(Il Vangelo secondo Luca – La Sacra Bibbia – Cap. 1, 39-80 – Ed. Paoline, 1968)
(M.V. ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Cap. 21,24,25 – Centro Ed. Valtortiano)
(G.Landolina: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 84 – Ed. Segno)

4.  Tre mesi di vacanza, è vero, ma ‘passata la festa’…

 
Lc 1, 39-80:

In quei giorni Maria si mise in viaggio in tutta fretta verso la montagna, a una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta.
Or, appena Elisabetta udì il saluto di Maria, il bambino le balzò nel seno, ed Elisabetta fu ripiena di Spirito Santo, ed esclamò ad alta voce dicendo: « Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo seno! E come mai mi è concesso che la Madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto ha colpito i miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio seno. Beata colei che ha creduto che si sarebbe avverato quanto le è stato detto da parte del Signore! ».
Allora Maria disse: « L’anima mia magnifica il Signore. E lo spirito mio gioisce in Dio, mio Salvatore! Perché ha rivolto i suoi sguardi all’umiltà della sua serva. Ed ecco che fin d’ora tutte le generazioni mi chiameranno beata. Poiché grandi cose hanno fatto in me l’Onnipotente, il cui nome è Santo. La sua misericordia s’estende di  età in età su coloro che lo temono. Ha mostrato la potenza del suo braccio, ha disperso gli uomini dal cuore superbo. Ha rovesciato i potenti dai loro troni, ed ha esaltato gli umili. Ha saziato di beni gli affamati, e rimandato a mani vuote i ricchi. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva detto ai nostri padri, verso Abramo e la sua stirpe, in eterno ».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi se ne ritornò a casa sua.

Per Elisabetta intanto si compì il tempo di partorire e diede alla luce un figlio.
I suoi vicini e i suoi parenti, venuti a sapere che il Signore aveva manifestato verso di lei la sua misericordia, ne gioivano con lei. L’ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino, e lo volevano chiamare Zaccaria, dal nome di suo padre. Ma sua madre prese la parola e disse: «No, ma si chiamerà Giovanni ».
Essi le dissero: «Ma non c’è nessuno nella tua parentela che porti questo nome!».
Domandarono pertanto con segni a suo padre, per sapere come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e vi scrisse così: « Giovanni è il suo nome!».
Tutti furono meravigliati. In quel momento la sua bocca si aprì, la sua lingua si sciolse e parlava benedicendo Dio.
Tutti i vicini furono presi da timore e in tutta la montagna della Giudea si parlava di questi avvenimenti.
Coloro che ne sentivano parlare li custodivano nel loro cuore, pensando « Che cosa diventerà questo bambino?». Infatti, la mano del Signore era con lui. Allora Zaccaria, suo padre, fu ripieno di Spirito Santo e profetizzò dicendo: « Benedetto il Signore di Israele, perché ha visitato e redento il suo popolo, ha suscitato una forza di salvezza per noi, nella casa di Davide, suo servo, come aveva promesso per bocca dei suoi santi, i suoi profeti del tempo antico: liberazione dai nostri nemici, e dal potere di quanti ci odiano;fare misericordia ai nostri padri e ricordarsi della sua santa alleanza, del giuramento che pronunziò ad Abramo, nostro padre, di concederci che, liberi dal potere dei nostri nemici, lo possiamo servire senza timore, nella santità e nella giustizia, al suo cospetto, per tutti i nostri giorni. E tu, o bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo, precederai, infatti, il Signore, per preparare le sue vie, per annunziare al suo popolo la salvezza mediante la remissione dei loro peccati, in grazia della tenera misericordia del nostro Dio, in virtù della quale ci visiterà un sole che sorge, per illuminare quelli che giacciono nelle tenebre e nell’ombra di morte, per dirigere i nostri passi sul cammino della pace.

Intanto il fanciullo cresceva e si fortificava nello spirito, e abitava nei deserti fino al giorno della sua manifestazione dinanzi a Israele.

4.1 Il mio Zaccaria è muto. Dio lo ha colpito per non aver creduto.

Nel primo capitolo abbiamo parlato della storicità dei vangeli e delle ragioni per cui abbiamo deciso di prendere in esame soprattutto il testo di Matteo, integrandolo tuttavia di volta in volta, quando necessario, con brani di Marco e Luca.
Nel secondo capitolo, seguendo la narrazione di Luca, abbiamo conosciuto due episodi: quello dell’apparizione dell’Arcangelo Gabriele a Zaccaria, per preavvertirlo che Elisabetta – ritenuta irrimedialmente sterile – avrebbe avuto un figlio al quale egli avrebbe dovuto dare il nome di Giovanni, e quindi l’apparizione sei mesi dopo a Maria, per annunciarle il concepimento del Figlio dell’Altissimo.
Maria crede fiduciosamente all’Angelo e accetta la sua missione con spirito di abbandono alla volontà del Signore. Ha così inizio l’Incarnazione del Verbo in Gesù-Uomo-Dio dando il via al processo che porterà alla Redenzione dell’Umanità e che troverà il suo coronamento con Gesù, un Dio, in Croce.
Nel terzo capitolo sono state messe a fuoco le due figure di Eva e di Maria: la prima ha perduto l’uomo e la seconda l’ha salvato. E’ stato inoltre spiegata l’origine del Male e, successivamente, del Peccato originale e di quelli che furono gli obbiettivi della Incarnazione del Verbo in un essere umano e cioè farsi Uomo per aiutare l’uomo a conoscere il Progetto di Dio ed aiutarlo a tornare ad essere – come Adamo ed Eva prima del Peccato originale - dominatore dei suoi tre strati: spirituale, morale e animale, per riacquistare – grazie alla Redenzione - il diritto alla reintegrazione nel Regno dei Cieli.
In questo quarto capitolo assistiamo, dopo il concepimento di Gesù, al viaggio di Maria da Nazareth fino in Giudea per assistere l’anziana Elisabetta, della quale l’Angelo dell’Annunciazione le aveva appunto rivelato la maternità.
Nell’Opera valtortiana si aprono a questo punto una serie di splendidi capitoletti che narrano dell’arrivo di Maria, a dorso di un ciuchino, a Ebron – che era appunto la residenza della Famiglia Zaccaria, sacerdote del Tempio, benestante, reso muto dall’Angelo al quale si era rifiutato di credere.
Quello dell’arrivo di Maria presso la casa di Elisabetta e Zaccaria è un episodio colorito.
Elisabetta, come si rileva dall’Opera valtortiana, era parente di Maria per parte della mamma di Maria stessa: Anna.
 Anna e suo marito Gioacchino, già anziani, erano però morti quando Maria era ancora in giovanissima età presso il Tempio di Gerusalemme.
Elisabetta e Zaccaria erano quindi stati sempre vicini alla piccola orfana, che nel frattempo era cresciuta ed era andata in sposa, e poi lo saranno anche dopo, cioè fino a dopo la persecuzione di Erode seguita alla strage degli innocenti dopo la venuta dei Magi. Anzi – come si evince dall’opera valtortiana – la persecuzione toccò anche loro in quanto essi vennero successivamente individuati da Erode come ‘parenti’ dell’odiato e temuto Messia.
Ora è in questo episodio evangelico che – tramite appunto Maria che aveva in grembo il Figlio di Dio - avviene la santificazione (con la cancellazione del Peccato originale in quanto egli sarebbe stato il ‘Precursore’ del Figlio di Dio) di Giovanni Battista a sua volta in grembo ad Elisabetta.
Illuminate dallo Spirito che scende su di loro, le due donne profetizzano, Elisabetta ‘intuisce’ la divinità del figlio di Maria, cioè che Maria è la ‘Madre’ del Signore, termine questo che per gli ebrei stava a significare Dio.
Maria, lacrime agli occhi per le parole di Elisabetta e per la riconoscenza a Dio di averle dato quel dono che sarà però anche Passione, pronuncia a sua volta in piena ispirazione quel famoso Magnificat che solo un perdurante razionalismo può giudicare una normale preghiera inventata successivamente a fini apologetici.
Zaccaria, non illuminato dallo Spirito perché ‘punito’, rimane in attesa davanti alle due donne, quasi certamente senza comprendere il senso reale di quello che esse si stavano dicendo.
Ma ora andiamo a vedere direttamente la visione di Maria Valtorta, riconfrontandola poi col testo redatto da Luca (al quale l’episodio non potè evidentemente che essere raccontato molti anni dopo dalla Madonna in persona) , testo che dice l’essenziale ma non riflette certo la plasticità e serenità di questa visione:

(M.V. :‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Cap. 21 - Centro Ed. Valtortiano)

 

21. L'arrivo di Maria a Ebron e il suo incontro con Elisabetta.

1 aprile 1944.
Sono in un luogo montagnoso.  Non sono grandi monti ma neppur più colline.  Hanno già gioghi e insenature da vere montagne, quali se ne vedono sul nostro Appennino tosco-umbro.  La vegetazione è folta e bella e vi è abbondanza di fresche acque, che mantengono verdi i pascoli e ubertosi i frutteti, che sono quasi tutti coltivati a meli, fichi e uva: intorno alle case questa.  La stagione deve essere di primavera, perché i grappoli sono già grossetti, come chicchi di veccia, e i meli hanno già legati i fiori che ora paiono tante palline verdi verdi, e in cima ai rami dei fichi stanno i primi frutti ancora embrionali, ma già ben formati. I prati, poi, sono un vero tappeto soffice e dai mille colori.  Su essi brucano le pecore, o riposano, macchie bianche sullo smeraldo dell'erba.
Maria sale, sul suo ciuchino, per una strada abbastanza in buono stato, che deve essere la via maestra.  Sale, perché il paese, dall'aspetto abbastanza ordinato, è più in alto.  Il mio interno ammonitore mi dice: « Questo luogo è Ebron ».  Lei mi parlava di Montana.  Ma io non so cosa farci.  A me viene indicato con questo nome.  Non so se sia « Ebron » tutta la zona o « Ebron » il paese.  Io sento così e dico così.
Ecco che Maria entra nel paese.  Delle donne sulle porte è verso sera - osservano l'arrivo della forestiera e spettegolano fra di loro.  La seguono con l'occhio e non hanno pace sinché non la vedono fermarsi davanti ad una delle più belle case, sita in mezzo del paese, con davanti un orto-giardino e dietro e intorno un ben tenuto frutteto, che poi prosegue in un vasto prato, che sale e scende per le sinuosità del monte e finisce in un bosco di alte piante, oltre il quale non so che ci sia.  Tutto è recinto da una siepe di more selvatiche o di rose selvatiche.  Non distinguo bene, perché, se lei ha presente, il fiore e la fronda di questi spinosi cespugli sono molto simili e, finché non c'è il frutto sui rami, è facile sbagliarsi.  Sul davanti della casa, sul lato perciò che costeggia il paese, il luogo è cinto da un muretto bianco, su cui corrono dei rami di veri rosai, per ora senza fiori ma già pieni di bocci.  Al centro, un cancello di ferro, chiuso.  Si capisce che è la casa di un notabile del paese e di persone benestanti, perché tutto in essa mostra, se non ricchezza e sfarzo, agiatezza certo.  E molto ordine.
Maria scende dal ciuchino e si accosta al cancello.  Guarda fra le sbarre.  Non vede nessuno.  Allora cerca di farsi sentire. Una donnetta, che più curiosa di tutte l'ha seguita, le indica un bizzarro utensile che fa da campanello.  Sono due pezzi di metallo messi a bilico di una specie di giogo, i quali, scuotendo il giogo con una fune, battono fra di loro col suono di una campana o di un gong.
Maria tira, ma così gentilmente che il suono è un lieve tintinnio, e nessuno lo sente.  Allora la donnetta, una vecchietta tutta naso e bazza e con una lingua che ne vale dieci messe insieme, si afferra alla fune e tira, tira, tira.  Una suonata da far destare un morto. «Si fa così, donna.  Altrimenti come fate a farvi sentire?  Sapete, Elisabetta è vecchia e vecchio Zaccaria.  Ora poi è anche muto, oltre che sordo.  Vecchi sono anche i due servi, sapete?  Siete mai venuta?  Conoscete Zaccaria?  Siete... ».
A salvare Maria dal diluvio di notizie e di domande, spunta un vecchietto arrancante, che deve essere un giardiniere o un agricoltore, perché ha in mano un sarchiello e legata alla vita una roncola.  Apre, e Maria entra ringraziando la donnetta, ma... ahi! lasciandola senza risposta.  Che delusione per la curiosa!
Appena dentro, Maria dice: « Sono Maria di Giovacchino e Anna, di Nazareth.  Cugina dei padroni vostri ».
Il vecchietto si inchina e saluta, e poi dà una voce chiamando: « Sara!  Sara!». E riapre il cancello per prendere il ciuchino rimasto fuori, perché Maria, per liberarsi dalla appiccicosa donnetta, è sgusciata dentro svelta svelta, e il giardiniere, svelto quanto Lei, ha chiuso il cancello sul naso della comare.  E, intanto che fa passare il ciuco, dice: « Ah! gran felicità e gran disgrazia a questa casa!  Il Cielo ha concesso un figlio alla sterile, l'Altissimo ne sia benedetto!  Ma Zaccaria è tornato, sette mesi or sono, da Gerusalemme, muto.  Si fa intendere a cenni o scrivendo.  L'avete forse saputo?  La padrona mia vi ha tanto desiderata in questa gioia e in questo dolore!  Sempre parlava con Sara di voi e diceva: "Avessi la mia piccola Maria con me!  Fosse ancora stata nel Tempio!  Avrei mandato Zaccaria a prenderla.  Ma ora il Signore l'ha voluta sposa a Giuseppe di Nazareth.  Solo Lei poteva darmi conforto in questo dolore e aiuto a pregare Dio, perché Ella è tutta buona.  E nel Tempio tutti la rimpiangono.  La passata festa, quando andai con Zaccaria per l'ultima volta a Gerusalemme a ringraziare Iddio d'avermi dato un figlio, ho sentito le sue maestre dirmi: 'Il Tempio pare senza i cherubini della gloria da quando la voce di Maria non suona più fra queste mura'.  Sara! Sara!  E' un poco sorda la donna mia.  Ma vieni, vieni, ché ti conduco io ».
Invece di Sara, spunta sul sommo di una scala, che fiancheggia un lato della casa, una donna molto vecchiotta, già tutta rugosa e brizzolata intensamente nei capelli, che prima dovevano essere nerissimi perché ha nerissime anche le ciglia e le sopracciglia, e che fosse bruna lo denuncia il colore del volto.  Contrasto strano con la sua palese vecchiezza è il suo stato già molto palese, nonostante le vesti ampie e sciolte.  Guarda facendosi solecchio con la mano.  Riconosce Maria.  Alza le braccia al cielo in un: « Oh! » stupito e gioioso, e si precipita, per quanto può, incontro a Maria.  Anche Maria, che è sempre pacata nel muoversi, corre, ora, svelta come un cerbiatto, e giunge ai piedi della scala quando vi giunge anche Elisabetta, e Maria riceve sul cuore con viva espansione la sua cugina, che piange di gioia vedendola.
Stanno abbracciate un attimo e poi Elisabetta si stacca con un: « Ah! » misto di dolore e di gioia, e si porta le mani sul ventre ingrossato.  China il viso impallidendo e arrossendo alternativamente.  Maria e il servo stendono le mani per sostenerla, perché ella vacilla come si sentisse male.
Ma Elisabetta, dopo esser stata un minuto come raccolta in sé, alza un volto talmente radioso che pare ringiovanito, guarda Maria sorridendo con venerazione come vedesse un angelo, e poi si inchina in un profondo  saluto dicendo: Benedetta tu fra tutte le donne!  Benedetto il Frutto del tuo seno! (dice così: due frasi ben staccate).  Come ho meritato che venga a me, tua serva, la Madre del mio Signore?  Ecco, al suono della tua voce il bambino m'è balzato in seno come per giubilo e quando t'ho abbracciata lo Spirito del Signore mi ha detto altissima verità al cuoreTe beata, perché hai creduto che a Dio fosse possibile anche ciò che non appare possibile ad umana mente!  Te benedetta, che per la tua fede farai compiere le cose a te predette dal Signore e predette ai Profeti per questo tempo!  Te benedetta, per la Salute che generi alla stirpe di Giacobbe!  Te benedetta, per aver portato la Santità al figlio mio che, lo sento, balza, come capretto festante, di giubilo nel mio seno, perché si sente liberato dal peso della colpa, chiamato ad esser colui che precede, santificato prima della Redenzione dal Santo che cresce in te! ».
Maria, con due lacrime che scendono come perle dagli occhi che ridono alla bocca che sorride, col volto levato al cielo e le braccia pure levate, nella posa che poi tante volte avrà il suo Gesù, esclama: « L'anima mia magnifica il suo Signore» e continua il cantico così come ci è tramandato.  Alla fine, al versetto: « Ha soccorso Israele suo servo, ecc. » raccoglie le mani sul petto e si inginocchia molto curva a terra, adorando Dio.
Il servo, che si era prudentemente eclissato quando aveva visto che Elisabetta non si sentiva male, ma che anzi confidava il suo pensiero a Maria, torna dal frutteto con un imponente vecchio tutto bianco nella barba e nei capelli, il quale con grandi gesti e suoni gutturali saluta di lontano Maria.
« Zaccaria giunge  » dice Elisabetta, toccando sulla spalla la Vergine assorta in preghiera. « Il mio Zaccaria è mutoDio lo ha colpito per non aver creduto.  Ti dirò poi.  Ma ora spero nel perdono di Dio, poiché tu sei venuta.  Tu, piena di Grazia ».
Maria si leva e va incontro a Zaccaria e si curva davanti a lui fino a terra, baciandogli il lembo della veste bianca che lo copre sino al suolo.  E' molto ampia, questa veste, e tenuta a posto alla vita da un alto gallone ricamato.
Zaccaria, a gesti, dà il benvenuto, e insieme raggiungono Elisabetta ed entrano tutti in una vasta stanza terrena molto ben messa, nella quale fanno sedere Maria e le fanno servire una tazza di latte appena munto - ha ancora la spuma - e delle piccole focacce.
Elisabetta dà ordini alla servente, finalmente comparsa con le mani ancora impastate di farina e i capelli ancor più bianchi di quanto non siano per la farina che vi è sopra.  Forse faceva il pane.  Dà ordini anche al servo, che sento chiamare Samuele, perché porti il cofano di Maria in una camera che gli indica.  Tutti i doveri di una padrona di casa verso la sua ospite.
Maria risponde intanto alle domande, che Zaccaria le fa scrivendole su una tavoletta cerata con uno stilo.  Comprendo dalle risposte che egli le chiede di Giuseppe e del come si trova sposata a lui.  Ma comprendo anche che a Zaccaria è negata ogni luce soprannaturale circa lo stato di Maria e la sua condizione di Madre del Messia.  E' Elisabetta che, andando presso il suo uomo e posandogli con amore una mano sulla spalla, come per una casta carezza, gli dice: « Maria è madre Ella pure. Giubila per la sua felicità ».  Ma non dice altro.  Guarda Maria.  E Maria la guarda, ma non l'invita a dire di più, ed ella tace.

Dolce, dolcissima visione!  Essa mi annulla l'orrore rimasto dalla vista del suicidio di Giuda.
Ieri sera, prima del sopore, vidi il pianto di Maria, curva sulla pietra dell'unzione, sul corpo spento del Redentore.  Era al suo fianco destro, dando le spalle all'apertura della grotta sepolcrale.  La luce delle torce le batteva sul viso e mi faceva vedere il suo povero viso devastato dal dolore, lavato dal pianto.  Prendeva la mano di Gesù, la accarezzava, se la scaldava sulle guance, la baciava, ne stendeva le dita... una per una le baciava, queste dita senza più moto.  Poi carezzava il volto, si curvava a baciare la bocca aperta, gli occhi socchiusi, la fronte ferita.  La luce rossastra delle torce fa apparire ancor più vive le piaghe di tutto quel corpo torturato e più veritiera la crudezza della tortura subita e la realtà del suo esser morto.
E così sono rimasta contemplando sinché m'è rimasta lucida l'intelligenza.  Poi, risvegliata dal sopore, ho pregato e mi sono messa quieta per dormire per davvero.  E mi è cominciata la suddescritta visione.  Ma la Mamma mi ha detto: «Non ti muovere.  Guarda unicamente.  Scriverai domani».  Nel sonno ho poi sognato di nuovo tutto.  Svegliata alle 6,30, ho rivìsto quanto avevo già visto da sveglia e in sogno.  E ho scritto mentre vedevo.  Poi è venuto lei e le ho potuto chiedere se dovevo mettere quanto segue.  Sono quadretti staccati della permanenza di Maria in casa di Zaccaria.

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4.2 Ebrei loro? Negatori loro? Ebrei voi, negatori voi.

Noterete che quando la Valtorta descrive o commenta certe scene si rivolge talvolta ad un ‘Lei’, un interlocutore sconosciuto: si tratta del suo Direttore spirituale, Padre Migliorini dell’Ordine dei Servi di Maria,  che avrebbe poi – giorno per giorno – ricopiato e dattilografato quei suoi appunti che Maria Valtorta, paralizzata,  scriveva da letto.

Maria – dice Luca – rimane in casa della cugina ben tre mesi ed in questo periodo – narrano le visioni di Maria Valtorta – lei si rende utile in ogni maniera. E di cosa parlano? Parlano dei loro nascituri, ovviamente, di come saranno,  belli, biondi con occhi scuri o chiari, con infine quella domanda penosa di Elisabetta alla sua più giovane compagna, che tradotta da me in parole povere suonava: ‘Come te la caverai quando – partita da Nazareth ‘signorina’, cioè senza nessun segno palese della tua ‘maternità’, vi farai poi ritorno più rotondetta del solito cosicché Giuseppe non potrà fare a meno di accorgersene?’.
Elisabetta si offre di dirlo lei a Giuseppe, che quello non è figlio d’uomo ma di Dio, facendo venire Giuseppe ad Ebron per quando avrebbero fatto la festa della circoncisione di Giovanni, ma Maria gli risponde sospirando che – nonostante questo pensiero sia per lei un vero e proprio dramma - lei preferisce affidarsi alla ‘difesa’ di Dio che troverà ben il modo.
Ricordo che stavo proprio leggendo questo episodio  quando – mentre ero assorto in meditazione – la mia ‘Luce’ mi diede un chiarimento:

(G.Landolina: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 84 – Edizioni Segno)

 

84. Tutto detto di Me, secoli e secoli prima della mia venuta...
ma il mio 'popolo' non mi volle riconoscere. E per amore dissi al Padre...

In questa scena del 'Poema' Maria SS. è a colloquio con Elisabetta, che se non ricordo male era una sua parente, moglie del sacerdote Zaccaria.
Elisabetta, già sterile, aspetta ora il Battista, Giovanni Battista, il Precursore. Maria è in casa di Elisabetta e la assiste in attesa della nascita di Giovanni.
Elisabetta era quella che, nel vedere Maria (la quale era andata a trovarla dopo che l' Angelo dell' Annunciazione l' aveva informata del fatto  che Elisabetta, detta la sterile, avrebbe avuto un figlio), l' aveva salutata - ispirata dallo Spirito Santo - dicendole 'Benedetta fra tutte le donne, benedetto il frutto del seno tuo...'
Elisabetta , pur non sapendo che Maria fosse 'in attesa' del Figlio di Dio, aveva 'profetizzato', aveva profetizzato senza neanche rendersene  quasi conto perchè 'santificata' dalla vicinanza di Gesù nel seno di Maria.
Dunque, Maria ed Elisabetta colloquiano e Maria, parlando del suo piccolo, parlandone rapita, si lascia scappare che lo chiamerà 'Gesù': che vuol dire Salvatore.
Elisabetta dice che il nome del Figlio di Dio: Salvatore, è bello. Ma Maria, fattasi improvvisamente mesta, in ansia, afferra le mani della cugina e - ricordandosi che essa aveva già 'profetizzato', cioè rivelato il fatto che Maria avesse in seno il Figlio di Dio, cosa che nessuno, nemmeno Giuseppe, sapeva - le chiede angosciata:

'...Dimmi: che dovrà fare per salvare il mondo la mia Creatura? I Profeti... Oh i Profeti che dicono del Salvatore! Isaia... ricordi Isaia?  'Egli è l' Uomo dei dolori. Per le sue lividure noi siamo sanati. Egli è trafitto e piagato per le nostre scelleratezze...Il Signore volle consumarlo coi patimenti... Dopo la condanna fu innalzato...'

 Luce:
Questo chiedeva mia Mamma angosciata ad Elisabetta sperando che, profetando, essa la tranquillizzasse.
Prendiamo ora il Profeta:

'Giubilate, cantate insieme, o rovine di Gerusalemme, perchè il Signore ha pietà del suo Popolo, egli riscatta Gerusalemme.Il Signore rivela il suo braccio agli occhi di tutti i popoli, e le regioni di tutta la terra vedranno la salvezza del nostro Dio...'

Isaia, 52.9/10

'Ecco, il mio Servo prospererà, sarà onorato, esaltato, e diventerà grande. E se molti si erano spaventati nel vederlo tanto il suo aspetto era sfigurato, - non aveva più l' aspetto di un uomo - si meraviglieranno di lui molte genti, i re al suo cospetto chiuderanno la bocca, perchè vedranno un avvenimento non annunziato, e osserveranno un fatto inaudito...'

Isaia, 52.13/15

'Disprezzato, rifiuto dell' umanità, uomo dei dolori, assuefatto alla sofferenza, come uno davanti al quale ci si copre il volto, disprezzato, così che non l' abbiamo stimato. Veramente egli si è addossato i nostri mali, si è caricato dei nostri dolori. Noi lo credevamo trafitto, percosso da Dio e umiliato, mentre egli fu piagato per le nostre iniquità, fu calpestato per i nostri peccati. Il Castigo, che è pace per noi, pesò su di lui e le sue piaghe ci hanno guarito...S'egli offre la sua vita in espiazione, avrà una discendenza e ciò che vuole il Signore riuscirà per mezzo suo. Dopo le sofferenze dell' anima sua egli vedrà la luce e tale visione lo ricolmerà di gioia. Il giusto, mio servo, con le sue pene giustificherà delle moltitudini e prenderà su di sè le loro iniquità. Perciò gli darò in eredità i popoli e riceverà come bottino genti infinite, perchè consegnò la sua vita alla morte, e fu annoverato fra i malfattori, egli che tolse i peccati di molti e si fece intercessore per i peccatori...'

Isaia, 53

Vedi? Tutto detto di me, secoli e secoli prima della mia venuta. Ma Satana è Odio e l' odio acceca. E il mio popolo (non perchè 'mio', non perchè 'prediletto', ma perchè da me 'scelto' a divenire il depositario della mia eredità e della mia venuta come Adamo ed Eva erano, dovevano essere i depositari del Paradiso Terrestre in attesa di quello Celeste, e mi tradirono), così il mio popolo - 'mio', questo sì, perchè da esso Io umanamente nacqui - mi tradì, perchè accecato dall'odio, perchè vi è Odio dove non vi è Amore, e, reso quindi incapace di leggere le Scritture con l'occhio dello Spirito, interpretandole alla luce, che luce non è ma tenebre, dell'umano, la luce del Lucifero - che tutto interpreta umanamente, perchè l' umanità è carne e la carne, corrotta dal Peccato, è figlia sua - il mio popolo, dicevo, si attendeva un Re della Carne, un Re terreno che ambisse a potenza, onori e glorie terrene, Re di conquiste, Re di sopraffazione. Essi aspettavano infatti il Re che loro - di proprio - si erano scelti in cuore: l'Altro. E non mi compresero, non mi riconobbero. Anzi odiarono le mie parole, troppo diverse, troppo deludenti rispetto ai loro sentimenti: anzi istinti, chè belluini essi erano tornati, e quindi mi crocifissero. E ancora oggi non mi vogliono riconoscere, perchè sarebbe ammettere la colpa dei loro padri, che essi sentono come la loro e quindi continuano a negare per tranquillità della propria coscienza.
Ma forse non siete tutti così, voi uomini? Non mi negate tutti per tranquillità della vostra coscienza?
Ebrei loro? Negatori loro?
Ebrei voi, negatori voi.
Voi peggio di loro, voi peggio di loro, chè cristiani siete, cristiani, cioè del Cristo che fin da bambini vi hanno insegnato, e che invece mi ripudiate perchè anche voi preferite seguire la voce del vostro istinto, questo sì animale, questo sì, che negli animali è salvezza ma che nella vostra psiche è corrotto dal Peccato d'origine: Psiche in cui lo Spirito è sgabello, cioè sottomesso, all'Io.
Ma Io, riscattare dovevo: quelli di prima, quelli di allora, quelli di adesso, i futuri. E sono venuto comunque. Perchè insegnarvi la dottrina, dopo le luci dei Profeti, era giusto ma più giusto ancora era il riscattarvi per liberarvi del Peccato, quello primo, per consentirvi l'accesso al Regno di Dio: quello Mio.
E così venni.
L'umana sofferenza, quella morale, quella fisica, che è l'unica che di norma anche i migliori di voi considerano, fu nulla, rispetto alla visione immane, che solo Io come Dio potevo vedere e concepire, della catena d'odio intrecciata dall'Umanità, catena satanica che vi teneva legati a Satana e che Io ero venuto a Spezzare.
Come, con l'odio ? Quello è di Satana!
No, con l'Amore, l'Amore che è di Dio.
E per Amore dissi al Padre:

Ecco, Padre, questo è il tuo popolo. Guarda come è ridotto, guarda come è ridotta l'Umanità. Non colpa sua, Padre, colpa dell'Altro.
I due Primi, perfetti, in un mondo perfetto, sbagliarono. Cosa potranno, cosa possono questi mai opporre alla Potenza dell'Altro, intossicati, indeboliti come sono dal Peccato!
Padre, guarda. Non sanno neanche di essere figli tuoi. Anche se tu lo hai detto ai Profeti, loro i Profeti non li hanno potuti ascoltare, perchè malati, sordi ormai alle parole dello Spirito.
Padre, che colpa hanno? Malati, malati sono. Tu sai...
Perdona loro, guariscili. Dà loro, come Padre buono, la tua Medicina e quando usciranno dal torpore della febbre, quando smetteranno di delirare, quando apriranno gli occhi sulla verità della mia Dottrina, dà anche a loro, a quelli che vorranno: perchè Dio di Libertà Tu sei, il dono di udire ancora con l'orecchio spirituale il senso delle tue parole, quello che hanno sempre sentito nel loro cuore ma che, malati, hanno sempre scambiato per 'rumore': fastidioso, da rimuovere.
Perdona loro, Padre. Tu sei Amore.
Non hai detto Tu che il massimo dell'Amore è perdonare ai propri Nemici ?
Io l'ho detto ?...
Ma Io Figlio tuo, sono. Tu me l' hai insegnato...
Perdona quindi a questi nemici e vedrai che il Perdono, unito al Riscatto che Io per Amore ti chiedo e che tu, Padre, per Amore mi devi dare, vedrai che il perdono ce li renderà amici, più che amici: Figli di Dio in terra, Popolo di Dio in Cielo.

E il Padre, commosso - anche se Lui ab-initio sapeva di ciò che sarebbe successo, anche del perdono - non seppe resistere, per Amore, nonostante tutte le efferatezze compiute dall'uomo, nonostante le sue empietà, le sue iniquità: il Padre non seppe resistere alla Forza dell'Amore, chè l'Amore sempre opera  anche nel Padre, che con l'Amore e col Figlio è Uno e Trino.
E venne il perdono, perdono...Ma per quelli di buona volontà!
Perchè - come ti dissi - il Padre, buono, ma non stolto è.

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 4.3 Per grazia ricevuta

Passano i giorni e arriva finalmente il giorno della nascita del Battista, finalmente anche per Zaccaria perché l’Angelo doveva aver giudicato che era stato punito abbastanza.
Infatti pochi giorni dopo la nascita, e più precisamente al momento della circoncisione, parenti e amici si affollano intorno ai genitori domandando quale nome abbiano deciso di mettere al neonato.
Era praticamente quasi d’obbligo dargli il nome di Zaccaria che, oltre che padre, era un sacerdote del Tempio, ma Elisabetta scuote la testa  e dice invece : Giovanni!
‘Ma quale Giovanni!? Nessuno in famiglia si chiama così! Vero Zaccaria che tu lo vuoi chiamare Zaccaria?!’
E Zaccaria, che di lezione dall’Angelo ne aveva preso già una e non se la dimenticava certo, scuote la testa, fa cenno di no, certo che no, prende anzi una tavoletta e, muto com’è, ci scrive sopra: ‘Il suo nome è Giovanni…’, e l’angelo, per premio gli libera subito la favella e gli escono tutte quelle benedizioni del Signore di cui parla Luca, che erano certamente dovute alla comprensione – dovuta alla illuminazione improvvisa dello Spirito – della grandezza del dono fatto loro da Dio per quel Figlio che sarebbe stato nientemeno che Precursore del Messia.
A meno che – mi dico io sovrappensiero – quella di Zaccaria non fosse anche una preghiera di ringraziamento per la parola riacquistata…, insomma ‘per grazia ricevuta’.
Ma andiamocelo a leggere, anzi a ‘vedere’ sulla Valtorta, questo episodio molto bello, con quella magnifica preghiera  di Zaccaria che profetizza, pieno di Spirito Santo: un vero e proprio inno del quale le parole riportate da Luca sono solo un riflesso.

(M.Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Cap. 24 – Centro Editoriale Valtortiano)

 

24. Circoncisione di Giovanni Battista. Maria è Sorgente di Grazia per chi accoglie la Luce.

4 aprile 1944.
Vedo la casa in festa.  E' il giorno della circoncisione.
Maria ha curato che tutto sia bello e in ordine.  Le stanze splendono di luce, e le stoffe più belle, i più begli arredi splendono per ogni dove.  Vi è molta gente.  Maria si muove agile fra i gruppi, tutta bella nella sua più bella veste bianca.
Elisabetta, riverita come una matrona, gode felice la sua festa.  Il bambino le posa in grembo, sazio di latte.
Viene l'ora della circoncisione.
« Zaccaria lo chiameremo.  Tu sei vecchio.  E' bene che il tuo nome sia dato al bambino »  dicono degli uomini.
« No davvero! » esclama la madre. « Il suo nome è Giovanni. Deve testimoniare, il suo nome, della potenza di Dio ».
« Ma quando mai vi fu un Giovanni nella nostra parentela? ».
« Non importa.  Egli deve chiamarsi Giovanni ».
« Che dici, Zaccaria?  Vuoi il tuo nome, non è vero? ».
Zaccaria fa cenni di diniego.  Prende la tavoletta e scrive: « Il suo nome è Giovanni » e, appena finito di scrivere, aggiunge con la sua lingua liberata: « poiché Dio ha fatto grande grazia a me suo padre e alla madre sua e a questo suo novello servo, che consumerà la sua vita per la gloria del Signore e grande sarà chiamato nei secoli e agli occhi di Dio, perché passerà convertendo i cuori al Signore altissimo.  L'angelo l'ha detto ed io non l'ho creduto.  Ma ora credo e la Luce si fa in me.  Ella è fra noi e voi non la vedete.  La sua sorte sarà di non esser veduta, perché gli uomini hanno lo spirito ingombro e pigro.  Ma il figlio mio la vedrà e parlerà di Lei e a Lei volgerà i cuori dei giusti d'Israele.  Oh! beati coloro che ad essa crederanno e crederanno sempre alla Parola del Signore.  E Tu benedetto Signore eterno, Dio d'Israele, perché hai visitato e redento il tuo popolo suscitandoci un potente Salvatore nella casa di Davide suo servo.  Come promettesti per bocca dei santi Profeti, fin dai tempi antichi, di liberarci dai nostri nemici e dalle mani di quelli che ci odiano, per esercitare la tua misericordia verso i nostri padri e mostrarti memore della tua santa alleanza. Questo è il giuramento che facesti ad Abramo nostro padre: di concederci che senza timore, liberi dalle mani dei nostri nemici, noi serviamo Te con santità e giustizia nel tuo cospetto per tutta la vita » e continua fino alla fine. (Ho scritto fin qui perché, come lei vede, Zaccaria si volge direttamente a Dio).
I presenti stupiscono.  E del nome, e del miracolo, e delle parole di Zaccaria.
Elisabetta, che alla prima parola di Zaccaria ha avuto un urlo di gioia, ora piange tenendosi abbracciata a Maria, che la carezza felice.
Non vedo la circoncisione.  Vedo solo riportare Giovanni strillante disperato.  Neppure il latte della mamma lo calma.  Scalcia come un puledrino.  Ma Maria lo prende e lo ninna, ed egli tace e si mette buono.
« Ma guardate! » dice Sara. « Egli non tace altro che quando Ella lo piglia! ».
La gente se ne va lentamente.  Nella stanza restano unicamente Maria col piccino fra le braccia e Elisabetta beata.
Entra Zaccaria e chiude la porta.  Guarda Maria con le lacrime agli occhi.  Vuol parlare.  Poi tace.  Si avanza.  Si inginocchia davanti a Maria. « Benedici il misero servo del Signore » le dice. « Benedicilo poiché tu lo puoi fare, tu che lo porti in seno.  La parola di Dio mi ha parlato quando io ho riconosciuto il mio errore ed ho creduto a tutto quanto m'era stato detto. Io vedo te e la tua felice sorte. Io adoro in te il Dio di Giacobbe.  Tu, mio primo Tempio, dove il ritornato sacerdote può novellamente pregare l'Eterno.  Te benedetta, che hai ottenuto grazia per il mondo e porti ad esso il Salvatore.  Perdona al tuo servo se non ha visto prima la tua maestà.  Tutte le grazie tu ci hai portato con la tua venuta, ché dove tu vai, o Piena di Grazia, Dio opera i suoi prodigi, e sante son quelle mura in cui tu entri, sante si fan le orecchie che intendono la tua voce e le carni che tu tocchi.  Santi i cuori, poiché tu dài Grazia, Madre dell'Altissimo, Vergine profetizzata e attesa per dare al popolo di Dio il Salvatore ».
Maria sorride, accesa da umiltà.  E parla: « Lode al Signore. A Lui solo.  Da Lui, non da me viene ogni grazia.  Ed Egli te la largisce perché tu lo ami e serva in perfezione, nei restanti anni, per meritare il suo Regno che il Figlio mio aprirà ai Patriarchi, ai Profeti, ai giusti del Signore.  E tu, ora che puoi pregare davanti al Santo, prega per la serva dell'Altissimo. Ché esser Madre del Figlio di Dio è sorte beata, esser Madre del Redentore deve esser sorte di dolore atroce.  Prega per me, che ora per ora sento crescere il mio peso di dolore.  E tutta una vita dovrò portarlo.  E, se anche non ne vedo i particolari, sento che sarà più peso che se su queste mie spalle di donna si posasse il mondo ed io lo avessi ad offrire al Cielo.  Io, io sola, povera donna!  Il mio Bambino!  Il Figlio mio!  Ah! che ora il tuo non piange se io lo cullo.  Ma potrò io cullare il mio per calmargli il dolore?... Prega per me, sacerdote di Dio.  Il mio cuore trema come fiore sotto la bufera.  Guardo gli uomini e li amo.  Ma vedo dietro i loro volti apparire il Nemico e farli nemici a Dio, a Gesù Figlio mio... ».

E la visione cessa col pallore di Maria e le sue lacrime che le fanno lucido lo sguardo.

Dice Maria:
« A chi riconosce il suo fallo e se ne pente e accusa con umiltà e cuor sincero, Dio perdona.  Non perdona soltanto, compensa.  Oh! il mio Signore quanto è buono con chi è umile e sincero!  Con chi crede in Lui e a Lui si affida!
Sgombrate il vostro spirito da quanto lo rende ingombro e pigro.  Fatelo disposto ad accogliere la Luce.  Come faro nelle tenebre, Essa è guida e conforto santo.
Amicizia con Dio, beatitudine dei suoi fedeli, ricchezza che nessuna altra cosa uguaglia, chi ti possiede non è mai solo né sente l'amaro della disperazione.  Non annulli il dolore, santa amicizia, perché il dolore fu sorte di un Dio incarnato e può esser sorte dell'uomo.  Ma rendi questo dolore dolce nel suo amaro e vi mescoli una luce e una carezza che, come tocco celeste, sollevano la croce.
E quando la Bontà divina vi dà una grazia, usate del bene ricevuto per dar gloria a Dio.  Non siate come dei folli che di un oggetto buono si fanno arma nociva, o come i prodighi che di una ricchezza si fanno una miseria.
Troppo dolore mi date, o figli, dietro ai cui volti vedo apparire il Nemico, colui che si scaglia contro il mio Gesù.  Troppo dolore!  Vorrei esser per tutti la Sorgente della Grazia.  Ma troppi fra voi la Grazia non la vogliono.  Chiedete " grazie ", ma con l'anima priva di Grazia.  E come può la Grazia soccorrervi se voi le siete nemici?
Il grande mistero del Venerdì santo si approssima.  Tutto nei templi lo ricorda e celebra.  Ma occorre celebrarlo e ricordarlo nei vostri cuori e battersi il petto, come coloro che scendevano dal Golgota, e dire: " Costui è realmente il Figlio di Dio, il Salvatore ", e dire: " Gesù, per il tuo Nome, salvaci e dire: " Padre, perdonaci ". E dire infine: " Signore, io non son degno.  Ma se Tu mi perdoni e vieni a me, la mia anima sarà guarita, ed io non voglio, no, non voglio più peccare, per non tornare ammalato e in odio a Te ".
Pregate, figli, con le parole del Figlio mio.  Dite al Padre pei vostri nemici: " Padre, perdona loro ". Chiamate il Padre che si è ritirato sdegnato dei vostri errori: " Padre, Padre, perché mi hai Tu abbandonato?  Io sono peccatore.  Ma se Tu mi abbandoni, perirò.  Torna, Padre santo, che io mi salvi ". Affidate, all'Unico che lo può conservare illeso dal demonio, il vostro eterno bene, lo spirito vostro: " Padre, nelle tue mani confido lo spirito mio ". Oh! che se umilmente e amorosamente cedete il vostro spirito a Dio, Egli ve lo conduce come un padre il suo       piccino, né permette che nulla allo spirito vostro faccia male.                                  
Gesù, nelle sue agonie, ha pregato per insegnarvi a pregare. Io ve lo ricordo in questi giorni di Passione.
E tu, Maria, tu che vedi la mia gioia di Madre e te ne estasi, pensa e ricorda che ho posseduto Dio attraverso ad un dolore sempre crescente.  E' sceso in me col Germe di Dio e come albero gigante è cresciuto sino a toccare il Cielo con la vetta e l'inferno con le radici, quando ricevetti nel grembo la spoglia esanime della Carne della mia carne, e ne vidi e numerai gli strazi e ne toccai il Cuore squarciato per consumare il Dolore sino all'ultima stilla »

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4.4 Chissà se San Giuseppe aveva saputo da Zaccaria che non era prudente metter in dubbio la ‘Parola’ d’Angelo…

Ma – terminata la cerimonia della circoncisione - la permanenza di Maria presso Elisabetta non è ancora finita, perché si decide appunto di attendere l’arrivo di Giuseppe che sarebbe venuto, con un viaggio di vari giorni, da Nazareth a Hebron (cittadina vicina a Gerusalemme) per riprendere in consegna la propria consorte, che ormai non vedeva da mesi, proprio in occasione della famosa festa della presentazione al Tempio.
Ma ‘passata la festa’…., per Maria, comincia la Passione, passione sua, ma anche di Giuseppe perché questi, proprio al momento di partire con Maria per il viaggio di ritorno sul solito ciuchino, sbirciando…
Andiamo a vedere cosa succede sbirciando, sbirciando cioè in questa nuova visione di Maria Valtorta:

(M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Cap. 25 – Centro Editoriale Valtortiano)

25.  Presentazione di Giovanni Battista al Tempio e partenza di Maria.  La Passione di Giuseppe.

5-6 aprile 1944.
Nella notte fra il mercoledì e il giovedì della settimana santa vedo così.
Da un comodo carro, al quale è legato anche il somarello di Maria, vedo scendere Zaccaria, Elisabetta e Maria con in braccio il piccolo Giovanni, e Samuele con un agnello e una cesta col colombo.  Scendono davanti al solito stallaggio, che deve esser la tappa di tutti i pellegrini al Tempio, per depositare le loro cavalcature.
Maria chiama l'ometto che ne è padrone e chiede se nessun nazareno è giunto nella giornata di ieri o nelle prime ore del mattino. « Nessuno, donna,, risponde il vecchietto ».  Maria resta stupita, ma non aggiunge altro.
Fa sistemare da Samuele il ciuchino e poi raggiunge i due maturi genitori e spiega il ritardo di Giuseppe: « Sarà stato trattenuto da qualche cosa.  Ma oggi verrà certo ». Riprende il bambino, che aveva consegnato a Elisabetta, e si avviano al Tempio.
Zaccaria è ricevuto con onore dalle guardie e salutato e complimentato da altri sacerdoti.  E' tutto bello, oggi, Zaccaria nelle sue vesti sacerdotali e nella sua gioia di padre felice.  Pare un patriarca.  Penso che Abramo gli doveva somigliare quando gioiva di offrire Isacco al Signore.
Vedo la cerimonia della presentazione del nuovo israelita e la purificazione della madre.  Ed è ancor più pomposa di quella di Maria, perché per il figlio di un sacerdote i sacerdoti fanno gran festa.  Accorrono in massa e si dànno un gran da fare intorno al gruppetto delle donne e del neonato.
Anche della gente si è accostata curiosa e odo i commenti.  Dato che Maria ha sulle braccia l'infante mentre si avviano al luogo stabilito, la gente la crede la madre.
Ma una donna dice: « Non può essere.  Non vedete che Ella è incinta?  Il bambino non ha più di pochi giorni ed Ella è già grossa ».
« Eppure» dice un altro « non può esser che Ella la madre.  L'altra è vecchia.  Sarà una parente.  Ma madre a quell'età non può essere ».
« Andiamo loro dietro e vedremo chi ha ragione ».
E lo stupore diviene ben grande quando si vede che colei che compie il rito della purificazione è Elisabetta, la quale offre il suo agnellino belante per l'olocausto e il suo colombo per il peccato.
« La madre è quella.  Hai visto? ». « No! ».
« Sì ».
La gente bisbiglia incredula ancora.  Bisbiglia tanto che un Ssst! , imperioso parte dal gruppo sacerdotale presente al rito.  La gente tace un momento, ma bisbiglia più forte quando Elisabetta, raggiante di santo orgoglio, prende il bambino e si inoltra nel Tempio per farne la presentazione al Signore.
« E' proprio quella ».
« E' sempre la madre che lo offre ».
« Che miracolo è mai questo? ».
« Che sarà quel bambino concesso in così tarda età a quella donna? ».
« Qual segno è mai questo? »
« Non sapete? » dice uno che giunge trafelato. « E' figlio del sacerdote Zaccaria della stirpe di Aronne, quello che divenne muto mentre offriva l'incenso nel Santuario ».
« Mistero!  Mistero!  E ora parla di nuovo!  La nascita del figlio gli ha slegata la lingua ».
« Quale spirito gli avrà mai parlato e resa morta la sua lingua per abituarlo al silenzio sui segreti di Dio? »
« Mistero!  Quale verità conoscerà Zaccaria? ».
« Sia il figlio suo il Messia atteso da Israele? ».
« In Giudea è nato.  Ma non a Betlem e non da una vergine.  Messia esser non può ».
« Chi dunque mai?».
Ma la risposta resta nei silenzi di Dio, e la gente rimane con la sua curiosità.
Il cerimoniale è compiuto. I sacerdoti festeggiano, ora, anche la madre e il piccino.  L'unica poco osservata, anzi schivata quasi con ribrezzo quando si accorgono del suo stato, è Maria.
Finite tutte le felicitazioni, i più tornano sulla via, e Maria vuole tornare allo stallaggio per vedere se è giunto Giuseppe.  Non è giunto.  Maria resta delusa e pensierosa.
Elisabetta si preoccupa per Lei.  Fino all'ora sesta possiamo restare, ma poi dobbiamo partire per essere a casa avanti la prima vigilia.  E' ancor troppo piccino per stare oltre nella notte ».
E Maria, calma e mesta: « Resterò in un cortile del Tempio.  Andrò dalle mie maestre... Non so.  Qualcosa farò ».
Zaccaria interviene con un progetto subito accettato come buona risoluzione.,
« Andiamo dai parenti di Zebedeo.  Giuseppe certo là ti cerca e, se non avesse a venire là, ti sarà facile trovare chi ti accompagna verso la Galilea, ché in quella casa è un continuo andare e venire di pescatori di Genezareth ».
Prendono il ciuchino e vanno da questi parenti di Zebedeo, i quali altro non sono che quelli dai quali hanno sostato Giuseppe e Maria or sono quattro mesi.
Le ore passano veloci e Giuseppe non compare.  Maria domina il suo cruccio ninnando il piccolo, ma si vede che è pensierosa.  Come per nascondere il suo stato, non si è mai levato il manto, nonostante il caldo intenso che fa sudare tutti.
Finalmente un gran picchio alla porta annuncia Giuseppe. Il volto di Maria splende rasserenato.
Giuseppe la saluta, poiché Ella si presenta per prima e lo saluta con riverenza.
« La benedizione di Dio su te, Maria! ».
« E su di te, Giuseppe.  E lode al Signore che sei venuto!  Ecco, Zaccaria ed Elisabetta stavano per partire, per esser a casa avanti notte ».
« Il tuo messo giunse a Nazareth mentre io ero a Cana per dei lavori.  Ieri l'altro a sera lo seppi.  E subito partii.  Ma, per quanto abbia camminato senza sostare, ho fatto tardi, perché s'era perso un ferro all'asinelloPerdona! ».
 « Tu perdona per esser stata tanto tempo lontana da Nazareth!  Ma, vedi, tanto felici erano d'avermi seco, che ho voluto accontentarli sino ad ora ».
« Bene hai fatto, Donna.  Il bambino dove è? ».
Entrano nella stanza dove è Elisabetta che dà il latte a Giovanni avanti di partire.  Giuseppe complimenta i genitori per la robustezza del bambino che, staccato dalla mammella per mostrarlo a Giuseppe, strilla e scalcia come lo scorticassero.  Ridono tutti davanti alle sue proteste.  Anche i parenti di Zebedeo, che sono accorsi portando frutta fresca e latte e pane per tutti e un gran vassoio di pesce, ridono e si uniscono alla conversazione degli altri.
Maria parla molto poco.  Sta quieta e silenziosa, seduta nel suo angolino con le mani in grembo sotto il suo manto.  E, anche quando beve una tazza di latte e mangia un grappolo d'uva dorata con un poco di pane, poco parla e poco si muove.  Guarda Giuseppe con un misto di pena e di indagine.
Anche egli la guarda.  E dopo qualche tempo, curvandosi sulla sua spalla, le chiede: « Sei stanca o soffri?  Sei pallida e triste ».
« Ho dolore a separarmi da Giovannino.  Gli voglio bene.  L'hc avuto sul cuore da pochi momenti nato...».
Giuseppe non chiede altro.
L'ora della partenza di Zaccaria è venuta.  Il carro si ferma alla porta e tutti si avviano ad esso.  Le due cugine si abbracciano con amore.  Maria bacia e ribacia il piccino prima di deporlo sul grembo della madre, già seduta nel suo carro.  Poi saluta Zaccaria e gli chiede la benedizione.  Nell'inginocchiarsi davanti al sacerdote, il manto le scivola dalle spalle e le forme le appaiono nella luce intensa del pomeriggio estivo.  Non so se Giuseppe le noti in questo momento, intento come è a salutare Elisabetta.  Il carro parte.
Giuseppe rientra in casa con Maria, che riprende il suo posto nell'angolo semioscuro.
« Se non ti spiace viaggiare di notte, io proporrei di partire al tramonto.  Il caldo è forte nel giorno.  La notte invece è fresca e quieta.  Dico per te, per non farti prendere troppo sole.  Per me è cosa da nulla stare sotto al solleone.  Ma tu... ».
« Come vuoi, Giuseppe.  Credo io pure che sia bene andare di notte ».
« La casa è tutta in ordine.  E l'orticello.  Vedrai che bei fiori! Giungi in tempo per vederli tutti fiorire.  Il melo, il fico e la vite sono carichi di frutti come non mai, e il melograno ho dovuto sorreggerlo, tanto ha i rami carichi di frutti cosi già formati che mai si vide esser tali di questo tempo.  L'ulivo, poi... Avrai olio in abbondanza.  Ha fatto una fiorita miracolosa e non si è perso un fiore.  Tutti sono già piccole ulive.  Quando saranno mature, la pianta sembrerà piena di scure perle.  Non c'è che il tuo orto così bello in tutta Nazareth.  Anche i parenti ne sono stupiti.  E Alfeo dice che questo è un prodigio ».
« Le tue cure lo hanno creato ».
 « Oh! no!  Povero uomo!  Che devo aver fatto io?  Un poco di cura alle piante ed un poco d'acqua ai fiori... Sai?  Ti ho fatto una fonte in fondo, presso la grotta, e vi ho messo una vasca.  Così non avrai ad uscire per aver l'acqua.  L'ho condotta da quella sorgente che sta sopra all'uliveto di Mattia.  E' pura e abbondante.  Un piccolo rivolo l'ho condotto a te.  Ho fatto un piccolo canale ben coperto, e ora viene e canta come un'arpa.  Mi doleva che tu andassi alla fonte del paese e ne tornassi carica delle anfore piene d'acqua ».
(« Grazie, Giuseppe.  Tu sei buono! ».
I due sposi tacciono, ora, come stanchi.  E Giuseppe sonnecchia anche.
Maria prega.
Viene la sera.  Gli ospiti insistono perché prima di mettersi in viaggio i due mangino ancora.  Giuseppe mangia infatti pane e pesce.  Maria solo frutta e latte.
Poi partono.  Montano sui loro ciuchini.  Giuseppe ha legato sul suo, come nel venire, il cofano di Maria, e prima che Ella monti sul somarello osserva che la sella sia ben sicura.  Vedo che Giuseppe osserva Maria quando monta in sella.  Ma non dice nulla.
Il viaggio ha inizio sotto le prime stelle che cominciano a palpitare in cielo.  Si affrettano alle porte per giungervi avanti che siano chiuse, forse.  Quando escono da Gerusalemme e prendono la via maestra che va verso la Galilea, le stelle gremiscono ormai tutto il cielo sereno.  E un grande silenzio è per la campagna.  Solo si sente cantare qualche usignolo e il battere degli zoccoli dei due asinelli sul terreno duro della via arsa dall'estate.

Dice Maria:
« E' la vigilia del Giovedì santo.  A taluni parrà fuori posto questa visione.  Ma il tuo dolore di amante del mio Gesù Crocifisso è nel tuo cuore e vi resta anche se una dolce visione si presenta.  Essa è come il tepore che si sviluppa da una fiamma, che è ancora fuoco ma non è già più fuoco.  Il fuoco è la fiamma, non il tepore di essa, che ne è unicamente una derivazione.  Nessuna visione beatifica o pacìfica varrà a toglierti quel dolore dal cuore.  E tienilo caro più della tua stessa vita.  Perché è il dono più grande che Dio possa concedere ad un credente nel suo Figlio.  Inoltre non è la mia, nella sua pace, visione disforme alle ricorrenze di questa settimana.
Anche il mio Giuseppe ha avuto la sua Passione.  Ed essa è nata in Gerusalemme quando gli apparve il mio stato.  Ed essa è durata dei giorni come per Gesù e per me.  Né essa fu spiritualmente poco dolorosa.  E unicamente per la santità del Giusto che m'era sposo fu contenuta in una forma, che fu talmente dignitosa e segreta che è passata nei secoli poco notata.
Oh! la nostra prima Passione!  Chi può dirne la intima e silenziosa intensità?  Chi il mio dolore nel constatare che il Cielo non mi aveva ancora esaudita rivelando a Giuseppe il mistero?
Che egli lo ignorasse l'avevo compreso vedendolo meco rispettoso come di solito.  Se egli avesse saputo che portavo in me il Verbo di Dio, egli avrebbe adorato quel Verbo, chiuso nel mio seno, con atti di venerazione che sono dovuti a Dio e che egli non avrebbe mancato di fare, come io non avrei ricusato di ricevere, non per me, ma per Colui che era in me e che io portavo così come l'Arca dell'alleanza portava il codice di pietra e i vasi della manna.
Chi può dire la mia battaglia contro lo scoramento, che voleva soverchiarmi per persuadermi che avevo sperato invano nel Signore?  Oh! io credo che fu rabbia di Satana!  Sentii il dubbio sorgermi alle spalle e allungare le sue branche gelide per imprigionarmi l'anima e fermarla nel suo orare.  Il dubbio che è così pericoloso, letale allo spirito.  Letale, perché è il primo agente della malattia mortale che ha nome disperazione e al quale si deve reagire con ogni forza, per non perire nell'anima e perdere Dio.
Chi può dire con esatta verità il dolore di Giuseppe, i suoi pensieri, il turbamento dei suoi affetti?  Come piccola barca 'presa in gran bufera, egli era in un vortice di opposte idee, in una ridda di riflessioni l'una più mordente e più penosa dell'altra.  Era un uomo, in apparenza, tradito dalla sua donna.  Vedeva crollare insieme il suo buon nome e la stima del mondo, per lei si sentiva già segnato a dito e compassionato dal paese, vedeva il suo affetto e la sua stima in me cadere morti davanti all'evidenza di un fatto.
La sua santità qui splende ancor più alta della mia.  Ed io ne rendo questa testimonianza con affetto di sposa, perché voglio lo amiate il mio Giuseppe, questo saggio e prudente, questo paziente e buono, che non è separato dal mistero della Redenzione, ma sibbene è ad esso intimamente connesso, perché consumò il dolore per esso e se stesso per esso, salvandovi il Salvatore a costo del suo sacrificio e della sua santità.
Fosse stato men santo, avrebbe agito umanamente, denunciandomi come adultera perché fossi lapidata e il figlio del mio peccato perisse con me.  Fosse stato men santo, Dio non gli avrebbe concesso la sua luce per guida in tal cimento.  Ma Giuseppe era santo.  Il suo spirito puro viveva in Dio.  La carità era in lui accesa e forte.  E per la carità vi salvò il Salvatore, tanto quando non mi accusò agli anziani, quanto quando, lasciando tutto con pronta ubbidienza, salvò Gesù in Egitto.
Brevi come numero, ma tremendi di intensità i tre giorni della Passione di Giuseppe.  E della mia, di questa mia prima passione.  Perché io comprendevo il suo soffrire, né potevo sollevarlo in alcun modo per l'ubbidienza al decreto di Dio, che mi aveva detto: " Taci!  ".
E quando, giunti a Nazareth, lo vidi andarsene dopo un laconico saluto, curvo e come invecchiato in poco tempo, né venire a me alla sera come sempre usava, vi dico, figli, che il mio cuore pianse con ben acuto duolo.  Chiusa nella mia casa, sola, nella casa dove tutto mi ricordava l'Annuncio e l'Incarnazione, e dove tutto mi ricordava Giuseppe a me sposato in una illibata verginità, io ho dovuto resistere allo sconforto, alle insinuazioni di Satana e sperare, sperare, sperare.  E pregare, pregare, pregare.  E perdonare, perdonare, perdonare al sospetto di Giuseppe, al suo sommovimento di giusto sdegno.
Figli, occorre sperare, pregare, perdonare per ottenere che Dio intervenga in nostro favore.  Vivete anche voi la vostra passione.  Meritata per le vostre colpe. lo vi insegno come superarla e mutarla in gioia.  Sperate oltre misura.  Pregate senza sfiducia.  Perdonate per esser perdonati.  Il perdono di Dio sarà la pace che desiderate, o figli.
Null'altro per ora vi dirò.  Sin dopo il trionfo pasquale sarà silenzio.  E' la Passione.  Compassionate il Redentore vostro.  Uditene i lamenti e numeratene ferite e lacrime.  Ognuna di esse è scesa per voi e per voi fu patita.  Ogni altra visione scompaia davanti a questa che vi ricorda la Redenzione compiuta per voi».

Insomma, San Giuseppe sarà stato anche un santo, d’accordo ma dev’essere stato tremendo per uno come lui che, oltretutto, era un ‘nazareo’, cioè un votato alla castità.
Cerco di mettermi nei suoi panni per immaginare cosa può aver pensato, cosa avrebbe potuto pensare di fare…,no, non ci riesco, meglio lasciar perdere, io vi scandalizzerei, ma lui era proprio un santo anche perché, su questa storia della maternità, si lasciò ‘convincere – come vedremo nel capitolo successivo – da un sogno, anche se qui a spiegargli la verità era stato il solito Angelo.
Chissà se Giuseppe aveva saputo da Zaccaria che non era prudente mettere in dubbio la ‘Parola’ d’Angelo…