo dal quale Dio l’aveva cacciato e che gli sarebbe rimasto freddo, vuoto, inutile e triste.
Ma Dio gli rispose che questo sarebbe stato finchè il veleno di Satana fosse stato solo a regnare nell’uomo, ma quando avrebbe mandato il suo Verbo, le sue Parole avrebbero neutralizzato quel veleno, guarendo l’uomo dalla demenza con cui Lucifero lo aveva insatanassato. E le sue pecore sarebbero tornate all’Ovile mentre l’Angelo di Dio avrebbe – alla fine del tempo – buttato una ‘pietra’ sull’Inferno sigillandovi dentro Satana per l’Eternità.
Quest’ultimo, con una risata di scherno, gli aveva allora promesso ulteriore vendetta giurando che quando fosse giunto il giorno del Verbo, egli - Satana - sarebbe tornato e sarebbe stato presente fra gli evangelizzati e si sarebbe allora visto chi – dei due – sarebbe stato alla fine il Vincitore….!
E’ questo dunque – in conclusione - il senso della figura messianica di cui a quel passo del rotolo di Isaia letto da Gesù in quel brano del Vangelo di Luca dell’inizio di questo capitolo.
Il Verbo, figlio di Dio, si incarna in un essere umano in un concepimento di assoluta purezza verginale da Dio stesso provocato e – non più per mezzo di profeti - viene a parlare direttamente agli uomini per insegnare la Verità sulla loro origine, la Via per salvarsi, e soprattutto la possibilità della Vita, cioè della salvezza eterna in quei Cieli che fino ad allora erano rimasti preclusi all’uomo dopo il Peccato originale.
Il Verbo è dunque il Liberatore: dal Peccato.
L'uomo è peccatore, peccatore perché avvelenato dalla ‘mela’ e dal veleno di Satana.
L'uomo morde ogni giorno al pomo del peccato ed ogni giorno sugge un succo avvelenato che ne intossica i pensieri.
E, con i pensieri intossicati, l'uomo sbaglia e pecca. Diventa peccatore.
E, quale peccatore figlio del Peccato d'origine, peccatore di proprio con i suoi peccati, egli gradatamente modifica la sua personalità che diventa personalità di peccato, personalità ad immagine e somiglianza di Satana, anche se non ancora propriamente 'figlio di Satana'.
Ed ecco allora la missione di Cristo: insegnare all'uomo la Dottrina, quella dell'Amore, insegnare all'uomo la strada, quella del Cielo, insegnare all' uomo il vero Padre, Dio.
Cristo è dunque venuto per affrancare l'uomo: oppresso dalla schiavitù del Peccato, per liberare lui: prigioniero, dal suo Dominatore: Satana, per ridargli, spezzando la catena del Peccato, la possibilità di tornare a Dio dal cui seno l'Anima spirituale è uscita.
Ma l’uomo è ormai a tal punto malato e indebolito nello spirito da non essere più capace, da solo, di risalire la china.
E allora Dio lo salva con la Redenzione attraverso il Sacrificio di Croce ma - poiché è Egli stesso Dio di Libertà ed ha creato l’uomo assolutamente libero, perché nella libertà sta la sua dignità – gli chiede almeno un atto di buona volontà - e cioè di ‘desiderare’ la sua salvezza - accettando di seguire la Parola del Figlio.
Al resto ci penserà il Figlio, Resto come Redenzione.
1 G.L.: “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. I, Cap. 10 – Ed. Segno
2 G.L.: “Il Vangelo del ‘grande’ e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. I, Cap. 3.2 – Ed. Segno
3 G.L.: “Il Vangelo del ‘grande’ e del ‘piccolo’ Giovanni” –Vol. I, Cap. 11 – Ed. Segno, 2000
4 M.V. ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Cap. 106 – Centro Ed. Valtortiano
5 p. Enrico Zoffoli: ‘Dizionario del Cristianesimo’ – Ed. Sinopsis, Iniziative culturali
6 G.L.: “Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 66 - Edizioni Segno