(Il Vangelo secondo Matteo – La Sacra Bibbia – Cap. 1,1-17 Ed. Paoline, 1968)
 (M.V.: ‘Quaderni 1945/50’ – pagg. 339/342 – Centro Editoriale Valtortiano)
(V.Messori: ‘Ipotesi su Gesù’ – Cap. VI – S.E.I.)

6. A proposito di ‘discordanze’ bibliche: la genealogia di Gesù… e della stirpe umana.


Mt 1, 1-17:

Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo.
Abramo generò Isacco; Isacco generò Giacobbe; Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli. Giuda generò Fares e Zerah da Tamar; Fares generò Esron; Esron generò Aram; Aram generò Aminadab; Aminadab generò Naasson; Naasson generò Salmon; Salmon  generò Booz da Rahab; Booz generò Obed da Rut. Obed generò Jesse; Jesse generò Davide, il re.

Davide generò Salomone dalla moglie di Uria. Salomone generò Roboamo; Roboamo generò Abia; Abia generò Asaf. Asaf generò Giosafat; Giosafat generò Joram; Joram generò Ozia: Ozia generò Joatam; Joatam generò Achaz; Achaz generò  Ezechia. Ezechia generò Manasse; Manasse generò Amos; Amos generò Giosia. Giosia generò Geconia e i suoi fratelli al tempo della deportazione in Babilonia.

Dopo la deportazione in Babilonia, Geconia generò Salatiel; Salatiel generò Zorobabele; Zorobabele generò Abiud; Abiud generò Eliacim; Eliacim generò Azor. Azor generò Sadoc; Sadoc generò Achim; Achim generò Eliud. Eliud generò Eleazar; Eleazar generò Mattan; Mattan generò Giacobbe. Giacobbe generò Giuseppe, sposo di Maria, dalla quale nacque Gesù, detto Cristo.

In tutto, dunque, le generazioni di Abramo fino a Davide sono quattordici generazioni; da Davide fino alla deportazione in Babilonia, quattordici generazioni; e dalla deportazione in Babilonia fino a Cristo, quattordici generazioni.

5.1 Un viaggio davvero entusiasmante, anzi, da fibrillazione.

A voi sarà bastato voltar pagina, e ci avrete impiegato un attimo fra il capitolo precedente e questo attuale,  ma io ci ho messo un mese.
Era cominciato tutto con una ‘bronchitella’ mentre, sui miei campi, in ‘sella’ al trattore, preparavo il terreno per seminare l’erba medica per le mie mucche. Eravamo già sul tramonto di una bella giornata di inizio aprile e un contadino confinante, più furbo di me, mi aveva detto: ‘Io me ne vado, questa è un’arietta che frega’.
Avevo risposto con un cenno di assenso che però significava che io in vita mia non mi ero fatto mai fregare da nessuno.
Due giorni dopo cominciavo ad avvertire dei fastidiosi colpetti secchi di tosse e una settimana dopo – visto che la tosse era diventata più forte della mia ostinazione a non curarmi - mi decidevo ad andare dal dottore.
Diagnosi:bronchite, Cura: sei giorni di antibiotici e inalazioni.
Al sesto giorno, completamente rimesso, salto di nuovo sul trattore, sudo e mi faccio nuovamente fregare: la sera tosse, il giorno dopo dal dottore.
Diagnosi: è una ricaduta, sempre iniezioni ma questa volta di un antibiotico a spettro più ampio.
Io diventavo più inquieto, c’era infatti di mezzo un viaggio di una settimana, per Pasqua, a Medjugorje in Bosnia, là dove da diciotto anni circa la Madonna è apparsa e continua ancora oggi ad apparire ad un gruppo di giovani veggenti che ora sono però un poco meno giovani.
Un mio caro amico – prossimo alla santità - aveva lanciato l’idea già da un annetto, ed io ero impaziente di farmi un viaggetto turistico-spirituale, unendo l’utile al dilettevole e mescolando – cosa che non si dovrebbe fare – il sacro al profano.
Finita la seconda cura, ma perdurando la bronchite, avvicinandosi la Pasqua, io diventavo sempre più ansioso: l’autovettura – di quelle a sei posti – ce l’avrei messa io e se non mi fossi ripreso rapidamente avrei dovuto dare forfait rovinando la festa a tutti.
Il mio amico aveva una fiducia grandissima nell’aiuto del Signore anche per le bronchiti e accarezzava da tempo l’idea del viaggio ormai imminente. Ma doveva cominciare – un poco interessatamente, nonostante la sua ‘santità’ -  a preoccuparsi anche lui della mia salute – perché un giorno mi fa: ‘Non ti preoccupare, non hai febbre…!, è una sciocchezza. Io sono medico, no? Mi porto degli antibiotici che ho io, così cambiamo rispetto ai precedenti che non funzionano, anzi porto anche le siringhe e tutto il resto, anche le medicine per il mal di pancia…, se ti venisse cammin facendo, porto lo stetoscopio, tutto insomma…’.
Voi cosa avreste detto? 
Quattro giorni dopo siamo partiti, per una vacanza di una settimana, ma questa è un’altra storia, divertente, che vi racconterò magari in seguito.
Cosa? Volete sapere come è andato il viaggio? 
Anche il mio amico, che dirige una rivista a carattere spirituale, voleva sentirmelo dire, e al rientro – curioso, credo, di capire cosa avesse provato un peccatore come me e guardandomi negli occhi come se volesse psicanalizzarmi – mi aveva poi chiesto, visto che scrivo libri a profusione,  se avessi potuto scrivergli un ‘pezzo’ per il prossimo ‘numero’ della sua Rivista con le mie impressioni di neofita, visto che io avevo visto questo luogo di apparizioni per la prima volta, mentre per lui era la ventottesima.
Naturalmente, siccome sono timido e la sua è una rivista seria, abbassando lo sguardo mi sono schermito dicendo che non ero capace di scrivere un ‘pezzo spirituale’ su commissione. Avevo sempre bisogno di ispirazione. E poi – raccontata da me l’esperienza come la racconto io, e cioè da peccatore – non avrei voluto far perdere fede ai suoi lettori e tiratura alla sua stimata rivista.
Avevo avuto l’impressione che fosse rimasto un pochino deluso perché – sapendo che scrivo libri spirituali – lui è convinto che a me basti sedermi di fronte al computer per sfornare pagine su pagine senza che neanche debba sforzarmi la testa.
Il giorno dopo però, messomi al computer con l’intenzione di scrivere finalmente questo capitolo  sulle discordanze bibliche della genealogia di Gesù che avevo in mente da un mese, ho provato un senso di colpa, e allora d’impulso  - non certo perché venisse pubblicata sulla sua Rivista ma per soddisfare la sua richiesta e a ricordo del bellissimo viaggio – gli scrissi questo  mio poco serio ‘resoconto’:

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Medjugorje 2000: una esperienza indimenticabile!

Non ho mai avuto la vocazione per la preghiera. Posso star chino su un vangelo anche otto ore di seguito e scrivere – come ho fatto -  anche tre volumi di commento sul Vangelo di Giovanni, ma non ditemi di pregare perché quello è veramente uno sforzo: tutte le mattine – presto – dico una corona (cinque decine!) di Rosario, ma perché mi aiuta mia moglie, e con un senso di sollievo quando arrivo alla fine e con un senso di colpa per averlo detto così male.
Insomma sono un ‘razionalista’ che ha capito con la ‘testa’ quanto la preghiera sia importante, ma che col cuore ancora non riesce a dirla.
‘Chissà che andando a Medjugorje…’, mi ero detto. Di là tutti i peccatori tornano convertiti, e chissà che io – se non convertito - impari a pregare…
Poi mia figlia, che è una che prega, mi fa con un sorriso radioso: ‘Sai papà, c’è un viaggio organizzato a Medjugorje, una comitiva, volevo andarci con la nonna, sai ci sono quelli del movimento carismatico… Vieni anche tu?’
‘Io? In comitiva? Coi carismatici e la nonna? Ma quelli cominciano a pregare in pulman il mattino e finiscono la sera. A me interessa tornare convertito, non santo’.
E così pensando ho risposto a mia figlia che non credevo di poter andare in quel periodo.
Dopo venti giorni mi telefona un amico: ‘Ciao, cosa ne diresti se a Pasqua ci facessimo le feste a Medjugorie? Potremmo andare con la tua macchina, sei posti comodi…’
Copro la cornetta del telefono, sussurro a mia moglie se ha voglia di andare a Medjugorie a Pasqua, lei mi risponde di sì e … ‘Certo – replico all’ amico – mi hai letto nel pensiero e a Pasqua c’è là anche mia figlia che va per conto suo…Bello, anzi bellissimo, la costa dalmata è meravigliosa e del pesce non parliamone nemmeno…, peccato che mio figlio vada a trovare la fidanzata negli States, sarebbe piaciuto anche a lui…’.
Presto detto e presto fatto: Mercoledì di Pasqua parte la figlia con i carismatici e la nonna, Giovedì parto io da casa mia, con l’amico, l’amico dell’amico, mia moglie e due ragazze di ventitre e venticinque anni impazienti di provare la gioia spirituale di un viaggio siffatto.
Mio figlio – che per esigenze… economiche ha dovuto rinunciare al suo viaggio americano – ha deciso di partire anche lui il giorno dopo il nostro, imbarcando in macchina, da Milano dove lavora, un ragazzo venuto da Genova, uno da Roma e una bella figliola arrivata in aereo dalla Sicilia.
Insomma, avremmo potuto noleggiarci praticamente un pulman da soli, senza carismatici.
C’era solo un piccolo problema: io ero a letto e mi trascinavo da un mese la ricaduta di una bronchite…
‘Non ‘c’è problema - mi fa l’amico, che è anche medico - mi porto io dietro tutto e ti faccio le punture in viaggio e poi una volta là…, di che ti preoccupi?’
Cosa avreste detto a uno che ha una fede così?
‘D’accordo!’, gli ho detto.
Il Giovedì santo partiamo dunque a pieno carico, dopo aver fatto le raccomandazioni di buona guardia ai miei cinque lupi e a mio genero, che rimangono a casa, lui con i due miei nipotini, che per inciso sono anche suoi figli, ma con l’appoggio forte di sua mamma che come nonna è molto più nonna di me – il che è comprensibile – ma anche di mia moglie.
Tempo splendido, pare estate, entusiasmo alle stelle, l’auto – in sei a bordo più il bagaglio – tira da matti.
Appena ci immettiamo sulla provinciale il mio amico propone di dire la preghiera per l’angelo custode.
‘Giusto - faccio io pieno di buona volontà - la dico tutte le mattine, anzi già che ci siamo diciamo anche le preghiere del mattino…’
Mi guardano stupiti ed attaccano con entusiasmo. Mi sento in pace con la coscienza e mentre do un’occhiata all’autoradio propongo di fare anche una preghiera all’angelo del viaggio perchè ci conservi salvi fino a Medjugorje.
Una ragazza di dietro con un vocino ci fa poi: ‘Perché non dire anche un rosario?’
Che avreste detto voi? Quella mattina, con i preparativi della partenza, l’avevo oltretutto dimenticato.
L’amico dell’amico: 83 anni ma ne dimostra 65, afferra l’occasione al balzo e con ritmo declamante attacca, mentre noi lo seguiamo in coro.
Bene, finalmente siamo in autostrada, niente traffico, pigio a 150, così – mi dico – staranno un pochino bravi, ora.
Ma la velocità ottiene l’effetto contrario perché l’amico dell’amico propone, come se non lo avesse detto da una settimana, un secondo rosario.
Tutti d’accordo? Sìii…!, fa il coro degli altri. E io penso a mia figlia e ai carismatici con nostalgia.
Finalmente – dalle parti di Trieste – ci infiliamo in un Grill. Il mio amico – 73 anni ma ne dimostra 60, con in compenso 28 viaggi a Medjugorje sulle spalle – propone un brodino…, io lo guardo storto e preferisco le lasagne, le ragazze ci guardano incerte e optano per quattro foglie di lattuga, l’amico dell’amico decide per un panino, mia moglie – che invece alla linea ci terrebbe – decide di non lasciarmi solo e ordina un ‘secondo’, frutta e caffè.
Dopo un’ora si riprende il viaggio e come corroborante spirituale l’amico dell’amico propone il terzo rosario…
Ragazzi, non era ben per quello che avevo deciso di andare a Medjugorje? Volevo chiedere alla Madonna la grazia di darmi la voglia di pregare, cioè di amare lei, perché se amo lei son sicuro che mi salvo perché Gesù…, cos’è che le può mai negare Gesù a Lei se Lei, tenendomi un giorno in braccio, gli dirà che in fin dei conti – se io son figlio di Lei – sono anche fratello di Lui?
Facciamo una sosta in un paesino sul mare, c’è una cattedrale e dicono messa. Andiamo tutti in chiesa. In effetti nel mio percorso spirituale mi ero già da tempo impegnato ad andare a messa e far la comunione tre volte la settimana, inclusa la domenica. Qui siamo ancora nella media e poi siamo in pellegrinaggio per Medjugorje. E dov’è che si deve andare a messa se non qui? La chiesa, è strapiena. Suono di arpe, flauti e strumenti strani, cori che sembrano angelici, poi capisco che cantano in croato.
Su una lavagna luminosa appaiono a grandi lettere le parole del canto in lingua locale e – leggendole da lontano - mi ritrovo a cantare anch’io con loro, come se l’avessi sempre parlata. Sono uno schianto nelle lingue. La predica non mi ha convinto, però, perché il croato non lo capisco.
Arriviamo a Karlobag alle 10 di sera. All’albergo c’era posto per dormire ma il ristorante è chiuso. Tutti gli altri se ne vanno a letto mangiando arance, io – tirandomi dietro mia moglie - riesco a scovare un ‘bistrot’ aperto: pesce a volontà, speso pochissimo.
Il mattino seguente, repetita juvant: di nuovo preghiere, ma questa volta  arriviamo a Medjugorje per le 2 del pomeriggio: quindi un rosario in meno.
Depositiamo i bagagli nella casa dove siamo ospiti e poi torniamo in paese, cioè in chiesa.
Non dicono messa, perché è venerdì santo, ma c’è una funzione. Gente di tutte le nazionalità, ognuna con il suo orario delle funzioni.
Vedo la Madonna che – in statua – troneggia là sul fondo: dev’essere quella delle apparizioni.
Ragazzi, come pregano…! E cantano tutti. Se San Paolo è arrivato al terzo cielo, questi son tutti al settimo.
Mi commuovo anch’io. Dico mentalmente alla Madonna di perdonarmi per quei rosari detti di malavoglia in macchina, giusto per non fare brutta figura con gli altri stachanovisti, e le chiedo la grazia per la quale sono venuto: quella di insegnarmi a pregare lei. Ammetto con lei di essere molto ‘interessato’, e cioè che voglio amarla perché ho interesse alla mia salvezza, ma, una volta che ho imparato ad amarla perché lei mi ha ha aiutato, cosa le importa del motivo ‘interessato’ per cui glielo avevo chiesto?
Non so se mi ascolta, né – così da lontano – se mi sorride. Credo che mi guardi con aria grave e pensierosa, ma materna: sono pur sempre un figlio da salvare.
Dopo la funzione religiosa…shopping con qualche cine-ripresa ed una capatina all’ufficio informazioni per vedere il programma del giorno dopo, quindi di nuovo a casa: alloggiati in famiglia, ospitalità calorosa, il mio amico chiede un brodino per tutti, io lo fulmino con un’occhiata e al nostro ospite faccio grandi cenni con le mani facendogli capire di portare pure tutto quello che vuole, di non far complimenti perché noi non ci offendiamo.
Appena cenato arriva la seconda ondata…, cioè mio figlio con i suoi amici. Sono stravolti perché loro – quel giorno - hanno fatto una tirata di settecento chilometri, ma sono gasatissimi, specialmente ora che – nonostante il buio – ci hanno rintracciato e vedono la tavola imbandita.
Il giorno dopo, visita al villaggio, omelia senza messa di Padre Jozo per gli italiani in una chiesa di un paesino vicino, bella, ritorno al villaggio, altro giro turistico. Mi guardo intorno: interi gruppi famigliari, di tutte le nazionalità, tantissimi ragazzi e ragazze, tutti bellissimi. Non ce n’è uno che non abbia in mano un rosario, come se fosse un’arma contro il Nemico. Io soppeso con la mano quello che tengo in tasca, incerto se tirarlo fuori anch’io. Decido che c’è ancora tempo. Invece la mia combriccola mi incolla sul vetro davanti dell’auto un poster con il volto della Madonna. La visibilità diventa scarsa, ma ci penserà Lei. Mia moglie appende una catena del Rosario sullo specchietto retrovisore. Ora possiamo anche guidare ad occhi chiusi.
E’ tutto un viavai di migliaia di persone che entrano e escono dalla Chiesa, di tutte le nazionalità: coreani, cinesi, giapponesi, africani, libanesi, francesi, tedeschi, inglesi, spagnoli, oltre che naturalmente una nutrita rappresentanza di italiani.
Gli altoparlanti diffondono canti e preghiere all’esterno dove su delle panchine siedono  e pregano quelli che non hanno trovato posto all’interno.
All’esterno tante casette bianche, e sullo sfondo le colline di contorno.
Il clima è fiabesco, mi sento un poco stralunato, un pesce fuor d’acqua in mezzo a tante preghiere. Madonna mia, ma possibile che questi preghino tutti così tanto? Ma perché certi preti – quando gli parli di Medjugorje – ti guardano in maniera strana? Qui farebbe bene a tutti.
Io mi sforzo di essere, di rimanere normale, ma provo la tentazione di essere anormale anch’io e di mettermi a pregare con gli altri. Sangue freddo, mi dico. Non perdiamo il controllo. La Madonna l’hanno vista solo i veggenti.
E poi è il loro turno. Ci ricevono un veggente alla volta, per nazionalità, parlano la nostra lingua salvo aiutarsi anche con l’interprete. Danno testimonianza: credo sia la loro croce. Ma lo fanno con gioia, con pazienza, anche di fronte alle domande più indiscrete, e tutti con una luce esteriore che trapela dall’interno. Li guardo attentamente: Helena, molto graziosa, assolutamente normale ed equilibrata, anzi fin troppo. Vishka, anima-vittima che vede la Madonna tutti i giorni, per forza ha sempre quel sorriso radioso per tutti. Jacob, quello sposato, che lavora in Italia ma che è lì per le feste, con quella sua aria pulita e che racconta anche lui della sua Madonna.
Capisci che hanno avuto le visioni ma che non sono visionari. Più ancora che capirlo, lo sento. E ogni anno milioni di persone vanno lì a pregare e a sentire i messaggi che la Madonna dà ormai continuamente, apparendo giornalmente da 18 anni.
Ma come mai così tanto? Cos’è che vuol farci capire? Cosa sta per succedere? Ci chiede di pregare, e di digiunare. Io ci provo, ma non in questi giorni di vacanza. Insomma io faccio tutto il contrario. A casa digiuno, o meglio ci provo, e qui cerco di rifarmi. Non riesco a cogliere interamente il senso spirituale del viaggio. Probabilmente scandalizzo i miei compagni, anche perché, per reazione alla loro compunzione, cerco di sembrare un poco scanzonato e dissacratore. Ma dentro di me mi commisero. Madonna mia, se non mi aiuti io non ce la faccio.
Però ce la faccio ad arrampicarmi sul monte delle apparizioni, tutte pietre appuntite e gente che cammina anche a piedi scalzi: masochisti! C’è modo e modo di farsi perdonare i peccati. Anche mia figlia. Quando torno a casa faccio la spia a suo marito.
La sera, finalmente una bella cena, passeggiata notturna mentre nel buio incipiente si vede lassù la croce in cima al Krisevaz.
Il giorno dopo è Pasqua: messa alla grande, Gesù è risorto ma io la Madonna non la sento ancora.
In chiesa è un tripudio, concelebrano in quattro: un italiano che dice di esser missionario nel mondo, un messicano che dice di essere venuto missionario in Italia, un altro italiano che dice di essere missionario in Africa, un canadese dolcissimo che non è missionario ma parla con lo sguardo al cielo come se le visioni le avesse anche lui.
Ragazzi, ormai siamo anche noi terra di missione. Dobbiamo essere rievangelizzati.
Il mio amico mi fa un’altra puntura giornaliera di antibiotico, mi ausculta, ho la pressione alta. Strano l’ho sempre avuta bassa.
Il giorno dopo è Lunedì: Pasquetta. Ancora iniezioni, più delle pastiglie per la pressione. Prendo la palla al volo per dire che non me la sento di scarpinare sotto il sole fin sù alla croce del monte Krisevaz. Vanno gli  altri e io finalmente me ne sto rilassato a casa, leggendomi un libro di spiritualità.
Mio figlio e i suoi amici rientrano in Italia: ragioni di lavoro.
Gli altri miei compagni di squadra tornano all’ora di pranzo, stanchi morti ma felici.
Pomeriggio messa, e – per gli altri - ancora preghiera. Io mi sento un marziano. Signore perdonami. Questi hanno una marcia in più. Tu lo sai che quando scrivo i tuoi libri lavoro – per mesi e mesi – e anche quattordici-quindici ore al giorno, ma pregare un’ora mi pesa. Cosa facciamo? Rinuncio? Lo ridico a Maria? Madonna mia, mettici tu una pezza perché andiamo molto male.
Incontro per l’ennesima volta mia figlia: quella è perfettamente a suo agio, prega più dei carismatici. La nonna, neo-convertita e razionalista anche lei, mi sembra invece un pochino in crisi: troppe preghiere le devono far male. La consolo spiegando che fortunatamente non sono tutti così, ma che comunque son le preghiere di questi che salvano quelli come noi. Mi sorride.
Martedi partenza alle 2 del pomeriggio, ma al mattino messa e preghiera.
Alla sera è prevista una tappa nello stesso albergo dell’andata, con cena a base di pesce in quel bistrot miracoloso, quanto a qualità e prezzi.
Ma non mi salvo da tre corone di rosario, una coroncina, una novena, una serie di canti religiosi, e una cassetta di canti di chiesa acquistata a Medjugorje che viene chiesta dalle ragazze e viene ripetuta per quattro volte con la mia complicità anche perché così chiudo la bocca all’amico dell’amico che vorrebbe snocciolarmi ancora una litania: lui confessa candidamente di dire anche sei rosari al giorno, quando può. Signore mio perdonami.
Per strada scegliamo un cespuglio e il mio amico ne approfitta per farmi una iniezione e rifilarmi due pastiglie, perché mi è venuto il mal di stomaco, e altre due per la pressione. Io la pressione l’ho sempre avuta perfetta. Cosa mi succede stavolta? Qui ci vuole un miracolo.
Poi la Polstrada croata mi ferma per eccesso di velocità: andavo a novanta anziché a sessanta. Sono gentilissimi - sembra che si scusino, guardando il poster della Madonna sul vetro dell’auto - ma fa lo stesso sessantamila, in lire italiane.
Me la prendo col mio angelo custode e con quello del viaggio, che mi risponde che così imparo ad ascoltarlo quando mi dice di andar più piano.
A questo punto il mio amico mi chiede a bruciapelo che impressione mi ha fatto il viaggio. Che avreste risposto voi?
Gli ho fatto un bel sorriso e – chiedendo scusa mentalmente alla Madonna – ho risposto: da non dimenticare!
Anche perché - tornato a casa e precipitatomi dal mio medico per riprendere la cura interrotta - quello mi ausculta il cuore, aggrotta le sopracciglia, mi guarda strano e mi fa: ma questo fibrilla!
Roba da farmi prendere un colpo, invece!
Di corsa in ospedale, elettrocardiogramma: conferma, ricovero immediato, altro elettrocardiogramma: tutto sparito. Increduli, ecocardiogramma: perfetto, esami del sangue: perfetti. Non ci capiscono niente, devono esser state tutte quelle medicine degli ultimi quaranta giorni…dicono.

Grazie, angelo mio custode e Madonna mia, per essermela scampata, devo infatti ancora imparare a pregare, se voglio salvarmi.

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Voi vi starete ora magari domandando cosa c’entri tutto questo mio racconto  sul viaggio a Medjugorje con la genealogia di Gesù che dovrebbe essere l’argomento di questo capitolo.
Niente, non c’entra niente, assolutamente niente.
Ed è la dimostrazione che sbagliava quel mio amico quando pensava che mi bastasse mettermi di fronte al computer per scrivere un libro.
Io sono ora semplicemente in attesa da più di un’oretta che mi venga l’ispirazione.
Nonostante comunque che i medici mi avessero prescritto dieci giorni di riposo e di non sudare, ieri - in mattinata - ho messo giù l’orto e nel pomeriggio, con il  trattore e con un altro mio amico, eravamo sui campi.
Abbiamo fresato il terreno, fatto i solchi e seminato 50 chili di patate…, garantite dal venditore  per una resa di  dieci volte: ce n’è per gli amici e quindi anche per voi.
In compenso mi sono fatto una bella sudata e ora sono qui che prego la Madonna di Medjugorje che mi salvi da una ricaduta come mi ha salvato dalla fibrillazione.

 

6.2 I discendenti dell’Arca perduta

E allora, visto che l’ispirazione non viene, chiedo aiuto a Vittorio Messori perché qui, con questo brano del vangelo di Matteo, cominciano proprio quelle discordanze di cui lo stesso Messori aveva parlato, come avevo scritto nella Introduzione, dandomi così l’idea per scrivere questo mio libro alla loro ricerca.
Al riguardo devo dire che anche Messori ha letto bene Voltaire.

In Ipotesi su Gesù, (Cap. VI: ‘Le croci di una critica: la ragione borghese e le discordanze tra i vangeli’) egli dice infatti testualmente di Voltaire:

‘…maestro di logica, campione nello smascherare  tutte le falsità cristiane, paladino della luce della ragione contro l’oscurantismo di origine biblica. Certo, questa è la sua fama consolidata. Ma prendiamo un esempio di questa logica, tratto dal suo capolavoro, il ‘Dizionario filosofico’. In una ‘voce’, Voltaire beffeggia i credenti, quei semplici, che tra mille altre assurdità prendono per buono sia il vangelo di Matteo che quello di Luca. Entrambi questi testi riportano la genealogia  « di  Giuseppe, lo sposo di Maria dalla quale nacque Gesù, chiamato Cristo ». Ma mentre Matteo enumera soltanto 42 antenati, Luca ne ha ben 56. Per giunta i nomi delle due liste ora coincidono e ora no. E quando coincidono il problema è ancora più grave, perché Luca risale addirittura ad Adamo, mentre Matteo parte da Abramo. Insomma un pasticcio più grosso non si poteva combinare, osserva sarcastico il filosofo francese. Come si fa ad attribuire un minimo di attendibilità storica a testi che sin dall’inizio si presentano così?…. Chiariamo subito che nessuno studioso cristiano, anche tra i più tradizionali, tenterebbe di ‘dimostrare’ che quelle ‘genealogie’ sono da valutare secondo il nostro concetto di storia. Esse hanno una funzione letteraria, simbolica e, soprattutto, teologica. Ci guarderemo bene  dall’assurdo tentativo di dimostrare che sono ‘vere’ nel senso storico attuale’…’.

Messori conclude queste ed altre osservazioni su Voltaire dicendo che ha citato certi aspetti per far comprendere  quale sia il tipo di logica di chi – come Voltaire appunto - si attacchi a queste pagine evangeliche, o ad altre del genere, per confermare come nei vangeli vi siano manipolazioni o pagine create ad arte ad uso dei credenti.

Ora, dopo le 42 generazioni di Matteo che avete letto all’inizio di questo capitolo, io vi risparmio di farvi contare quelle di Luca (Lc 3, 23-38) che, in effetti, ne scrive ben di più.
Ma ciò dipende dal fatto che mentre Matteo fa un elenco genealogico discendente, partendo da Abramo, giù giù fino a Gesù (totale 42), Luca ne fa uno ‘ascendente’, da Gesù… fino ad Adamo.
Logico quindi che ce ne abbia infilata qualche decina di più, non vi pare?
Battute a parte, a me sembra comunque chiaro che se – come dice Matteo – da Abramo a Davide sarebbero passate quattordici generazioni, altre quattordici da Davide a Geconia, e ancora quattordici da Geconia a Gesù, queste numerazioni dovessero essere intese in senso simbolico, anche se il significato preciso di quella simbologia oggi a noi sfugge.
Se il sette – ad esempio -  è già nella Bibbia un numero di per sé perfetto, sette più sette, cioè quattordici, potrebbe essere un numero due volte perfetto che moltiplicato a sua volta per tre volte (e cioè 42) rappresenterebbe il massimo della perfezione: come per dire che Gesù era l’ultimo anello ‘nobile’ di una catena lunghissima, anzi straordinariamente lunga, che – come fa osservare Luca - partiva addirittura da…Adamo.
Se nei testi biblici bisogna stare attenti a non considerare puerili certe spiegazioni che invece hanno dei significati profondi, non bisogna neanche  dare puerilmente importanza – come fa in questo caso Voltaire – a dettagli che non hanno alcuna pretesa storicistica.
I sei giorni che la Genesi indica esser stati necessari per la creazione dell’Universo, ad esempio, non vanno presi in senso letterale e strumentalizzati per ridicolizzare la Genesi ed in genere i racconti biblici.
I ‘giorni’ vanni intesi come ‘periodi di tempo’, come epoche durate anche milioni di anni, epoche che gli scienziati hanno anche creduto di esser riusciti a individuare nell’ambito dei 4/5 miliardi di anni che si ritiene siano l’età della Terra.
Non parliamo poi dei commenti fatti da altri ‘illuministi’ alla Voltaire – a comprova dell’infantilismo dei cristiani - sul fatto ‘puerìle’ per cui i primi due uomini avrebbero contratto il Peccato Originale per essersi mangiati un misero frutto di albero proibito…, e ciò sempre per screditare l’attendibilità di questi libri sacri riducendoli ad una raccolta di miti e leggende popolari.
Avete anzi ben letto - nelle spiegazioni del Cap. 2 di questo libro: ‘La rivincita di Dio! Fischia, o Satana, il tuo livore…’ – quanto sottile e profonda sia stata invece stata la natura del Peccato originale.
Queste poche generazioni indicate da Matteo e Luca – se avessero un reale significato storico - farebbero peraltro risalire l’origine dell’uomo solo a poche migliaia di anni fa , fatto palesemente erroneo.
Paleontologi e antropologi sono infatti quasi tutti d’accordo nel fissare l’apparizione dell’homo ‘sapiens-sapiens’ ad alcune decine di migliaia di anni fa, salvo poi – affezionati, anzi innamorati della teoria di Darwin - attribuire all’uomo una ulteriore discendenza  da qualche australopiteco o scimmietta di qualche milione di anni fa, a sua volta proveniente da qualche lombrico discendente da una qualche cellula che si sarebbe data da sé la vita.
Ma se la genealogia di Gesù, come la leggiamo in Matteo e più ancora in Luca, è un rebus, quella della razza umana – della quale Gesù come uomo per parte di madre fa parte - non è da meno.
Fino a qualche decennio fa gli scienziati – in particolare antropologi e paleontologi – sembravano essere quasi tutti piuttosto d’accordo sul fatto che l’uomo dovesse discendere dalla scimmia.
Non avevano prove, anzi avevano solo una teoria, quella evoluzionista, ma il fatto di ritrovare reperti fossili che evidenziavano quanto meno una ‘scala’, cioè dei gradini fra una specie e l’altra, li aveva portati a pensare che quella scala evolutiva di diversi tipi di animali fosse in realtà frutto di una evoluzione lenta, durata milioni di anni, di un animale che si trasforma in un altro: la scimmia che diventa uomo dopo aver perso la coda prensile avendo imparato a non vivere più sugli alberi, insomma.
Nel creato – a ben guardare - vi è un altro esempio di ‘scala evolutiva’, quella del mondo minerale, vegetale, animale.
Il mondo minerale – il più ‘basso’ - è inerte ma è la base di sopravvivenza degli altri due ‘mondi’.
Il mondo vegetale ha già un principio vitale perché le piante trasformano le sostanze del mondo minerale e attraverso la linfa, concettualmente analoga al nostro sistema vascolare, si sviluppano utilizzando le sostanze del mondo minerale e …si riproducono per impollinazione.
Il mondo animale possiede anch’esso un principio vitale, ma più avanzato di quello vegetale, ed un sistema vascolare (sanguigno) più perfezionato di quelle linfatico delle piante.
Gli animali si nutrono a loro volta dei prodotti del mondo minerale e vegetale, cioè i due gradini precedenti della scala evolutiva.
Gli animali sono anche dotati di un sistema di sensibilità più avanzato di quello vegetale, grazie al quale essi si riproducono anche.
Ma nulla ci può autorizzare a concludere che questi tre gradini siano il risultato di una evoluzione spontanea e diretta dall’uno all’altro.
Anzi si potrebbe dire che la scala evolutiva continui, dall’animale – munito di un’anima puramente ‘animale’ (e cioè di un mero principio vitale) – all’uomo vero e proprio dotato, oltre che dell’anima-animale, anche di un’anima spirituale, cioè una quintessenza del tutto spirituale, fatta in quanto ‘spirituale’ ad immagine e somiglianza di Dio, destinata a dialogare con Dio e a vivere nell’eternità.
La vera evoluzione è dunque quella che porterà l’uomo-animale a divenire uomo-spirituale ed infine – lasciato il corpo dopo la morte dello stesso – a diventare spirito, in cielo.
Ecco l’evoluzione che gli evoluzionisti non vogliono comprendere
E’ solo il bisogno di negare il creazionismo che ha fatto emergere l’evoluzionismo, nato con Darwin in pieno periodo illuminista-positivista ma strumentalizzato spesso per dimostrare che non c’è alcun bisogno di Dio, tantomeno Creatore.
La moderna genetica con lo studio del Dna ha però messo i bastoni fra le ruote a queste teorie, dimostrando – sempre parlando di genealogia – che gli uomini non sono apparsi contemporaneamente in diversi punti della terra ma discendono tutti da due unici capostipiti, che la culla dell’Umanità debba inoltre collocarsi in un solo punto della Terra, in particolare in Africa o Medio Oriente, e infine che l’uomo di Neanderthal, il cosiddetto anello mancante della catena fra gli ominidi precedenti e l’uomo attuale, non è l’anello mancante ma era anzi un convivente in tutti i sensi dell’uomo attuale.
Dall’approfondimento delle rivelazioni del Gesù della Valtorta emerge, sui nostri antenati, una storia curiosa e quasi fantascientifica.
Ne avevo parlato a fondo in alcuni capitoli del mio ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’.
Caino non si pentì per l’assassinio del fratello Abele, fu allora maledetto da Dio con la sua stirpe, fuggì per tema di venir ucciso per il suo delitto, e - di caduta spirituale in caduta spirituale - si insatanassò a tal punto da coltivare passioni bestiali.
Sulla terra – come ha appurato anche l’antropologia – vivevano a quel tempo vari tipi di ominidi, cioè esseri umanoidi con cervello di peso sensibilmente inferiore a quello dell’uomo ma che avevano per certi versi abitudini simili: ad esempio sapevano costruire ed utilizzare utensili.
Caino ed i suoi discendenti – si apprende dal Gesù che parla nell’Opera valtortiana – si accoppiarono però bestialmente con queste femmine scimmiesche di ominide, dalle quali nacquero degli ibridi a metà strada fra l’ominide e l’uomo, incroci bastardi dei quali gli scienziati hanno scoperto negli ultimi anni le tracce non solo genetiche ma anche di convivenza con uomini veri e propri.
Gli altri uomini di razza pura, non discendenti da Caino, e cioè i discendenti di Set, finirono infatti per accoppiarsi con le femmine particolarmente sensuali (Neanderthal) derivate dal primo incrocio.
Si dette così origine ad un secondo e più evoluto ibrido - ancora più somigliante all’uomo del primo ibrido - dotato di struttura scheletrica e muscolare di notevole potenza, vale a dire quegli uomini ‘potenti’, i ‘giganti’, che popolavano allora la terra, in merito ai quali vi è anche uno specifico accenno nel Capo 6° della Genesi, e che sono tutt’altro che un racconto mitologico, come taluni hanno pensato.
Il Neanderthal, dunque, sarebbe quello che Dio – attraverso i profeti – chiama nel Capo 6° della Genesi ‘figlio dell’uomo’, perché frutto di un incrocio bestiale fra un uomo e un ominide privo d’anima, in contrapposizione a quelli che, sempre nella Genesi, vengono invece chiamati  ‘figli di Dio’, cioè i discendenti di Set, la razza pura, che invece – in quanto uomini veri e propri - avevano l’anima spirituale che viene infusa da Dio al momento del concepimento di ogni essere umano.
Tutto questo, che si ricava dalle rivelazioni dell’Opera della Valtorta, mi sembra – anche ragionando da razionalisti – molto più verosimile della discendenza dell’uomo dal Neanderthal e quindi dall’ominide, e anzi da una  scimmia, per non parlare del resto.
Ed offre anche una spiegazione ragionevole del perché del diluvio universale e della necessità di ricostituire la razza umana attraverso Noè e la sua famiglia.
L’Umanità – come si era venuta sviluppando dopo il Peccato originale – si era in gran parte corrotta, vuoi perché composta dagli esseri senz’anima frutto dei predetti incroci bastardi, vuoi perché anche gli uomini autentici si erano imbastarditi, se non tutti geneticamente, certamente moralmente.
Per ricostituire la razza umana e salvare il progetto di Dio sull’uomo e portarlo in Cielo grazie anche al futuro sacrificio del Redentore non rimaneva che far tabula rasa.
Nel ‘mazzo’ sarebbero periti anche degli uomini non completamente corrotti, ma questi si sarebbe spiritualmente salvati finendo nel Limbo e – nella prospettiva della vita eterna – sarebbero stati ‘liberati’ con la Redenzione operata dal Cristo.
Lasciarli in vita avrebbe significato lasciarli corrompere del tutto e quindi abbandonarli alla dannazione.
E’ questa, e cioè quella del diluvio che ha spazzato via tutti tranne Noè con la sua arca, la ragione per cui gli scienziati moderni – che disprezzano, in quanto considerate ‘mitologiche’, letture come la Bibbia per non dire scritti come quelli della Valtorta – non sanno darsi pace.
Essi non riescono infatti a darsi ragione del come mai l’uomo di Neanderthal e gli altri ominidi, che pure è provato abbiano convissuto con l’uomo, siano spariti all’improvviso dalla faccia della terra, un trentamila anni fa circa, mentre risulta sopravvissuto solo l’uomo moderno.
Loro non lo capiscono ma noi, che non siamo scienziati e leggiamo la Valtorta, ora non abbiamo più segreti.
E’ rimasto infatti solo l’Homo sapiens-sapiens, cioè la nostra razza ‘moderna’, perché noi siamo i ‘sopravvissuti’ dalla distruzione del diluvio.
Noi siamo i discendenti dei discendenti di Noè, cioè la razza umana ricostituitasi nella sua purezza dopo il diluvio dal quale si salvò solo l’equipaggio dell’arca.
E con questo abbiamo chiarito non solo la genealogia di Gesù in quanto ‘uomo’, ma anche la nostra.