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1.2 Perché Matteo
Bene! Mi sembra che le considerazioni preliminari svolte prima nella nostra Introduzione e poi in questo primo capitolo abbiano gettato le basi per poter meglio comprendere il significato di quello che leggeremo nei prossimi tre volumi.
Ora però si pone ancora un problema al quale all’inizio avevamo appena accennato.
Posto che i tre vangeli son chiamati ‘sinottici’, cioè somiglianti fra loro nella distribuzione e narrazione dei fatti, e che quindi non avrebbe qui senso commentare in ognuno dei vangeli episodi analoghi a quelli già commentati negli altri due, quale dei tre vangeli prendere come filo conduttore del nostro commento, sia pur integrandolo – ove necessario – con i brani degli altri due?
Io, per conto mio, una idea ce l’avrei già: Matteo!
Perché?
Primo, perché è stato il ‘primo’ evangelista in assoluto e può accampare quindi un diritto di ‘primogenitura’.
Secondo perché è stato un apostolo, e questo rafforza il suo diritto.
Terzo, perché in quanto apostolo è stato un testimone diretto e quindi – senza voler nulla togliere agli altri – per certi episodi narrati mi fido di più di quel che egli ha visto con i propri occhi e non sentito raccontare da altri.
Quarto, perché - avendo egli scritto prima degli altri due – gli altri lo hanno in qualche modo ‘copiato’ nella strutturazione e organizzazione del racconto, sia pur nei loro testi arricchito da altre testimonianze come quelle di Pietro, per il Vangelo di Marco, e della Madonna, per quanto concerne quello di Luca.
Quinto, perché ha scritto un vangelo più lungo e quindi ha detto di più.
Sesto, perché è stato un gran peccatore e quindi mi assomiglia.
Settimo, perché mi fa tenerezza…
Guardate infatti qui come - nella Valtorta – si vede che si è lasciato convertire da Gesù, da bravo, senza colpo ferire, quando è ‘suonata’ la sua ora….
(M.Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Cap. 97 – Centro Editoriale Valtortiano)
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97. La chiamata di Matteo.
4 febbraio 1945.
(…)
Quasi subito dopo vedo questo.
Ancora la piazza del mercato di Cafarnao. Ma in un'ora più calda, in cui il mercato è già finito e sulla piazza sono solo degli sfaccendati che parlano e dei bambini che giuocano.
Gesù, in mezzo al suo gruppo, viene dal lago verso la piazza, carezzando bambini che gli corrono incontro e interessandosi alle loro confidenze.
Una bambina mostra un grande sgrafflo sanguinante sulla fronte e accusa il fratellino di averglielo fatto.
«Perché hai fatto male alla sorella? Non sta bene».
«Non l'ho fatto apposta. Volevo cogliere quei fichi e ho preso un bastone. Ma era troppo pesante e mi è cascato addosso a lei... Li coglievo anche per lei».
«E' vero, Giovanna?».
«E' vero ».
«Vedi allora che tuo fratello non ti ha voluto fare del male. Voleva anzi darti una gioia. Perciò ora fate subito pace e vi date un bacio. I buoni fratellini, e anche i buoni bambini, non devono conoscere mai il rancore. Su... ».
I due bambini piangenti si baciano. Piangono tutti e due: una per il dolore dello sgraffio, l'altro per il dolore di aver dato dolore.
Gesù sorride davanti a quel bacio condito di lacrimoni.
«Oh! ecco! Ora, perché vedo che siete buoni, i fichi ve li raccolgo lo. E senza bastone ».
Sfido io! Alto come è, e col braccio così lungo, arriva senza fatica a farlo. Coglie e distribuisce.
Accorre una donna: « Prendi, prendi, Maestro. Ora ti porto del pane».
«No. Non è per Me. E' per Giovanna e Tobiolo. Ne avevano voglia».
«E avete disturbato il Maestro per questo? Oh! che indiscreti! Perdona, Signore».
«Donna, c'era da fare una pace... e l'ho fatta con l'oggetto stesso della guerra: i fichi. Ma i bambini non sono mai indiscreti. A loro piacciono i dolci fichi e a Me... piacciono le loro dolci anime innocenti. Mi levano tanto amaro... ».
« Maestro... sono i signori quelli che non ti amano. Ma noi, popolo, ti vogliamo bene. E loro sono pochi, mentre noi siamo tanti... ».
«Lo so, donna. Grazie del tuo conforto. La pace sia con te. Addio, Giovanna! Addio, Tobiolo! Siate buoni. Senza farvi del male e senza volervi del male. Non è vero? ».
«Sì, sì, Gesù», rispondono i due bambinelli.
Gesù si incammina e dice sorridendo: «Oh! ora che con l'aiuto dei fichi si è messo sereno dove erano nubi, andiamo a... Dove dite che andiamo?».
Gli apostoli non sanno. Chi dice un luogo, chi l'altro. Ma Gesù scrolla sempre il capo e ride.
Pietro dice: «lo rinuncio. A meno che Tu non lo dica... Ho delle idee nere, oggi. Tu non lo hai visto. Ma quando sbarcavamo c'era Eli, il fariseo. Più verde del solito! E ci guardava in un modo! ».
«Lascialo guardare».
«Eh! per forza. Ma ti assicuro, Maestro, che per far pace con quello lì non bastano due fichi! ».
«Cosa ho detto alla mamma di Tobiolo? " Ho fatta pace con lo stesso oggetto della guerra ". E così cercherò di fare pace riverendo, posto che secondo loro li ho offesi, i notabili di Cafarnao. Così anche qualcun'altro sarà contento».
« Chi? ».
Gesù non risponde alla domanda e continua: «Non riuscirò, probabilmente, perché manca la volontà, in loro, di fare pace. Ma udite: se in tutte le contese il più prudente sapesse cedere e, in luogo di accanirsi a voler ragione, conciliasse, magari spartendo a metà quello che, anche voglio ammettere, fosse suo di diritto, sarebbe sempre meglio e più santo. Non sempre uno nuoce col partito preso di nuocere. Delle volte fa male senza volere. Pensate sempre questo e perdonate. Eli e gli altri credono di servire Dio con giustizia agendo come fanno. Con pazienza e costanza, e tanta umiltà e buona grazia, cercherò di farli persuasi che un nuovo tempo è venuto e che Dio, ora, vuole essere servito a seconda che lo insegno. La furbizia dell'apostolo è la buona grazia, l'arma la costanza, la riuscita l'esempio e la preghiera per i convertendi ».
Sono giunti sulla piazza. Gesù va diritto verso il banco delle gabelle, dove Matteo sta tirando i suoi conti e verificando le monete, che suddivide per categorie, mettendole in sacchetti di diverso colore e collocandoli in un forziere di ferro, che due servi attendono di trasportare altrove.
Appena l'ombra gettata dall'alto corpo di Gesù si allunga sul banco, Matteo alza il capo per vedere chi è il ritardatario pagatore. Pietro, intanto, dice, tirando Gesù per una manica: «Non c'è nulla da pagare, Maestro. Che fai?».
Ma Gesù non gli dà retta. Guarda fisso Matteo, che si è subito alzato in piedi con atto reverente. Un altro sguardo trapanante. Ma questo non è lo sguardo del giudice severo dell'altra volta. E' uno sguardo di chiamata e di amore. Lo avviluppa, lo satura di amore. Matteo diventa rosso. Non sa che fare, che dire...
« Matteo, figlio di Alfeo, l'ora è suonata. Vieni. Seguimi! » impone Gesù, maestosamente.
« Io? Maestro, Signore! Ma sai chi sono? Per Te, non per me lo dico... ».
« Vieni. Seguimi, Matteo, figlio d'Alfeo » ripete più dolce.
« Oh! come posso aver trovato grazia presso Dio? lo... lo...»
« Matteo, figlio di Alfeo, lo ti ho letto il cuore. Vieni, seguimi ».
Il terzo invito è una carezza.
« Oh! subito, mio Signore! » , e Matteo, piangente, esce da dietro il banco, senza neppur occuparsi di raccogliere le monete sparse sul banco, di chiudere il cofano. Nulla.
«Dove andiamo, Signore?» chiede quando è presso a Gesù. « Dove mi porti?».
«A casa tua. Vuoi ospitare il Figlio dell'uomo?».
«Oh!... ma... ma che diranno quelli che ti odiano? ».
«Io ascolto quel che si dice in Cielo, e là si dice: "Gloria a Dio per un peccatore che si salva! ", e il Padre dice: " In eterno la Misericordia si alzerà nei Cieli e si librerà sulla terra e, poiché di un eterno amore, di un perfetto amore lo ti amo, ecco che anche a te uso misericordia ". Vieni. E, con la mia venuta, oltre che il cuore ti si santifichi la casa ».
« Già purificata l'ho, per una speranza che avevo nell'anima mia... ma che la ragione non poteva credere che fosse vera... Oh! io coi tuoi santi...» , e guarda i discepoli.
« Sì. Coi miei amici. Venite. Vi unisco. E siate fratelli».
I discepoli sono talmente stupefatti che non hanno ancor trovato modo di dir parola. Hanno camminato in gruppo dietro a Gesù e Matteo nella piazza tutta sole, e ormai assolutamente vuota di popolo, per un breve tratto di strada che arde in un sole abbacinante. Non c'è un vivente per le strade. Solo il sole e la polvere.
Entrano in casa. Una bella casa dal largo portone che si apre sulla via. Un bell'atrio ombroso e fresco, oltre il quale si vede un ampio cortile messo a giardino.
« Entra, Maestro mio! Portate acqua e bevande ».
I servi accorrono col richiesto. Matteo esce a dare ordini, mentre Gesù e i suoi si rinfrescano. Poi torna.
« Ora vieni, Maestro. La sala è più fresca... Ora verranno amici... Oh! voglio sia fatta gran festa! E' la mia rigenerazione... E' la mia... è la mia circoncisione vera, questa... Tu mi hai circonciso il cuore col tuo amore... Maestro, sarà l'ultima festa... Ora non più feste per il pubblicano Matteo. Non più feste di questo mondo... Solo la festa interna dell'essere redento e di servire Te... di essere amato da Te... Quanto ho pianto... Quanto, in questi mesi... Sono quasi tre mesi che piango... Non sapevo come fare... volevo venire... Ma come venire da Te, Santo, con la mia anima sporca?…».
« Tu la lavavi col pentimento e con la carità. Per Me e per il prossimo. Pietro? Vieni qui ».
Pietro, che ancora non ha parlato tanto è sbalordito, viene avanti.
I due uomini, ugualmente anziani, bassotti, tarchiati, sono di fronte, e Gesù è fra l'uno e l'altro, sorridente, bello.
« Pietro, tu mi hai chiesto tante volte chi era lo sconosciuto della borsa portata da Giacomo. Eccolo, lo hai di fronte ,.
«Chi? Questo lad... Oh! perdona, Matteo! Ma chi lo poteva pensare che eri tu? e che proprio tu, nostra disperazione per la tua usura, fossi capace di strapparti tutte le settimane un pezzo di cuore dando quel ricco obolo? ».
« Lo so. Vi ho ingiustamente tassati. Ma ecco, io mi inginocchio davanti a voi tutti e vi dico: non mi cacciate! Egli mi ha accolto. Non siate da più di Lui nella severità ».
Pietro, che si trova ai piedi Matteo, lo alza di colpo, di peso, rudemente e affettuosamente: « Su, su. Non a me né agli altri. A Lui chiedi perdono. Noi... va' là, su per giù siamo tutti ladri come te... Oh! l'ho detto! Maledetta lingua! Ma sono fatto così: quel che penso dico, quel che ho in cuore ho sul labbro. Vieni, che facciamo patto di pace e di amore» e bacia sulle guance Matteo.
Anche gli altri lo fanno, più o meno affettuosamente. Dico così perché Andrea è sostenuto, per la sua timidezza, e Giuda Iscariota è gelido. Pare che abbracci un fascio di rettili, tanto il suo abbraccio è scostante e breve.
Matteo esce, sentendo rumore.
« Però, Maestro » dice Giuda Iscariota «mi pare che ciò non sia prudente. Già ti accusano i farisei di qui, e Tu... Un pubblicano fra i tuoi! Un pubblicano dopo una meretrice!... Hai deciso di rovinarti? Se così è, dillo che...».
« Che noi ce la filiamo, vero? , termina Pietro ironico.
« E chi parla con te?».
«Lo so che tu non parli con me, ma io, invece, parlo con la tua signora anima, con la tua purissima anima, con la tua sapiente anima. Lo so che tu, membro del Tempio, senti fetore di peccato in noi, poveri, che del Tempio non siamo. Lo so che tu, completo giudeo, amalgama di fariseo, sadduceo ed erodiano, mezzo scriba e briciola di esseno - ne vuoi altre di nobili parole? - ti senti male fra noi, come uno splendido agone capitato in una rete piena di ghiozzi. Ma che ci vuoi fare? Egli ci ha presi e noi... ci restiamo. Se ti senti male... va' via tu. Respireremo meglio tutti. Anche Lui, che, lo vedi?, è sdegnato per me e per te. Per me perché manco di pazienza e anche... sì, anche di carità, ma più con te che non capisci nulla, con tutta la tua tela di nobili attributi, e che non hai carità, non umiltà, non rispetto. Nulla hai, ragazzo. Ma solo un gran fumo... e voglia Dio sia fumo innocuo ».
Gesù ha lasciato che Pietro parlasse rimanendo ritto, severo, con le braccia conserte, la bocca ben serrata e gli occhi... poco raccomandabili.
Alla fine dice: « Hai detto tutto, Pietro? Anche tu hai purificato il tuo cuore dal lievito che c'era dentro? Bene hai fatto. Oggi è Pasqua d'Azzimi per un figlio di Abramo. La chiamata del Cristo è come il sangue dell'agnello sulle vostre anime, e dove essa è non scenderà più la colpa. Non scenderà se colui che la riceve ad essa è fedele. Liberazione è la mia chiamata e va festeggiata senza lieviti di sorta
A Giuda non una parola. Pietro tace mortificato.
« L'ospite torna» dice Gesù. « E’ con degli amici. Non mostriamo ad essi altro che virtù. Chi non riesce a tanto esca. Non siate pari a farisei, che opprimono con comandi che loro per primi non osservano ».
Rientra Matteo con altri uomini, e il convito ha luogo. Gesù è al centro, tra Pietro e Matteo. Parlano di molte cose e Gesù con pazienza spiega a questo e a quello quanto vogliono. Vi sono anche lamenti sui farisei che li sprezzano.
« Ebbene, venite a chi non vi sprezza. E poi agite in modo che i buoni, almeno, non vi possano sprezzare » risponde Gesù.
« Tu sei buono. Ma sei solo! ».
« No. Questi sono come Me, e poi... c'è il Padre Iddio che ama chi si pente e vuole tornare suo amico. E mancasse all'uomo ogni cosa, ma restasse il Padre, non sarebbe già piena la gioia dell'uomo? ».
Il convito è ai dolciumi quando un servo fa un cenno al padrone di casa e gli dice qualche cosa.
« Maestro: Eli, Simone e Gioachino chiedono di entrare e parlarti. Li vuoi vedere?».
« Certo ».
« Ma... i miei amici sono pubblicani ».
« Ed essi vengono per vedere proprio questo. Lasciamolo loro vedere. Non servirebbe il nasconderlo. Non servirebbe per il bene, ché il male aumenterebbe l'episodio sino a dire che qui erano anche meretrici. Entrino ».
Entrano i tre farisei, si guardano intorno con un riso cattivo e stanno per parlare.
Ma Gesù, che si è alzato e andato loro incontro insieme a Matteo, li precede. Mette una mano sulla spalla di Matteo e dice: «O veri figli di Israele, Io vi saluto e vi do una grande notizia che certo farà giubilante il vostro cuore di perfetti israeliti, che sospira all'osservanza della Legge da parte di tutti i cuori per dare gloria a Dio. Ecco: Matteo, figlio di Alfeo, da oggi non è più il peccatore, lo scandalo di Cafarnao. Una pecora rognosa di lsraele si è sanata. Giubilate! Dietro a lui altre pecore peccatrici si saneranno e la vostra città, della cui santità tanto vi interessate, diverrà gradita al Signore come santa. Egli lascia tutto per servire Dio. Date il bacio di pace all'israelita sviato che torna nel seno di Abramo ».
«E vi torna coi pubblicani? In gaio convito? Oh! invero che è una conversione propizia! Guarda là, Eli, quello è Giosia, il procacciatone di femmine ».
E quello Simon d'Isacco, l'adultero ,.
E quello? Ecco Azaria, il biscazziere nella cui bisca romani e giudei giuocano, rissano, si ubbriacano e vanno a donne,,.
« Ma, Maestro. Sai almeno chi sono costoro? Lo sapevi?
« Lo sapevo ».
« E voi, allora, voi di Cafarnao, voi discepoli, perché lo avete permesso? Mi fa stupore, Simone di Giona! ».
« E tu, Filippo, noto anche qui, e tu Natanaele! Ma io trasecolo! Tu, vero israelita! Come mai hai permesso che il tuo Maestro mangiasse coi pubblicani e i peccatori? ».
« Ma non c'è dunque più ritegno in Israele ».
I tre sono scandalizzati del tutto.
Gesù dice: «Lasciate in pace i miei discepoli. lo l'ho voluto. Io solo ».
« Eh! già! si capisce. Quando si vuol fare i santi e non lo si è, si cade presto in errori imperdonabili! ».
« E quando si allevano al non rispetto i discepoli - e ancor mi brucia la risata irriverente di costui, giudeo e del Tempio, a me Eli il fariseo! - non si può che esser senza rispetto per la Legge. Si insegna ciò che si sa ».
« Ti sbagli, Eli. Vi sbagliate tutti. Si insegna ciò che si sa. E' vero. Ed lo, che so la Legge, la insegno a chi non la sa: ai peccatori, perciò. Voi... vi so già padroni della vostra anima. I peccatori non lo sono. lo ricerco la loro anima, la ridò loro, perché a loro volta me la portino, così come è: malata, ferita, sporca, ed Io la curi e mondi. Sono venuto per questo. Sono i peccatori che hanno bisogno del Salvatore. Ed Io vengo a salvarli. Comprendetemi... e non mi odiate senza ragione ».
Gesù è dolce, persuasivo, umile... Ma i tre sono tre ispidi cardi tutti aculei... ed escono con mosse di disgusto.
« Sono andati... Ora ci criticheranno dovunque » mormora Giuda Iscariota.
« E lasciali fare! Fa' solo che il Padre non ti abbia a criticare. Non esser mortificato, Matteo, né voi, suoi amici. La coscienza ci dice: " Non fate del male ". Basta così ».
Gesù si risiede al suo posto e tutto ha fine.
1.3 Più scheletrico di così…
Me ne rimango a riflettere pensoso… e decido di andare a vedere – nel Vangelo secondo Matteo – come si è ricordato - lui, Matteo - di descrivere quel suo incontro che tanto lo riguarda:
Mt 9, 9-13:
Di lì, essendo andato più oltre, Gesù vide un uomo chiamato Matteo, seduto al banco della gabella, e gli disse: «Seguimi».
Ed egli, alzatosi, lo seguì.
E mentre Gesù era a tavola in casa, ecco che molti pubblicani e peccatori vennero a mettersi a tavola con lui e con i suoi discepoli.
I Farisei, veduto ciò, dissero ai suoi discepoli: «Perché il vostro maestro mangia con i pubblicani e con i peccatori?».
Gesù, avendo sentito, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate, dunque, e imparate che cosa significa: ‘Preferisco la misericordia al sacrificio’, perché io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori ».
Più scarno di così, anzi più scheletrico di così non poteva essere, il buon Matteo.
Mi viene in mente all’improvviso quel che aveva detto più sopra il Gesù della Valtorta circa lo stile dei Vangeli…
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Le mie parole, poi, nelle versioni degli evangelisti, dei quali due soli furono apostoli - e se ben si osserva sono i due Vangeli più rispecchianti Me, perché quello di Luca, stilisticamente buono, può dirsi più il Vangelo di mia Madre e della mia Infanzia, delle quali narra diffusamente particolari che gli altri non narrano, che non Vangelo della mia vita pubblica, essendo più eco degli altri che luce nuova come è quello di Giovanni, il perfetto evangelista della Luce che è il Cristo Dio-Uomo - le versioni, dicevo, delle mie parole, dagli evangelisti furono molto ridotte, sino ad essere ridotte scheletriche: più un accenno che una versione. Cosa che le priva della forma stilistica che Io avevo dato ad esse.
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Ragionamoci allora un poco sopra.
Matteo e gli altri evangelisti – come aveva prima fatto osservare il Gesù della Valtorta – hanno riportato, a distanza peraltro di anni, proprio i concetti essenziali, anzi dei concetti scheletrici, e che siano tali ce ne potremo noi stessi rendere conto nel prosieguo della lettura dei vangeli.
Leggendo nei vangeli, episodi e frasi dette da Gesù verrebbe da pensare che le cose fossero avvenute e fossero state dette proprio così.
Ed in effetti avvennero e furono dette così, solo che nei vangeli vengono riportate in versione estremamente sintetica, ne viene detta la ‘sostanza’, senza badare al ‘contorno’.
I vangeli dovevano essere tramandati, divulgati, letti e meditati da popoli di tutte le culture e da classi sociali non certo colte, anzi - a quell’epoca e per molti secoli ancora - per la stragrande maggioranza analfabete.
Sarebbe stato peraltro umanamente difficile riuscire a trascrivere in tempo reale su delle tavolette cerate quei capolavori di Sapienza che dovevano essere stati certi discorsi di Gesù, Uomo-Dio.
Lo Spirito Santo deve però aver pensato che il compito di spiegarne l’essenza sarebbe spettato agli apostoli e sacerdoti della sua Chiesa, essenza che il Consolatore, lo Spirito di Verità – come aveva detto Gesù agli apostoli prima di lasciarli definitivamente - al momento opportuno avrebbe loro illuminato, ricordando loro le cose necessarie.
Non è davvero pensabile – come ha sostenuto qualcuno – che Gesù, nella realtà, parlasse sempre quel linguaggio estremamente ‘semplice’ che si legge nei vangeli.
Non è ragionevole pensare che un Uomo-Dio dovesse imporsi questi ‘limiti’, e cioè un linguaggio sommario solo ad uso degli ‘incolti’, in quanto appartenenti al popolo degli ‘umili’.
Egli era venuto per tutti e parlava per tutti, colti e non colti, alle dotte caste sacerdotali e farisaiche come al popolo minuto, adeguando ad ognuno il linguaggio più consono alla circostanza.
Se il Vangelo dei quattro evangelisti è stato scritto per poter essere più facilmente compreso e tramandato, il ‘vangelo’ dell’opera valtortiana – come spiegato dal suo Gesù in uno splendido dettato di commento finale all’Opera – è invece un insieme di visioni e di discorsi in presa diretta, un dono straordinario di misericordia per i razionalisti moderni che non credono più in niente, figuriamoci in Dio.
Ritornando al brano della propria conversione che Matteo ha riportato nel suo vangelo, c’è da osservare che – indipendentemente dalle esigenze di sintesi imposte dallo ‘stile evangelico’ - Matteo non avrebbe certo potuto riferire i dialoghi fatti in sua assenza che sono invece riportati dalla Valtorta, come quando – allontanatosi Matteo per andare a ricevere i farisei - Giuda ne approfitta per recriminare contro la chiamata di Matteo in seno al gruppo apostolico e Pietro – che aveva diffidato di Giuda sin dall’inizio e nei suoi confronti aveva una antipatia viscerale - ne approfitta per apostrofarlo di brutto, oppure quando Gesù - sentendo che Matteo sta per tornare con gli ospiti – sibila sottovoce di traverso agli apostoli che essi mostrino di non aver altro che virtù, come dire che badino bene a ‘non farsi conoscere’, e di non comportarsi come i farisei che opprimono gli altri con dei comandi che loro stessi, per primi, non osservano…
Quella è una autentica pennellata…!
Erano i primi tempi, e la strada della santità era ancora ben lontana.
E quando Gesù si autoinvita in casa di Matteo che, estatico, non crede quasi a quel che sente e non osa pensare alla prospettiva di passare un po’ di tempo ‘con i suoi santi’… - forse non è un caso che Gesù – quasi con noncuranza – risponda a Matteo rettificando quelle parole troppo generose e precisando subito: ‘Sì. Con i miei amici’.
Gesù era Verità ed Onnisciente e sapeva che – santi – gli apostoli lo sarebbero diventati parecchio tempo dopo, come vedremo bene analizzando il resto del vangelo.
Egli, nel scegliere quegli uomini che impareremo a conoscere meglio, ha voluto far capire a tutti noi che per seguirlo non è necessario essere in partenza ‘santi’ o ‘sapienti’, ma basta un po’ di buona volontà, perché – al resto – ci pensa lui…
Se li avesse scelti già ‘santi’, avremmo detto che sono stati capaci di fare quello che han fatto perché erano santi…
Se li avesse scelti colti e sapienti, avremmo potuto parimenti dire la stessa cosa.
Se li avesse scelti tutti giovani, avremmo obiettato che la vita ‘evangelica’ non sarebbe stata invece roba da uomini ‘fatti’…
E allora li ha presi dal ‘mondo’, e per di più – a parte il giovane Giovanni – peccatori, e anche sposati come Pietro, o moralmente ben collaudati, come il ‘pubblicano’ Matteo, frequentatore di dubbie compagnie.
Matteo – nel suo vangelo - non spiega di che genere fossero quei suoi ‘amici’ a pranzo con Gesù, e che egli – oltre che pubblicani - definisce genericamente ‘peccatori’.
Se già allora era considerato scandalo il solo pranzare con un pubblicano, immaginate – conoscendo la mentalità ebraica e cosa avrebbero potuto dire gli altri ‘benpensanti’ negli anni e secoli a venire – che scandalo se Matteo avesse scritto – come vede e dice invece la Valtorta – che c’erano, a parte l’adultero che ormai non scandalizza più neanche noi, un ‘procacciatore di femmine’, cioè un ‘magnaccio’, nonché un biscazziere tenutario di un locale che diventava all’occorrenza un ricovero compiacente – e ve ne risparmio la traduzione in italiano corrente - per svaghi notturni?
Eppure – si legge più tardi nel Vangelo della Valtorta – molti di quei ‘peccatori’ presenti lì a quel pranzo verranno portati alla conversione proprio da Matteo, come anche farà a sua volta Zaccheo – quell’altro pubblicano che si era arrampicato su un albero per vedere meglio Gesù che passava in mezzo alla folla - con altri pubblicani suoi amici.
Dice dunque bene Gesù quando, garbatamente, replica ai Farisei - che lo contestavano per quelle basse frequentazioni - che Egli era venuto in terra per i peccatori.
E’ un concetto - questo - che viene ripetuto nella parabola della pecorella smarrita, raccontata nei vangeli ma che sulle labbra di Gesù - nell’opera della Valtorta - toccherà più tardi corde di intensa emotività tanto da farci desiderare di essere peccatori, più che santi, pur di guadagnarci così tanto amore da Dio.
A proposito di Matteo e di Zaccheo, mi aveva una volta colpito una affermazione che Maria SS. (‘Quaderni’ - dettato 11.9.50) aveva fatto alla Valtorta: ‘Le più belle conquiste di Gesù furono Matteo, Maria di Magdala, Zaccheo e Disma, ossia dei grandi peccatori. Grandi. Ma che non si gettarono spiritualmente a terra, inerti, dicendo: ‘Tanto sono cattivo’, ma anzi col loro spirito sorsero e corsero verso il Perdono e l’Amore con fiducia’.
Certo però che Pietro…
Visto come si comporta con Matteo?
Ruvido, ma sincero. Simpatico!
Gli dà del ladro, è vero, ma poi gli chiede scusa, e ammette anzi di essere stato un pochino ‘ladro’ anche lui.
Infatti – mi dico - in fin dei conti, Pietro, non pescava e vendeva pesci?
Chissà se anche allora – mi perdonino quei titolari di moderne pescherie che assomigliano oggi a delle ‘boutiques’ – i pesci saranno costati ‘salati’ come oggi oppure li avranno venduti sempre come ‘freschi’?
Se – come dice Jean Carmignac – il Vangelo di Marco non è altro che la traduzione in greco di un altro testo in versione semitica, scritta verosimilmente da Pietro, quasi-quasi avrei scelto quest’ultimo vangelo, a base del nostro commento, perché - fra la tenerezza che mi fa Matteo in quanto peccatore, e la simpatia rude che mi ispira Pietro - avrei optato per la simpatia.
E non aveva neanche ‘peli’ sulla lingua, Pietro. Visto come ti ha servito Giuda? Gli ha mangiato in testa!
Giuda faceva parte del collegio apostolico da pochi mesi ma si era evidentemente già fatto abbastanza conoscere se il galileo Pietro - nell’impeto della rabbia - l’aveva definito ‘completo giudeo, amalgama di fariseo, sadduceo e erodiano, mezzo scriba e briciola di esseno’.
Pietro – che, da uomo maturo e di esperienza quale era, doveva essere anche un poco intuitivo - non di rado, nell’opera valtortiana, ‘arronzava’ Giuda per certi suoi comportamenti.
Ma Pietro era regolarmente frenato da Gesù che sulla mancanza d’amore, specie verso i peccatori, non transigeva.
Dall’opera della Valtorta si capisce bene che Giuda – frequentatore del Tempio, ambizioso e ansioso dell’arrivo messianico del ‘Re di Israele’, che egli immaginava e si augurava come ‘uomo di potere’ - durante un precedente viaggio di Gesù a Gerusalemme, aveva fatto ‘carte false’ pur di convincere Gesù ad accoglierlo nel Gruppo dei suoi primi apostoli.
Gesù, nel quale conviveva la natura umana con quella divina, non lo avrebbe voluto con sé perché – nella sua onniscienza e preveggenza - vedeva in anticipo il tradimento futuro.
Dall’opera valtortiana si evince chiaro anche un altro concetto.
Gesù non avrebbe voluto Giuda fra i suoi, ma ciò non tanto perché egli sarebbe strato ‘strumento’ della sua cattura e quindi del deicidio – deicidio che peraltro Gesù avrebbe anche potuto prevenire – quanto perché, per un atto d’amore, egli non voleva che – seguendolo e poi tradendolo – Giuda si rendesse responsabile della propria perdizione.
Amore per Giuda peccatore, quindi, un Giuda che dall’opera valtortiana emergerà come precipitato all’inferno.
Certi ‘teologi’’ preferirebbero immaginarlo ‘salvato’ dalla Misericordia di Dio, dimenticandone la Giustizia.
Essi non si sanno rassegnare all’idea che l’inferno esista o se esiste preferiscono pensare che esso debba essere praticamente vuoto: così siam tutti tranquilli!
Qualche teologo ‘buonista’ – sempre della categoria di quelli che vogliono tranquillizzare tutti ad ogni costo, della serie: peccate pure che tanto Dio è ‘buono…! - ha anche ipotizzato – sempre in nome della misericordia divina – una salvezza dei demoni, dimenticando che i primi a non volerla – la salvezza – sono i demoni stessi, avvitati come sono essi in una spirale di odio tremendo verso Dio, odio che respinge persino l’idea di una clemenza divina a favore della propria salvezza.
Ma, attenzione, Giuda morì dannato non per il deicidio o il proprio suicidio quanto per aver disperato – non avendola voluta ammettere, anzi avendola rifiutata – nella Misericordia e nel perdono di Dio che invece era venuto in terra proprio per gli uomini peccatori: fu un peccato contro lo Spirito Santo, di quelli cioè che non vengono perdonati.
Nell’opera valtortiana Giuda – vedendo Gesù catturato, trascinato via, maltrattato e bastonato - si rende conto, come se fosse uscito da un appannamento che ne avesse oscurato fino a quel punto la lucidità mentale, della gravità tremenda di quel che Egli aveva fatto nei confronti di quell’Uomo-Dio che ora – nella miseria della sua cattura e della sua debolezza d’uomo – egli vedeva più ‘Dio’ di quanto non lo avesse visto prima nella sua sfolgorante potenza di miracolo.
Giuda getta in faccia ai capi dei Sinedrio il compenso del tradimento e fugge verso il Cenacolo, lo trova deserto, vede Maria che intuisce tutto e cerca di fermarlo per salvarlo, ma lui la respinge, esce, fugge ancora e corre ad impiccarsi.
La sua non è la disperazione, buona, di chi si è reso conto di aver sbagliato, la sua è la disperazione di chi ha perso il contatto con Dio e che a questo punto decide – ultima suggestione irridente di Satana che, dopo averlo sedotto e strumentalizzato, gli ‘propone’ di farla finita - che Dio non merita neanche una invocazione di perdono.
Quella di Giuda è forse la personalità più complessa, dal punto di vista psicanalitico, che emerge dall’opera della Valtorta: non privo di slanci spirituali ma preda anche di cadute vertiginose, sempre in bilico fra una volontà di salvezza ed un desiderio oscuro di perdizione.
Il Giuda della ‘storia’ avrebbe tradito l’Uomo della storia.
Dio-Figlio, il Verbo – che vive fuori del tempo - sapeva in anticipo quello che sarebbe successo nella logica del tempo, ma non si sottrae alla storia, ne accetta in anticipo il verdetto, sapendo che solo il suo sacrificio di Dio, sacrificio liberamente accettato, avrebbe potuto - di fronte a Dio Padre - redimere l’Umanità riscattando la catena immane di peccati che gli uomini avevano commesso contro gli altri uomini e contro Dio.