(Il Vangelo secondo Luca e Matteo – La Sacra Bibbia – Ed. Paoline, 1968)
(M.V. ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ - Cap. 324.5 e 98 – Centro Editoriale Valtortiano)
(G.L. “Il Vangelo del ‘grande’ e del ‘piccolo’ Giovanni” – Cap. 10 – Ed. Segno)
4. Maria di Magdala? Pietro: « No, sai. Dal lago e dal mestiere ho imparato diverse cose, e una è questa:
che pesce d’acqua dolce e di fondale non è fatto per acqua salsa e corsi vorticosi ».
Lc 5, 1-11:
Mentre Gesù se ne stava presso il lago di Gennesaret e il popolo si affollava intorno a lui per ascoltare la parola di Dio, vide due barche ferme alla riva: i pescatori erano scesi a lavare le reti. Salito su una di esse, quella di Simone, lo pregò di staccarsi un po’ da terra; poi, sedutosi, istruiva la folla dalla barca.
Quand’ebbe finito di parlare, disse a Simone: « Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca ».
Ma Simone gli rispose: « Maestro, abbiamo lavorato tutta la notte e non abbiamo preso niente: tuttavia, sulla tua parola, getterò le reti ».
E, avendole gettate, presero una grande quantità di pesci, tanto che le loro reti stavano quasi per rompersi.
Allora fecero cenno ai loro compagni, che erano nell’altra barca, di venire ad aiutarli; essi vennero e riempirono ambedue le barche da farle quasi affondare.
Veduto questo, Simon pietro cadde ai piedi di Gesù dicendo: « Allontanati da me, Signore, perché io sono un uomo peccatore!».
Lo stupore, infatti, aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca dei pesci che avevano fatto, come pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone.
Allora Gesù disse a Simone: « Non temere, d’ora in poi tu sarai pescatore di uomini! ».
E spinte le barche a terra, abbandonarono tutto e lo seguirono.
Mt 9, 9-13:
Di lì, essendo andato più oltre, Gesù vide un uomo chiamato Matteo, seduto al banco della gabella, e gli disse: « Seguimi ».
Ed egli, alzatosi, lo seguì.
E mentre Gesù era a tavola in casa, ecco che molti pubblicani e peccatori vennero a mettersi a tavola con lui e con i suoi discepoli.
I Farisei, veduto ciò, dissero ai suoi discepoli: « Perché il vostro Maestro mangia con i pubblicani e con i peccatori? ». Gesù, avendo sentito, disse: « Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate, dunque, ed imparate che cosa significa: ‘Preferisco la misericordia al sacrificio’, perché io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori ».
4.1 Intorno a quel lago di Tiberiade…
Meditando ancora sull’episodio della ‘suocera’ di Pietro del capitolo precedente, devo dire che mi ha anche molto colpito il carattere dell’apostolo.
Pietro non era ancora un ‘santo’ ma un ‘uomo’, insomma uno come noi.
Ma – a parte il ventenne Giovanni, che si può dire avesse già una sua particolare ‘vocazione’, e non per niente era il prediletto di Gesù – anche gli altri apostoli, quanto ad ‘umanità’, non erano da meno.
Pietro era un irruento, un sanguigno, uno che nell’opera valtortiana si era autodefinito ‘iracondo’ nonchè non del tutto onesto quando trattava la vendita del pesce.
Era un uomo dalla battuta pronta, talvolta ironica, spesso caustica, tal’altra fulminante, con un innato senso del comando.
Capisco perché Gesù lo abbia poi eletto Capo del gruppo apostolico e – alla fine, diventato ‘uomo nuovo’ – Capo della Chiesa nascente.
Nell’opera valtortiana le sue ‘uscite’ sono proverbiali, e molte sono anche divertenti, come quella a commento dell’episodio della mamma della piccola Sara raccontato da Gesù a proposito della ingratitudine, nei suoi confronti, di tanti beneficati.
‘Io la facevo tornare malata!’, è la conclusione di Pietro a proposito di quella madre incolpevole, e non può non scapparci da ridere.
Eppure chissà quante volte ci troviamo anche noi a pensarla come dei piccoli ‘Pietro’, senza neanche aver la soddisfazione di tirar fuori le sue battute!
Dopo questo episodio, Gesù continua la sua instancabile attività di predicazione intorno a Cafarnao.
A quei tempi le zone intorno al lago di Genezaret, che beneficiavano di un clima lacustre mitigato, erano particolarmente coltivate ed ubertose, e anche ridenti.
Non per niente fu proprio su quelle rive che Erode, per accattivarsi la simpatia dell’imperatore Tiberio, aveva fatto costruire una città battezzandola opportunisticamente Tiberiade, dando così un nuovo nome al lago.
Vi erano belle ville di rappresentanza e palazzi governativi, con uno stile costruttivo ed un piano regolatore ‘romano’, e vi soggiornavano - specie nei periodi stagionali migliori dell’anno - ricchi commercianti, greci e romani, nonché funzionari e militari di rango, che vi venivano in vacanza.
Loisy scrisse che ‘la tradizione narra che Gesù frequentasse piccole città, mai ad esempio la grande città di Tiberiade, perché l’ambiente profano non gli conveniva. Frequentava invece solo gente umile e credulona’.
Non so proprio come facesse Loisy ad affermare una cosa del genere, visto che oltre tutto Tiberiade era ad una ventina di chilometri da Cafarnao in direzione Nazareth. Gesù avrebbe dovuto passarci anche se non avesse voluto.
Vero è che i vangeli non ne parlano, come non parlano però di tante altre cose che, per dirla con l’iperbole finale del Vangelo di Giovanni, ‘se fossero scritte ad una ad una, non so se il mondo stesso potrebbe contenere i libri che si dovrebbero scrivere’.
A Loisy – un classista - premeva evidentemente denigrare Gesù presentandolo come un astuto opportunista che si ‘sceglieva’ gli ‘interlocutori’ non fra i personaggi ‘evoluti’, che avrebbero potuto metterlo dialetticamente in difficoltà – come ad esempio tanti greci e romani - ma fra gli ‘incolti’ del popolo che non sarebbero stati in grado di smascherarlo o coglierlo in fallo.
E non riesco neppure ad immaginare come Loisy potesse pensare che avrebbe potuto essere messo in difficoltà uno come Gesù che non veniva preso in castagna neppure dai preparatissimi e dottissimi scribi e farisei di Gerusalemme contro i quali sarà poi anche capace di lanciare quella sua celebre invettiva di cui certamente avremo occasione di parlare più in là.
Nel ‘vangelo’ della Valtorta, invece, Gesù si vedrà all’opera proprio a Tiberiade, e proprio nella casa di quel Cusa di cui parlano i Vangeli.
Cusa era Intendente di Erode, e sua moglie Giovanna – gravemente malata e in fin di vita – verrà miracolosamente guarita da Gesù, per diventare anche lei, ovviamente, una delle sue più fervide seguaci.
Giovanna sarà un’altra delle donne presenti sul Calvario (Lc 24, 1-12) che – dopo l’apparizione di Gesù alla Maddalena – riceveranno il privilegio di vedere per prime gli angeli che testimonieranno l’esser Gesù risorto.
Tornando alla predicazione di Gesù intorno al lago, vi è da dire che le sue capacità taumaturgiche facevano accorrere malati da tutta la Galilea e anche dalla Giudea: egli li sanava per convertirli e salvarli nell’anima dopo aver salvato il corpo, ma liberava anche numerosi indemoniati.
Luca (Lc 4, 40-41) scrive che quando i demoni (come ad esempio quello che abbiamo visto nell’episodio della sinagoga) venivano cacciati, e testimoniavano che lui era il ‘Figlio di Dio’, egli li zittiva per non far sapere a tutti che era il Cristo.
Può sembrare a prima vista contraddittoria questa affermazione, specie dopo aver visto che nella sinagoga Gesù aveva affermato lui stesso senza mezzi termini di essere il Messia.
Ma Gesù ‘dosava’ questa sue dichiarazioni a seconda delle circostanze e talvolta anche di chi era presente.
Egli non voleva attirare l’attenzione troppo presto sulla sua messianicità e sulla sua natura divina, come invece farà nel secondo e più ancora nel terzo anno, e soprattutto negli ultimi mesi della sua predicazione a Gerusalemme.
Tornando però al Vangelo di Luca che stiamo ora analizzando, esso descrive una situazione pittoresca con quel Gesù che, salito su una barca arenata con la prua sulla battigia, prega Pietro di risospingerla di qualche metro indietro in acqua affinchè tutti gli altri - seduti sulla spiaggia fra mucchi di reti stese ad asciugare o cassette di pesce da vendere - potessero vederlo ed ascoltarlo meglio.
I primi discepoli non erano ancora apostoli ma essi verranno chiamati ad esser tali proprio a partire dall’episodio che qui Luca racconta.
Pietro - lo si è visto in casa di sua suocera - era già un fervente ammiratore di Gesù, e avrebbe anche voluto seguirlo, ma lo trattenevano le sue responsabilità di ‘Capo famiglia’ e quelle di socio d’affari di Zebedeo e, quindi, anche di Giovanni e Giacomo, che erano figli di Zebedeo.
Erano infatti in società nella proprietà delle barche, nella pesca e nella vendita del pesce sui mercati delle cittadine e dei borghi limitrofi.
Certo è che se Gesù voleva convincere il ‘pescatore’ Pietro a seguirlo facendogli capire oltre ogni ragionevole dubbio che ne valeva la pena perché Egli era veramente Dio, beh…, non avrebbe potuto – con Pietro – escogitare un miracolo migliore di quella pesca miracolosa.
Da non credere!
E invece Pietro ‘crede’, anzi ‘credono’ anche i suoi due soci giovani che mollano baracca e burattini e senza pensarci sopra una seconda volta si danno a seguire Gesù.
Infatti, tirate a riva barche e reti, lasciano il tutto sulle spalle robuste del povero Zebedeo, che evidentemente doveva essere anche lui un sant’uomo se non aveva ritenuto di fare il pelo e il contropelo ai due figli che lo ‘mollavano’.
Ma per andare dove?
Innanzitutto per andare a Gerusalemme, dove Gesù si dedica alla particolare istruzione di Giuda Iscariota.
Questi diviene discepolo, ma è mosso dalla ambizione di diventare un apostolo per occupare una posizione di comando nel futuro Regno messianico, che egli si ostina a considerare un ‘regno terreno’ anziché spirituale.
Molti credevano che Gesù sarebbe stato il ‘Messia di guerra’ che tutti si aspettavano perché uno capace di fare i miracoli che faceva lui era impossibile che non potesse fare anche quello di sottomettere in battaglia tutti i nemici di Israele.
Può sembrare strano che Gesù – il quale, come Dio, era onnisciente - abbia accettato nel collegio apostolico quello che un giorno sarebbe divenuto il suo traditore.
Il Verbo – anche prima dell’Incarnazione e vivendo fuori del tempo – sapeva che, nel tempo, l’uomo-Gesù sarebbe stato tradito, catturato e condannato a morte.
Ma Egli accettò questa futura sorte perché giudicò che per riscattare davanti agli occhi ed alla Giustizia del Padre l’Umanità - con i suoi tremendi peccati passati, presenti e futuri – non sarebbe certo bastato il sacrificio delle solite vittime animali ma sarebbe stato necessario il sacrificio di un Dio che si facesse Lui stesso – nel suo amore per l’uomo – Grande Vittima.
Rimane il fatto che Giuda sarà un elemento centrale dell’opera valtortiana, personaggio che nei suoi chiaroscuri Gesù vorrà utilizzare anche come insegnamento di come coi peccatori si debba insistere – per amore - oltre ogni limite nell’opera di conversione, anche quando tutto congiura contro, perché quanto più uno è spiritualmente malformato tanto più Dio si preoccupa di lui.
Giuda – che alla fine, nell’episodio dell’ultima cena, risulterà completamente posseduto - dovrà anche essere preso come esempio e campione di tutti i ‘Giuda’ che Gesù Cristo avrebbe avuto in seguito fra tanti suoi ‘apostoli’ e ‘fedeli’, il primo anzi degli ‘Anticristi’ che si sarebbero succeduti nei secoli futuri fino all’Anticristo finale.
4.2 Lazzaro e le sue sorelle…
Dopo la sosta a Gerusalemme Gesù decide di fare una sorta di piccolo viaggio di pellegrinaggio - insieme a Giuda Iscariote, Simone Zelote e Giovanni – per visitare la natìa Betlemme ed Ebron, cittadina di Zaccaria ed Elisabetta, ormai morti da tempo, ma dove c’era la loro casa presso la quale Maria – che attendeva da poco la nascita di Gesù - era andata a trascorrere tre mesi per assistere l’anziana Elisabetta che attendeva invece di lì a poco quella di Giovanni Battista.
Terminato il pellegrinaggio Gesù si recherà con Simone lo Zelote a Betania per conoscere Lazzaro.
E’ questo un incontro molto importante.
Lazzaro era il capo di una famiglia conosciuta in Israele, potente e ricca, e suo padre – morto da pochi anni - aveva svolto importanti funzioni pubbliche sotto l’Amministrazione romana.
Lazzaro, fuori dalla politica, aveva saputo mantenersi la riconoscenza dei romani per via dei servigi resi dal padre, senza perdere tuttavia la stima dei giudei. Egli risiedeva a pochi chilometri da Gerusalemme in quella che forse oggi definiremmo una tenuta agricola, a Betania, un paese del quale era praticamente ‘signore’ nel quale molti abitanti, a lui fedeli, lavoravano per lui che aveva anche palazzi in Gerusalemme, con proprietà agricole al Getsemani, in tutta la Giudea ed anche fuori.
Era molto colto, conosceva la cultura ellenistica, aveva studiato i filosofi greci e anche lui attendeva il Messia, finchè un giorno il suo amico Simone, cioè Simone lo Zelote che gli era compagno d’infanzia, gli dice che – lui - il Messia l’aveva già conosciuto, perché era proprio l’uomo che lo aveva miracolato guarendolo da una malattia della pelle molto simile alla lebbra.
E nasce allora in Lazzaro il desiderio di conoscere Gesù e quindi l’invito rivolto a Gesù da parte di Simone di andare a trovare il suo amico Lazzaro di Betania.
Nelle visioni di Maria Valtorta, Lazzaro – pur non diventando mai ‘discepolo’ di Gesù in senso proprio, cioè pur senza mai seguirlo nelle sue continue peregrinazioni - diventerà non solo il suo più grande amico ma anche una grande ombra protettrice che avrebbe reso i Capi dei Giudei più ‘prudenti’ nei confronti di Gesù, proprio per via della potenza e dell’amicizia di Lazzaro con ‘Roma’, vale a dire con i poteri militari locali, cioè con il Governatore Pilato.
Per inciso, come si capisce bene dal Vangelo di Giovanni ( Gv 11, 45-53), fu lo strepitoso miracolo della resurrezione di Lazzaro l’elemento detonante che spinse i Capi dei Giudei a decretare senz’altro indugio la condanna a morte di Gesù.1 Quella di Lazzaro, richiamato in vita dopo quattro giorni nella tomba a corruzione già avviata, non poteva essere fatta passare dai suoi nemici come una ‘morte apparente’ per sminuire la potenza di miracolo di Gesù.
E Lazzaro non era neanche un uomo qualunque, perché egli era conosciuto ad ogni livello in tutta Israele.
Il fatto destò enorme scalpore. Tutti cominciarono a pensare – anche i più scettici – che Gesù fosse veramente il ‘mitico’ Messia di Israele vaticinato nelle Scritture e il timore dei suoi nemici diventò panico. Nel Sinedrio, convocato di tutta urgenza, fu dunque stabilita in segreto la morte di Gesù facendo credere ai più indecisi che ciò sarebbe stato nell’interesse nazionale, perché le turbe sarebbero state prese dall’entusiasmo e dal fanatismo, si sarebbero ribellate e Roma avrebbe finito per schiacciare del tutto il popolo di Israele.
Lazzaro era solito ospitare nella sua sontuosa dimora Gesù e gli apostoli quando essi capitavano dalle parti di Gerusalemme.
Di Lazzaro – nell’opera di Maria Valtorta - risulterà per inciso essere poi anche la casa dove Gesù era solito fermarsi al Getsemani nonché quella dove si terrà poi l’Ultima Cena, il Cenacolo, appunto.
Sue erano infine altre proprietà in territori lontani che egli metteva a disposizione di Gesù e degli apostoli ogni qualvolta a Gerusalemme l’aria diventava ‘minacciosa’ e Gesù riteneva preferibile allontanarsi temporaneamente in attesa che le acque si calmassero.
Lazzaro provvedeva anche con generosità a tante necessità economiche del gruppo apostolico e proprio nella sua dimora, a Betania, si sarebbero infine ritrovati e rifugiati gli apostoli in fuga e dispersi dopo quelle ore di terrore seguite alla cattura di Gesù al Getsemani ed alla sua crocifissione.
Egli, pochi giorni prima della Passione, era stato già segretamente preavvisato da Gesù della sua imminente sorte e del conseguente sbandamento del gruppo apostolico, ed aveva ricevuto appunto da Gesù il preciso mandato di non stargli vicino nell’ora della Passione ma di rimanere a Betania per raccogliere a tempo debito gli apostoli dispersi che - senza più alcun punto di riferimento - si sarebbero rifugiati da lui. Avrebbe dovuto rincuorarli e riorganizzarli in quanto essi non avrebbero più saputo darsi pace di averlo vilmente abbandonato né avrebbero più avuto l’animo – avendolo visto sulla croce ben morto – di sperare nella sua futura resurrezione.
4.3 Matteo e la…’virilità casta’
Dopo la visita a Betania, Gesù ritorna in Galilea, a Cafarnao, dove appunto ce lo presenta Matteo con quel sintetico brano evangelico che abbiamo letto all’inizio che riguarda la propria chiamata a far parte del gruppo apostolico.
Sulla conversione di Matteo avevo già parlato in maniera approfondita nel primo volume 2 e quindi non farò qui alcun ulteriore commento se non trascrivere – non fosse altro che per confrontarla con la laconicità impersonale del suo racconto evangelico – la sua stessa testimonianza di quella ‘chiamata’.
Egli – in una delle solite visioni valtortiane - la racconterà un paio d’anni dopo ad un gruppo di discepoli che interrogavano i vari apostoli sulle loro esperienze di vita con Gesù.
E’ una testimonianza che mi ha colpito.
Io – nella mia mentalità pagana della quale conservo sempre un certo retaggio – ho sempre avuto una certa difficoltà preconcetta a coniugare virilità con castità, e la testimonianza di Matteo mi ha fatto riflettere proprio perché egli dice di essere stato all’inizio colpito dalla ‘virilità casta’ di Gesù, virtù che, ancor prima di diventarne discepolo, Matteo avrebbe cominciato ad imitare inibendosi i suoi bagordi…sessuali: 3
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(…)
« Matteo, a te narrare le altre glorie del Signore ».
«Veramente non so cosa dire. Voi avete parlato e detto ciò che io avrei detto. Perché la verità è questa e non può mutare. lo pure ero con Andrea al Giordano, ma non mi accorsi di Lui altro che quando me lo indicò il richiamo del Battista. Pure ho subito creduto e quando Egli fu partito, dopo la sua luminosa manifestazione, io rimasi come uno che da una vetta piena di sole viene incarcerato in buia carcere. Smaniavo per ritrovare il Sole. Il mondo era tutto senza luce, dopo che m'era apparsa la Luce di Dio e poi m'era scomparsa. Fra gli uomini ero solo. Mentre mi saziavo avevo fame. Nel sonno vegliavo con la parte migliore, e denaro, mestiere, affetti, tutto, erano passati dietro questa mia smania di Lui, lontani, senza più attrattiva. Come un bambino che ha perduto la madre gemevo: "Torna, Agnello del Signore! Altissimo, come mandasti Raffaele a guidare Tobia, manda il tuo angelo a condurmi sulle vie del Signore perché io lo trovi, lo trovi, lo trovi!". Eppure, quando dopo diecine di giorni di inutile attesa, di ricerche affannose - che per la loro inutilità ci facevano più crudele la perdita del nostro Giovanni, arrestato per una prima volta - Egli ci apparve sul sentiero, venendo dal deserto, io non lo riconobbi subito. E qui, fratelli nel Signore, io vi voglio insegnare un'altra via per andare a Lui e riconoscerlo.
Simone di Giona ha detto che occorre fede e umiltà per riconoscerlo.
Simone Zelote ha riconfermato l'assoluta necessità della fede per riconoscere in Gesù di Nazaret Colui che è, in Cielo e in terra, secondo quanto è detto. E Simone Zelote necessitava di una fede ben grande, anche per sperare per il suo corpo inesorabilmente malato. Perciò Simone Zelote dice che fede e speranza sono i mezzi per avere il Figlio di Dio.
Giacomo, fratello del Signore, dice del potere della fortezza per conservare ciò che si è trovato. La fortezza che impedisce che le insidie del mondo e di Satana scalzino la nostra fede.
Andrea mostra tutta la necessità di unire alla fede una santa sete di giustizia, cercando di conoscere e di ritenere la verità, quale che sia la bocca santa che l'annuncia, non per orgoglio umano d'essere dotti, ma per desiderio di conoscere Iddio. Chi si istruisce nelle verità trova Dio.
Matteo, un tempo peccatore, vi indica un'altra via per la quale si raggiunge Dio: spogliarsi del senso per spirito di imitazione, direi per riflesso di Dio che è Purezza infinita.
Egli, il peccatore, è per prima cosa colpito dalla “virilità casta" dell'Ignoto venuto a Cafarnao e, quasi questa avesse il potere di risuscitare la sua morta continenza, egli si interdice per prima cosa il senso carnale, sgombrando così la via alla venuta di Dio e alla risurrezione delle altre morte virtù.
Dalla continenza passa alla misericordia, da questa alla contrizione, dalla contrizione al superamento di tutto se stesso e all'unione con Dio. "Seguimi", "Vengo".
Ma la sua anima aveva già detto: "Vengo", e il Salvatore aveva già detto: "Seguimi", da quando per la prima volta la virtù del Maestro aveva attirato l'attenzione del peccatore. Imitate. Perché ogni esperienza altrui, anche se penosa, è guida ad evitare il male e a trovare il bene in coloro che sono di buona volontà.
lo, per me, dico che più l'uomo si sforza di vivere per lo spirito e più è atto a riconoscere il Signore, e la vita angelica favorisce ciò al sommo.
Fra noi, discepoli di Giovanni, colui che lo riconobbe, dopo l'assenza, fu l'anima vergine. Più ancora di Andrea egli lo riconobbe, nonostante la penitenza avesse mutato il volto dell'Agnello di Dio.
Onde dico: siate casti per poterlo riconoscere. Giuda, vuoi parlare tu ora?».
4.4. Ma che confusione a quel guado del Giordano…
Ma dopo l’osservazione di Matteo sulla ‘virilità casta’, c’è un’altra frase di Matteo che mi ha colpito, laddove egli dice che lui pure era con Andrea al Giordano quando il Battista indicò il Messia a tutti, ma che poi lo perse di vista.
E poi aggiunge che non lo riconobbe subito quando - dopo decine di giorni di inutile attesa e di ricerche affannose, mentre Giovanni Battista era stato nel frattempo arrestato per una prima volta - egli lo rivide sul sentiero venendo dal deserto…
Ma allora in quanti erano i futuri apostoli presenti al battesimo a quel guado del Giordano?
Questa storia di quelli che videro per la prima volta Gesù merita di essere messa meglio a fuoco, secondo la cronologia che – ad uno studio che tuttavia deve essere molto attento ai particolari – emerge dall’opera valtortiana.
Ne avevo già parlato4 ricostruendo quella che sembrava una incongruenza evangelica nel racconto che dell’episodio aveva fatto Giovanni nel suo Vangelo (Gv 1, 35-42).
Nel commento che ne avevo già fatto avevo cercato di interpretare – certi particolari per ipotizzare una miglior ricostruzione di alcuni aspetti dell’episodio, ma con qualche approssimazione e salvo qualche possibile errore da parte mia, non sapendo peraltro che al guado del Giordano dove Giovanni battezzava fosse presente anche Matteo il pubblicano.
Ormai, vedendo anche voi le visioni di Maria Valtorta, vi sarete resi conto di quanto i testi evangelici siano ‘essenziali’ e privi di particolari giudicati evidentemente non necessari all’azione di catechesi che era lo scopo principale degli evangelisti.
Or dunque Giovanni racconta che ‘il giorno dopo’ il battesimo del Giordano, il Battista era presso il Giordano con due discepoli e, vedendo Gesù passare, esclama ‘Ecco l’Agnello di Dio’.
I due – secondo il testo di Giovanni - si mettono a seguire Gesù e, fattane la conoscenza, vengono invitati ad accompagnarlo fino alla casa dove egli abitava e dove vi rimangono tutto il giorno.
Andrea – continua l’evangelista – era uno dei due (il secondo si capirà che era lo stesso Giovanni) che avevano udito le parole del Battista e che avevano seguito Gesù e fu lui che – imbattutosi in suo fratello Simone - lo condusse da Gesù…
Ora – sapendo che Gesù dopo il battesimo al Giordano si era invece ritirato per quaranta giorni nel deserto come raccontano i sinottici e che solo dopo questo periodo Gesù aveva conosciuto i suoi primi discepoli – io mi ero chiesto come mai Giovanni avesse detto che ‘il giorno dopo’ (e cioè il giorno dopo il battesimo del Giordano) i due discepoli si erano dati a seguire Gesù fino a casa sua.
Riuscite ad immaginarvi cosa devono aver pensato Loisy e Renan su un brano di questo genere?
Dalla corrispondente visione dell’opera valtortiana emergeva invece che quei due discepoli non erano Giovanni e Andrea ma Giovanni e suo fratello Giacomo e che erano stati poi questi ultimi due – in particolare Giovanni che prendeva sempre per primo l’iniziativa - che avevano detto successivamente a Simone e a suo fratello Andrea di aver conosciuto il Messia invitando Andrea e Simone ad andarlo a conoscere anch’essi.
A risolvere parzialmente il rebus aveva però successivamente pensato il Gesù valtortiano che in un suo ‘commento’ all’episodio narrato da Giovanni aveva spiegato che quel termine ‘il giorno dopo’ andava interpretato come ‘un giorno, in seguito, i due discepoli del Battista lo videro e lo seguirono…’ e che, per quanto concerne il ruolo di Andrea nella presentazione di Simone a Gesù, quella era stata in sostanza una piccola ‘bugia’ di Giovanni. Bugia detta comunque a fin di bene, a comprova tuttavia della bontà di Giovanni.
Gesù spiega infatti che l’evangelista, ‘a futura memoria’ dei posteri, aveva voluto attribuire nel suo vangelo non a se stesso ma ad Andrea il ‘merito’ della presentazione di Simone a Gesù perché Andrea era uomo dalle grandissime doti morali, spirituali e dalle grandi capacità di apostolato, svolto spesso in maniera oscura, ma non sapeva né voleva farsi adeguatamente valere ed apprezzare dai suoi amici e compagni di fede a causa della sua timidezza e umiltà.
Questa che segue è dunque la ‘sequenza’ dei fatti come si sono svolti e che – dopo essermi un pochino arrovellato con alcuni passi dei testi valtortiani - ho ricostruito, ricavandoli da piccoli particolari che emergono qui e là da un attento esame ‘incrociato’ di ben cinque capitoli (Capp. 45/49) dell’Opera.
Serviranno anche ad inquadrare meglio un episodio, quello del battesimo al Giordano, che i nostri Renan & C. - visto che vi si dice che quel Gesù è…Dio, in quanto Figlio di Dio - pretendono esser stato inventato di sana pianta, , per non parlare poi del concetto trinitario (Padre, Figlio e Spirito Santo) che essi negano ma che fa proprio in questo episodio il suo ingresso trionfale nei vangeli con il Padre che si manifesta dai Cieli tuonando che quello è il suo Figlio diletto e con lo Spirito Santo che appare sul capo di Gesù sotto forma di colomba della pace.
Giacomo e suo fratello Giovanni erano discepoli del Battista e, nei periodi liberi dalla pesca, erano soliti scendere dalla Galilea verso la Giudea, direzione Gerusalemme, per ascoltare il Battista che predicava in Giudea e battezzava in una zona in prossimità del Giordano antistante la Perea, la quale ultima era però al di là del fiume.
E’ durante uno di quei loro viaggi che essi assistono al battesimo di Gesù ed ascoltano le parole di Giovanni che lo addita con quel ‘Ecco l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo…’.
A questo episodio è presente anche Andrea perché ce lo dice Giovanni nel suo Vangelo, ma – e qui ce lo dicono le visioni di Maria Valtorta - sono presenti anche Giacomo e – lo abbiamo appreso dal suo racconto testimonianza che abbiamo appena letto – lo stesso Matteo che era un pubblicano ‘peccatore’ ma che si sentiva evidentemente affascinato dalla predicazione di Giovanni Battista. Forse – compaesani - erano tutti partiti in gruppo da Cafarnao.
Dopo i quaranta giorni di Gesù nel deserto, mentre Gesù si avvia verso la Galilea per tornare a Cafarnao, Giovanni e Giacomo transitano nuovamente nello stesso posto.
Non c’è più la folla del Battista perché questi era stato nel frattempo arrestato da Erode che lo aveva fatto rinchiudere nel carcere di Macheronte.
Giovanni e Giacomo erano reduci appunto da Macheronte, dove erano andati a cercar notizie nella speranza di una sua liberazione, e stavano ora tornando sfiduciati verso la Galilea.
Giovanni riconosce in lontananza quel Gesù di quaranta giorni prima che, provenendo dal deserto, stava anch’egli prendendo la stessa strada verso la Galilea. Lo segue, invitando il fratello Giacomo ad accelerare il passo, e raggiuntolo – orfani ormai del Battista imprigionato – essi invitano Gesù a prenderli con sé come suoi discepoli, visto che sapevano ormai che il Messia era lui, avendolo testimoniato la volta precedente lo stesso Battista.
E insieme, i tre, si dirigono verso la Galilea, un viaggio a piedi di qualche giorno e giungono a Cafarnao.
Gesù aveva preso casa lì, presso dei cugini del suo padre putativo Giuseppe, ed invita i due nuovi discepoli a casa sua, approfittandone per impartire ulteriori rudimenti degli insegnamenti già fatti loro conoscere chiaccherando durante il viaggio a piedi.
I due resteranno da lui tutto un giorno ed è solo all’indomani che – salvo miei errori nell’esame del testo valtortiano - Giovanni e Giacomo si presenteranno da Andrea e Simone, appena tornati dalla pesca, per invitarli a venire a conoscere quel Messia che Andrea aveva già intravisto quella prima volta al battesimo del Giordano ma che – tornato Gesù a Cafarnao da quel viaggio - egli a distanza di tempo non aveva ora riconosciuto come la stessa persona.
I quattro decideranno a quel punto di andare ad ascoltare una ‘omelìa’ del Messia che si sapeva avrebbe parlato nella sinagoga di Cafarnao e Pietro farà finalmente la conoscenza di Gesù.
4.5 La misteriosa peccatrice senza nome, anzi con tre nomi, e il ‘rebus’ delle due case…
Ma, ritornando ora a Matteo, è solo dopo l’episodio della sua ‘chiamata’ che il gruppo apostolico, ormai al completo con gli altri apostoli che nel frattempo si sono aggiunti, si trova a veleggiare con due barche sul Lago di Tiberiade e – rischiando una collisione – ‘incrocia’ per la prima volta Maria, la sorella di Lazzaro, la famosa peccatrice.
Dai vangeli a dire il vero non risulta che la sorella di Lazzaro fosse una peccatrice, nel senso che gli evangelisti non lo dicono, e poi ne spiegheremo il perché.
La Maria di Lazzaro di cui parlano i vangeli è quella che vediamo nella casa di Betania mentre ascolta estasiata Gesù che parla, rimproverata dalla sorella Marta, ed è anche quella che – sei giorni prima della Pasqua ebraica, sempre a Betania - gli ungerà i piedi di unguento asciugandoglieli con i propri capelli. Una santa, in sostanza.
Poi però nei vangeli si parla ancora di una Maria, una Maria Maddalena (cioè di Magdala) che era stata ‘posseduta da sette demoni’ ma che lo seguiva come discepola e che anzi era stata la prima a vedere Gesù risorto.
Non si dice che le due Marie sono la stessa persona, come invece si capisce dalla Valtorta la quale ci fa vedere anzi che le ‘Marie’ sono tre in una, perché la nostra mistica spiega che è lei anche quella famosa ignota peccatrice dei vangeli (Lc 7, 36-50) che ad un certo punto irrompe nella casa del fariseo Simone, che aveva invitato a pranzo Gesù, ai cui piedi si prostra ai piedi piangente chiedendo perdono per i suoi peccati.
Come mai gli evangelisti tacciono sul fatto che la ‘posseduta’ e quell’altra peccatrice della casa del fariseo, definita ‘ben conosciuta nella città’, sono la stessa persona, e cioè Maria di Lazzaro?
Ma è elementare, Watson!
Potevano mai dire che quella gran peccatrice era la sorella del loro grande protettore e del più grande amico di Gesù, amico al punto da meritare la più grande resurrezione che la storia ricordi?
Gli apostoli non erano certo opportunisti, ma amavano molto Lazzaro e non volevano – evidenziando le originarie scarse virtù della sorella - che i vangeli perpetuassero una memoria di vergogna che Lazzaro aveva sofferto oltre l’immaginabile.
E poi volevano molto bene anche alla convertita, che era nel frattempo diventata veramente una santa, come ce la presentano infatti quando parlano di lei in casa di Lazzaro.
Ricapitolando, Lazzaro aveva dunque due sorelle, Marta e Maria.
La prima… una brava donna, pia, la seconda sappiamo ormai che era una dissoluta, bellissima.
Maria era lo scandalo della famiglia, infangava l’onore di Lazzaro e soprattutto la memoria dei genitori e di sua madre, che era stata una specie di santa.
Era indipendente, intelligente, volitiva, passionale, ed infatti concedeva i suoi ‘favori’ ai suoi amici altolocati, romani, greci o giudei che fossero.
Lazzaro ne soffriva tremendamente, gli era quasi venuta una nevrosi e se ne stava ritirato a Betania non solo perché aveva già cominciato ad essere ammalato della malattia che ancor relativamente giovane lo avrebbe poi portato alla morte (una sorta di cancrena quasi simile ad una forma di lebbra che sarebbe partita dalle gambe) ma anche perché per via della sorella si vergognava a frequentare gli ambienti ‘bene’ di Gerusalemme, molto ‘farisaici’.
Tuttavia – anche in memoria della madre – egli amava tantissimo quella sorella più piccola che lui aveva fatto crescere come un padre, la sua pecorella smarrita.
Se mai Lazzaro avesse saputo in anticipo quale miracolo poter chiedere un giorno a Gesù non avrebbe chiesto – come non chiese - la propria resurrezione fisica ma quella spirituale della sorella.
Ma ad un certo punto, dopo aver conosciuto Gesù e dopo aver avuto le solite notizie recenti sulle ‘scorribande’ amorose della sorella, Lazzaro e la sorella Marta si fanno coraggio e chiedono questa ‘grazia’ della conversione a Gesù, e Gesù gliela promette.
Quello della Maddalena sarà a partire da quel momento un percorso spirituale lento ma che diventerà ad un certo punto una piena travolgente che rompe gli argini di quella diga del suo cuore duro.5
Proprio a lei Gesù dedicherà - così come egli la racconta splendidamente nel ‘vangelo’ di Maria Valtorta – una delle parabole più toccanti in assoluto, quella della pecorella smarrita e ritrovata, che nell’opera valtortiana risplenderà - ormai lo avrete capito anche voi - di una luce ben diversa da quella essenziale e scarna con cui la illuminano i resoconti asettici dei vangeli.
Maria, affascinata dalla spiritualità di Gesù che lei aveva già fugacemente intravisto durante una gita in barca sul lago di Tiberiade, comincerà a riflettere, a soppesare la sua vita, i dolori dati alla propria famiglia, in particolare a suo fratello, e le offese alla memoria dei genitori.
Ella – mentre la Grazia del Signore comincia ad operare misteriosamente dentro di lei – inizierà ad entrare in una lunga crisi spirituale, divenuta ormai consapevole e disgustata dalla miseria della vita che stava conducendo.
E comincerà ad andare ad ascoltare in incognito - nascosta fra la folla - i discorsi di Gesù.
Quella ‘peccatrice’ che si permetterà di entrare senza permesso nella casa del fariseo, evidentemente una donna autoritaria per censo e ricca per via di quel suo vaso di alabastro pieno di profumo prezioso, che gli laverà i piedi con le sue lacrime, che glieli asciugherà con i suoi lunghi capelli, che glieli ungerà in segno di devozione, sarà appunto Maria di Lazzaro una volta che il suo pentimento, ed il dolore, saranno diventati incontenibili, come la sua richiesta di perdono.
E Gesù le concederà il perdono.
Ma al ‘Watson’ di turno, e cioè al razionalista dubbioso che non si accontenta delle visioni di una Valtorta, fornirò ora io un indizio determinante che è come una prova che inchioda la…colpevole.
In questa casa del fariseo (Lc 7, 36-50) la ignota ‘nota peccatrice’ lascia le sue ‘impronte digitali’, compie cioè gli stessi identici atti rivelatori che la ‘tradiscono’ essere esattamente la stessa persona che nella casa di Betania ungerà il Messia pochi giorni prima della sua crocifissione.
Anche in quest’ultimo episodio Matteo e Marco raccontano che - mentre Gesù si trovava a Betania, in casa di Simone il lebbroso – gli si avvicina ‘una donna’, la quale con un profumo di gran valore tratto da un vaso d’alabastro unge il capo di Gesù che – semisdraiato alla moda di quei tempi su una sorta di sedile lettuccio – se ne stava a tavola.6
I due evangelisti anche qui – come nel caso della ‘peccatrice’ nella casa del fariseo di cui aveva narrato Luca – non fanno il nome della donna anche ora che potrebbero perchè la tentazione di tacere il suo nome è ormai radicata in loro ed il gesto della donna, per la rigida e bigotta moralità ebraica di allora, avrebbe anche potuto apparire ai futuri lettori del vangelo - specie di cultura giudea - un pochino ‘lascivo’ e ‘sconveniente’.
Sarà invece l’evangelista Giovanni che - ben altrimenti illuminato e consapevole della grandezza della figura di Maria, sia nel peccato che quindi ancor più nella conversione - romperà mezzo secolo dopo il ‘segreto’ con il suo Vangelo, dicendo chiaramente che la donna in casa di Lazzaro, in quella cena a Betania sei giorni prima della Pasqua, quella che ungerà a Gesù non solo il capo ma anche i piedi, asciugandoglieli per di più con i propri capelli, era proprio Maria, lei, Maria, la sorella di Marta e Lazzaro.
E Maria, come già detto, compirà infatti a Betania gli stessi gesti compiuti da quella peccatrice in casa del fariseo un paio d’anni prima, peccatrice che la Valtorta – in quella sua visione del fariseo – ci conferma oltre ogni dubbio essere proprio la Maria di Lazzaro, alias Maria Maddalena, alias Maria di Magdala.
Dalle visioni di Maria Valtorta apprendiamo infatti che Maria, sorella di Lazzaro, aveva anche una residenza di campagna a Magdala, vicina a Cafarnao, sul Lago di Tiberiade sulle cui acque l’avrebbe incontrata la prima volta Gesù, dove si era trasferita a vivere dopo aver lasciato Gerusalemme per via degli scandali e del fratello.
In casa del fariseo a Cafarnao quello di Maria fu un gesto di umiliazione pubblica e di pentimento.
A Betania sarà invece un atto di amore per il suo Dio, una unzione anticipata di quel Messia - Liberatore di Lei prima ancora che dell’Umanità - che di lì a pochi giorni si sarebbe immolato sulla Croce e che ancora sarebbe stato ‘unto’ per l’ultima volta nel sepolcro dalle pie donne di cui parlano i vangeli.
Ardente nell’amore sensuale , essa - da convertita – lo sarà invece nello spirituale, e diventerà una ‘colonna’ del gruppo apostolico.
Divenuta ‘prima’ nel sostenere il gruppo nelle esigenze…economiche, prima, per coraggio, fra le donne sulla strada del Calvario e vicino alla croce, prima con Maria SS. al Sepolcro, prima al Sepolcro dopo la Resurrezione, prima infine del gruppo apostolico alla quale si manifesterà il Gesù Risorto quando lei, cadendo in ginocchio, gli griderà ‘Rabboni’, cioè Maestro.
I quattro Vangeli ufficialmente non dicono niente sulla sua sorte, ma la Tradizione vuole che - dopo la fuga dei primi cristiani per le persecuzioni in Giudea - essa fosse andata in Francia con Lazzaro ed è lì che la ritroverà infatti Maria Valtorta in un’altra delle sue visioni, l’ultima che la riguarda.
Lei, Maria Maddalena , aveva chiesto – in previsione della dipartita di Gesù dalla terra - il ‘dono’ della sofferenza di ‘vittima’ per espiare i propri peccati e contraccambiare la Grazia della salvezza concessagli da Gesù con quel miracolo della sua conversione.
E Gesù le concederà la sofferenza per salvare altri peccatori, ma non la sofferenza che deriva da malattie fisiche, bensì la ‘Sofferenza d’amore’.
La mistica Valtorta, in una visione di straordinaria bellezza, delicatezza ed intensità di pathos, la rivedrà dunque penitente in una grotta - ormai oltre la sessantina, scarna, con il volto scavato dalla vita ascetica ma nel quale si intravvede ancora la antica bellezza nobilitata dalla spiritualità - mentre, sentendosi ormai prossima a morire, lei invoca il nome del suo Gesù.
E’ una visione bellissima.
E Gesù - dopo tanti anni - le appare innanzi all’improvviso nel trionfo del suo corpo glorificato di Risorto, le sorride, le si avvicina, la conforta, le dice che Lui, anche dal Cielo, le è stato sempre vicino e riconoscente per quel suo amore che lei gli aveva dimostrato sulla terra dandogliene in particolare testimonianza anche con l’unzione di quella cena nella sua casa di Betania, sei giorni prima della sua morte.
E per quell’atto di amore che lei gli aveva tributato alla soglia della propria morte ora Lui, Gesù – anziché mandare il suo angelo a raccogliere la sua anima - veniva personalmente a renderle amore alla soglia della sua morte.
Gesù obbliga dolcemente Maria di Magdala a coricarsi sul suo giaciglio e la ricompone come nell’ultimo sonno. La santa, con il viso rigato di lacrime, va in estasi e sembra addormentarsi, mentre Gesù scompare.
Si alza a sedere solo quando nella grotta compare il fulgore di un Angelo con un calice che viene a comunicarla.
Lei si inginocchia davanti al lettuccio, china il capo, le mancano le forze, vi si adagia con il volto fra le foglie e, nell’estasi, muore...
Ma per ritornare a quella cena di Betania, dalle visioni di Maria Valtorta sarà possibile anche intuire il perché della apparente contraddizione dei testi evangelici in merito alle due case di cui essi parlano in occasione di quella cena.
A proposito delle case, Matteo e Marco dicono infatti che il gruppo apostolico – la settimana prima dell’ultima Pasqua – si trovava a Betania a casa di Simone il lebbroso (che poi era Simone detto anche Zelote).
Giovanni dice anch’egli che gli apostoli erano a Betania, dove era Lazzaro, ma precisa che a cena era Marta quella che serviva in tavola, lasciando così dedurre che lei fosse la ‘padrona di casa’ ed essi fossero quindi tutti ospiti in casa di Lazzaro, che infatti era seduto a tavola accanto a Gesù.
Ma allora gli apostoli erano in casa di Simone il lebbroso o di Lazzaro?
Dall’opera valtortiana si apprenderà che gli apostoli erano in tutte e due le case, perché queste in effetti erano vicine, anzi confinanti e una, già di proprietà di Simone era stata poi acquistata da Lazzaro.
Simone e Lazzaro – come già accennato - erano infatti amici sin dall’infanzia.
Simone – che a causa della sua malattia simile alla lebbra secondo le norme igieniche ebraiche era stato colpito da un bando di espulsione dalla società - era rimasto a lungo relegato in un lazzaretto e, guarito miracolosamente da Gesù, aveva chiesto all’amico Lazzaro di vendergli la casa per recuperare un po’ di soldi.
Lazzaro, di nobili sentimenti, aveva fatto finta di venderla ad un acquirente dicendo che questi voleva rimanere sconosciuto, e gli aveva dato i soldi della presunta vendita, ma in seguito - vedendo che la casa sarebbe stata utile per le necessità dell’amico e dell’intero gruppo apostolico - gliel’aveva restituita senza voler indietro il denaro, che ormai Simone avrebbe avuto difficoltà a restituirgli.
Ed era lì nella casa di ‘Simone il lebbroso’ che il gruppo apostolico – incluso Maria SS. e le altre donne al seguito del gruppo che saranno poi al Calvario – si era stabilito appena arrivato da Gerico, sei giorni prima della Pasqua, ma è in casa di Lazzaro, ospite, che Gesù e gli apostoli vengono invitati poi a cena quando Gesù viene unto, il resto delle donne avendo preferito rimanersene per conto proprio nell’altra casa di Simone.
Lazzaro - pur rispettando il desiderio di Maria SS. di starsene più in disparte nell’altra casa con le altre donne - aveva voluto che Gesù non lo privasse dell’onore di essere ospite a cena nella propria casa, con il pranzo preparato dalla servitù ma ‘servito’ dalle…due sorelle e soprattutto – come ricorda bene Giovanni – da Marta, nota per la sua ‘operosità’.
4.6 Vi do le linee essenziali del vostro carattere di apostoli…
Ma la Maria di Magdala che vedremo qui7 in barca sul Lago di Tiberiade, è però ancora lontana – come si capirà – da quella conversione che Lazzaro avrebbe tanto desiderato.
98. Incontro con la Maddalena sul lago e lezione ai discepoli presso Tiberiade.
5 febbraio 1945.
Gesù con tutti i suoi - ormai sono in tredici - più Lui sono, sette per barca, sul lago di Galilea. Gesù è nella barca di Pietro, la prima, insieme a Pietro, Andrea, Simone, Giuseppe e i due cugini. Nell'altra sono i due figli di Zebedeo con gli altri, ossia l'Iscariota, Filippo, Tommaso, Natanaele e Matteo.
Le barche veleggiano svelte, spinte da un vento fresco di borea, che appena increspa l'acqua in tante rughettine, appena sottolineate da un filo di spuma che fa un tulle sull'azzurro di turchese del bel lago sereno. Vanno, lasciandosi dietro due scie che alle basi si baciano, confondendo le loro spume gioconde in un unico riso di acque, perché vanno quasi di conserva, quella di Pietro appena più avanti di un due metri.
Da barca a barca, lontane pochi metri l'una dall'altra, si scambiano parole e commenti. Da questi arguisco che i galilei illustrano e spiegano ai giudei i punti del lago, i loro commerci, le personalità che vi abitano, le distanze dal luogo di partenza e di arrivo, ossia Cafarnao e Tiberiade. Le barche non pescano, sono solo adibite a trasporto delle persone.
Gesù è seduto a prua e gode visibilmente della bellezza che lo circonda, del silenzio, di tutto quell'azzurro puro di cielo e di acque a cui fanno anello sponde verdi, disseminate di paesi tutti bianchi fra il verde. Si astrae dai discorsi dei discepoli, molto in avanti sulla prora, quasi sdraiato su un fascio di vele, a capo sovente chino su quello specchio di zaffiro che è il lago, come studiasse il fondale e si interessasse di quanto vive in quelle acque limpidissime. Ma chissà a cosa pensa...
Pietro lo interroga due volte per sapere se il sole - che ormai, alzato del tutto da oriente, prende in pieno la barca nel suo raggio, non ancor rovente ma già caldo - lo disturbi; un'altra volta gli dice se vuole anche Lui pane e cacio come gli altri. Ma Gesù non vuole nulla, né tenda né pane. E Pietro lo lascia in pace.
Un gruppetto di piccole barche da diporto, quasi scialuppe, ma tutte ricche di baldacchini porpurei e di morbidi cuscini, taglia per traverso la strada alle barche dei pescatori. Suoni, risate, profumi passano con esse.
Sono piene di belle donne e di gaudenti romani e palestinesi, ma più romani, o per lo meno non palestinesi, perché qualcuno deve essere greco; almeno così arguisco dalle parole di un giovane magro, snello, bruno come un'uliva quasi matura, tutto azzimato in una corta veste rossa, limitata da una pesante greca al fondo e tenuta alla vita da una cintura che è un capolavora di orafo.
Dice: «Ellade è bella! Ma neppur la olimpica mia patria ha questo azzurro e questi fiori. E, invero, non stupisce che le dee l'abbiano abbandonata per qui venire. Sfogliamo sulle dee, non più greche ma giudee, i fiori, le rose e gli omaggi... ». E sparge sulle donne della sua barca i petali di splendide rose, e altre ne getta nella barca vicina.
Risponde un romano: « Sfoglia, sfoglia, greco! Ma Venere è con me. Io non sfoglio, io colgo le rose su questa bella bocca. E' più dolce! ». E si china a baciare, sulla bocca aperta al riso, Maria di Magdala, semisdraiata sui cuscini e col capo biondo in grembo al romano.
Ormai le barchette sono proprio contro alle barche pesanti, e sia per imperizia dei vogatori, sia per giuoco di vento, per poco non cozzano.
« State attenti, se vi preme la vita » urla Pietro inferocito mentre vira, dando un colpo di barra, per evitare il cozzo. Insulti di uomini e grida di spavento delle donne vanno da barca a barca.
I romani insultano i galilei dicendo: « Scansatevi, cani d'ebrei che siete ».
Pietro e gli altri galilei non lasciano cadere l'insulto e Pietro specialmente, rosso come un galletto, ritto proprio sul bordo della barca che beccheggia fortemente, con le mani sui fianchi, risponde per le rime, non risparmiando né romani, né greci né ebrei, né ebree.
Anzi a queste dedica tutta una collana d’appellativi onorifici che lascio nella penna.
Il battibecco dura finché il groviglio di chiglie e di remi non si è dipanato, e ognuno va per la sua via.
Gesù non ha mai cambiato posizione. E' rimasto seduto assente, senza sguardi né parole per le barche e i loro occupanti. Appoggiato su un gomito, ha continuato a guardare la sponda lontana come nulla accadesse. Gli viene gettato anche un fiore. Non so da chi, certo da una donna, perché sento una risatina femminile accompagnare l'atto. Ma Lui... niente. Il fiore lo colpisce quasi sul volto e casca sulle tavole, finendo sotto ai piedi del bollente Pietro.
Quando le barchette stanno per allontanarsi, vedo che Maddalena si alza in piedi e segue la traccia che le indica una compagna di vizio, ossia appunta i suoi occhi splendidi sul volto sereno e lontano di Gesù. Quanto lontano dal mondo quel volto!...
« Di', Simone! » interpella l'Iscariota.. « Tu che sei giudeo come me, rispondi. Ma quella bellissima bionda in grembo al romano, quella che si è alzata in piedi poco fa, non è la sorella di Lazzaro di Betania? ».
« Non so nulla io » risponde asciutto Simon Cananeo. « Sono tornato fra i vivi da poco e quella donna è giovane... ».
« Non mi vorrai dire che tu non conosci Lazzaro di Betania, spero! So bene che gli sei amico e ci sei stato anche col Maestro ».
« E se ciò fosse? ».
« E posto che ciò è, dico io, tu devi conoscere anche la peccatrice che è sorella di Lazzaro. La conoscono anche le tombe! E' dieci anni che fa parlare di sé. Ha incominciato ad esser leggera appena fu pubere. Ma da oltre quattro anni! Non puoi ignorare lo scandalo, anche se eri nella " valle dei morti ". Ne parlò tutta Gerusalemme. E Lazzaro si è rinchiuso allora a Betania... Ha fatto bene, del resto. Nessuno avrebbe più messo piede nel suo splendido palazzo di Sionne, dove anche lei andava e veniva. Intendo dire: nessuno che fosse santo. In campagna... si sa!... E poi, ormai lei è da per tutto, fuorché a casa sua... Ora certo è a Magdala... Sarà in qualche nuovo amore... Non rispondi? Puoi smentirmi? ».
« Non smento. Taccio ».
« Allora è lei? Anche tu l'hai riconosciuta! ».
« L'ho vista bambina, e pura, allora. La rivedo ora... Ma la riconosco. Impudicamente ripete l'effigie della madre sua, una santa ».
«E allora perché quasi negavi che il tuo amico l'avesse per sorella? ».
« Le nostre piaghe, e quelle di coloro che amiamo, si cerca di tenerle coperte. Specie quando si è onesti ».
Giuda ride verde.
« Dici bene, Simone. E tu sei un onesto » osserva Pietro.
« E tu l'avevi riconosciuta? A Magdala, a vendere il tuo pesce, ci vai certo, e chissà quante volte l'hai vista!... ».
« Ragazzo, sappi che quando si ha le reni stanche di un onesto lavoro, le femmine non fanno più voglia. Si ama solo il letto onesto della nostra sposa ».
« Eh! ma la roba bella piace a tutti! Almeno, non foss'altro, si guarda ».
« Perché? Per dire: " Non è cibo per la tua mensa "? No, sai. Dal lago e dal mestiere ho imparato diverse cose, e una è questa: che pesce d'acqua dolce e di fondale non è fatto per acqua salsa e corso vorticoso ».
« Vuoi dire? ».
« Voglio dire che ognuno deve stare al suo posto, per non morire in malo modo ».
« Ti faceva morire la Maddalena? ».
« No. Ho cuoio duro. Ma... me lo dici: ti senti male tu, forse? ».
« Io? Oh! non l'ho neppur guardata!...».
« Bugiardo! Scommetto che ti sei roso per non essere su questa prima barca e averla più vicina... Avresti sopportato anche me per esser più vicino... Tanto è vero quel che dico, che mi onori della tua parola, in grazia sua, dopo tanti giorni di silenzio ».
« Io? Ma se non sarei stato neppur visto! Guardava continuamente il Maestro, lei! ».
« Ah! Ah! Ah! e dice che non la guardava! Come hai fatto a vedere dove guardava, se non la guardavi? ».
Ridono tutti, meno Giuda, Gesù e lo Zelote, all'osservazione di Pietro.
Gesù pone termine alla discussione, che ha mostrato di non udire, chiedendo a Pietro: « Quella è Tiberiade? ».
« Sì, Maestro. Ora faccio l'accostata ».
« Attendi. Puoi metterti in quel seno quieto? Vorrei parlare a voi soltanto ».
« Misuro il fondo e te lo so dire ».
E Pietro cala una lunga pertica e va lento verso riva.
« Si può, Maestro. Vado ancora contro sponda? ».
« Il più che puoi. C'è ombra e solitudine. Mi piace ».
Pietro va fin sotto riva. La terra è lontana al massimo un quindici metri. « Ora toccherei ».
« Ferma. E voi venite accosto più che potete e udite ».
Gesù lascia il suo posto e viene a sedersi al centro della barca, su una panchetta che va da sponda a sponda. Di fronte ha l'altra barca, intorno gli altri della sua.
« Udite. Vi parrà che lo mi astragga talora dai vostri discorsi e sia perciò un maestro infingardo che non sorveglia la propria scolaresca. Sappiate che l'anima mia non vi lascia un momento. Avete mai visto un medico che studia uno malato di un male ancora incerto e di contrastanti sintomi?
Lo tiene d'occhio, dopo averlo visitato, lo sorveglia, e nel sonno e nella veglia, al mattino e alla sera, e nel silenzio e nel parlare, perché tutto può esser sintomo e guida a decifrare il morbo nascosto e ad indicare una cura. Lo stesso faccio Io con voi.
Vi tengo con fili invisibili, ma sensibilissimi, che si innestano in Me e mi trasmettono le anche più lievi vibrazioni del vostro io. Vi lascio credere di esser liberi, perché vi palesiate sempre più per quello che siete, cosa che avviene quando uno scolaro, o un maniaco, si crede perso di vista dal sorvegliante.
Voi siete un gruppo di persone, ma formate un nucleo, ossia una cosa sola. Perciò siete un complesso che si forma a ente e che va studiato nelle singole sue caratteristiche, più o meno buone, per formarlo, amalgamarlo, smussarlo, accrescerlo nei lati poliedrici e farne un unico "che" perfetto. Perciò Io vi studio. E studio su voi anche mentre voi dormite.
Cosa siete voi? Cosa dovete divenire? Voi siete il sale della terra. Tali dovete divenire: sale della terra. Con il sale si preservano le carni dalla corruzione e con la carne molte altre derrate. Ma potrebbe il sale salare se non fosse salato? Con voi lo voglio salare il mondo per renderlo insaporito di sapor celeste. Ma come potete salare se mi perdete voi sapore?
Cosa vi fa perdere sapore celeste? Ciò che è umano. L'acqua del mare, del vero mare, non è buona a bere tanto è salata, non è vero?
Eppure, se uno prende una coppa di acqua di mare e la getta in un'idria di acqua dolce, ecco che può bere, perché l'acqua di mare è tanto diluita che ha perso il suo mordente.
L'umanità è come l'acqua dolce che si mescola alla vostra salsedine celeste. Ancora, se per un supposto si potesse derivare un rio dal mare e immetterlo nell'acqua di questo lago, potreste poi voi ritrovare quel filo di acqua salata? No. Si sarebbe perso in tanta acqua dolce. Così avviene di voi quando immergete la vostra missione, meglio: la sommergete, in tanta umanità.
Siete uomini. Sì. Lo so. Ma, e lo chi sono? lo sono Colui che ha seco ogni forza. E che faccio Io? Io vi comunico questa forza poi che vi ho chiamati. Ma che giova che Io ve la comunichi se voi la disperdete sotto valanghe di senso e di sentimenti umani?
Voi siete, dovete essere, la luce del mondo. Vi ho scelti, Io, Luce di Dio, fra gli uomini, per continuare ad illuminare il mondo dopo che Io sarò tornato al Padre. Ma potete voi dare luce se siete lanterne spente o fumose? No, che anzi col vostro fumo - peggio è il fumo ambiguo all'assoluta morte di un lucignolo - voi offuschereste quel barlume di luce che ancora possono avere i cuori. Oh! miseri quelli che cercando Dio si rivolgeranno agli apostoli e in luogo di luce avranno fumo! Scandalo e morte ne avranno. Ma maledizione e castigo ne avranno gli apostoli indegni. Grande sorte la vostra! Ma anche grande, tremendo impegno! Ricordatevi che colui a cui più è dato, più è tenuto a dare.
E a voi il massimo è dato, di istruzione e di dono. Siete istruiti da Me, Verbo di Dio, e ricevete da Dio il dono di essere " i discepoli ", ossia i continuatori del Figlio di Dio. Io vorrei che voi meditaste sempre questa vostra elezione, e ancor vi scrutaste, e ancor vi pesaste... e se uno sente di esser atto ad esser fedele - non voglio neppur dire: se uno non si sente che peccatore e impenitente; dico solo: se uno si sente atto ad esser solo un fedele - ma non sente in sé nerbo di apostolo, si ritiri.
Il mondo, per chi è amante di esso, è tanto vasto, bello, sufficiente, vario! Offre tutti i fiori e tutti i frutti atti al ventre e al senso. lo non offro che una cosa: la santità. Questa, sulla terra, è la cosa più angusta, povera, erta, spinosa, perseguitata che esista. Nel Cielo la sua angustia si muta in immensità, la sua povertà in ricchezza, la sua spinosità in tappeto fiorito, il suo esser erta in sentiero liscio e soave, la sua persecuzione in pace e beatitudine. Ma qui è fatica da eroe esser santi. Io non vi offro che questo.
Volete voi rimanere con Me? Non vi sentite di farlo? Oh! non vi guardate stupiti o addolorati! Mi sentirete fare ancora molte volte questa domanda. E quando la sentirete, pensate che il mio cuore nel farla piange, perché è ferito dalla vostra sordità alla vocazione. Esaminatevi, allora, e poi giudicate con onestà e sincerità, e decidete. Per non essere dei reprobi, decidete. Dite: "Maestro, amici, io conosco di non essere fatto per questa via. Vi do bacio di commiato e vi dico: pregate per me”. Meglio così che tradire. Meglio così...
Che dite? Chi tradire? Chi? Me. La mia causa, ossia la causa di Dio - perché Io sono uno col Padre - e voi.
Sì. Vi tradireste. L'anima vi tradireste, dandola a Satana. Volete rimanere ebrei? Ed lo non vi forzo a cambiare. Ma non tradite. Non tradite la vostra anima, il Cristo, e Dio. Io vi giuro che né Io, né i fedeli a Me vi criticheranno, né vi additeranno allo sprezzo delle turbe fedeli. Poco fa un vostro fratello ha detto una grande parola: " Le nostre piaghe e quelle di coloro che amiamo si cerca di tenerle nascoste ". E colui che si separerebbe sarebbe una piaga, una cancrena che, nata nel nostro organismo apostolico, si staccherebbe per cancrena completa, lasciando un segno doloroso che con ogni cura terremmo nascosto.
No. Non piangete, o voi migliori. Non piangete. lo non vi porto rancore, né sono intransigente per vedervi così tardi. Siete appena presi e non posso pretendere che siate perfetti. Ma non lo pretenderò neppure fra anni, dopo aver detto cento e duecento volte le stesse cose inutilmente. Anzi, udite, fra anni sarete, almeno alcuni, meno ardenti di ora che siete neofiti. La vita è così... l'umanità è così... Perde lo slancio dopo il primo balzo. Ma (Gesù si alza di scatto) ma Io vi giuro che Io vincerò. Depurati per natural selezione, fortificati da soprannaturale mistura, voi migliori diverrete i miei eroi. Gli eroi del Cristo. Gli eroi del Cielo. La potenza dei Cesari sarà polvere rispetto alla regalità del vostro sacerdozio. Voi, poveri pescatori di Galilea, voi ignoti giudei, voi, numeri fra la massa degli uomini presenti, sarete più noti, acclamati, venerati di Cesare e di tutti i Cesari che ebbe e avrà la terra. Voi noti, voi benedetti in un prossimo futuro e nel più remoto dei secoli, sino alla fine del mondo.
A questa sublime sorte Io vi eleggo. Voi che siete onesti nella volontà.
E, perché di essa siate capaci, vi do le linee essenziali del vostro carattere di apostoli.
Esser sempre vigili e pronti. I vostri lombi siano cinti, sempre cinti, e le vostre lampade accese come è di coloro che da un attimo all'altro devono partire o correre incontro ad un che arriva. E infatti voi siete, voi sarete, sin che la morte vi fermi, gli instancabili pellegrini alla ricerca di chi è errante; e finché la morte la spenga, la vostra lampada deve esser tenuta alta e accesa per indicare la via agli sviati che vengono verso l'ovile di Cristo.
Fedeli dovete essere al Padrone che vi ha preposti a questo servizio. Sarà premiato quel servo che il Padrone trova sempre vigilante e che la morte sorprende in stato di grazia.
Non potete, non dovete dire: " lo sono giovane. Ho tempo di fare questo e quello, e poi pensare al Padrone, alla morte, all'anima mia". Muoiono i giovani come i vecchi, i forti come i deboli. E all'assalto della tentazione sono vecchi e giovani, forti e deboli, ugualmente soggetti.
Guardate che l'anima può morire prima del corpo e voi potete portare, senza sapere, in giro un'anima putrida. E' così insensibile il morire di un'anima! Come la morte di un fiore. Non ha grido, non ha convulsione... china solo la sua fiamma come corolla stanca, e si spegne. Dopo, molto dopo talora, immediatamente dopo talaltra, il corpo si accorge di portare dentro un cadavere verminoso, e diviene folle di spavento, e si uccide per sfuggire a quel connubio... Oh! non sfugge! Cade proprio con la sua anima verminosa su un brulicare di serpi nella Geenna.
Non siate disonesti come sensali o causidici che parteggiano per due opposti clienti, non siate falsi come i politicanti che dicono " amico " a questo e a quello, e poi sono di questo e di quello nemici. Non pensate di agire in due modi. Dio non si irride e non si inganna. Fate con gli uomini come fate con Dio, perché offesa fatta agli uomini è come fatta a Dio. Vogliate che Dio veda voi quali volete esser veduti dagli uomini.
Siate umili. Non potete rimproverare il vostro Maestro di non esserlo. Io vi do l'esempio. Fate come faccio. Umili, dolci, pazienti. Il mondo si conquista con questo. Non con violenza e forza. Forti e violenti siate contro i vostri vizi. Sradicateli, a costo di lacerarvi anche lembi di cuore. Vi ho detto, giorni sono, di vigilare gli sguardi. Ma non lo sapete fare. Io vi dico: meglio sarebbe diveniste ciechi con lo strapparvi gli occhi ingordi, anziché divenire lussuriosi.
Siate sinceri. Io sono Verità. Nelle eccelse come nelle umane cose. Voglio siate schietti voi pure. Perché andare con inganno o con Me, o coi fratelli, o con il prossimo? Perché giocare di inganno? Che? Tanto orgogliosi qual siete, e non avete l'orgoglio di dire: " Voglio non esser trovato bugiardo "? E schietti siate con Dio. Credete di ingannarlo con forme di orazione lunghe e palesi? Oh! poveri figli! Dio vede il cuore!
Siate casti nel fare il bene. Anche nel fare elemosina. Un pubblicano ha saputo esserlo prima della sua conversione. E voi non lo sapreste? Sì, ti lodo, Matteo, della casta offerta settimanale che Io e il Padre solo conoscevamo tua, e ti cito ad esempio. E' una castità anche questa, amici. Non scoprire la vostra bontà come non scoprireste una figlia giovinetta agli occhi di una folla. Siate vergini nel fare il bene. E' vergine l'atto buono quando è esente da connubio di pensiero di lode e di stima o da fomite di superbia.
Siate sposi fedeli della vostra vocazione a Dio. Non potete servire due padroni. Il letto nuziale non può accogliere due spose contemporaneamente. Dio e Satana non possono dividersi i vostri amplessi. L'uomo non può, e non lo possono né Dio né Satana, condividere un triplice abbraccio in antitesi fra i tre che se lo dànno.
Siate alieni da fame d'oro come da fame di carne, da fame di carne come da fame di potenza. Satana questo vi offre. Oh! le sue bugiarde ricchezze! Onori, riuscita, potere, dovizie: mercati osceni che hanno a moneta la vostra anima.
Siate contenti del poco. Dio vi dà il necessario. Basta. Questo ve lo garantisce come lo garantisce all'uccello dell'aria, e voi siete da ben più degli uccelli. Ma vuole da voi fiducia e morigeratezza. Se avrete fiducia, Egli non vi deluderà. Se avrete morigeratezza, il suo dono giornaliero vi basterà.
Non siate pagani, pur essendo, di nome, di Dio. Pagani sono coloro che, più che Dio, amano l'oro e il potere per apparire dei semidei. Siate santi e sarete simili a Dio nell'eternità.
Non siate intransigenti. Tutti peccatori, vogliate essere con gli altri come vorreste che gli altri con voi fossero: ossia pieni di compatimento e perdono.
Non giudicate. Oh! non giudicate! Da poco siete con Me, eppure vedete quante volte già Io, innocente, fui a torto mal giudicato e accusato di peccati inesistenti. Il mal giudizio è offesa. E solo chi è santo vero non risponde offesa ad offesa. Perciò astenetevi da offendere per non essere offesi. Non mancherete così né alla carità né alla santa, cara, soave umiltà, la nemica di Satana insieme alla castità.
Perdonate, perdonate sempre. Dite: " Perdono, o Padre, per essere da Te perdonato dei miei infiniti peccati ".
Miglioratevi d'ora in ora, con pazienza, con fermezza, con eroicità. E chi vi dice che divenire buoni non sia penoso? Anzi vi dico: è fatica più grande di tutte. Ma il premio è il Cielo e merita perciò consumarsi in questa fatica.
E amate. Oh! quale, quale parola devo dire per persuadervi all’amore? Nessuna ve ne è atta a convertirvi ad esso, poveri uomini che Satana aizza! E allora, ecco Io dico: " Padre, affretta l'ora del lavacro. Questa terra e questo tuo gregge è arido e malato. Ma vi è una rugiada che lo può molcere e mondare. Apri, apri la fonte di essa. Me apri, Me. Ecco, Padre. lo ardo di fare il tuo desiderio che è il mio e quello dell'Amore eterno. Padre, Padre, Padre! Guarda il tuo Agnello, e siine il Sacrificatore " ».
Gesù è realmente ispirato. Ritto in piedi, a braccia aperte a croce, il volto verso il cielo, coll'azzurro del lago di dietro, nella sua veste di lino, pare un arcangelo orante.
Mi si annulla il vedere su questo suo atto.
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Dopo l’incontro con la Maddalena sul lago e quella severa lezione impartita da Gesù agli apostoli, per via di quel loro comportamento davvero poco ‘apostolico’, Gesù tornerà a Nazareth dove – a seguito di un suo discorso alla sinagoga – sarà coinvolto in un rocambolesco episodio, come vedremo nel prossimo capitolo.
1 G.L.: “Il Vangelo del ‘grande’ e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. III, Cap. 1 – Edizioni Segno
2 G.L. “Il Vangelo di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Cap. 1 – Ed. Segno, 2001
3 M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Cap. 324.5 – Centro Editoriale Valtortiano
4 G.L.: “Il Vangelo del ‘grande’ e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. I, Cap. 2
5 G.L.: “Il Vangelo del ‘grande’ e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. I – Cap. 10 – Ed. Segno
6 G.L.: “Il Vangelo del ‘grande’ e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. III – Cap. 3 – Ed. Segno, 2000
7 M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato ‘ – Vol. II, Cap. 98 – Centro Ed. Valtortiano