(La Sacra Bibbia - Il Vangelo secondo Luca, Lc 3,1-6 e Matteo, Mt 3, 1-17 – Ed. Paoline, 1968)
(M.V. ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ Capp. 45 e 324.4 – Centro Ed. Valtortiano)
(G.L.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 1 – Ed. Segno)
1. Non mi limito più alla parola. Li stanca e li stacca. E’ una colpa ma è così.
Ricorro alla visione, e del mio vangelo, e la spiego per renderla più chiara e attraente…
Lc 3, 1-6:
L’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio Cesare, essendo Ponzio Pilato governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, suo fratello Filippo tetrarca dell’Iturea e della Traconitide, e Lisania tetrarca dell’Abilene, sotto il sommo sacerdozio di Anna e Caifa, la parola di Dio fu rivolta a Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto, e venne in ogni paese intorno al Giordano, a predicare il battesimo di penitenza per la remissione dei peccati, come sta scritto nel libro delle profezie di Isaia: ‘Voce di colui che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri. Ogni valle sarà colmata, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie storte diventeranno diritte e le scabrose saranno appianate; ed ogni uomo vedrà la salvezza di Dio’.
Mt 3, 1-17:
In quei giorni apparve Giovanni il Battista a predicare nel deserto della Giudea e dire: ‘Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino’. Egli è infatti l’annunziato dal profeta Isaia quando disse: ‘Voce di uno che grida nel deserto: Preparate le vie del Signore, raddrizzate i suoi sentieri’.
Giovanni, adunque, aveva una veste di cammello e una cintura di cuoio ai fianchi. Si nutriva di locuste e di miele selvatico.
Allora gli abitanti di Gerusalemme, di tutta la Giudea e di tutto il paese intorno al Giordano accorrevano a lui; e, confessando i loro peccati, si facevano da lui battezzare nel fiume Giordano.
Or, vedendo egli molti Farisei e Sadducei venire al suo battesimo, disse loro: ‘Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire all’ira che sta per venire? Fate, dunque, degno frutto di ravvedimento, e non vogliate dire dentro di voi: ‘Noi abbiamo Abramo per padre!’, perché io vi dico che Dio anche da queste pietre può suscitare dei figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero, dunque, che non porta buon frutto, sarà tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo bensì con acqua per indurvi al ravvedimento, ma colui che viene dopo di me è più forte di me, ed io non son degno di portare i suoi sandali; egli vi battezzerà nello Spirito santo e nel fuoco. Egli ha in mano il ventilabro, pulirà la sua aia e radunerà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con fuoco inestinguibile’.
Allora giunse Gesù dalla Galilea al Giordano, da Giovanni, per essere da lui battezzato. Però Giovanni si opponeva dicendo: ‘Sono io che devo essere battezzato da te, e tu vieni a me?'.
Gesù gli rispose: ‘’Lascia fare, per ora, poiché ci conviene adempiere così ogni giustizia’. Allora accondiscese.
Appena battezzato, Gesù uscì subito dall’acqua ed ecco, si aprirono i cieli e vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire sopra di sé. Ed ecco, una voce dai cieli che diceva: ‘Questo è il mio figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto’.
1.1 Il loro dire è il dire del Nemico e nel combatterli hai bisogno dell’aiuto del mio servitore Michele…
Nel precedente volume avevamo ‘visto’, nelle visioni dell’opera di M.Valtorta, l’episodio del ritrovamento di Gesù dodicenne al Tempio mentre – rivolto al cielo con il volto giovinetto infiammato di ardore profetico, le braccia aperte, ritto in piedi fra i dottori attoniti – preannunciava l’imminente arrivo del Messia di Israele e concludeva esclamando: ‘Attendetemi nella mia ora. Queste pietre riudranno la mia voce e fremeranno alla mia ultima parola. Beati quelli che in quella voce avranno udito Iddio e crederanno in Lui attraverso ad essa. A questi il Cristo darà quel Regno che il vostro egoismo sogna umano, mentre è celeste, e per il quale io dico: ‘Ecco il tuo servo, Signore, venuto a fare la tua volontà. Consumala, perché di compierla Io ardo’.
Ma fra quell’episodio ed i due brani evangelici sopra riportati in questo nostro capitolo vi è, nei quattro vangeli, un’ black out’ di circa 18 anni sui quali - a meno che non si voglia appunto consultare l’opera di Maria Valtorta che vede in visione la morte di Giuseppe e l’addio di Gesù alla madre alla sua partenza da Nazareth per l’inizio della missione - nulla ufficialmente si sa.
Con l’episodio del battesimo al Giordano inizia la vita pubblica di Gesù, che durerà circa tre anni e che si concluderà sul trono della Croce a coronamento dell’apoteosi della Redenzione dell’Umanità.
Luca, ad onta di coloro che vorrebbero contestare la storicità dei Vangeli, colloca l’inizio della predicazione di Gesù in un contesto storico-politico che più preciso non avrebbe potuto essere.
La Giudea - sottomessa al dominio romano - era governata da Ponzio Pilato il quale aveva sposato Claudia, appartenente ad una potente famiglia romana.
Ponzio Pilato, con le sue legioni, controllava militarmente la Giudea mentre Erode Antipa reggeva civilmente la Galilea, suo fratello Filippo gestiva l’Iturea e la Traconitide, ed infine Lisania si occupava dell’Abilene.
A Gerusalemme – sul piano religioso – ‘governava’ il sommo sacerdote Caifa, succeduto ad Anna, che conosceremo più da vicino nell’ultimo volume quando assisteremo alla cattura e alla condanna di Gesù.
Roma esercitava il potere militare lasciando alle autorità ebraiche la gestione di quello civile e religioso, riservandosi tuttavia le decisioni più importanti, come ad esempio il diritto di vita o di morte.
Per questo i sacerdoti del Tempio saranno poi obbligati ad affidare la decisione finale sulla condanna di Gesù alla ‘giustizia’ di Pilato.
La Giudea era una provincia che a Roma non godeva di buona fama, era considerata ‘barbara’ e, peggio ancora, turbolenta, una periferia dell’impero, soggetta ad improvvise ribellioni.
Il popolo era infatti molto fiero e – convinto com’era di essere il popolo di Dio il cui Messia un giorno avrebbe governato il mondo, e soprattutto l’odiata Roma – era sempre pronto ad accendere la scintilla della sommossa.
Ponzio Pilato non doveva essere stato molto contento di questa destinazione di Comando, ma doveva esser partito da Roma per la Giudea facendo buon viso a cattivo gioco sperando che al prossimo avvicendamento – magari grazie alle amicizie politiche romane della famiglia della moglie – gli potesse toccare in sorte qualche provincia migliore, sempre che egli si fosse mostrato accorto e fosse stato protetto dalla dea Fortuna.
Erode Antipa era il degno figlio sanguinario di Erode ‘il grande’, cioè l’Erode di quella strage degli innocenti di cui avevamo parlato nel volume precedente.
Il profeta Daniele con la sua famosa profezia delle settanta settimane di anni dall’editto della ricostruzione di Gerusalemme dopo la liberazione della schiavitù in Babilonia, aveva predetto i tempi della venuta del Messia di Israele, e questi tempi erano ormai maturi.
Ma l’attesa messianica era interpretata e desiderata dal popolo di Israele in chiave non spirituale ma politica.
Non un Messia, un ‘Unto’, che avrebbe liberato Israele e l’Umanità dalla schiavitù di Satana e del Peccato originale, ma un Re dei re che l’avrebbe liberata dai nemici che l’avevano soggiogata nel corso della storia, e in particolare dai romani, gli ultimi dominatori della serie.
Ma un re siffatto – pensava Erode il Grande - oltre che dei romani, si sarebbe liberato prima ancora e più facilmente della sua dinastia e questa era stata la motivazione per cui egli trent’anni prima – nell’apprendere dai Re magi che il Messia tanto atteso doveva già esser nato dalle parti di Betlemme, come dicevano le Scritture – non sapendo con precisione chi cercare e pur di non sbagliare aveva ordinato la strage degli ‘innocenti’, cioè di tutti i bimbi nati dai due anni in giù, nella speranza di sbarazzarsi così con certezza – nel mucchio - di un indesiderato futuro rivale.
Roma imperiale, che usava la forza ma che con senso opportunistico non trascurava mai il buon uso della ‘diplomazia’, aveva pensato di tenersi buona la famiglia reale di quel popolo, assegnando comunque un ruolo di ‘potere’, sia pur di sottocomando, ai due figli di Erode il Grande, e cioè appunto l’Antipa ed il suo fratello Filippo, marito della bella Erodiade.
I due si odiavano. Entrambi avevano tendenze carnali ed animalesche, entrambi sapevano essere spietati e spregiudicati.
Erode Antipa, per inciso, si era ad un certo punto preso con sé -‘more uxorio’ - la moglie di Filippo, e poi - non pago della moglie - aveva messo gli occhi addosso anche a sua figlia, la bellissima Salomè, quella della famosa ‘danza’ a corte che – istigata dalla madre – avrebbe finito poi per richiedere ad Erode, venendone accontentata, la testa di quel Giovanni Battista che continuava ad additare al pubblico ludibrio sua madre e il suo patrigno...
Luce:
La mia Pace sia con te, figlio mio.
Ricomincia a metterti in ascolto del mio Spirito e lascia parlare esso tramite te.
Non scrivere se il mio Spirito non ha pervaso la tua mente e il tuo cuore, se no non riuscirai a controbattere le tesi puramente demoniache dei tre teologi, né quelle degli altri che ‘demonizzano’ la Fede in Me e nel Cristianesimo, allontanando tante anime dalla verità.
Io sono la Verità, la Via e la Vita.
Chi viene a Me potrà salvarsi dall'imminente Grande Tribolazione.
Le parole demoniache e detronizzanti di questi tre uomini a mio riguardo fanno - di essi - uomini di perdizione, nonché seguaci di colui che aizza gli uomini a perdersi tramite l'inganno della falsa verità.
Il loro dire è il dire del Nemico, e nel combatterli hai bisogno dell'aiuto del mio servitore Michele, questo perché a parlare non sono loro ma Satana.
Dimostrami e dimostra ai lettori la tua fede, fondata non solo su parole ma su fatti ed esperienze radicate nel tuo intimo grazie al dono della Fede che non è per tutti ma che Io, il Signore dei signori, il Re dei re, lo Scrittore per eccelso del Libro della Vita, sono disposto a donare se qualcuno me la chiede.
Gli uomini hanno bisogno di credere in qualcosa, positivo o negativo che sia, e la prima persona che incontrano - che sia del Bene o del Male - essi l'ascoltano.
Ed è per questo motivo che molta gente ha creduto in questi uomini, corrotti di mente e di cuore, che hanno cercato la verità ma nella direzione sbagliata facendo sbagliare gli altri.
Ora, molta gente leggerà i tuoi libri e mediterà sulla tua e mia Parola, cercherà un senso logico, cercherà una fede reale, limpida, razionale, e sarai tu a comunicargli 'una fede'.
Dico 'una fede' perché loro hanno già una fede poggiata sulla ragione.
Il loro 'dio' è la ragione, la scienza, ma ricordati che nessuno esclude il Mistero.
Di chi? Di che cosa?
Ricordati ciò che dice la scienza quando non può spiegare un qualcosa.
Dice ‘Mistero’.
Ora il gioco passa a te. Tu, figlio, hai il compito di parlare del ‘Mistero’ e, tramite il mio 'piccolo Giovanni', spiegare le Scritture, e non solo ciò, ma tu, tramite il mio Spirito che vive in te, hai la missione di annullare la parola ‘Mistero’ per cambiarla in ‘fede razionale’.
Ecco qual’è il tuo compito, la tua missione.
Io, figlio, ti seguo con estrema attenzione come il Maestro segue il proprio alunno, sapendo che tu stesso hai l'incarico di istruire gli altri.
Il tuo compito è ora quello di contraddire, sì, con la parola degli altri ogni falsa verità ma principalmente con la tua parola e, chiaramente, con l'aiuto dello Spirito.
Cambia l’impostazione del primo capitolo realizzando le mie parole senza temere che il Nemico ti attacchi.
Un buon soldato non ha paura e combatte.
Attacca le idee di questi uomini che, a loro volta, sono le idee di milioni di persone.
Detronizza l’uomo con le sue concupiscenze.
Detronizza il peccato mortale, compiuto da questi uomini, che ha a sua volta contaminato parte del mondo e della mia Chiesa.
Dai fede ad ampio raggio e - da come ti imporrai, ma con fatti e non con parole - farai di quella ‘una fede’ la fede vera, rivolta alla verità, affinchè molti - ritrovando la direzione giusta che è la mia Via - ricevano nutrimento da Me che sono la Vita.
Ora spero che tu abbia capito il mio dire, che è il dire di un Dio che si è servito, che si serve, e che si servirà di te, certamente amorevolmente, per salvare le anime, in modo particolare quelle ingannate dal 'dio mente'.
Ora vado, mia penna e mia mano, donandoti la benedizione triade.
Pace a te.
Rimango di sasso. E resto assorto ad ascoltare dentro di me quelle che io chiamo le mie due ‘teste’, quella di ‘destra’ e l’altra di ‘sinistra’, sempre in conflitto fra loro:
« Michele? Perché chiedere aiuto a Michele? L’Arcangelo Michele? Perché scomodarlo? Questa è un’opera letteraria, mica un esorcismo ».
« E’ vero, ma quei tre hanno agito su diretta ispirazione demoniaca. Non si sono limitati a qualche discorso accademico, filosofico. Quelli sono stati le teste d’ariete di un forte attacco al Cristianesimo…».
« D’accordo, ma perché proprio io? Io in mezzo, fra Michele e l’Altro? Ma io sono il classico ‘vaso di coccio’. Quell’Altro mi disintegra ».
« Vero, ma hai sempre la tua corazza, no? Quella del ‘cristiano’. E poi Michele, l’Arcangelo potente, il Comandante delle Milizie celesti, te lo sei scordato? Chi è che ha vinto l’Altro? Michele, no? Con Dio, ovvio. E anche tu, allora, con Michele, cioè con Dio. Un buon soldato non ha paura e combatte».
« Già, non dovrebbe aver paura, ma… fra tanti, perché proprio io? ».
Rimango fulminato!
Mi torna infatti di colpo alla mente, come in un lampo, quel primo capitolo del mio primo libro: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’.
Quel capitolo si intitolava appunto ‘Perché te!’.
1.2 Ti ho dato la vita. Di più, ti ho dato un’anima. Essa aveva la sua missione. Tu l’hai dimenticata.
L’avevo scritto – quel capitolo - circa cinque anni fa. Avevo lasciato da poco la mia professione per dedicarmi all’agricoltura e alla meditazione spirituale.
Sentivo confusamente dentro di me l’idea di rendermi utile per coloro che, nelle questioni di fede, erano come me.
Avevo meditato a fondo l’opera di Maria Valtorta, che avevo letto e riletto più volte, prima perplesso, poi sorpreso e poi…entusiasta.
La trovavo splendida, convincente, soprattutto razionale.
Solamente non comprendevo, allora, come mai un’opera del genere fosse rimasta ancora così poco conosciuta al grande pubblico.
Forse era troppo ampia e scoraggiava il lettore, che non di rado è pigro e, quando sente parlare di spiritualità, teme che gli si possa chieder di cambiar vita e gira allora alla larga.
Forse era solo un ‘dono’ di Dio per quelli che veramente vogliono la ‘fede’, come dice la mia ‘Luce’.
Forse era un’opera per i casi disperati, magari come lo era il mio, o forse Gesù, l’Autore, ‘accecava’ – come si legge nel Vangelo di Giovanni – quelli che avevano torbida coscienza e che non l’avrebbero apprezzata, impedendo loro di mettere le mani su un forziere di perle.
Forse invece Dio – ed è quello che io credo di più - ha per ognuno di noi una strada diversa per portarlo alla salvezza, e quello che conta non è allora il modo ma il risultato finale.
Forse…, forse avrei dovuto allora provare a scrivere qualcosa anch’io, non so…, dare almeno una ‘testimonianza’ di conversione. Far vedere che anche quelli come me hanno una speranza…, operai dell’ultima ora.
Insomma, a quel punto mi matura dentro l’idea di ritirarmi in campagna fra campi di grano e vigneti a fare il ‘Cincinnato’, per cimentarmi anche in un piccolo libro.
Io avrei però voluto parlare non tanto ai credenti, che se la cavano già bene da soli, quanto ai razionalisti come me, quelli per i quali la parola ‘scienza’ si scrive con la S maiuscola perché rappresenta per loro un Credo come lo è il Vangelo per i Cristiani.
Avrei insomma voluto parlare di Fede ma in maniera razionale.
Senza dare per scontato che il lettore a certe cose dovesse credere per fede, ma anzi il contrario, per portarlo poi – seguendo un percorso razionale – a comprendere che Fede e Ragione non contrastano, purchè quest’ultima non sia viziata dal pregiudizio.
Una piccola opera, dunque, che affrontasse un poco alla buona solo alcuni temi centrali della dottrina cristiana, come la creazione dell’universo, la creazione dell’uomo, il peccato originale, l’evoluzionismo, l’anima, ed altri ancora per poi cominciare ad edificare su questa base il resto.
Sentivo come un emergere di ‘spunti’ da quello che io chiamo il mio interiore Subconscio Creativo, quella sorte di ‘Luce’ che anche poc’anzi mi ha ‘parlato’, quel ‘qualcosa’ di misterioso che abbiamo spesso l’impressione ci ispiri e che comprenderemmo meglio se solo lo volessimo ascoltare con attenzione e senza paura.
Seduto dietro la mia scrivania, nel mio studio, stavo dunque ancora guardando assorto la prima pagina bianca di quel primo libro soppesando i pro e i contro di questa idea…
Scrivere, non scrivere, come scrivere, cosa dire, cosa non dire. Quale è il limite fra il 'pubblico' ed il 'privato'. Quale il limite fra la confessione di chi scrive e la curiosità di chi legge. Quale il limite in cui è giusto che la curiosità venga soddisfatta, fino a che punto una curiosità soddisfatta, di per sè negativa, può diventare mezzo di crescita interiore. Fino a che punto la curiosità non diventa 'critica', fino a che punto la critica è benevola, fino a che punto avrò la forza di accettare curiosità e critica ponendo fine alla mia pace interiore, fino a che punto potrò conservare invece la pace interiore, fino a che punto non perderò la stima degli amici, fino a che punto non mi guadagnerò quella dei 'nemici', fino a che punto è giusto che io faccia ciò, che cosa mi spinge a fare ciò, perchè non debba invece godermi ancora - per quanto possa - la vita, perchè debba diventare oggetto non solo di curiosità ma di discussione, perchè devo essere io, proprio io, perchè io e non un altro, elemento di contraddizione, pietra d'inciampo. Ma perchè, io, perchè, io, perchè, perchè, perchè me?
E fu allora che la mia ‘Luce’, quella del mio Subconscio creativo…1
Luce:
Perchè te? E perchè non te? Cosa hai mai fatto nella tua vita per Me?
Ti ho dato la vita. Di più, ti ho dato un'anima. Essa aveva la sua missione. Tu l' hai dimenticata.
Sei cresciuto, hai vissuto, tutto hai avuto, tutto ciò che ti ha potuto rendere sereno, persino nel dolore, perchè Io ti ero presso. Io che ti assistevo. Io che ti seguivo. Io che ti rimettevo nella strada quando ne uscivi.
Oh, quante volte ti sei disperso.Quante volte non mi hai riconosciuto.
Ho dovuto colpirti con il Dolore!
Colpire te e la tua compagna, la compagna della tua vita, per salvare entrambi. Salvare ella con la morte, salvare te con la vita, perchè entrambi poteste guadagnare la vera Vita, quella eterna.
Perchè te, dunque ? Perchè te ?
Non ti senti in debito? Non hai sempre pensato che la vita è bella e non ha prezzo ?
E se questa vita non ha prezzo, quale sarà mai il prezzo dell'altra ?
Infinito, perchè essa è Vita, di gioia, infinita.
E allora, te! E allora tu pagherai il tuo debito verso di Me, tu pagherai il tuo debito verso di Me pagando ancora il prezzo, per il tempo che ti manca. E spera che sia lungo, perchè tanto è il prezzo che devi pagare e che ti costerà questa fatica! Fatica relativa, in quanto fatica, prezzo grande, ma mai abbastanza, perchè sarai pietra di inciampo, come tutti i servi miei.
Ma come contro la mia Pietra non prevarranno le forze dell'Inferno, non prevarranno neanche contro quest'altra perchè Io non lo consentirò, perchè la pietra scartata sarà ancora una volta pietra d'angolo, tanto più solida quanto più bassa. Perchè l'umiltà, quella che Io voglio da te come da tutti, è la base della mia Dottrina, perchè senza umiltà non vi è Amore, perchè senza Amore non vi è Dio.
Resta dunque pietra bassa, bacia la terra dalla quale ti ho tratto, non alzare mai gli occhi della mente ma solo quelli dello spirito, perchè in realtà, finchè tu sarai umile, Io non sarò quassù, ma laggiù, dentro di te.
E tenendo basso lo sguardo, guardandoti dentro, chiamandomi, incontrerai il mio sguardo che ti trarrà a Me.
^^^^^
Ricordo che anche allora, come questa volta, rimasi sorpreso da questa ‘irruzione’. Rimasi sotto ‘shock’ per due giorni prima di avere il coraggio di rimettermi davanti al computer. Avevo paura che mi arrivasse il resto.
Ed in effetti non avevo torto.
E lo terminai, quel libro, centrotrentadue capitoli più un Epilogo a sorpresa.
E dopo continuai con un secondo, un terzo libro…, mentre questo – ora che l’inverno è già cominciato e la sospensione dei lavori agricoli me lo consente – è ormai il nono.
Ma anche adesso, cosa dire alla ‘Luce’ del mio Subconscio creativo?
Voi vi fidereste del vostro subconscio?
E perché dovrei allora farlo io?
Lei, cioè Lui, dice che devo controbattere le tesi di quei tre ‘teologi’ - insomma Renan, Loisy e Bultmann di cui avevo parlato nella Introduzione – non solo con le parole degli altri, ad esempio di Maria Valtorta, ma principalmente con la ‘mia’ parola.
Ma che dire? Potrei provare ad implorare l’aiuto dello Spirito. Ma mi sentirà, poi?
E’ pur vero che c’è sempre San Michele Arcangelo, con i suoi ‘Rambo’ del Cielo, quelli della sua Legione.
Ma, supponendo di accettare di ‘combattere’, soprattutto per non fare brutta figura, dovrei allora cambiare l’impostazione di questo mio primo capitolo che mi accingevo a scrivere e del quale avevo già in testa la traccia fin da ieri.
Già, ma… ripensandoci, come avrà fatto il mio Subconscio creativo a saperla?
Vabbè…, ricominciamo da capo e vediamo cosa ne uscirà fuori.
1.3 Quell’incontro al Giordano, finzione o realtà?
Questi due brani di vangelo ci presentano le figure di Giovanni che predica e di Gesù che viene a farsi ‘battezzare’.
Renan, nella sua ‘Vita di Gesù’, pur non avendo informazioni migliori delle nostre né tanto meno l’aiuto delle visioni di Maria Valtorta, racconta che Gesù, pur avendo all’inizio un suo piccolo cerchio di uditori, non aveva ancora ‘autorità’ e cosiderava Giovanni un maestro. Ma, spinto dal desiderio di conoscerlo e poiché i loro rispettivi insegnamenti avevano parecchi punti di contatto, aveva lasciato la Galilea per recarsi da lui in Giudea con la sua piccola scuola al seguito e farsi tutti battezzare.
Giovanni – racconta Renan - fece liete accoglienze a questo drappello di discepoli galilei né si offese constatando che restavano distinti dai suoi. Da queste buone relazioni gli evangelisti presero poi le mosse – conclude Renan con una perfida stoccata – per ideare tutto un sistema consistente nel dare come prima base alla missione divina di Gesù proprio la testimonianza di Giovanni.
Come dire insomma - è di questo che ci vuol convincere Renan - che Gesù non era in realtà Dio, ma che i suoi astuti discepoli pensarono di mettere in bocca questa affermazione a Giovanni la cui autorità morale e spirituale era a quei tempi indiscussa.
Ed in effetti uno come Renan - che avesse voluto cominciare a ‘demolire’ quel che secondo lui era il ‘mito’ della divinità di Gesù – non poteva non iniziare mettendo in dubbio la realtà storica di questo episodio, anche perché fu proprio a questo che i vangeli fanno risalire la manifestazione del Padre la cui voce, mentre lo Spirito Santo sotto le apparenze di una colomba appariva a Giovanni sopra Gesù, rimbombava dal Cielo dicendo: ‘Questo è il mio figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto’.
Ma Loisy (‘Le origini del Cristianesimo’) non è da meno. Anch’egli, ammiratore ed emulo di Renan, ritiene invenzione la presentazione di Gesù al Giordano come Messia da parte di Giovanni Battista, invenzione che sarebbe stata secondo lui concepita dall’apologetica cristiana per attenuare o dissimulare la dipendenza originaria del cristianesimmo dalla setta di Giovanni Battista.
Le loro argomentazioni sono ovviamente pure illazioni di due personaggi che hanno perso la fede o non l’hanno magari mai avuta.
Ciò non di meno – poiché esse sono inserite nei loro scritti in un contesto di apparente logica – queste hanno fatto breccia, insieme a tante altre, in molte persone che non avevano la preparazione per controbattere o che – come molti teologi - si sentivano inclini a pensarla come loro.
Il meccanismo del ‘credere’ umano è complesso.
Tanti di coloro che rimprovano a chi ha fede la colpa di aver appunto ‘fede’, non si rendono conto che essi sono spesso i primi a credere in una ‘fede’, solo che questa è di tipo diverso.
Noi uomini ‘crediamo’ a chi propugna idee con le quali, magari confusamente, ci identifichiamo perché le sentiamo coerenti ai nostri interessi o al nostro modo di pensare.
La razionalità sovente non c’entra, non siamo spesso nemmeno in condizione di sottoporre a verifica razionale le loro teorie, si tratta infatti di una questione di ‘feeling’.
Talvolta invece ‘crediamo’ perché, affascinati dall’intelligenza di chi ci parla, pensiamo che tutto quel che costui dice, poiché sembra ‘intelligente’, debba anche esser ‘vero’.
Ma intelligenza e verità non sempre coincidono.
Satana è intelligentissimo, ma è anche il Principe della Menzogna.
E su un piano umano – e qui basta scorrere solo gli ultimi duecento anni di storia – quante sono quelle persone ‘intelligentissime’ le cui affascinanti teorie ed ideologie gli uomini hanno poi seguito, a milioni, producendo nel solo ventesimo secolo distruzioni a non finire oltre al disfacimento morale dell’intera società?
Colpa di Renan, Loisy e Bultmann?
No, colpa del Nemico che in quest’ultima fase della nostra storia sembra essersi scatenato come mai prima.
E allora alle affermazioni di questi tre personaggi - supportate dalla autorevolezza della loro erudizione e, appunto, della loro ‘intelligenza’ e ‘scienza’, ma il più delle volte buttate lì nei loro libri sarcasticamente e presuntuosamente come se le loro, sì, fossero ‘verità rivelate’ - ci sforzeremo di contrapporre in tutta modestia i nostri ragionamenti di semplice buon senso chiedendo aiuto alle visioni di Maria Valtorta quale regalo finale al lettore che si sarà sforzato di seguirci fino a quel punto.
E’ stato detto tanto per cominciare che Giovanni Battista era un esseno.
Non è scritto da nessuna parte, ed esseno non lo era nemmeno Gesù, come altri hanno sostenuto vedendo dei punti in comune con la dottrina predicata da questa setta.
E non perché essere un esseno sia un disonore, ma semplicemente perché nessuno dei due lo era.
Degli esseni ne parlano Giuseppe Flavio, Filone e Plinio.
La loro era una setta di asceti, che risale al II secolo a.C..
Vivevano in comunità di tipo monastico, prima dalle parti di Gerusalemme, poi in villaggi della Giudea meridionale e lungo il Mar Morto, infine nei deserti.
Essi accentuavano il puritanesimo dei farisei, professavano la povertà e la castità. Vestiti di bianco, osservavano il silenzio, conducevano vita sobria, attendevano al lavoro nei campi, credevano nel futuro Messia e nella sopravvivenza dell’anima, disprezzavano la sapienza profana, aborrivano i sacrifici cruenti.
Tutte cose che potremmo condividere anche noi, solo che loro erano un pochino troppo ‘fondamentalisti’, cioè portavano all’eccesso quelle che – in misura equilibrata – avrebbero potuto essere delle virtù.
All’epoca di Gesù sembra che ce ne fossero circa 4000 e che molti fossero divenuti successivamente cristiani.
Di Gesù avevano apprezzato l’equilibrio e la sapienza di predicazione e avevano finito per considerarlo anche il vero Messia.
Giovanni Battista non fu dunque esseno, ma solo pre-cristiano, soprattutto un profeta che proclamava la purezza del cuore ed invitava alla purificazione ed alla penitenza poiché era ormai vicina la venuta del Messia.
Figlio del sacerdote Zaccaria e di Elisabetta, parenti di Anna, la mamma di Maria, Giovanni – in previsione del suo straordinario ruolo di precursore – fu miracolosamente mondato per opera dello Spirito Santo dalla macchia del Peccato originale al momento dell’abbraccio fra Elisabetta e Maria che aveva a sua volta in grembo Gesù.
Quest’ultima si era infatti recata da Nazareth ad Ebron per assistere l’anziana cugina dopo aver saputo dall’Arcangelo dell’Annunciazione che essa – già sterile - aspettava da sei mesi un figlio, il futuro Giovanni Battista.
Da alcuni passi dell’opera valtoriana si intuisce che, dopo la strage degli innocenti, il Re Erode fece compiere indagini più approfondite sul Messia e scoprì la casa dove la Sacra Famiglia – lasciata la stalla della notte fortunosa della nascita di Gesù - era vissuta i primi tempi a Betlemme.
Gli emissari del re individuarono anche i legami di parentela con la famiglia di Zaccaria ed il sacerdote ebbe i suoi guai.
Giovanni Battista coltivò la sua ‘vocazione’ andandosene a vivere asceticamente nel deserto finchè, giunto all’età adulta, cominciò a predicare soggiogando le folle con la potenza della sua oratoria ed il magnetismo intenso che sprigionava dalle sue parole oltre che dal suo volto spirituale ma anche dai suoi occhi in certo qual modo ‘spiritati’, perché pieni del fuoco della sua passione per Dio.
1.4 Giovanni non aveva bisogno di nessu segno. Ma alla ottusità degli altri il segno era necessario.
Ed è questo il Giovanni che - vedendo Gesù al Giordano e cogliendo il segno dello Spirito come di colomba sul suo capo – lo addita alle turbe mentre la Voce del Padre dal cielo tuona ‘Questo è il mio figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto’…
Ricordo che qualche anno fa – ero in vacanza in Sardegna - mi ero ritrovato a discuterne con un sacerdote e con un’altra persona.
Il primo, umanamente parlando, era una brava persona, solo un pochino tanto razionalista, come del resto lo ero una volta anch’io.
Era un ‘postero’ di Renan, Loisy e di Bultmann, un loro ‘nipotino’, insomma.
Vedeva ‘simboli’ dappertutto, e ogni volta che i vangeli parlavano di miracoli li definiva appunto ‘simboli’ o li chiamava riduttivamente ‘segni’, come a dire che non erano stati miracoli per davvero ma volevano solo simboleggiare un determinato concetto.
E commentando questo brano - che è fondamentale perché è la prima ‘testimonianza’ pubblica della divinità di Gesù, oltre che la prima manifestazione ‘pubblica’ del Padre – egli ebbe a dire che questa era appunto un ‘simbolo’ come d’altro canto le parole che l’evangelista aveva messo in bocca al Battista.
Ecco, quando gli pareva che secondo lui il Gesù dei vangeli dicesse qualcosa che sembrava contrastare la ‘razionalità’, allora lui aveva l’abitudine di dire che quelle erano parole che gli evangelisti gli ‘avevano fatto dire’ per un loro scopo didattico.
Solo che - a forza di attribuire alla ‘immaginazione’ degli evangelisti le parole che essi ‘mettevano in bocca’ a Gesù per ragioni ‘didattiche’ - finiva che del Gesù dei vangeli non rimaneva più niente, a parte la morte in croce, forse.
E finiva anche che la gente perdeva la fede. E glielo dissi.
Un’altra persona del gruppetto presente, di fede onesta ma che chiedeva semplicemente di ‘capire’ meglio una cosa che l’aveva incuriosita da sempre, si domandava come fosse mai stato possibile che, in questo episodio riportato dal vangelo di Giovanni (Gv 1, 19-34), il Battista esclamasse che egli non aveva mai conosciuto Gesù. Non erano forse cugini?
I nostri tre teologi razionalisti avranno certo pensato da parte loro a questo proposito che i due – Gesù e il Battista - si dovessero essere messi d’accordo in anticipo facendo finta di non conoscersi: insomma, una specie di gioco delle ‘tre tavolette’!
Dopo aver dunque chiarito il mio pensiero al sacerdote, spiegavo alla seconda persona quello che comprenderemo meglio leggendo l’ultimo capitolo di questo volume.
La strada di Giovanni e quella di Gesù si erano cioè divaricate sin dalla nascita, né d’altra parte Gesù aveva più avuto occasione di tornare a Betlemme o ad Ebron, prima di quel battesimo al Giordano.
Lo stesso Spirito Santo, che dopo il battesimo avrebbe portato Gesù nel deserto, lo aveva pure condotto – prima ancora dell’inizio della sua missione – a quel guado del Giordano, affinchè l’uomo-Gesù si incontrasse con colui che da fuori del Tempo Dio-Padre aveva eletto come Precursore del Messia, liberandolo a questo scopo persino dalla Macchia d’origine fin dal grembo di Elisabetta.
Giovanni – umanamente parlando - non conosceva dunque Gesù ma – al Giordano - riconosce spiritualmente in quell’uomo il ‘Messia’ solo perché illuminato interiormente dallo Spirito Santo che glie lo fa capire apparendo sopra il capo di Gesù sotto forma di colomba, affinchè tutti vedessero e Giovanni glie ne potesse dare testimonianza.
L’episodio è ‘storico’, cioè realmente accaduto e non una invenzione ‘simbolica’.
Di ‘simbolico’ semmai c’è solo il fatto che il battesimo fatto da Giovanni era figura del futuro battesimo che sarebbe stato introdotto da Gesù.
Se Giovanni aveva battezzato sino a quel momento in acqua, ben altro sarebbe stato il successivo Battesimo in Spirito Santo, battesimo che lava e salva perché rende ‘cristiani’ e dà la Grazia, anche se è poi la fedeltà alla Grazia che ci mantiene cristiani.
Ciò chiarito, dagli stessi vangeli si capisce poi che il Battista aveva fra i suoi discepoli i futuri apostoli: Giovanni, suo fratello Giacomo e Andrea (fratello minore di Pietro) che – avendo il Battista indicato in Gesù il Messia – si diedero a seguirlo.
I discepoli del Battista - e qui entriamo nel campo della ‘umanità’ propria anche delle persone migliori - erano ‘gelosi’ della fama sempre maggiore di quel Messia-Gesù che, oltre a saper predicare con eccezionale sapienza, faceva miracoli di ogni genere che lo accreditavano oltre ogni dubbio come ‘uomo di Dio’.
Essi – e come loro tanti sacerdoti, scribi e farisei di Gerusalemme - credevano invece che il Messia fosse proprio Giovanni.
Fu solo dopo l’arresto definitivo del Battista - e cioè il secondo arresto che lo portò poi alla morte - che i suoi seguaci si sarebbero convinti che, come andava da tempo ripetendo il loro stesso maestro, il vero Messia era proprio Gesù.
E molti divennero suoi discepoli, confluendo poi nel cristianesimo.
L’episodio del battesimo al Giordano non fu dunque – contrariamente a quanto asseriscono senza alcun fondamento Renan e Loisy - una invenzione successiva dei cristiani per legittimare fraudolentemente con l’autorità del Battista la Messianicità di Gesù o un cercare di accreditare una superiorità della nascente setta cristiana sulla già relativamente affermata setta battista, ma fu il punto di avvio di una predicazione travolgente dove il ‘testimone’ doveva passare dalle mani del Precursore a quello del Redentore.
Nel primo anno di vita pubblica Gesù sarà il Maestro, il Sapiente.
Nel secondo anno Egli si mostrerà il Salvatore, l’Amico, il Misericordioso.
Nel terzo, Egli sarà il Redentore, il Giusto e il Forte verso quegli uomini che ricambiano il suo amore con odio.
Ecco come la Valtorta vede questo episodio del battesimo al guado del Giordano e poi come Gesù glielo commenta, spiegandole che questo ‘Vangelo’, a lei mostrato in visione e sovente da lui spiegato, è un tentativo ulteriore per renderlo più attraente al fine di cercare di portare a Lui questi uomini moderni che non credono più in niente: 2
45. Predicazione di Giovanni Battista
e Battesimo di Gesù. La manifestazione divina.
Lo stesso 3 febbraio 1944, a sera.
Vedo una pianura spopolata di paesi e di vegetazione. Non ci sono campi coltivati, e ben poche e rare sono le piante riunite qua e là a ciuffi, come vegetali famiglie, dove il suolo è nelle profondità meno arso che non sia in genere. Faccia conto che questo terreno arsiccio e incolto sia alla mia destra, avendo io il nord alle spalle, e si prolunghi verso quello che è a sud rispetto a me.
A sinistra invece vedo un fiume di sponde molto basse, che scorre lentamente esso pure da nord a sud. Dal moto lentissimo dell'acqua comprendo che non vi devono essere dislivello nel suo letto e che questo fiume scorre in una pianura talmente piatta da costituire una depressione. Vi è un moto appena sufficiente acciò l'acqua non stagni in palude. (L'acqua è poco fonda, tanto che si vede il fondale. Giudico non più di un metro, al massimo un metro e mezzo. Largo come è l'Arno verso S. Miniato-Empoli: direi un venti metri. Ma io non ho occhio esatto nel calcolare). Pure è d'un azzurro lievemente verde verso le sponde, dove per l'umidore del suolo è una fascia di verde folta e rallegrante l'occhio, che rimane stanco dallo squallore petroso e arenoso di quanto gli si stende avanti.
Quella voce intima, che le ho spiegato di udire e che mi indica ciò che devo notare e sapere, mi avverte che io vedo la valle del Giordano. La chiamo valle, perché si dice così per indicare il posto dove scorre un fiume ma qui è improprio il chiamarla così, perché una valle presuppone dei monti, ed io qui di monti non ne vedo vicini. Ma insomma sono presso il Giordano, e lo spazio desolato che osservo alla mia destra è il deserto di Giuda. Se dire deserto per dire luogo dove non sono case e lavori dell'uomo è giusto, non lo è secondo il concetto che noi abbiamo del deserto. Qui non le arene ondulate del deserto come lo concepiamo noi, ma solo terra nuda, sparsa di pietre e detriti, come sono i terreni alluvionali dopo una piena. In lontananza, delle colline.
Pure, presso il Giordano, vi è una grande pace, un che di speciale, di superiore al comune, come è quello che si nota sulle sponde del Trasimeno. E' un luogo che pare ricordarsi di voli d'angeli e di voci celesti. Non so dire bene ciò che provo. Ma mi sento in un posto che parla allo spirito.
Mentre osservo queste cose, vedo che la scena si popola di gente lungo la riva destra (rispetto a me) del Giordano. Vi sono molti uomini vestiti in maniere diverse. Alcuni paiono popolani, altri dei ricchi, non mancano alcuni che paiono farisei per la veste ornata di frange e galloni.
In mezzo ad essi, in piedi su un masso, un uomo che, per quanto è la prima volta che lo vedo, riconosco subito per il Battista. Parla alla folla, e le assicuro che non è una predica dolce. Gesù ha chiamato Giacomo e Giovanni «figli del tuono». Ma allora come chiamare questo veemente oratore? Giovanni Battista merita il nome di fulmine, valanga, terremoto, tanto è impetuoso e severo nel suo parlare e nel suo gestire.
Parla annunciando il Messia ed esortando a preparare i cuori alla sua venuta estirpando da essi gli ingombri e raddrizzando i pensieri. Ma è un parlare vorticoso e rude. Il Precursore non ha la mano leggera di Gesù sulle piaghe dei cuori. E' un medico che denuda e fruga e taglia senza pietà.
Mentre lo ascolto - e non ripeto le parole perché sono quelle riportate dagli evangelisti, ma amplificate in irruenza - vedo avanzarsi lungo una stradicciuola, che è ai bordi della linea erbosa e ombrosa che costeggia il Giordano, il mio Gesù. Questa rustica via, più sentiero che via, sembra disegnato dalle carovane e dalle persone che per anni e secoli l'hanno percorso per giungere ad un punto dove, essendo il fondale del fiume più alto, è facile il guado. Il sentiero continua dall'altro lato del fiume e si perde fra il verde dell'altra sponda.
Gesù è solo. Cammina lentamente, venendo avanti, alle spalle di Giovanni. Si avvicina senza rumore e ascolta intanto la voce tuonante del Penitente del deserto, come se anche Gesù fosse uno dei tanti che venivano a Giovanni per farsi battezzare e per prepararsi ad esser mondi per la venuta del Messia. Nulla distingue Gesù dagli altri. Sembra un popolano nella veste, un signore nel tratto e nella bellezza, ma nessun segno divino lo distingue dalla folla.
Però si direbbe che Giovanni senta una emanazione di spiritualità speciale. Si volge e individua subito la fonte di quell'emanazione. Scende con impeto dal masso che gli faceva da pulpito e va sveltamente verso Gesù, che si è fermato qualche metro lontano dal gruppo appoggiandosi al fusto di un albero.
Gesù e Giovanni si fissano un momento. Gesù col suo sguardo azzurro tanto dolce. Giovanni col suo occhio severo, nerissimo, pieno di lampi. I due, visti vicino, sono l'antitesi l'uno dell'altro. Alti tutti e due - è l'unica somiglianza - sono diversissimi per tutto il resto. Gesù biondo e dai lunghi capelli ravviati, dal volto d'un bianco avoriato, dagli occhi azzurri, dall'abito semplice ma maestoso. Giovanni irsuto, nero di capelli che ricadono lisci sulle spalle, lisci e disuguali in lunghezza, nero nella barba rada che gli copre quasi tutto il volto non impedendo col suo velo di permettere di notare le guance scavate dal digiuno, nero negli occhi febbrili, scuro nella pelle abbronzata dal sole e dalle intemperie e per la folta peluria che lo copre, seminudo nella sua veste di pelo di cammello, tenuta alla vita da una cinghia di pelle e che gli copre il torso scendendo appena sotto i fianchi magri e lasciando scoperte le coste a destra, le coste sulle quali è, unico strato di tessuti, la pelle conciata dall'aria. Sembrano un selvaggio e un angelo visti vicini.
Giovanni, dopo averlo scrutato col suo occhio penetrante, esclama: «Ecco l'Agnello di Dio. Come è che a me viene il mio Signore? ».
Gesù risponde placido: «Per compiere il rito di penitenza».
« Mai, mio Signore. Io sono che devo venire a Te per essere santificato, e Tu vieni a me? ».
E Gesù, mettendogli una mano sul capo, perché Giovanni s'era curvato davanti a Gesù, risponde: « Lascia che si faccia come voglio, perché si compia ogni giustizia e il tuo rito divenga inizio ad un più alto mistero e sia annunciato agli uomíní che la Vittima è nel mondo ».
Giovanni lo guarda con occhio che una lacrima fa dolce e lo precede verso la riva, dove Gesù si leva il manto e la tunica, rimanendo con una specie di corti calzoncini, per poi scendere nell'acqua dove è già Giovanni, che lo battezza versandogli sul capo l'acqua del fiume, presa con una specie di tazza, che il Battista tiene sospesa alla cintola e che mi pare una conchiglia o una mezza zucca essiccata e svuotata.
Gesù è proprio l'Agnello. Agnello nel candore della carne, nella modestia del tratto, nella mitezza dello sguardo.
Mentre Gesù risale la riva e, dopo essersi vestito, si raccoglie in preghiera, Giovanni lo addita alle turbe, testimoniando d'averlo conosciuto per il segno che lo Spirito di Dio gli aveva indicato quale indicazione infallibile del Redentore.
Ma io sono polarizzata nel guardare Gesù che pega, e non mi resta presente che questa figura di luce contro il verde della sponda.
4 febbraio 1944.
Dice Gesù:
« Giovanni non aveva bisogno del segno per se stesso. Il suo spirito, presantificato sin dal ventre di sua madre, era possessore di quella vista di intelligenza soprannaturale che sarebbe stata di tutti gli uomini senza la colpa di Adamo.
Se l'uomo fosse rimasto in grazia, in innocenza, in fedeltà col suo Creatore, avrebbe visto Dio attraverso le apparenze esterne. Nella Genesi è detto che il Signore Iddio parlava familiarmente con l'uomo innocente e che l'uomo non tramortiva a quella voce, non si ingannava nel discernerla. Così era la sorte dell'uomo: vedere e capire Iddio proprio come un figlio fa col genitore. Poi è venuta la colpa, e l'uomo non ha più osato guardare Dio, non ha più saputo vedere e comprendere Iddio. E sempre meno lo sa.
Ma Giovanni, il mio cugino Giovanni, era stato mondato dalla colpa quando la Piena di Grazia s'era curvata amorosa ad abbracciare la già sterile ed allora feconda Elisabetta. Il fanciullino nel suo seno era balzato di giubilo, sentendo cadere la scaglia della colpa dalla sua anima come crosta che cade da una piaga che guarisce. Lo Spirito Santo, che aveva fatto di Maria la Madre del Salvatore, iniziò la sua opera di salvazione, attraverso Maria, vivo Ciborio della Salvezza incarnata, su questo nascituro, destinato ad esser a Me unito non tanto per il sangue quanto per la missione, che fece di noi come le labbra che formano la parola. Giovanni le labbra, Io la Parola. Egli il Precursore nell'Evangelo e nella sorte di martirio. lo, Colui che perfeziona della mia divina perfezione l'Evangelo iniziato da Giovanni ed il martirio per la difesa della Legge di Dio.
Giovanni non aveva bisogno di nessun segno. Ma alla ottusità degli altri il segno era necessario. Su cosa avrebbe fondato Giovanni la sua asserzione, se non su una prova innegabile che gli occhi dei tardi e le orecchie dei pesanti avessero perceipita?
Io pure non avevo bisogno di battesimo. Ma la sapienza del Signore aveva giudicato esser quello l'attimo e il modo dell'incontro. E, traendo Giovanni dal suo speco nel deserto e Me dalla mia casa, ci unì in quell’ora per aprire su Me i Cieli e farne scendere Se stesso, Colomba divina, su Colui che avrebbe battezzato gli uomini con tal Colomba, e farne scendere l'annuncio, ancor più potente di quello angelico perché del Padre mio: " Ecco il mio Figlio diletto col quale mi sono compiaciuto ". Perché gli uomini non avessero scuse o dubbi nel seguirmi e nel non seguirmi.
Le manifestazioni del Cristo sono state molte. La prima, dopo la Nascita, fu quella dei Magi, la seconda nel Tempio, la terza sulle rive del Giordano. Poi vennero le infinite altre che ti farò conoscere, poiché i miei miracoli sono manifestazioni della mia natura divina, sino alle ultime della Risurrezione e Ascensione al Cielo.
La mia patria fu piena delle mie manifestazioni. Come seme gettato ai quattro punti cardinali, esse avvennero in ogni strato e luogo della vita: ai pastori, ai potenti, ai dotti, agli increduli, ai peccatori, ai sacerdoti, ai dominatori, ai bambini, ai soldati, agli ebrei, ai gentili. Anche ora esse si ripetono. Ma, come allora, il mondo non le accoglie. Anzi non accoglie le attuali e dimentica le passate. Ebbene, Io non desisto. lo mi ripeto per salvarvi, per portarvi alla fede in Me.
Sai, Maria, quello che fai? Quello che faccio, anzi, nel mostrarti il Vangelo? Un tentativo più forte di portare gli uomini a Me. Tu lo hai desiderato con preghiere ardenti. Non mi limito più alla parola. Li stanca e li stacca. E’ una colpa, ma è così. Ricorro alla visione, e del mio vangelo, e lo spiego per renderla più chiara e attraente.
A te do il conforto del vedere. A tutti do il modo di desiderare di conoscermi. E, se ancora non servirà e come crudeli bambini getteranno il dono senza capirne il valore, a te resterà il mio dono e ad essi il mio sdegno. Potrò una volta ancora fare l’antico rimprovero: “Abbiamo sonato e non avete ballato;abbiamo intonato lamenti e non avete pianto”.
Ma non importa. Lasciamo che essi, gli inconvertibili, accumulino sul loro capo i carboni ardenti, e volgiamoci alle pecorelle che cercano di conoscere il Pastore. Io son Quello, e tu sei la verga che le conduci a Me ».
^^^^
Ma se, dopo aver sentito questo bel commento di Gesù su quell’episodio dell’incontro al guado del Giordano, ascoltassimo ora la testimonianza di Andrea, l’apostolo, così come qualche tempo dopo, egli l’avrebbe raccontata ad altri durante un viaggio apostolico?
Andrea era un gran timido, sempre impacciato e restìo a parlare, ma gli apostoli – in una casa di Antiochia - vengono invitati dai presenti a raccontare, ciascuno a turno, una propria testimonianza di fede nel Messia o una esperienza della loro vita con Gesù.
Anche Andrea è quindi ad un certo punto costretto a prender la parola.
Egli si era trovato in quella circostana del battesimo al Giordano insieme al suo amico e socio di barca Giovanni, e così descrive quel famoso incontro in cui per la prima volta vide Gesù…:3
^^^^
«Io sono un povero pescatore del lago di Galilea, e nelle silenziose notti di pesca, sotto la luce degli astri, avevo muti colloqui con me stesso.
Dicevo: "Quando verrà? Sarò io vivo ancora? Molti anni ancora mancano, secondo la profezia". Per l'uomo dalla vita limitata anche poche decine d'anni sono secoli... Mi chiedevo: "Come verrà? Dove? Da chi?". E la mia ottusità umana mi faceva sognare regali splendori, regali dimore e cortei e clangori e potenza e insostenibile maestà... E dicevo: "Chi potrà guardare questo grande Re?".
Lo pensavo più terrorizzante, nella sua manifestazione, dello stesso Jeovè sul Sinai. Mi dicevo: "Gli ebrei videro là il monte lampeggiare, ma non rimasero inceneriti perché l'Eterno era oltre i nembi. Ma qui ci guarderà con occhi mortali e noi morremo......
Ero discepolo del Battista. E nelle pause della pesca andavo da lui, con altri compagni. Era un giorno di questa luna... Le rive del Giordano erano piene di folla che tremava sotto le parole del Battista.
Avevo notato un giovane bello e calmo venire per un sentiero verso di noi. Umile la veste, dolce l'aspetto. Pareva chiedesse amore e desse amore. Il suo occhio azzurro si posò un momento su di me, ed io provai una cosa non mai più provata.
Mi parve di essere carezzato sull'anima, di essere sfiorato da ali d'angelo. Mi sono per un momento sentito così lontano dalla terra, così diverso, che ho detto: "Ora muoio! Questo è l'appello di Dio al mio spirito". Ma non sono morto. Sono rimasto affascinato nel contemplare il giovane ignoto che, a sua volta, aveva fissato il suo sguardo azzurro sul Battista.
E il Battista si volse, corse a Lui, lo inchinò. Si parlarono. E poiché la voce di Giovanni era un tuono continuo, le misteriose parole giunsero fino a me che ascoltavo, teso nel desiderio di conoscere chi era il giovane ignoto. La mia anima lo sentiva diverso da tutti.
Dicevano: "Io dovrei essere battezzato da Te........ Lascia fare per ora. Conviene adempiere ogni giustizia"...
Giovanni aveva già detto: "Verrà Colui al quale io non sono degno di sciogliere i lacci dei sandali".
Aveva già detto: "Fra di voi, in Israele, sta Uno che non conoscete. Egli tiene già in mano il ventilabro e netterà la sua aia bruciando le paglie col fuoco inestinguibile".
Io avevo davanti un giovane del popolo, dall'aspetto mite ed umile, eppure ho sentito che Egli era Colui,al quale neppure il Santo di Israele, l'ultimo Profeta, il Precursore, era degno di sciogliere i calzari. Ho sentito che era Colui che noi non conoscevamo. Ma non ne ebbi paura. Anzi, quando Giovanni, dopo il superestasiante tuono di Dio, dopo l'inconcepibile splendore della Luce in forma di colomba di pace, disse: "Ecco l'Agnello di Dio", io, con la voce dell'anima, giubilante di avere presentito il Re Messia nel giovane mite ed umile d'aspetto, ho gridato con la voce dello spirito: "Credo!".
Per questa fede sono il suo servo. Siatelo voi pure e avrete pace. Matteo, a te narrare le altre glorie del Signore».
1 G.L.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 1 – Ed. Segno, 1997
2 M.V.: “L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Cap. 45 – Centro Ed. Valtortiano
3 M-V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Cap. 324.4 – Centro Ed. Valtortiano