(Il Vangelo secondo Giovanni  - La Sacra Bibbia – Cap. 20,30 – Ed. Paoline)
(M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ -  Cap. 632 – Centro Ed. Valtortiano)

16. Di ‘prodigi’ io ve ne racconto qui solamente ‘sette’: insomma…, un ‘settenario’!

  

Gv 20, 30:

Gesù fece in presenza dei suoi discepoli molti altri prodigi che non sono scritti in questo libro; questi sono stati scritti affinchè crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e affinchè, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

 

16.1 Non pensavo che Gesù potesse piangere ancora, dopo risorto…

Giovanni aveva poco prima parlato delle apparizioni di Gesù alla Maddalena e agli apostoli: prima senza e poi con Tommaso.
Ora – con questa sua annotazione di tre righe – vuole semplicemente dire che di ‘prodigi’, cioè di ‘apparizioni’ come quelle, Gesù ne aveva fatte molte altre che non sono state da lui menzionate perché ritiene che quelle da lui citate siano di per sé sufficienti a convincerci che Gesù – come ha dimostrato con la sua Risurrezione – è veramente Figlio di Dio.
In effetti gli Atti degli Apostoli, nel primo capitolo, ribadiscono – per bocca di Luca – che Gesù, dopo la passione, si era mostrato redivivo con numerose prove, manifestandosi agli apostoli, ai discepoli e ai ‘fedeli’ per ben quaranta giorni, parlando in tali circostanze delle cose attinenti il regno di Dio, prima di ascendere definitivamente al Cielo sapendo che la sua missione sulla Terra era finita ma sarebbe cominciata quella dello Spirito Santo.
Proviamo a vederne anche noi qualcuna, di riflesso, cioè ‘specchiandoci’ in quelle della Valtorta?

Ad esempio, lei –  nel Cap. 632 de ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’  -  di apparizioni, dopo la risurrezione, ce ne fa vedere addirittura 21
Cosa ne direste se io a voi ve ne facessi leggere le prime…sette?
Perché solo sette? Ma perché è un ‘settenario’, cioè un numero perfetto!

 

632.  Apparizioni a varie persone in luoghì diversi.

16-17 aprile 1947.
I. Alla madre di Annalia.
Elisa, la madre di Annalia, piange sconsolatamente nella sua casa, chiusa in una stanzetta dove è un lettino senza coperture, forse quello di Annalia.  Tiene il capo abbandonato sulle braccia, a loro volta abbandonate, tese sul lettuccio come per abbracciarlo tutto.  Il corpo grava sui ginocchi in posa di languore.  Di vigoroso non c'è che il suo pianto.
Poca luce entra dalla finestra aperta.  Il giorno da poco è risorto.  Ma una luce viva si fa quando entra Gesù.
Dico: entra, per dire che è nella stanza mentre prima non c'era.  E dirò sempre così per significare il suo apparire in un luogo chiuso, senza stare a ripetermi come Egli si scopra da dietro ad una grande luminosità che ricorda quella della Trasfigurazione, da dietro un fuoco bianco - mi si permetta il paragone - che pare liquefare muri e porte per permettere a Gesù di entrare col suo vero, respirante, solido Corpo glorifícato: un fuoco, una luminosità che su Lui si rinchiude e lo nasconde quando se ne va.  Però, dopo, piglia l'aspetto bellissimo di Risorto, ma Uomo, proprio Uomo, di una bellezza centuplicata rispetto a quella che già aveva prima della Passione. E’ Lui, ma è il Lui glorioso, Re.
«Perché piangi, Elisa?».
Non so come la donna non riconosca la Voce inconfondibile.
Forse il dolore l'intontisce.  Risponde come se parlasse a un parente che forse l'ha raggiunta dopo la morte di Annalia.
«Hai sentito ieri sera quegli uomini?  Egli non era nulla.  Potere magico, ma non divino.  Ed io che mi rassegnavo alla morte di mia figlia pensandola amata da un Dio, in pace... Me lo aveva detto! ... », piange ancor più forte.
«Ma lo videro risorto in molti.  Solo Dio da Se stesso può risuscitarsi».
«L'ho detto anche io a quelli di ieri.  Lo hai sentito.  Ho combattuto le loro parole.  Perché le loro parole erano la morte della mia speranza, della mia pace.  Ma essi - hai sentito? - essi hanno detto: "Tutta commedia dei suoi seguaci per non confessarsi folli.  Esso è morto e ben morto, e putrido, l'hanno trafugato e distrutto, dicendo che è risorto".  Hanno detto così... E che per questo l'altissimo ha mandato il secondo terremoto, per fare loro sentire la sua ira per la loro sacrilega menzogna.  Oh! non ho più conforto!».
«Ma se tu vedessi il Signore risorto, coi tuoi occhi, e lo palpassi con le tue mani, crederesti?».
«Non ne sono degna... Ma certo che crederei!  Mi basterebbe vederlo.  Non oserei toccare le sue Carni perché, se così fosse, sarebbero carni divine, e una donna non può avvicinarsi al Santo dei Santi».
«Alza il capo, Elisa, e guarda chi ti è davanti!».
La donna alza la testa canuta, il viso sfigurato dal pianto, e vede... Cade ancor più ribassata sui calcagni, si sfrega gli occhi, apre la bocca su un grido che vuol salire ma che lo stupore strozza in gola.
«Sono Io.  Il Signore.  Tocca la mia Mano.  Baciala.  Mi hai sacrificato la fíglia.  Lo meriti.  E ritrova, su questa Mano, il bacio spirituale della tua creatura. E’ in Cielo.  E beata.  Dirai questo ai discepoli e questo giorno».
La donna è così affascinata che non osa il gesto, ed è Gesù stesso che le preme sulle labbra la punta delle sue dita.
«Oh! sei proprio risorto!!!  Felice!  Felice sono!  Te benedetto che mi hai consolata!».
Si curva per baciargli i piedi e lo fa, e resta così.
La luce soprannaturale fascia nel suo splendore il Cristo, e la stanza è vuota di Lui.  Ma la madre ha il cuore pieno di incrollabile certezza.

Il. A Maria di Simone a Keriot, con Anna madre di Joanna e il vecchio Anania.
La casa di Anna, madre di Joanna.  La casa di campagna dove Gesù, accompagnato dalla madre di Giuda, operò il miracolo di guarire Anna.  Anche qui una stanza e una giacente sul letto.  Una che è irriconoscibile, tanto è sfigurata da un'angoscia mortale.  Il viso è consumato.  La febbre lo divora accendendo i pomelli sporgenti, tanto le gote sono incavate.  Gli occhi, in un cerchio nero, rossi di febbre e di pianto, sono socchiusi sotto le palpebre gonfie.  Là dove non è rossore di febbre, è giallore intenso, verdastro, come per bile sparsa nel sangue.  Le braccia scarne, le mani affilate, sono abbandonate sulle coperture che un ansito affrettato solleva.
Presso la malata, che altra non è che la madre di Giuda, è Anna, la madre di Joanna.  Essa asciuga lacrime e sudore, agita un ventaglio di palma, muta le pezze bagnate in un aceto aromatizzato sulla fronte e sulla gola della malata, le carezza le mani, le carezza i capelli disciolti, divenuti in poco tempo più bianchi che neri, sparsi sul guanciale e incollati dal sudore sulle orecchie fatte trasparenti.  E piange anche Anna, dicendo parole di conforto: «Non così, Maria!  Non così!  Basta!  Egli egli ha peccato. Ma tu, tu lo         sai come il Signore Gesù ...».
«Taci! Quel Nome  a me... detto a me... si profana. Sono la madre... del Caino           di Dio! Ah!».
Il pianto quieto si muta in sfinito, lacerante singhiozzo.  Si sente affogare, si abbranca al collo dell'amica, che la soccorre nel vomito bilioso che le esce dalla bocca.
«Pace!  Pace, Maria!  Non così!  Oh! che dirti per persuaderti che Egli, il Signore, ti ama?  Te lo ripeto!  Te lo giuro sulle cose a me più sante: il mio Salvatore e la mia creatura.  Egli me lo ha detto quando tu me lo portasti.  Egli ha avuto per te parole e previdenze di amore infinito.  Tu sei innocente.  Egli ti ama.  Sono certa, certa sono che darebbe Se stesso un'altra volta per darti pace, povera madre martire».
«Madre del Caino di Dio!  Senti?  Quel vento, là, fuori... Lo dice... Va per il mondo la voce... la voce del vento, e dice: ‘Marìa di Simone, madre di Giuda, colui che tradì il Maestro e lo consegnò ai suoi crocifissori’.  Senti?  Tutto lo dice... Il rio, là fuori... Le tortore... le pecore... Tutta la Terra grida che io sono... No, non voglio guarire.  Morire voglio!... Dio è giusto e non colpirà me nell'altra vita.  Ma qui, no.  Il mondo non perdona... non distingue... Folle divengo perché il mondo urla ... : "Sei la madre di Giuda!"».
Ricade esausta sui guanciali.  Anna la ricompone ed esce per portare via i panni sporcati...
Maria, ad occhi chiusi, esangue dopo lo sforzo fatto, geme: «La madre di Giuda! di Giuda! di Giuda!».  Ansa, poi riprende: «Ma cosa è Giuda?  Cosa ho partorito?  Cosa è Giuda?  Cosa ho ... ».
Gesù è nella stanza, che un tremulo lume rischiara perché troppo poca ancora è la luce del giorno per illuminare la stanza vasta, nella quale il letto è nel fondo, molto lontano dall'unica finestra. 
Chiama dolcemente: «Maria!  Maria di Simone!».
La donna è quasi delirante e non dà peso alla voce. E’ assente, rapita nei gorghi del suo dolore, e ripete le idee che ossessionano il suo cervello, monotonamente, come il tic tac di un pendolo: «La madre di Giuda!  Cosa ho partorito?  Il mondo urla: "La madre di Giuda' ... ».
Gesù ha due lacrime nell'angolo degli occhi dolcissimi
Mi stupiscono molto.  Non pensavo che Gesù potesse piangere ancora dopo che è risorto...
Si curva.  Il letto è così basso, per Lui così alto!  Pone la Mano sulla fronte febbrile, respingendo le pezze umide d'aceto, e dice: «Un'infelice.  Questo e non altro.  Se il mondo urla, Dio copre l'urlo del mondo dicendoti: ‘Abbi pace, perché Io ti amo’.  Guardami, povera mamma!  Raccogli il tuo spirito smarrito e mettilo nelle mie mani.  Sono Gesù! ... ».
Maria di Simone apre gli occhi come uscendo da un incubo e vede il Signore, sente la sua Mano sulla sua fronte, porta le mani tremanti al viso e geme: «Non mi maledire!  Se avessi saputo cosa generavo, mi sarei strappate le viscere per impedire che egli nascesse».
«E avresti peccato.  Maria! oh!  Maria!  Non uscire dalla tua giustizia per la colpa di un altro.  Le madri che hanno fatto il loro compito non devono tenersi responsabili del peccato dei figli.  Tu lo hai fatto il tuo dovere, Maria.  Dammi le tue povere mani.  Sii quieta, povera mamma».
«Sono la madre di Giuda.  Immonda sono come tutto ciò che quel demonio toccò.  Madre di un demonio!  Non mi toccare».  Si dibatte per sfuggire alle Mani divine che la vogliono tenere.
Le due lacrime di Gesù le cadono sul volto tornato acceso di febbre. «Io ti ho purificata, Maria.  Il mio pianto di pietà è su te. Su nessuno ho pianto da quando ho consumato il mio dolore. Ma su te piango con tutta la mia amorosa pietà».  E’ riuscito a prenderle le mani e si siede, sì, proprio si siede sull'orlo del lettuccio, tenendo quelle mani tremanti fra le sue.
La pietà amorosa dei suoi fulgidi occhi accarezza, fascia,  medica l'infelice, che si calma piangendo tacitamente e mormorando: «Non m'hai rancore?».
«Ho   amore.  Sono venuto per questo.  Abbi pace».
«Tu    perdoni!  Ma il mondo!  Tua Madre!  Mi odierà».
«Ella pensa a te come a una sorella.  Il mondo è crudele. E’ vero.  Ma mia Madre è la Madre dell'Amore, ed è buona.  Tu non puoi andare per il mondo, ma Ella verrà a te quando tutto sarà in pace.  Il tempo pacifica ... ».
«Fammi morire, se mi ami ... ».
«Ancora un poco.  Tuo figlio non seppe darmi nulla.  Tu dammi un tempo del tuo soffrire.  Sarà breve».
«Mio figlio ti ha dato troppo... L'orrore infinito ti ha dato».
«E tu il dolore infinito.  L'orrore è passato.  Non serve più.  Il tuo dolore serve.  Si unisce a queste mie piaghe, e le lacrime tue e il Sangue mio lavano il mondo.  Tutto il dolore si unisce per lavare il mondo.  Le tue lacrime sono fra il mio Sangue e il pianto di mia Madre, e intorno intorno è tutto il dolore dei santi che soffriranno per il Cristo e per gli uomini, per amor mio e degli uomini.  Povera Maria!».
La adagia dolcemente, le incrocia le mani, la guarda calmarsi...
Rientra Anna e resta sbalordita sulla soglia.
Gesù, che si è rialzato, la guarda dicendo: «Hai ubbidito al mio desiderio.  Per gli ubbidienti è pace.  La tua anima mi ha compreso.  Vivi nella mia pace».
Riabbassa gli occhi su Maria di Simone, che lo guarda fra un fluire di lacrime più calme, e le sorride ancora.  Le dice ancora: «Poni tutte le tue speranze nel Signore.  Egli ti darà tutte le sue consolazioni».  La benedice e fa per andarsene.
Maria di Simone ha un grido appassionato: «Si dice che mio figlio ti ha tradito con un bacio!  E vero, Signore?  Se sì, lascia che io lo lavi baciandoti le Mani.  Non posso fare altro!  Altro non posso fare per cancellare... per cancellare ... ». Il dolore la riprende più forte.
Gesù, oh!  Gesù non le dà le Mani da baciare, quelle Mani sulle quali la larga manica della veste candida ricade sino a metà del metacarpo nascondendo le ferite, ma le prende il capo fra le mani e si curva a sfiorare con le labbra divine la fronte bruciante dell'infelicissima fra tutte le donne, e le dice nel rialzarsi: «Le mie lacrime e il mio bacio!  Nessuno ha avuto tanto da Me.  Sta' dunque nella pace che fra Me e te non c'è che amore».  La benedice e, traversata la stanza sveltamente, esce dietro ad Anna, che non ha osato venire avanti, né parlare, ma che lacrima di emozione.
Quando però sono nel corridoio che conduce alla porta di casa, Anna osa parlare, fare la domanda che le è nel cuore: «La mia Joanna?».
«Da quindici giorni gode nel Cielo.  Non l'ho detto là, perché troppo è il contrasto fra tua figlia e suo figlio».
«E vero!  Grande strazio!  Io credo ne muoia».
«No.  Non subito».
«Ora avrà più pace.  Tu l'hai consolata.  Tu!  Tu che più di tutti ... ».
«Io che più di tutti la compiango.  Io sono la divina Compassione.  Io sono l'Amore. lo te lo dico, donna: sol che Giuda mi avesse gettato uno sguardo di pentimento, Io gli avrei ottenuto il perdono di Dio ... ». Che tristezza sul volto di Gesù!
La donna ne è colpita.  Parole e silenzi combattono sulle sue labbra, ma è donna, e la curiosità la vince.  Chiede: «Ma è stata una... un... Sì, voglio dire: quel disgraziato peccò all'improvviso, o... ».
«Da mesi peccava e nessuna mia parola, nessun atto mio valse a fermarlo, tanto era forte la sua volontà di peccare.  Ma non dire questo a lei ... ».
«Non dirò!... Signore!  Che ora quando Anania, fuggito senza neppure ultimare la Pasqua da Gerusalemme, la notte stessa del Parasceve, entrò qui urlando: "Tuo figlio ha tradito il Maestro e lo ha consegnato ai suoi nemici!  Con un bacio lo ha tradito.  E io ho visto il Maestro percosso e sputacchiato, flagellato, coronato di spine, caricato della croce, crocifisso e morto per opera di tuo figlio.  E il nome nostro è urlato con trionfo osceno dai nemici del Maestro, e sono narrate le gesta di tuo figlio che, per meno del prezzo che costa un agnello, ha venduto il Messia, e con il tradimento di un bacio lo ha indicato alle guardie!".  Maria cadde a terra, nera di colpo, e il medico dice che si è sparso il suo fiele e crepato il suo fegato, e tutto il sangue ne è corrotto.  E... il mondo è cattivo.  Ella ha ragione... Ho dovuto trasportarla qui, perché venivano presso la casa in Keriot a gridare: "Tuo figlio deicida e suicida!  Impiccato si è! E Belzebù ha preso la sua anima e persino il corpo è venuto a prendersi Satana". E’ vero questo orrendo prodigio?».
«No, donna.  Egli fu trovato morto, appeso ad un ulivo ... ».
«Ah!  E gridavano: "Cristo è risorto ed è Dio.  Tuo figlio ha tradito Dio.  Sei la madre del traditore di Dio.  Sei la madre di Giuda".  Di notte, con Anania e un servo fedele, l'unico che mi è rimasto perché nessuno ha voluto stare presso di lei... l'ho portata qui.  Ma quei gridi Maria li sente nel vento, nel rumore della terra, in tutto».
«Povera madre! E’ orrendo, sì».
«Ma quel demonio non ha pensato a questo, Signore?».
«Era una delle ragioni che usavo a trattenerlo.  Ma non è valso.  Giuda giunse a odiare Dio non avendo mai amato di vero amore padre e madre né alcun altro suo prossimo».
«E’ vero!».
«Addio, donna.  La mia benedizione ti conforti a sopportare gli scherni del mondo per la tua pietà per Maria.  Bacia la mia Mano.  A te la posso mostrare.  A lei avrebbe fatto troppo male vedere questo».  Getta indietro la manica scoprendo il polso trafitto. Anna ha un gemito mentre sfiora appena con le labbra la punta delle dita.
Il rumore di una porta che si apre e un grido soffocato: «Il Signore!».  Un uomo vecchietto si prostra e resta così.
«Anania, buono è il Signore. E’ venuto a confortare la tua parente, a confortare noi pure», dice Anna per confortare anche il vecchietto nella sua troppo grande emozione.
Ma l'uomo non osa far movimento.  Piange dicendo: «Siamo di un sangue orrendo.  Non posso guardare il Signore».
Gesù va a lui.  Lo tocca sul capo dicendo le stesse parole già dette a Maria di Simone: «I parenti che hanno fatto il loro dovere non devono tenersi responsabili del peccato del parente.  Fa' cuore, uomo!  Dio è giusto.  La pace a te e a questa casa.  Io sono venuto e tu andrai dove ti mando.  Per la Pasqua supplementare i discepoli saranno a Betania.  Andrai da loro e dirai che il dodicesimo giorno dalla sua morte tu vedesti il Signore a Keriot, vivo e vero, in Carne ed Anima e Divinità.  Ti crederanno perché già molto sono stato con loro.  Ma li confermerà nella fede sulla mia Natura divina sapermi in ogni luogo nello stesso giorno.  E prima ancora, oggi stesso, andrai a Keriot chiedendo al sinagogo di raccogliere il popolo, e dirai alla presenza di tutti che Io sono venuto qui e che si ricordino le mie parole del commiato.  Certo ti diranno: "Perché non è venuto da noi?".  Risponderai così: "Il Signore mi ha detto di dirvi che, se aveste fatto ciò che Egli vi aveva detto di fare verso la madre incolpevole, Egli si sarebbe mostrato.  Avete mancato all'amore, e il Signore non si è mostrato per questo".  Lo farai?».
«E’difficile questo, Signore!  Difficile a farsi!  Ci tengono tutti per dei lebbrosi di cuore... Non mi ascolterà il sinagogo, e non mi lascerà parlare il popolo.  Forse mi percuoterà... Pure lo farò, poiché Tu lo vuoi».  Il vecchietto non alza il capo.  Parla stando curvo in profonda prostrazione.
«Guardami, Anania!».
L'uomo alza un volto tremebondo di venerazione.
Gesù è fulgido e bello come sul Tabor... La luce lo copre nascondendo il suo aspetto e il suo sorriso... E vuoto di Lui resta il corridoio, senza che nessuna porta si sia mossa a dargli varco.
I due adorano, adorano ancora, fatti tutta adorazione dalla manifestazione divina.

III.  Ai bambini di Jutta con la mamma Sara.
Il frutteto della casa di Sara.  I bambini che giuocano sotto gli alberi fronzuti.  Il più piccolo che si rotola sull'erba presso un filare folto di pampini, gli altri più grandi che si rincorrono con gridi di rondini in festa, giuocando a nascondersi dietro le siepi e le viti e a scoprirsi a vicenda.
Gesù, eccolo là apparire presso il piccino al quale ha dato il nome.  Oh! santa semplicità degli innocenti!  Jesai non si stupisce vedendolo là, all'improvviso, ma gli tende le braccine per essere preso in braccio, e Gesù lo prende: la massima naturalezza è nell'atto di entrambi.
Sopraggiungono correndo gli altri e - ancora una volta beata semplicità dei fanciulli! - e senza stupore si avvicinano a Lui, felici.  Sembra che nulla sia mutato per loro.  Forse non sanno. Ma, dopo la carezza di Gesù ad ognuno, Maria, la più grandicella e assennata, dice: «Allora non soffri più, Signore, ora che sei risorto?  Ho avuto tanto dolore! ... ».
«Non soffro più.  Vi sono venuto a benedire prima di salire al Padre mio e vostro, nel Cielo.  Ma anche di là vi benedirò sempre, se sarete sempre buoni.  Direte a quelli che mi amano che ho lasciato a voi la mia benedizione, oggi.  Ricordate questo giorno».
«Non vieni in casa?  C'è la mamma.  A noi non crederanno» dice ancora Maria.  Ma suo fratello non chiede.  Grida: «Mamma, mamma.  Il Signore è qui...», e correndo verso la casa ripete quel grido.
Sara accorre, si affaccia... in tempo per vedere Gesù, bellissimo sul limite del frutteto, annullarsi nella luce che lo assorbe...
«Il Signore!  Ma perché non chiamarmi prima? ... » dice Sara appena può dire parola. «Ma quando? da dove è venuto?  Era solo?  Stolti che siete!».
«Lo abbiamo trovato qui.  Un minuto prima non c'era... Dalla strada non è venuto e neppure dall'orto.  E aveva in braccio Jesai... E ci ha detto di essere venuto a benedirci e a darci la benedizione per quelli che lo amano a Jutta e di ricordare questo giorno.  E ora va in Cielo.  Ma ci vorrà bene se saremo buoni.  Come era bello!  Aveva le mani ferite.  Ma non gli fanno più male. Anche i piedi erano feriti.  Li ho visti fra l'erba.  Quel fiore lì toccava proprio la ferita di un piede.  Lo colgo io ... », parlano tutti insieme, accesi di emozione.  Sudano persino nell'orgasmo di dire.
Sara li carezza mormorando: «Dio è grande!  Andiamo.  Venite.  Andiamo a dirlo a tutti, Parlate voi, innocenti.  Voi potete. parlare di Dio».

IV. Al giovinetto Jaia, a Pella.
Il giovinetto lavora con ardore intorno a un carretto.  Lo sta caricando di verdure colte in un'ortaglia vicina.  L'asinello batte lo zoccolo sul suolo duro della via campestre.
Nel volgersi per prendere un canestro di lattughe vede Gesù che gli sorride.  Lascia cadere il cesto a terra e si inginocchia stregandosi gli occhi, incredulo di ciò che vede, e mormora: «Altissimo, non trarmi in illusione!  Non permettere, Signore, che io sia ingannato da Satana con falsi aspetti seduttori.  Egli è ben morto, il mio Signore!  E sepolto fu e or dicono che fu trafugato il cadavere.  Pietà, Signore altissimo!  Mostrami la verità».
«Io sono la Verità, Jaia.  Io sono la Luce del mondo.  Guardami. Vedimi.  Ti ho reso la vista per questo, perché tu potessi testimoniare della mia potenza e della mia Risurrezione».

«Oh! E’ proprio il Signore!  Tu sei!  Sì!  Tu sei Gesù!».  Si trascina sui ginocchi per baciargli i piedi.
«Dirai che mi hai visto e parlato e che sono ben vivo.  Dirai che mi hai visto oggi.  La pace a te e la mia benedizione».

Jaia resta solo.  Felice.  Dimentica carretto e verdure.  Inutilmente l'asino batte irrequieto la via e raglia protestando per l'attesa... Jaia è estatico.
       Una donna esce dalla casa presso l'ortaglia e lo vede là, pallido di emozione con un volto assente.  Grida: «Jaia!  Che hai?  Che ti è accaduto?».  Accorre, lo scrolla.  Lo riporta sulla terra...
«Il Signore!  Ho visto il Signore risorto.  Gli ho baciato i piedi e visto le piaghe.  Essi hanno mentito.  Era proprio Dio ed è risorto.  Io avevo paura che fosse un inganno.  Ma è Lui! E’ Lui!».
La donna trema per un brivido d'emozione e mormora: «Ne sei proprio sicuro?».
«Tu sei buona, donna.  Per amor di Lui ci hai preso per servi, me e la madre mia.  Non volere non credere! ... ».
«Se tu sei sicuro, credo. Ma era proprio carne?  Era caldo?  Respirava? Parlava? Proprio una voce aveva, o ti è parso?».
«Sicuro sono.  Era carne tiepida di vivo, era voce vera, era respiro.  Bello come Dio, ma Uomo, come me e te.  Andiamo, andiamo a dirlo a quelli che soffrono o dubitano».

V. A Giovanni di Nobe.
Il vecchio è solo nella sua casa.  Ma è sereno.  Aggiusta una specie di sedia che si è schiodata da un lato, e sorride chissà a che sogno.
Un bussare all'uscio.  Il vecchio, senza lasciare il suo lavoro, dice: «Avanti.  Che volete, voi che venite?  Ancora di quelli?  Sono vecchio per cambiare!  Anche se tutto il mondo mi urlasse: "E’ morto", io dico: "E’ vivo".  Anche dovessi morire per dirlo.  Avanti, dunque!».
Si rialza per andare alla porta, per vedere chi è che bussa senza entrare.  Ma, quando è là presso, essa si apre e Gesù entra.
«Oh!  Oh!  Oh!  Il mio Signore!  Vivo!  Ho creduto!  Ed Egli viene a premiare la mia fede!  Benedetto!  Io non ho dubitato.  Nel mio dolore ho detto: "Se mi ha mandato l'agnello per il banchetto di letizia, segno è che in questo giorno risorgerà".  Allora ho capito tutto.  Quando Tu sei morto e la terra si è scossa, io ho capito ciò che ancor non avevo capito.  E sono sembrato folle, a Nobe, perché, tramontato il sole del dì dopo il sabato, ho preparato il banchetto andando ad invitare dei mendichi e dicendo: "E’ risorto l'Amico nostro!".  Già si diceva che non era vero.  Si diceva che ti avevano rubato, la notte.  Ma io non ho creduto, perché da quando sei morto ho capito che morivi per risorgere, e che questo era il segno di Giona».
Gesù lo lascia parlare sorridendo.  Poi chiede: «Ed ora vuoi ancora morire, o vuoi rimanere per testimoniare la mia gloria?».
«Ciò che Tu vuoi, Signore!».
«No.  Ciò che tu vuoi».
Il vecchione pensa.  Poi decide: «Sarebbe bello uscire dal mondo, dove Tu non sei più come prima.  Ma rinuncio alla pace del Cielo per dire agli increduli: "lo l'ho veduto!"».
Gesù gli posa la mano sul capo benedicendolo e aggiungendo: «Ma presto sarà anche la pace, e tu verrai a Me col grado di confessore del Cristo».
E se ne va.  Qui, forse per pietà del vecchio annoso, non ha dato al suo apparire e sparire forma meravigliosa, ma ha fatto in tutto come fosse il Gesù di un tempo, che entrava e usciva da una casa, umanamente.

VI. A Mattia, il solitario presso Jabes Galaad.
Lavora il vecchio intorno alle sue verdure e monologa: «Tutte ricchezze che ho per Lui.  E Lui non le gusterà mai più.  Inutilmente ho lavorato.  Io credo che Egli era il Figlio di Dio, che è morto ed è risorto.  Ma non è più il Maestro che si asside alla mensa del povero o del ricco e spartisce con uguale amore, forse, certo anzi, con più amore il cibo col povero che col ricco.  Ora è il Signore Risorto.  E risorto per confermare nella fede noi suoi fedeli.  E quelli dicono che non è vero.  Che nessuno è mai risorto da sé.  Nessuno.  No. Nessun uomo.  Ma Lui sì.  Perché Lui è Dio».
Batte le mani a scacciare i suoi colombi, che scendono a rapire semi nella terra di fresco vangata e seminata, e dice: «Inutile ormai che voi prolifichiate!  Egli non gusterà più della vostra prole!  E voi, inutili api?  Per chi fate il miele?  Avevo sperato almeno una volta di averlo con me, ora che sono meno misero. Tutto ha prosperato qui, dopo la sua venuta... Ah! ma con quei denari, che mai ho toccato, io voglio andare a Nazaret, da sua Madre, dirle: "Fammi tuo servo, ma lasciami qui dove sei, perché tu sei ancora Lui" ... ». Si asciuga una lacrima col dorso della mano...
«Mattia, hai un pane per un pellegrino?».
Mattia alza il capo ma, così a ginocchi come è, non vede chi parla dietro l'alta siepe che cinge la sua piccola proprietà, sperduta in quella solitudine verde che è questo luogo d'oltre Giordano.  Ma risponde: «Chiunque tu sia, vieni, in nome del Signore Gesù».  E si alza in piedi per aprire la chiudenda.
Si trova di fronte Gesù e resta con la mano sul chiavistello, senza poter fare più gesto.
 «Non mi vuoi per ospite, Mattia?  Lo hai fatto una volta.  Ti rammaricavi di non poterlo più fare.  Sono qui e non mi apri?», sorride Gesù...
«Oh!  Signore... io... io... non sono degno che il mio Signore entri qui... Io ... ».
Gesù passa la mano sopra la chiudendo e fa agire il catenaccio dicendo: «Il Signore entra dove vuole, Mattia».
Entra, si inoltra nell'umile ortaglia, va alla casa, sulla soglia dice: «Sacrifica dunque i figli dei tuoi colombi.  Leva dalla terra le tue verdure, e il miele alle tue api.  Spezzeremo insieme il pane e non sarà stato inutile il tuo lavoro, vano il tuo desiderio.  E caro ti sarà questo luogo, senza che tu vada là dove presto sarà silenzio e abbandono.  Io sono dovunque, Mattia.  Chi mi ama è con Me, sempre.  I miei discepoli saranno a Gerusalemme.  Là sorgerà la mia Chiesa.  Fà di esservi per la Pasqua supplementare».
«Perdonami, Signore.  Ma non ho saputo resistere in quel luogo e sono fuggito.  Ero giunto là a nona del giorno avanti Parasceve, e il giorno dopo... Oh! sono fuggito per non vederti morire.  Per questo solo, Signore».
«Lo so.  E so che sei tornato, uno dei primi, per piangere sul mio sepolcro.  Ma esso era già vuoto di Me.  So tutto.  Ecco, Io mi siedo qui e riposo.  Ho sempre riposato qui... E gli angeli lo sanno».
L'uomo si dà da fare, ma sembra si muova in una chiesa tanto si muove con gesti riverenti.  Ogni tanto si asciuga una lacrima che vuol mescolarsi al suo sorriso, mentre va e viene per prendere i colombi, ucciderli, prepararli, e attizzare la fiamma, e cogliere e sciacquare le verdure, e disporre in un piatto i fichi primaticci, e apparecchiare sulla povera tavola con le stoviglie migliori.  Ma, quando tutto è pronto, come può sedere a mangiare?  Vuole servire e gli pare già molto, non vuole di più.
Ma Gesù, che ha offerto e benedetto, gli offre metà del piccione, che ha tagliato mettendo la carne su un pezzo di focaccia che ha intinto nel sugo.
«Oh! come a un prediletto!» dice l'uomo, e mangia, piangendo di gioia e di emozione, senza levare gli occhi da Gesù che mangia... che beve, che gusta le verdure, le frutta, il miele, che gli offre il suo calice dopo avere sorbito un sorso di vino.  Prima aveva bevuto sempre acqua.
Il pasto è finito.
«Sono ben vivo.  Lo vedi.  E tu sei ben felice.  Ricordati che dodici giorni fa lo morivo per volere degli uomini.  Ma che nullo è il volere degli uomini quando ad esso non consente il volere di Dio.  Anzi, il contrario volere degli uomini strumento servile diviene del Volere eterno.  Addio, Mattia.  Poiché ho detto che meco sarà chi mi dette da bere quando ero il Pellegrino sul quale ancora era lecito ogni dubbio, così lo ti dico: tu avrai parte nel mio Regno celeste».
«Ma ora ti perdo, o Signore!».
«In ogni pellegrino vedi Me; in ogni mendico, Me; in ogni infermo, Me; in ogni bisognoso di pane, acqua e vesti, Me.  Io sono in ognuno che soffre, e ciò che è fatto a chi soffre, a Me è fatto».
Apre le braccia benedicendo e scompare.

VII. Ad Abramo di Engaddi, che gli muore tra le braccia.
La piazza di Engaddi: tempio ipòstilo di palme fruscianti.
La fontana: specchio al cielo d'aprile.  I colombi: murmure basso di organo.
Il vecchio Abramo la traversa con gli arnesi del lavoro sulle spalle.  Ancor più vecchio, ma sereno come chi ha trovato ristoro dopo molta tempesta.  Traversa anche il resto della città, va alle vigne presso le fonti.  Le belle vigne ubertose, già piene di promesse di raccolto dovizioso.  Vi entra, si dà a sarchiare, a potare, a legare.  Ogni tanto si rialza, si appoggia alla zappa, pensa. Si liscia la barba patriarcale, sospira, scrolla il capo in un interno discorso.
Un uomo molto ammantellato sale la strada verso le fonti e le vigne.  Dico: un uomo.  Ma è Gesù, perché la veste è quella e quello è l'incesso.  Ma per il vecchio è: un uomo.  E l'Uomo interpella Abramo dicendo: «Posso sostare qui?».
«Sacra è l'ospitalità.  Non l'ho mai ricusata ad alcuno.  Vieni.  Entra.  Ti sia dolce il riposo all'ombra delle mie viti.  Vuoi latte?  Pane?  Ti darò ciò che possiedo, qui».
«E Io che ti posso dare?  Non ho nulla».
«Colui che è il Messia mi ha dato tutto, per tutti gli uomini.
E per quanto io dia, nulla do rispetto a quel che Egli mi ha dato».
«Lo sai che lo hanno crocifisso?».
«So che è risorto.  Sei tu un crocifissone?  Io non posso odiare perché Egli non vuole odio.  Ma, potessi, ti odierei se tu lo fossi».
«Non sono un suo crocifissone.  Sta' in pace.  Tu dunque sai tutto di Lui».
«Tutto.  Ed Eliseo... E’ mio fíglio, sai?  Eliseo non è più tornato da Gerusalemme, dicendo: "Congedami, padre, perché io lascio ogni bene per predicare il Signore.  Andrò a Cafarnao, a cercare di Giovanni, e mi unirò ai discepoli fedeli"».
«Tuo figlio ti ha dunque lasciato?  Così vecchio e solo?».
«E’ il mio gaudio sognato questo che tu chiami abbandono.  Non mi aveva fatto orbo di lui la lebbra?  E chi me lo ha reso?  Il Messia.  E lo perdo forse perché egli predica il Signore?  Ma no!  Lo ritrovo anche nella vita eterna.  Ma tu parli in un modo che mi dai sospetto.  Sei un emissario del Tempio?  Vieni a perseguitare chi crede nel Risorto?  Colpisci!  Non fuggo.  Non imito i tre saggi del tempo lontano.  Io resto.  Perché, se cado per Lui, lo raggiungo in Cielo e si compie la mia preghiera dell'anno avanti questo».
«E’ vero.  Tu hai detto allora: "Ho aspettato ansiosamente il Signore ed Egli a me si è rivolto"».
«Come lo sai?  Sei uno dei suoi discepoli?  Eri qui con Lui quando lo pregai?  Oh! se tale sei, aiutami a fargli giungere il mio grido, perché Egli lo ricordi».  Si prostra credendo di parlare a un apostolo.
«Sono Io, Abramo di Engaddi, e ti dico: "Vieni" ».  Gli apre le braccia, Gesù, manifestandosi, e lo invita a precipitarsi in esse, ad abbandonarsi sul suo Cuore.
Entra in quel momento nella vigna un fanciullo, seguito da un giovinetto, chiamando: «Padre!  Padre!  Eccoci a darti aiuto».
Ma il trillante grido del fanciullo è soverchiato dal grido possente del vecchio, un vero grido di liberazione: «Ecco!  Io vengo!».  E si getta Abramo fra le braccia di Gesù, gridando ancora: «Gesù, Messia santo!  Nelle tue mani raccomando lo spirito mio!».
Morte beata!  Morte che invidio!  Sul Cuore di Cristo, nella pace serena della campagna fiorente nell'aprile...
Gesù depone con calma il vecchio sull'erba fiorita che ondeggia alla brezza, al piede di un filare, e dice ai fanciulli rimasti stupiti e spaventati, prossimi al pianto: «Non piangete. E’ morto nel Signore.  Beati coloro che muoiono in Lui!  Andate, fanciulli, ad avvisare quelli di Engaddi che il loro sinagogo ha visto il Risorto ed ha avuto da Lui esaudita la sua preghiera.  Non piangete!  Non piangete!».  Li accarezza guidandoli all'uscita.
Poi torna presso l'estinto e gli ravvia barba e capelli, gli abbassa le palpebre rimaste socchiuse, gli compone le membra e gli stende sopra il mantello che Abramo si era levato per lavorare.
Resta sinché sente delle voci sulla via.  Allora si raddrizza.  Splendido... Quelli che accorrono lo vedono.  Gridano.  Aumentano la loro corsa per raggiungere Gesù.  Ma Egli si invola ai loro sguardi nel fulgore di un raggio più vivo del sole.