Introduzione
E’ una splendida giornata di fine marzo.
La pioggia si è fatta attendere per quattro mesi ma è poi finalmente arrivata sui campi riarsi facendosi anche seguire da una tardiva spruzzata di neve.
Ora è però tornato a splendere il sole e i miei cinque pastori tedeschi sono lì fuori, sdraiati nel cortile, che si godono i raggi tiepidi del mattino.
Una cuccioletta, Zenda, si è installata da padrona da una quindicina di giorni. Ha fatto subito capire agli altri che lei non vuol essere seconda a nessuno, nemmeno a Last, che era l’ultimo del branco ma ora ‘se la dà’ da primo.
Dox, il capobranco, comincia infatti a sentire qualche acciacco reumatico e Last – che è giovane e vuol dimostrare di cosa è capace – lo ‘perseguita’ con una insistenza da mosca cavallina. Lui non è ancora in condizione di competere con la possanza atletica di Dox, un pastore alsaziano di una cinquantina di chili, maestoso con quel suo pelo lungo e la criniera leonina.
Last, però – snello e veloce - lo aggira, gli abbaia e quando Dox, spazientito, fa uno scatto con un sordo brontolio da leone, lui - più veloce del lampo e come un torero col toro - finta, si scansa rapido e manda a vuoto lo scatto del Capo, sottraendosi ad uno scontro che lo vedrebbe perdente ma facendo capire al ‘Capo’ che la ‘resa dei conti’ è solo rimandata: mordi e fuggi, insomma.
E Zenda, che ha solo quattro mesi ma ha già capito tutto della vita e vede lontano, si è fatta subito amica di Last.
Last le ha ovviamente spiegato che è lui che comanda. Lei gli ha fatto credere che è perfettamente d’accordo e sottolinea la cosa giocherellando solo con lui e seguendolo di corsa come un’ombra – ma, per rispetto, sempre indietro di una incollatura di spalla - tutte le volte che lui, facendo la faccia feroce, si precipita contro quelli che si accostano al cancello o alle mura di cinta.
Fucsia – una bella femmina di pastore molto gelosa - ha accettato l’intrusa con un poco di diffidenza, ma la sopporta, tranne che quando la piccola si avvicina troppo alla sua ciotola.
Fucsia può sorvolare sul fatto che quella faccia la ‘carina’ con gli altri ma non che le si avvicini troppo quando lei mangia.
Solo io, il Capo dei capi, sono autorizzato a toccarle la sua ciotola, a farle tutto e il contrario di tutto.
Fucsia è come Jara, mi adora.
Jara era invece la moglie di Dox, mamma di Fucsia e Wolf.
Jara aveva accettato che Dox si considerasse pure il Capobranco, ma gli aveva subito fatto capire che lui – per quanto la riguardava – doveva girarle un poco al largo, perché lei era capace di governarsi da sola.
Unica eccezione consentita quei periodi un poco particolari in cui lei decideva che si poteva metter su ‘famiglia’, nel qual caso Dox veniva ammesso a corte e degnato di una qualche attenzione.
Jara non era un cane ma un essere superiore, intelligente…, e anche furba.
Dox, che ha uno spiccato senso del comando, è solito andarsene in giro tutto il giorno con un tronchetto di legno da camino in bocca.
Non è scemo, ha solo un ego supersviluppato – mi aveva spiegato una volta l’istruttore dal quale lo avevo mandato a scuola insieme agli altri perché diventasse più furbo – e quello è il suo ‘possesso’, il suo scettro, il suo ‘bastone del comando’.
Non lo fa per giocare ma per sfidarti.
Le colpe sono sempre dei padri. Quando era piccolo gliene lanciavo spesso uno nel prato per addestrarlo al riporto. Lui tornava trionfante e me lo lasciava cadere davanti facendo un passo indietro per invitarmi a prenderlo e rilanciarlo.
Ora che è adulto gli è rimasta l’abitudine. Ma quell’invito originario a prendere il tronchetto è oggi diventato una sfida a provare a prenderglielo.
E quando i suoi ‘sudditi’ del branco gli si avvicinano troppo, lui li intimorisce e li allontana con dei brontolii da cavernicolo.
Tranne Jara…, però, che dei suoi brontolii se ne frega, gli si pianta talvolta di fronte a collo teso e denti scoperti, lo sfida a sua volta ringhiandogli negli occhi finchè lui, non reggendo più quello sguardo da canaglia assassina, fa dietrofront andandosene per conto suo, ma senza aver mollato il tronchetto.
Ma Jara era anche specialista in scippi con destrezza: un giorno mentre Dox si gonfiava il petto di fronte a noi con in bocca il solito tronchetto (a furia di prendersene di nuovi mi svuota continuamente la legnaia…) lei gli si avvicina dal di dietro caracollando con noncuranza, lo sfiora, lo supera e, nel momento del sorpasso, zac!, in un lampo glielo sfila di bocca.
Non vi dico Dox, ci è rimasto di un scemo…, a bocca aperta.
Dovete sapere che un lupo capobranco possiede un innato rispetto per le donne del branco, non le morde mai e quelle a volte se ne approfittano, come in quel caso.
Fatto sta che Dox, invece di reagire, rimane interdetto, e poi – dopo una pausa di riflessione – decide che è meglio lasciar perdere, si volta, torna alla legnaia e si prende un altro tronchetto: questa volta molto più grosso!
Anche Jara, però – non più giovane - aveva qualche acciacco reumatico come Dox, e un venti giorni fa – derogando per la prima volta alla cura personale che ho sempre avuto per i miei cani – l’avevo mandata con mio figlio dal mio veterinario di fiducia perché le desse qualcosa che la facesse risentire una…ventenne.
E’ tornata con la cura, a base di antireumatici e cortisoni: ‘roba da risuscitare i morti…’, aveva detto il dottore e mi aveva ripetuto pari pari mio figlio.
Ed in effetti per due giorni mi era sembrata tutta un’altra, e Dox sono convinto che nonostante gli anni cominciasse a farci di nuovo sopra qualche pensierino.
Ma lei – beffarda con lui sino in fondo, o forse perché era destino – una notte si è addormentata e ha deciso di non svegliarsi più.
Ora Dox è solo, ma ha sempre quel suo tronchetto, mentre Jara – senza più Dox fra i piedi - è lassù sulla mia collina, dove io passo continuamente con il mio trattore, fra quei miei campi di grano e vigneti, mentre sotto di lei si stende la vallata e sullo sfondo – centocinquanta chilometri più a Nord - si stagliano nitide le cime imbiancate delle Alpi bergamasche.
Ecco, perché - due giorni dopo che lei ci aveva lasciati - avevo acquistato la piccola Zenda: volevo cercare di annullarne il ricordo e il vuoto con la scusa di dare una giovane compagna a Last.
Zenda – la cucciolotta - mi è costata un occhio della testa, anche se l’allevatore, che è un mio amico, mi ha assicurato a cena che meno di così non poteva fare.
Stamattina, scendendo nel salone al piano terra, l’ho trovata sdraiata maestosamente su un divano, come se ci fosse nata, anzi, come faceva Jara.
E mentre la guardavo allibito, sembrandomi di rivedere Jara, lei rispondeva con uno sguardo da impudente come avesse voluto farmi capire che, se proprio io avevo voluto che lei occupasse nel mio cuore il posto lasciato vuoto da Jara, questo doveva valere anche per il divano.
Io – lo avrete capito - amo i miei cani, e nei miei libri ho dedicato loro non poche pagine, come sto facendo ora.
Wolf invece – quello di cui in un libro vi avevo raccontato che l’istruttore lo chiamava ‘il professore’ tanto era bravo in tutto – è il più intelligente in assoluto: ha capito che con suo padre Dox, quanto alla attuale guida del branco, non c’è niente da fare, ha capito che con Last – quanto alla futura guida del branco – non c’è niente da fare, ha capito che con Fucsia - che ha sentimentalmente un debole per Dox e finalmente ora non viene più ‘angariata’ da Jara – non c’è niente da fare, infine ha capito che pure con Zenda… non c’è niente da fare: ora lei è infatti troppo giovane e quando sarà in età da marito…, beh…, lo vede anche lui che lei già da ora ha un debole per Last, no?
Insomma il ‘professore’, sentimentalmente parlando, ha avuto una vita da scalognato, è per questo che ha imparato la virtù della pazienza, anche se come cane da guardia è imbattibile: esperto di arti marziali…canine, imparate dal suo istruttore e messe a profitto più di tutti gli altri del branco, ha un senso della ‘difesa’, della ‘posizione’ e del gioco di squadra eccellente.
Lui con un colpo d’occhio controlla silenzioso la situazione, lascia andare avanti gli altri e sorveglia da lontano sapendo che tanto quello è un falso allarme ma, quando c’è da fare sul serio, beh..., non ve lo raccomando, perché gli altri non scherzano ma lui… è proprio tosto.
Dicevo dunque all’inizio che Dox, Fucsia, Wolf, Last e Zenda sono lì sdraiati fuori al sole come se fossero su una spiaggia in Sardegna.
Sembra in effetti una giornata di inizio estate.
L’anticiclone delle Azzore, o quantomeno qualcosa che gli assomiglia molto, ha perseguitato noi contadini del Nord con vari mesi di siccità.
A metà gennaio era già praticamente primavera ed eravamo tutti sui campi a fare i lavori con un mese di anticipo.
Ne ho approfittato per una revisione dei mezzi meccanici: trattore gommato, trattore cingolato, erpici rotanti, barre falcianti e quant’altro serve alla conduzione di una aziendina agricola come la mia.
Se fossi un vero imprenditore agricolo dovrei portare i ‘libri’ in Tribunale, perché la mia attività agricola è fonte più di perdite che di guadagni, a parte un vino eccellente che mio fratello si viene a prendere da cinquecento chilometri di distanza in quantità …industriali.
Mi consolo pensando che in fin dei conti è un hobby che mi aiuta a mantenermi in linea, e che – in termini di perdite, non contando il mio lavoro, né il capitale investito né l’ammortamento dei mezzi meccanici e delle attrezzature - non mi costa più di quanto mi costerebbe la barca a vela che avevo una volta.
I vigneti – ora che siamo già a fine marzo - sono a posto, con le viti già potate, legate e concimate.
Lavorando ho anche perso un paio di chili che avevo accumulato negli stravizi natalizi.
Fra poco seminerò le patate, mentre l’erba medica per le mucche (tre mucche, due vitellini e altri tre ‘piccoli’ in arrivo) ed il grano stanno crescendo che è una meraviglia.
All’orto ci penserò fra un mese: pomodori, fagioli e fagiolini, meloni, zucche, peperoni, lattughe ed altre insalate.
Le galline mi fanno le uova mentre con le mucche non mancano latte e burro fatti in casa, e qualche volta anche il formaggio.
Insomma, non so se l’avete capito, ma vi racconto queste cose perché son qui davanti al mio computer che non so cosa scrivere…
Due mesi fa avevo mandato la ‘bozza’ del mio sesto libro all’Editore.
Era l’ultimo di una serie di tre volumi di commento al Vangelo di Giovanni: “Il Vangelo del ‘grande’ e del ‘piccolo’ Giovanni”, letto e commentato da un catecumeno.
Tranquillizzatevi, o voi che leggete: non sono un prete, e neanche un teologo, anche perché voi non avete certo bisogno di essere salvati.
Ma un giorno mi ero detto che forse non sarebbe stato male – per un miscredente come me – cimentarmi in un lavoretto casalingo.
Ne era quindi uscito un commento al Vangelo di tipo estemporaneo, da uomo della strada.
Avevo messo a confronto gli episodi di quel Vangelo tutto teologico ed ispirato di San Giovanni con gli stessi episodi visti in visione e trascritti nell’opera di Maria Valtorta.
Una volta un amico mi ha detto: ‘I tuoi libri mi piacciono, ma come mai ci infili sempre quella Maria Valtorta?’
E’ un fatto di galanteria, anzi di ‘cavalleria’: leggendo le sue opere sono diventato un ‘convertito’, e il meno che possa fare è ora ricambiare la cortesia e cercare di convertire quelli come me, cioè come voi, parlandovi di lei.
Da molti Maria Valtorta viene considerata la più grande scrittrice mistica moderna, a livello mondiale.
Nella Chiesa – che è fatta non solo di santi ma anche di uomini – oltre agli estimatori ha avuto dei denigratori.
Ecco cosa si dice nella nuova Edizionedell’Opera, ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’, a cura di Emilio Pisani, Centro Editoriale Valtortiano di Isola del Liri:
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L’ opera che amplia e illustra i quattro vangeli fu scritta di getto da Maria Valtorta, nella forma di una rivelazione privata, dal 1944 al 1947, e fu completata nel 1951.
La sua pubblicazione ebbe inizio nel 1956 con un grosso volume, che si annunciava come il primo di una serie di quattro volumi. Non portava il nome dell'autrice e aveva un titolo improvvisato, Il poema di Gesù, che rimase in pochi esemplari perché una nota casa editrice lo rivendicò come esclusivo di un suo libro di poesie. E l'opera dovette chiamarsi Il poema dell'Uomo-Dio.
L'edizione era stata preceduta dalla diffusione di copie dattiloscritte legate in fascicoli, che erano servite anche a far conoscere l’Opera al papa Pio XII, il quale consigliò di pubblicarla, suggerendo qualche cautela, quando nel febbraio 1948 dette udienza ai due religiosi Serviti che se ne occupavano a Roma. Ma l'anno seguente, per motivi non del tutto chiariti, il Sant’Uffizio si oppose severamente ai padri Migliorini e Berti, che erano alla ricerca di un editore. Essi, tuttavia, continuavano a raccogliere gli autorevoli consensi che personalità assai note, ecclesiastiche e laiche, mettevano per iscritto dopo aver esaminato i fascicoli dattilografati. Finalmente, nel 1952, Maria Valtorta concluse un contratto con il tipografo-editore Michele Pisani, che dopo quattro anni pubblicò quel primo volume di oltre milleduecento pagine.
I tre volumi successivi, meno grossi del primo, uscirono ad intervalli di un anno l'uno dall'altro. Nel dicembre 1959, quando l'edizione fu completata, il Sant’Uffizio mise all'Indice l'Opera con un decreto che sottopose alla approvazione del Pontefice neo-eletto. Un articolo sulla prima pagina de 'L'Osservatore romano' del 6 gennaio 1960 spiegava i motivi della condanna, che si fondavano su opinabili sconvenienze (in assenza di errori certi e palesi) e su una dichiarata misura disciplinare.
Seguì la seconda edizione, in dieci volumi corredati di note e con il nome dell'autrice, che si spegneva nel 1961, l'anno di pubblicazione del primo volume. Ristampata per trent'anni e tradotta in molte lingue dopo la soppressione dell'Indice dei libri proibiti, si è diffusa nel mondo senza pubblicità.
L’hanno propagandata i suoi stessi lettori, oscuri e illustri, laici e consacrati, incolti e dotti, perfino atei alcuni, perfino modelli di santità altri. Ha commosso, convertito, fatto discutere, resistito agli attacchi che miravano a stroncarla.
La terza edizione presenta l'Opera con il suo vero titolo, preso dalla edizione francese, e con altre importanti innovazioni che sono illustrate con una nota in ciascuno dei dieci volumi. Preparata con cura, la nuova edizione esce quando l'autorità ecclesiastica mostra di voler mantenere, dell'antica condanna, solo il disconoscimento dell'origine soprannaturale dell'Opera, consentendo ai cattolici di leggerla e diffonderla come un prodotto letterario che ha la forma stilistica del rivelato.
L’editore rispetta l'autenticità del manoscritto valtortiano fin dal titolo, e nel contempo si sottomette, come cattolico, al giudizio della Chiesa.
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Si è dunque trattato di una diffusione dell’Opera a livello mondiale lenta, silenziosa, progressiva, basata su una sorta di ‘passa-parola’.
Stupisce che un’opera così eccezionale non si sia imposta al grande pubblico fin dal primo momento della sua uscita stampa, una quarantina d’anni fa.
Il fatto poi che fosse stata inizialmente messa all’Indice – in un mondo secolarizzato in cui l’Indice, ormai da tempo abolito, non doveva essere la prima preoccupazione – non mi pare una spiegazione sufficiente.
Mi son chiesto tante volte, ad esempio, perché mai Dio – anziché convertire tutta l’Umanità d’un colpo, con uno dei suoi miracoli strabilianti che ci obligassero a prendere atto della sua realtà – abbia deciso di incarnarsi silenziosamente nell’Uomo-Gesù Cristo, in una regione sperduta dell’Impero romano, in un paesino remoto come Nazareth, sconosciuto alle carte geografiche di una volta, in una umile famiglia di falegname, per arrivare a farsi crocifiggere dopo aver predicato una dottrina sapiente ma che si sarebbe diffusa molto lentamente, nei secoli, a prezzo di sacrifici e martirii inenarrabili, salvo ancora sentirsi dire – nell’epoca moderna – che ‘Dio è morto’.
Questa grande carismatica ha narrato e descritto – nei dieci volumi che sono la sua opera principale - gli episodi più salienti dei tre anni di vita pubblica di Gesù.
Lei – a letto, paralizzata - vedeva e sentiva parlare in presa diretta Gesù, gli altri apostoli e vari personaggi, e trascriveva il tutto su dei quaderni il cui testo veniva poi ricopiato e dattiloscritto dai suoi direttori spirituali dell’Ordine dei Servi di Maria che la seguivano giornalmente.
Nelle sue visioni e dialoghi, riportati con precisione assoluta e con straordinaria capacità letteraria oltre che eccezionale dottrina teologica, ci viene così trasmessa una testimonianza di tipo ‘carismatico’ sugli episodi narrati nei vangeli che è come se venissero illuminati da una luce abbagliante che ti fa dire: ‘Ah, ecco. Adesso finalmente capisco tutto…!’.
E infatti mi sono convertito.
Il fatto è che se la Valtorta la fede te la fa trovare, certi ‘teologi’ - di cui avevo letto qualcosa - te la fanno perdere.
Costoro – a furia di voler essere ad ogni costo ‘razionali’ - pretendevano di spaccare il capello in quattro, approvavano del testo dei vangeli solo quello che corrispondeva ai criteri di una loro ‘realistica’ ragione mentre i miracoli si ostinavano a non chiamarli ‘miracoli’ – perché a loro i miracoli sembravano una cosa irrazionale e quindi impossibile - e allora li chiamavano ‘segni’.
Infine volevano convincermi che i vangeli non sono una realtà storica, anzi sono un mito, frutto della fantasia ‘fabulatrice’ delle prime comunità cristiane che hanno voluto inventarsi un Dio secondo le proprie aspettative lasciando ai posteri quella che non è altro che una…leggenda.
Questa gente, incredibile!, ha fatto scuola, e ora li sentite in tanti a ripetere le stesse cose.
Parlo di certe ‘scuole’ teologiche che ancora oggi hanno i loro epigoni, di quelle scuole che hanno avuto in Bultmann il loro capostipite e che – molto diffusesi negli ultimi trentanni anche fra teologi cattolici - ti portano talvolta a domandarti se quel certo prete uscito da quel certo Seminario, che talvolta senti commentare il vangelo in una chiesa, è sempre un prete, oppure se quello che lui sta commentando è un vangelo o un testo sociologico, o morale, quando non un trattato politico sulla teologia della ‘liberazione’, non liberazione dal demonio nel quale spesso non credono neppure più, ma dalle classi politiche dominanti.
Intendiamoci, non è colpa di questi preti – anzi, per vostro conforto io ne ho sentiti tanti, credetemi, che predicano benissimo – ma è colpa appunto di una certa ‘cultura teologica’ modernista che si è diffusa silenziosamente nella nostra società, e qualche volta negli stessi seminari, come quei gas venefici inodori e che proprio per questo poco alla volta ti portano alla morte: per asfissia…spirituale, senza che tu te ne renda neanche conto.
Fra i tanti teologi i cui libri di testo vengono poi adottati per formare le nuove ‘generazioni’, mi aveva una volta colpito un certo Hans Kung, che mi aveva dato l’impressione di essere reclamizzato e vezzeggiato da certi organi di stampa perché è comunque un personaggio che riesce a far ‘notizia’, come lo farebbe la notizia – col dovuto rispetto – di un ‘padrone’ che azzannasse il suo cane.
Ed in effetti una sua intervista che avevo letto su un giornale mi aveva lasciato sbalordito per la violenza verbale di certe affermazioni nei confronti della Chiesa.
In realtà io ero un uomo della strada, un semplice, e probabilmente non sapevo apprezzarne il valore ‘intellettuale’.
Ma soprattutto avevo poco dimestichezza con certi ‘teologi’ ed ero convinto che – per il solo fatto di essere teologi, anzi teologi cristiani, per non dire cattolici – questi dovessero essere tutte persone timorate di Dio e magari anche rispettose di Gesù Cristo.
E Bultmann, io, non sapevo neanche chi fosse, finchè non ho ‘incontrato’ sulla mia strada Vittorio Messori.
Non sapete chi è Messori? Non è un ‘teologo’, anche se è uno che se ne ‘intende’.
Giornalista, storico, scrittore cattolico, ha anche – dal mio punto di vista di scrittore in erba qual sono - un carisma che gli invidio: scrivere libri che si stampano in milioni di copie.
Un giorno un prete, sentendomi parlare di lui come se per me Messori fosse un ‘profeta’, fece una smorfietta educata sbottando con sufficienza: ‘Messori? Sì, un apologeta…’.
Per me, uomo della strada, questo era un termine dal significato vago ma che – quantomeno per il tono e l’espressione che aveva usato il mio amico – mi ricordava vagamente l’apologia di reato, fatto penalmente perseguibile.
Solo il giorno dopo, andandomi a cercare su quel prezioso ‘Dizionario del Cristianesimo’ di padre Enrico Zoffoli (Ed. Segno) cosa significasse queste termine scopersi che l’apologetica è invece ‘l’introduzione alla teologia che dimostra la credibilità del cristianesimo alla luce delle premesse filosofiche e storiche del «dato» rivelato per cui, soddisfatte le legittime richieste della ragione, essa si conclude con un giudizio di credibilità della Rivelazione cristiana…’.
Inutile dire che da quel momento Messori è cresciuto ancor più nella mia considerazione mentre, per quanto concerne il prete, capii che da parte sua non vi era nulla di personale in quella smorfia di sufficienza ma solo – in buona fede - un retroterra di formazione giovanile cultural-ideologica che affondava le sue radici in quella certa teologia tedesca da riforma protestante che aveva poi trovato in Bultmann il suo caposcuola, seguito successivamente da non pochi teologi cattolici.
Uomo di cultura enciclopedica, il Messori ‘storico’ si muove nella storia – riletta in un’ottica cristiana - come un pesce nell’acqua, e dal di fuori, cioè da ‘laico’, difende – da eccellente ‘polemista’ - la religione cattolica dalle stratificazioni della disinformazione.
Nonostante sia stato l’autore di libri famosi, di lui avevo letto solo alcuni suoi articoli quando mi ero imbattuto casualmente in una sua opera ‘giovanile’: ‘Ipotesi su Gesù’ che era finita in soffitta non so neanche bene in quale maniera.
Fu un colpo di fulmine, anche per aver scoperto che quel libro – contrariamente ai miei - era stato un grande successo editoriale.
Allora cercai e lessi un suo libro più recente: ‘Qualche ragione per credere’.
Entusiasmo!
Finchè un giorno, un paio di mesi fa, trovandomi a Milano, entrai in una libreria per vedere se trovavo un altro suo libro di cui avevo orecchiato un titolo, e…ne uscii con nove!
Non vi dico la spesa. Ma ne è valsa la pena.
E, di questi nove, ‘Patì sotto Ponzio Pilato? – Una indagine sulla passione e morte di Gesù’ (S.E.I.– 1992) è stato per l’appunto quello che mi ha più famigliarizzato con quel Bultmann di cui vi dicevo sopra, principe dei teologi ‘razionalisti’.
Vi dico tutto questo – in attesa che mi venga ‘l’ispirazione’ – perché è proprio leggendo questo libro di Messori che mi è venuta l’ispirazione di scrivere a mia volta questo mio libro.
Un ulteriore commento al Vangelo – non più quello di Giovanni – ma di Matteo, Marco e Luca.
Poiché suppongo che anche voi siate in linea di massima come me e cioè poco eruditi dal punto di vista della ‘storia’ della teologia, mi sembra utile conoscere in quale clima si è sviluppata una certa teologia che – se non state bene attenti a quel che leggete o sentite – rischia di farvi perdere la fede nel Dio cristiano, se già l’avete, oppure di diventare testimoni di Geova o buddisti, se ne siete lontani ma una qualche fede vorreste pur averla.
Dopo la vittoria del cristianesimo sul paganesimo, nei primi secoli dopo Cristo, l’autenticità dei vangeli rimase incontestata fino al diciottesimo secolo, quando essa venne messa in dubbio in ambiente protestante dai primi illuministi, deisti inglesi nonché, in seguito, da quelli francesi alla Voltaire.
In un’epoca in cui politica e religione si intrecciavano e si scontravano, l’illuminismo propugnava l’uscita dell’uomo dalla stato di minorità del quale l’uomo stesso si era reso colpevole.
Per minorità si intendeva (Kant) l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro (cioè in altre parole, nel caso specifico, dei preti).
La Religione del mondo cattolico era vista dagli illuministi come quella che difendeva l’immobilismo politico, l’oscurantismo ed era ostile al progresso.
Essa diventava quindi il primo avversario da battere per creare una società nuova fondata non più su valori religiosi ma sulla Ragione.
Da questa impostazione, che trovava in Rousseau e Voltaire dei vati alla moda, nasceva poi quella corrente di pensiero che avrebbe portato in successione alla Rivoluzione francese, alla caduta della varie monarchie dell’Europa continentale dell’otto-novecento, all’abbattimento dello Stato Vaticano in Italia, al marxismo ateo, al socialismo e infine al nazionalsocialismo e fascismo di relativamente recente memoria, sostituito oggi dal materialismo capitalista, che è cosa diversa ma che ha le stesse basi culturali gettate dall’Illuminismo.
In questo clima diventava dunque ideologicamente importante demolire la Chiesa e la sua cultura, ad esempio quella del Medioevo, splendida ma presentata (come anche ai giorni nostri) come una cultura oscurantista, caratterizzata da una feroce inquisizione e caccia alle streghe.
Poiché era in atto uno scontro ‘ideologico’, veniva orchestrata la diffusione di una propaganda di ‘controinformazione’ che - ripetuta in maniera martellante e anche finanziata da potenze politiche per fini politici come fatto ancor nell’epoca contemporanea dalle ‘superpotenze’ l’una nei confronti dell’altra - finiva per entrare nella cultura collettiva ed essere accettata come verità indiscutibile.
Tanto che ancor oggi, a chiunque si domandi se la Chiesa del Medioevo non sia stata la peggior chiesa oscurantista, la risposta, anche se uno del Medioevo in realtà non sa un’acca, non può essere che ‘sì’.
La religione cattolica, nel settecento-ottocento, era però vista come un avversario da abbattere non solo dagli illuministi, che consideravano la religione in genere un nemico mortale, ma anche dal mondo protestante che, nato sulla base di dottrine eretiche ma anche sorto in odio alla Roma papalina, vedeva nei papi di quell’epoca il famoso ‘Anticristo’.
In questo clima ideologico e culturale, per demolire il concetto di religione bisognava demolire il cristianesimo. Per demolire il cristianesimo bisognava demolire la sua ‘roccaforte’: la chiesa cattolica con il suo papato. Per demolire la Chiesa cattolica, che del Cristianesimo era considerata la punta di diamante, bisognava demolire i vangeli.
In una Europa di ‘blocchi’ contrapposti che era politicamente e militarmente bipolare se non tripolare, attaccare religione cattolica e papato consentiva ad un ‘blocco’ politico di indebolire contemporaneamente anche il potere politico del blocco avverso che al prestigio della religione e del papato si appoggiavano.
Tutto quindi congiurava a favore della demolizione dei vangeli.
Se i vangeli non sono storici, Cristo non è attendibile.
Se Cristo non è attendibile non lo è neanche quel suo rappresentante in terra che se si crede un padreterno anche se non è un Padreterno.
Se Cristo non è attendibile, non diciamo come uomo ma almeno come Dio, egli non poteva redimere l’Umanità.
Se l’Umanità non poteva essere redenta è perché non aveva bisogno d’essere redenta.
Se l’Umanità non aveva bisogno d’essere redenta, perché l’uomo non nasce inquinato dal Peccato d’origine che è un mito, allora essa può fare a meno di Dio, e l’uomo si può ‘redimere’ da solo: creando una nuova società, cioè un ordine nuovo, una nuova forma di organizzazione sociale dove il bimbo, nato naturalmente buono senza ‘vizi occulti’ d’origine, abbia la possibilità di crescere mantenendosi buono.
Comincia a svilupparsi così un modello di critica teologica che – partendo dai presupposti religiosi della riforma protestante e dal ‘libero esame’, quello rivendicato dalle chiese separate protestanti nell’interpretare la Sacra Scrittura indipendentemente dal Magistero della Chiesa – si salderà successivamente alla contestazione politica e filosofica di cui abbiamo parlato.
Il settecento illuminista comincerà a contestare interpretazioni evangeliche e dogmi delle religioni rivelate, visti come un insulto alla ragione, il tutto al fine di ridurre le religioni positive ad un insieme di norme morali condivisibili un po’ da tutti i popoli e pervenire ad una religione ‘universale’ di massonica memoria ed al ‘sincretismo’ moderno, miscuglio di dottrine eterogenee, nel presupposto che le verità trascendenti avrebbero potuto essere meglio spiegate per mezzo di dottrine disparate.
Queste, benchè opposte l’una all’altra, si sarebbero potute completare fra di loro, sfociando in un ‘irenismo’ (falsamente inteso come ‘ecumenico’) tendente all’unità e alla pace, che però – come dice il nostro Padre Zoffoli nel suo già citato Dizionario - pur di realizzarle sacrifica in tutto o in parte la verità, per cui ‘si accontenta di una concordia piuttosto umana, formale, animata da un amore che non è partecipato dallo Spirito di Verità procedente dal Padre e mandato dal Cristo’, in altre parole dallo Spirito Santo.
Il ‘dio’ che veniva concepito - quando invece Dio ed il suo potere creativo non erano addirittura del tutto negati attraverso l’affermazione dell’autogenesi dell’universo - era un soggetto astratto, filosofico, estraneo ad un rapporto ‘personale’ con l’uomo.
Un Dio inoltre senza misteri, dogmi, sacerdozio e chiese: finchè ateismo e panteismo non ne vanificarono del tutto la realtà.
L’uomo ‘illuminista’, piuttosto che vedersi ‘creato’ da Dio, preferiva farsi discendere da una scimmia.
In questo clima generale nasceva la demitizzazione dei Vangeli ad opera di R. Bultmann che presumeva di ricondurre a livello naturale e a dimensioni umane fatti e persone del testo biblico a cui l’ignoranza e il fanatismo popolare avrebbero invece attribuito un carattere soprannaturale.
Infatti, gli ‘increduli’ dell’ambiente illuminista, per screditare la fede, atttribuivano alla comunità primitiva cristiana l’aver elaborato un vangelo a proprio uso e consumo, cioè un vangelo mitico e non certo storico. I miracoli rientravano quindi nella logica del mito, più che di Dio.
Gesù – ove fosse realmente esistito - era considerato un uomo, magari un po’ profeta, magari anche rivoluzionario, intorno al quale sarebbe poi stata costruita dai primi cristiani tutta quella incastellatura che ce lo presenta come Dio, Verbo figlio di Dio.
Avrete ormai capito che si trattava di un pregiudizio ideologico che – presumendo di poter applicare ad un’opera soprannaturale come i vangeli quelli che venivano considerati criteri di lettura e interpretazione ‘scientifica’ – arriverà alla conclusione, a forza di dubitare e demolire, che i vangeli hanno avuto poco a che fare con la storia e con ciò che realmente avvenne: essi sarebbero il risultato della ‘fede’, cioè di quello che la primitiva comunità creatrice aveva creduto o voluto far credere.
Bultman fu appunto il rappresentante delle tesi più estreme.
A questo riguardo V. Messori osserva:
‘Per dirla con tutta sincerità: chi legge con un residuo di spirito religioso i libri di tanti biblisti anche cristiani del nostro secolo, tutto vi trova tranne che un atteggiamento d’amore (o, almeno, di solidarietà, di amicizia) verso un personaggio che vi viene sezionato in nome della sola erudizione, di una tecnica filologica…’.
Il Vangelo diventa in sostanza – e scusatemi questa mia espressione cruda – un cadavere steso sul lettino dell’obitorio attorno al quale si avvicendano medici in camice bianco e mascherina che sezionano e analizzano, dimenticando che quello era stato il corpo di un uomo, con un’anima, dei pensieri, dei sentimenti, una famiglia, degli affetti, una vita.
Dei vangeli si sono quindi impadroniti – specie in Germania che ha fatto da caposcuola – uomini ‘astratti’, uomini ‘da libri’ che – dice Messori – del Vangelo han fatto non più una ‘Persona’ ma una ‘Ideologia’.
Messori dice che - dopo due secoli di ‘studio scientifico’, partendo dagli stessi versetti greci, dagli stessi testi storici - ‘quasi ogni studioso indipendente giunge a risultati contrastanti se non addirittura opposti. L’esegesi biblica è il luogo per eccellenza delle ‘ipotesi’, anche se ciascuno vorrebbe trasformare la sua ipotesi in risultato acquisito e indiscutibile, munirla della forza cogente della verità ormai indiscutibile. Ogni generazione di ‘specialisti’ di questi argomenti presenta i suoi risultati come ‘oggettivi’ e dunque come ‘sicuri’ perché ‘scientifici’. E puntualmente ogni generazione successiva rinnega quei padri e giunge a conclusioni date come altrettanto ‘oggettive’ (ma soltanto fino al sopraggiungere sulla scena dell’altra generazione, che ricomincerà quasi da capo)…’.
Così – continua Messori – al prete si è sostituito il professore, alla aborrita lettura proposta dalla gerarchia ecclesiale è seguita la lettura imposta dalla gerarchia accademica, per cui – per citare le parole del Card. Joseph Ratzinger – ‘la funzione del magistero è passata ai professori e il protestantesimo, che intendeva porre le Scritture in mano a tutti, ha finito per farne un libro chiuso, grazie al culto dell’esperto che ha sostituito il pastore. E a questa prospettiva anche i cattolici si sono accodati. Non solo il cristiano ‘comune’, ma anche il teologo che non sia biblista non può più azzardarsi a leggere da solo la Bibbia, vangeli compresi: se non ha lauree e diplomi in esegesi sarebbe considerato solo un imprudente dilettante. La scienza degli specialisti ha steso un filo spinato attorno alla Parola di Dio, sequestrata dagli accademici…’.
E’ dunque meditando su queste affermazioni del Card. Ratzinger, Prefetto dell’Ex Sant’Uffizio, che io – che non ho diplomi in esegesi e non sono un ‘accademico’ - ho allora deciso di rivendicare quel mio diritto di ‘cristiano comune’ a non farmi chiudere da alcun filo spinato, a leggermi Bibbia e Vangeli senza l’esegesi di quel tipo di ‘specialisti’, a leggerli certo con la ragione ma soprattutto col ‘cuore’, e ho poi deciso che l’esperienza iniziata con quella prima trilogia dedicata a “Il Vangelo del grande e del piccolo Giovanni’ - letto e commentato da un catecumeno” avrebbe potuto essere continuata e completata, seguendo la stessa falsariga, con una seconda trilogia – da cristiano comune che parla ad un altro cristiano comune – dedicata ai tre vangeli cosiddetti sinottici, quelli di Matteo, Marco e Luca.
Di fronte a tanta erudizione scientifico-teologica che fa perdere la fede questo è – similmente alla precedente trilogia - quanto di più irrazionale e ascientifico si possa immaginare: un commento evangelico da uomo della strada, unito al racconto di una grande mistica come Maria Valtorta (quella che Gesù nelle sue visioni chiama affettuosamente ‘piccolo Giovanni’, con il nome cioè del grande evangelista’), la quale – del presunto Gesù-mito di certa teologia – ci darà invece, nelle sue visioni, la più credibile versione storica e al contempo la più ‘razionale’ delle spiegazioni, in perfetto accordo con la lettera e lo spirito dei Vangeli.
Ora – rispettando una seconda ispirazione sempre ricavata dalla lettura di Messori – vorrei tuttavia cominciare a rileggere i tre ‘sinottici’ proprio anche alla luce di quelle ‘discordanze’ evangeliche di cui egli ha parlato e che sono state croce e delizia di tanti commentatori.
Croce perché, non essendo possibile ai credenti dare a queste una spiegazione logica, erano fonte di notevole imbarazzo, delizia - per certi critici razionalisti alla Voltaire - perché l’apparente incongruenza di certi passi (ad esempio le quattro differenti versioni degli evangelisti in merito al racconto delle varie ‘donne’ sulla resurrezione di Gesù, alle quali ho già dedicato un capitolo nel mio commento al Vangelo di Giovanni e che trovano nelle visioni della Valtorta la più semplice delle spiegazioni) consentiva di scagliarsi contro la storicità e l’attendibilità dei vangeli nonché dello stesso Gesù Cristo.
Cosa di più scandaloso - per far scandalo nel nostro ‘piccolo’- se non opporre ora a questi ‘razionalisti’, l’irrazionalità di una mistica veggente?
Cosa fare se non proporre una lettura del ‘cuore’ che, nella Valtorta, va di pari passo con quella della Ragione, ragione con la R maiuscola?
Può del resto, un ‘razionalista’ alla Voltaire, permettersi di muover una critica ‘scientifica’ all’irrazionale? Anzi, può, un ‘razionalista’, ammettere l’irrazionale? Può, il razionalista, ammettere il miracolo, per non dire una apparizione? Può, un ‘razionalista’, ammettere visioni come quelle della Valtorta, o, che so…, come quelle dei veggenti di Lourdes o Fatima? Ma se certi ‘razionalisti’ non volevano ammettere neanche la realtà storica di Cristo, potranno mai ammettere la realtà di una mistica che assiste ad una apparizione o che vede in visione quel Cristo che essi stessi attribuiscono ad un mito?
Ma se la risposta è ‘no’ a tutte le domande cosa scrivo a fare allora?
Scrivo – oltre che per voi che non siete negatori ad oltranza - anche per coloro che, pur razionalisti ma non ideologicamente prevenuti, accettassero - avendo magari letto senza i dovuti anticorpi i libri di una certa teologia - di essere qui medicati a piccole dosi omeopatiche di ‘irrazionalità’ ascientifica oppure per quegli altri come loro che – non avendoli invece ancora letti – volessero vaccinarsi contro quel rischio.
In realtà molti di quei filosofi, o teologi, che hanno messo in discussione la realtà storica di Gesù e la veridicità dei vangeli – come Voltaire – lo hanno fatto per colpire il concetto stesso di Dio cristiano, sostituendovi un Gran Architetto lontano dall’uomo quanto le galassie dal nostro pianeta: insomma un Dio che è tanto lontano da non far male a nessuno.
Era del resto il Dio che la cultura corrente di tipo positivista aveva istillato nella mia mente fin dai banchi del liceo, sottoposto anch’io ad una disinformazione – in particolare in tante lezioni di filosofia e di storia - della quale ho potuto rendermi conto solamente molti anni dopo.
Mi sono letto il ‘Dizionario filosofico’ di Voltaire, un’operetta redatta in stile piacevole e brioso con un’ironia verso le Religioni non di rado pungente, comunque di gradevole lettura anche se alquanto superficiale nella valutazione delle problematiche cristiane e spirituali.
In essa Voltaire si propone appunto di dimostrare che tutte le religioni sono una invenzione mitica degli uomini i quali – rinunziando ad usare il cervello – si sono trasformati in succubi dei religiosi che - facendo balenare la minaccia di possibili castighi di Dio e facendo leva sulla loro pavidità - li hanno voluti sottomettere.
Ed è con sarcasmo che Voltaire critica religione e vangeli andando anche alla ricerca delle incongruenze o discordanze che si possono notare nei loro testi, utilizzandole per demolirne l’attendibilità e quindi la realtà storica di quanto i Vangeli raccontano.
Al riguardo lo stesso Messori (in Ipotesi su Gesù – S.E.I., 1987) osserva che il disagio per queste discordanze è continuato fino ai giorni nostri e costringe talvolta gli apologeti cristiani a cercare di risolvere le questioni ricorrendo a funambolismi maldestri.
Ma se i vangeli fossero stati realmente frutto di una elaborazione ‘mitologica’ dei primi cristiani, questi si sarebbero ben guardati dall’introdurre passi destinati a suscitare perplessità, o li avrebbero quantomeno emendati.
Dice dunque Messori: ‘Pur avvertendo il disagio e pur sapendo di compromettere la sua stessa azione missionaria, questa comunità che avrebbe inventato tutto non vuole percorrere l'ultima tappa dell'invenzione, ma conserva contro ogni logica testi pieni di varianti.
Questa difesa su una linea altrimenti assurda è spiegabíle solo se si accetta un'ípotesi che pare l'unica plausibile. L'ipotesi, cioè, di una comunità primitiva obbligata ad accettare quei quattro testi. E quelli soltanto, anche se imbarazzanti e scomodi. Un obbligo che poteva discendere solo dalla convinzione motivata che in quei testi erano conservati i ricordi dei testimoni più attendibili. Ricordi talvolta contrastanti, persino confusi in molti punti (la liberazione di due indemoniati è avvenuta presso la città di Gadara come vuole Matteo o presso Gerasa come scrivono Luca e Marco?) ma, tra tutti, i più aderenti a una vicenda di cui molti erano stati testimoni.
Siamo al contrario di ciò che pensa Voltaire, che manifestamente non sa nulla né del vangelo di Pietro, né del Diatessaron di Tazíano, né dell'eresia marcionita né del millenario disagio dei credenti per quelle discordanze che egli, il brillante filosofo illuminísta, crede di notare per primo.
Sono cioè proprio le varianti nei quattro racconti "ufficiali" su Gesù che fanno pensare che all'origine ci sia una storia realmente accaduta, per ricostruire la quale occorreva cercare e difendere le testimonianze più attendibili, quelle che si avvicinavano ai fatti con la maggiore approssimazione. E quelle testimonianze erano evidentemente considerate intoccabili.
Se all'inizio non c'è una storia ma una materia da plasmare come si crede, il comportamento della chiesa primitiva è inspiegabile. Se non era neppure in grado di darsi delle leggende attendibili, questa comunità mancava più che mai dei titoli per aspirare al suo già improbabile successo.
Proveremo del resto come questo genere di osservazioni possa continuare, vedendo come i vangeli dicano troppo e troppo poco rispetto a ciò che sarebbe stato auspicabile secondo logica per il buon esito della predicazione.
La conclusione non potrà essere che una: l'assurdità di presentarsi al giudizio del mondo con testi che si prestano all'ímmediata obiezione degli avversari può spiegarsi soltanto se si ammette che all'inizio c'è un messaggio che non è manipolabile a piacere dalla comunità primitiva, come pensano invece critici e mitologi. La comunità appare anzi impegnata ad accertare al meglio quanto sia veramente successo. A raccogliere, predicare, conservare per quanto possibile intatto il messaggio’.
In un altro suo libro ‘La sfida della fede’ (San Paolo, 1993) Messori - a proposito di teologi demolitori e demitizzatori – cita una frase di Maurice Clavel, il solo cattolico fra i nouveaux philosophes: ‘Conosco teologi che, per farsi un nome fra i giornalisti (i quali intervistano solo chi demolisce, non chi costruisce) eliminano un articolo del Credo per ogni anno universitario. Così, leggendoli, si arriva alla conclusione che è Gesù Cristo la vera causa di tutti gli errori, il vero ostacolo ad una teologia ‘adulta’. Dunque, anche Cristo e il suo vangelo vanno eliminati se vogliamo un cristianesimo non mitologico, adeguato ai tempi…’.
Ed è sempre di Messori – che in quanto a spirito polemico non è secondo a Maurice Clavel e che in quanto a citazioni è una miniera – un’altra citazione di D. Diderot: ‘Il messaggio di Gesù Cristo, annunciato da ignoranti, ha fatto i cristiani. La stessa religione, predicata da dotti, spesso non fa che degli increduli’.
A proposito dei princìpi e dei metodi di certa scienza razionalista mi viene alla mente Andrè Frossard.
Laico, ateo, socialista, figlio del primo segretario del Partito comunista francese, poi scrittore e prestigioso giornalista e corsivista di ‘Le
Figaro’ ha - in età matura e per dare ‘testimonianza’ - raccontato in un suo bestseller che fece scalpore (‘Dio Esiste, io l’ho incontrato’ – S.E.I.,1969) di come – entrato casualmente, ventenne, in una cappella per cercare un amico - ebbe in due minuti una sconvolgente visione dell’altro mondo uscendo dalla cappella radicalmente cambiato e…convertito: cattolico, apostolico, romano!
In un suo libro successivo(‘C’è un altro mondo’- S.E.I., 1976) - libro che vi raccomando anche perché quello di Frossard è uno stile ‘giornalistico’, scorrevole e soprattutto non privo di humour – Frossard conferma di aver fatto l’esperienza di Dio e precisa che Dio non è un principio astratto ma è proprio una persona, l’unica che possa dire ‘Io sono’.
Frossard osserva inoltre che ‘certi teologi hanno l’idea fissa di sopprimere Dio…ridurlo all’anonimato’ e aggiunge, a proposito del Dio-persona dei cristiani: ‘Che certi teologi non ne sappiano niente non deve poi stupire troppo. Essi guardano dall'altra parte, e si logorano gli occhi con letture materialistiche del Vecchio e del Nuovo Testamento che ad ogni riga li invitano alla diffidenza; e così perseverano nel loro mestiere di angeli al rovescio, ed invece di trasmetterci le verità più alte in termini accessibili alle nostre povere capacità intellettive, così come fanno, si dice, i puri spiriti di prima categoria nel confronto degli altri, essi traducono al contrario le verità più semplici in un linguaggio incomprensibile per gli stessi serafini. Ancora un piccolo problema di neuroni, e si troveranno allo stesso punto in cui giunse nel medioevo il celebre David de Dinant che chiamava Dio la materia prima…’.
E così, ancora, scrive Frossard parlando di certi ‘commenti’ nei confronti di quella sua folgorante visione giovanile che aveva fatto scalpore:
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‘Non era Dio…’, ha detto un tale, teologo tedesco molto quotato: ‘…il nostro eccellente giovanotto si è aperto intuitivamente una strada nel ‘profondo dell’Essere’.
L’anziano giovanotto sa benissimo, lui, che non ha aperto un bel niente.
Se fosse stato in grado di produrre intuizioni luminose di quella forza, non si sarebbe privato per quarantanni di innescarne.
Non è l’Essere vago e anonimo della filosofia ch’egli ha scoperto, bensì l’essere quale l’ordine del mondo suggerisce, la bellezza propone, il pensiero desidera, ma che né l’ordine, né la bellezza, né il pensiero sono in grado di dare; un essere tale che dal giorno in cui l’ha incontrato, la natura, checchè faccia, e gli uomini, checchè dicano, non gli hanno parlato che di lui.
‘Non può essere…’, ha sentenziato un altro, ‘…Non si incontra Dio, soprattutto nelle chiese, non esistono rivelazioni personali…’.
Ma dove sono le rivelazioni collettive, dove sono i Nuremberg della Terra promessa? Si crede dunque che l’intelligenza divina sia simile alla nostra, che sia ridotta all’espediente statistico e che conti gli uomini a mucchi, come l’uva secca, od a banchi, come le aringhe?…Tutta la storia del cristianesimo giudaico è un susseguirsi ininterrotto di rivelazioni personali, ripetute per quante volte vi furono credenti: Dio non conta mai oltre l’uno …
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Ma Frossard non polemizza solo con certi teologi, ma anche con certi ‘psicanalisti’ e così continua: « Non si può dare soddisfazione alla psicanalisi che escludendo di primo acchìto ogni intervento del divino nella vita quotidiana. Se poi si tratta di psicoanalisi cristiana, essa è d’accordo che Dio esista, ma a condizione che non si manifesti. Così ha avuto ragione della conversione dello stesso San Paolo – figurarsi un po’ se la mia ha qualche eventualità di darle fastidio – in un libro recente, attribuendo il tutto all’immaginazione, tanto la luce intensissima di cui parla l’apostolo quanto la voce che diceva: ‘Saul Saul, perché mi perseguiti?’. La luce era quella del sole, e la voce scaturiva dalle profondità tormentate dell’inconscio di Paolo: egli era un cristiano senza saperlo. Si ricava, da questa lettura, l’impressione in realtà alquanto umoristica che l’apostolo non sia caduto da cavallo sulla strada di Damasco, ma dal divano di uno psicanalista…».
Ed è quindi pensando a Frossard, ai suoi ‘psicanalisti’, a certe critiche teologiche cosiddette scientifiche, alla Bibbia, ai rapporti fra Scienza e Fede e infine a quanto da Frossard stesso poco sopra raccontato in merito a quel libro ‘psicanalitico’ su San Paolo, sulla sua immaginazione, sulla luce, sulla voce e sul ‘subconscio’, è quindi pensando a tutte queste cose che mi torna alla mente – non senza un sorriso auto-ironico – quello che io chiamo il mio ‘Subconscio creativo’ che, tre anni fa, aveva ‘atterrato’ anche me con la sua ‘Luce’, facendomi tuttavia la cortesia di non scaraventarmi giù dalla sella di un cavallo come fece la Luce di Gesù con San Paolo.
Stavo infatti allora scrivendo un capitolo del mio primo libro e stavo meditando, profondamente assorto, su alcuni passi della Introduzione di un libro di fisica: Cosa è la Scienza, scritto dal ben noto Isaac Asimov, altro figlio dell’Illuminismo.
E fu allora che la mia ‘Luce’…
(G.Landolina: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 5 – Ed. Segno)
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5. Dio e la Scienza.
Rivado con il pensiero a quanto ho appena letto. Secondo Isaac Asimov, illustre studioso e divulgatore scientifico, con la vita dei primi organismi primordiali – alla caccia del cibo - è nata la 'curiosità'.
Con la successiva 'evoluzione' di questi organismi unicellulari, evoluzione sviluppatasi via via fino all' uomo, la 'curiosità' si è perfezionata unitamente allo sviluppo del sistema nervoso. La scimmia è ad esempio proverbiale per la sua curiosità e sotto questo aspetto - come sotto molti altri - l' uomo - continua Asimov - non è che una superscimmia. E dalla 'curiosità' dell' uomo è nata la 'Scienza'.
Asimov è un materialista evoluzionista che non crede nell' atto creativo di Dio, crede invece nell'autogenesi, dice inoltre di vedere nelle religioni un 'mito', smascherato dalle scoperte della Scienza. Alcuni miti, questo è quanto afferma, degenerano a livelli ameni mentre altri acquisiscono contenuti etici di un certo peso che trasformano il mito in una grande religione.
Rimango un po' a riflettere. Bel colpo! Mi domando come mai uno studioso ed un divulgatore scientifico - nel disporsi ad affrontare argomenti meramente scientifici, di 'Fisica' - senta il bisogno di premettere nella Prefazione che lui non crede in Dio ma 'crede' invece nella 'scimmia'? Che bisogno c'è? Sembra quasi che di fronte alle meraviglie dell' universo e della materia che egli sarà poi costretto ad illustrare, egli voglia mettere 'le mani avanti', perchè i lettori non si mettano in testa idee sbagliate: Dio non esiste, c'è solo la 'curiosità' della scimmia, anzi della Superscimmia, e da questa curiosità deriva la Scienza...
Luce:
Dio e la Scienza.
Scrivi pure minuscolo, perché la Scienza maiuscola è solo quella illuminata dalla Sapienza di Dio.
Dio e la scienza.
La scienza adotta il sistema empirico, quello del ragionamento, quello della dimostrazione.
Ma cosa c' è di 'empirico' in Dio? Come potete 'ragionare', voi, nella vostra dimensione umana, per giunta imperfetta perchè viziata dal Peccato d' Origine, su quello che deve essere, su quello che è Dio? Come potete, voi, 'dimostrare' Dio?
E' già presunzione il pensarlo, è presunzione 'presumere' di poter dimostrare l'indimostrabile, perchè incomprensibile alle vostre umane capacità di intendere, Dio.
Dio non può essere 'dimostrato' da voi. Dio si 'dimostra' da sè, perchè Dio è!, Dio è !, Dio è!.
Solo i ciechi non lo vogliono vedere, solo i sordi - di spirito - non lo vogliono ascoltare.
Dio è sotto gli occhi di ciascuno di voi, ovunque, in ogni momento.
Non ha bisogno di 'dimostrazione': Dio è l' evidenza.
E allora cosa può la scienza?
La scienza che vuol 'dimostrare' Dio mostra essa per prima di non averlo saputo riconoscere in quello che è.
La scienza che lo vuol negare è scienza che si arrampica sui vetri pur di negare l' evidenza.
E allora nessun rapporto vi può essere fra Dio e la scienza, senza Sapienza.
Ma quando c' è la Sapienza ...Quando c' è la Sapienza quante cose insegna allora la Scienza. Quanti misteri che parlano di Dio.
Dall' infinitamente grande all' infinitamente piccolo.
Dai miliardi di galassie all' atomo, tutto parla di Dio, tutto parla della Infinità di Dio. Infinito nel grande, infinito nel piccolo, perchè Dio è l' Infinito in tutti i sensi.
Guarda il piccolo bruco: verde, tranquillo, innocuo, si nutre di foglie, si mimetizza, si riproduce. Non è perfetto nel suo essere bruco ? E quando diventa farfalla ? Non ti fa pensare a quando voi uomini, liberati da questo corpo terreno, volate finalmente con la vostra anima a Dio ?
E dal piccolo al grande (animale): tutto egualmente perfetto!
Cellula, autogenesi, evoluzione ? scienza! minuscolo!.
Io ho creato il mondo, Io ho creato le condizioni per la vita animale e vegetale, Io ho creato il mondo animale e vegetale.
E per ultimo, sì per ultimo, ho creato l' uomo, che non è già più 'animale', perchè da Me provvisto di anima spirituale, e quindi punto intermedio di contatto - in questo senso 'scalino' della scala ascendente della natura, ma la mia 'scala' non quella che intendete voi - fra il gradino animale e quello spirituale.
Materia - vegetale - animale - uomo - spirituale - Dio.
Ecco la scala ascensionale. Sopra tutto: Dio, sotto il Tutto: il resto.
Dio e la scienza.
Come si può dialogare con una scienza che, negando i suoi presupposti, parte già con l' idea di dimostrare a priori che non esisti ? Povero uomo imbevuto di scienza.
Ecco perchè, se solo mi volete, se solo alzate gli occhi a Me, Io vi mando la Sapienza. E più li alzate più ve ne mando, e così via, finchè la Sapienza non vi prende in braccio e vi porta direttamente a Me, perchè Io sono Colui che è !
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