(Il Vangelo secondo Giovanni – La Sacra Bibbia –Cap. 20, 24-25 – Ed. Paoline)
(M.V.: ‘I Quaderni del 1943’ – Dettato 22.8.43 – Centro Ed. Valtortiano)
(M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Cap. 628 – Centro Ed. Valtortiano)
14. L’unità psicosomatica
Gv 20, 24-25:
Ma Tommaso, detto Didimo, uno dei Dodici, non era con loro quando venne Gesù.
Gli dissero gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!».
Ma Egli rispose: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel posto dei chiodi e la mia mano nel suo costato, non crederò».
14.1 A proposito della risurrezione finale, e della natura del nostro corpo, me ne sono fatto un’idea…
Rifletto sulla frase ormai famosa di Tommaso, la frase che l’ha immortalato nei secoli, più che l’essere apostolo e santo: ‘Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel posto dei chiodi e la mia mano nel suo costato, non crederò…’.
In effetti – continuando anche nelle riflessioni del capitolo precedente - mi dico che per noi esseri umani raziocinanti non è facile immaginare una risurrezione in carne e ossa. E’questo infatti il senso delle parole di Tommaso, il quale non credeva alle apparizioni, oppure ci credeva ma le assimilava a dei ‘fantasmi’, forme umane ma eteree, e non pensava che Gesù potesse essere risorto nella carne.
Tommaso non è il solo, lo confesso, ad aver avuto di quei dubbi.
E sono dubbi che mi rimangono anche sulla risurrezione finale e sulla nostra natura di esseri ‘in carne ed ossa’ una volta che saremo in Paradiso, così come recita il nostro ‘Credo’, che parla appunto – alla fine del mondo - di ‘risurrezione della carne’.
Sarebbe in effetti più facile immaginare noi stessi in un Paradiso terrestre fatto di ‘umanità’, in un mondo materiale quale quello che ci circonda, però fatto ancora più bello e reso più perfetto senza turbativa di terremoti, maremoti e cicloni, senza barracuda e pescecani, dove il grano cresce da solo e la frutta ce la troviamo in tavola per miracolo, con un corpo infine come quello che già abbiamo, ma reso esteticamente più bello e soprattutto perfetto come all’origine, senza malattie e morte, magari risposandoci con nostra moglie o con nostro marito per l’eternità, il che non sarebbe un gran problema perché sarebbero entrambi belli, giovani e perfetti. Nuovi Cieli e Nuova Terra. Mi capite?
Comunque, a forza di ragionare a proposito della risurrezione finale e della ‘natura’ del nostro corpo quando verrà risuscitato, io – che non sono capace di ‘abbandonarmi’, come fanno tanti, e cerco sempre di immaginarmi come sarà, anche se immagino che sarà una cosa completamente diversa da come me la sono immaginata – me ne sono fatto un’idea che ora vi passo senza assumermene la responsabilità, anche perché non sono ben sicuro di averla capita proprio bene.
Potete considerare che vi sia per l’uomo come una prima ed una seconda ‘risurrezione’.
La prima ‘risurrezione’ è quella dell’anima che – lasciato il corpo – si presenta davanti al Signore per subire il giudizio individuale.
Più che una ‘risurrezione’ in senso proprio si tratta di una liberazione dell’anima dall’involucro della carne per andare là dove è destinata: paradiso, purgatorio o inferno, in attesa di ricongiungersi alla carne nel momento del giudizio universale per ricostituire – se l’anima si salva – quel tempio vivo, creato dal Padre, il tempio dell’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio, dove la somiglianza sia veramente degna di Dio e non come avviene sulla terra con l’anima dell’uomo più o meno deturpata dal peccato.
L’opera-uomo non sarebbe infatti perfetta nella sua creazione se – in cielo – non fosse completa di anima spirituale e …corpo.
Cosa è l’anima? E’ il nostro complesso psichico – che è formato da quello che noi chiamiamo io conscio ed io inconscio - cioè quella parte di noi, che definiamo ‘spirituale’ perché capiamo che non è ‘materiale’, la parte ‘pensante’, il nostro io che presiede a livello conscio i nostri rapporti con il mondo esterno o che – a livello inconscio rispetto all’io – disciplina le funzioni più segrete del nostro organismo.
Non riesco infatti ad immaginare un organismo come il nostro, composto di organi che riescono a fare cose straordinariamente ‘intelligenti’, come se - ad essere intelligenti - fossero gli stessi organi che svolgono le loro funzioni.
O ammettiamo l’assurdo, e cioè che i singoli organi possiedano una qualche loro misteriosa forma di intelligenza, oppure dobbiamo ammettere che l’intelligenza che li governa è un’altra, anche se a livello conscio non riusciamo ad individuarla.
D’altra parte è di evidenza come lo stesso cervello – per quanto sia uno strumento ‘elaborato’ - sia anch’esso un organo come gli altri, solo con delle funzioni più particolari che gli consentono di ‘governare’ l’organismo.
Quindi dobbiamo ammettere una Intelligenza che a sua volta ‘utilizza’ l’organo che è il cervello e – attraverso il cervello – il resto dell’organismo umano con tutte le sue relazioni con il mondo esterno.
Ecco lo spirito, l’anima intelligente creata da Dio che ‘informa’ l’organismo umano pervadendolo in ogni suo dove.
E poiché l’anima è il nostro complesso psichico, cioè noi, e poiché noi a livello di io-conscio non ci rendiamo conto di fare tutte queste cose ‘metaboliche’, non mi rimane che concludere che non ce ne rendiamo conto perché noi le facciamo a livello di io-inconscio: che è quel famoso ‘oggetto misterioso’ di cui tanti psicologi e psicanalisti parlano e che riusciamo ad intuire sia pur di sfuggita attraverso i sogni, per esempio. Mi seguite?
L’uomo è dunque una unità psico-somatica: anima e corpo e – a seconda di come si è comportato in vita – è destinato, nell’aldilà, alla salvezza o alla condanna eterna.
In un primo tempo come sola anima, in un secondo tempo con il suo corpo.
Perché con il corpo? Perché l’uomo fa le sue battaglie per il bene e per il male nella sua unità psicosomatica e nella sua unità psicosomatica è giusto debba trovare la sua sorte finale.
E fin qui non ci piove, d’accordo?
Ma, attenzione, ora. Il Regno dell’aldilà, oltre che Regno di Dio che è Spirito eccelso, è il regno dove abitano gli angeli, purissimi spiriti, puri più dell’anima dell’uomo. E’ insomma un regno di carattere ‘spirituale’. Mi seguite?
La materialità – mi dico - fa parte del nostro mondo terreno, non dell’altro. O no?
E se al momento del giudizio universale l’uomo verrà giudicato in spirito e corpo per essere destinato alla sua sorte nella sua unità psicosomatica, mi sembra di poter dedurre che il nostro corpo – nell’aldilà - non dovrebbe avere la caratteristica di ‘solidità’ (cioè in carne ed ossa) che ha sulla terra dove i nostri sensi lo percepiscono come ‘solido’ (ma dove è in realtà composto da atomi a loro volta composti da particelle come elettroni, neutroni, protoni, quarks, ecc.), ma piuttosto una forma eterea come i vangeli dicono si manifestasse appunto il corpo di Gesù che appariva in forma eterea attraversando i muri, e si ‘solidificava’ di fronte agli altri quando Gesù riteneva necessario che questi nella loro ‘umanità’ avessero bisogno di vederlo ‘umano’ come loro e di ‘toccarlo’, salvo poi dissolversi nel nulla scomparendo alla vista.
14.2 Signore, perdonami, e aumenta la mia fede…
Ecco, secondo l’opinione che io mi sono formata, da persona ‘raziocinante’, è proprio un corpo di quel tipo, cioè un ‘corpo etereo’, quello che verrà ‘giudicato’ e vivrà nell’aldilà dopo la fine del mondo.
Un corpo – tutto sommato – meno ‘materiale’ ma più perfetto di quello che abbiamo ora, se non altro perché quello ‘etereo’ – nel bene come del male – è ‘immortale’.
Al momento del giudizio universale, nella risurrezione finale, gli uomini così ‘spiritualizzati’ – cioè le anime del paradiso spiritualmente perfette nel Bene come quelle dell’Inferno spiritualmente perfette nel Male – assumerebbero, sempre secondo questa mia idea che vi prospetto, la loro antica veste corporea intesa come ‘forma’, come sembianza, non come materialità così come umanamente la intenderemmo noi – e in tale forma – composta di anima, e cioè psiche più ‘corpo etereo’, le anime verrebbero avviate alla loro destinazione eterna.
Non oso pensare alla destinazione dei dannati ma posso invece cercare di immaginare quella dei salvati – con la loro anima ed il loro splendido corpo glorificato – i quali conosceranno Dio e tutti i suoi segreti perché i ‘salvati’ saranno fusi in Lui.
E quelli che in quel momento saranno ancora nel Purgatorio, poverini? Beh, quelli è come se fossero già salvi, no? E’ solo una questione di attendere la loro purificazione, cioè una questione di tempo, e il Purgatorio – alla fine del mondo – verrà ‘cancellato e loro, amnistiati o congedati, potranno finalmente tornare tutti a casa, non a casa in terra ma nella casa del …Padre.
Vi piace come idea? Provate a tirarne fuori un’altra che abbia una ‘logica’ e poi, semmai, scambiamocela.
628. Il ritorno di Tommaso e la sua incredulità.
7 aprile 1945.
I dieci sono nel cortile della casa del Cenacolo. Parlano fra loro e poi pregano. E poi tornano a parlare.
Dice Simone Zelote: «Sono veramente afflitto della sparizione di Tommaso. Non so più dove cercarlo».
«Ed io neppure» dice Giovanni.
«Dai parenti non c'è. E non è stato visto da nessuno. Che lo abbiano preso?».
«Se così fosse, il Maestro non avrebbe detto: "Dirò il resto quando ci sarà l'assente"».
«E’ vero. Io però voglio ancora andare a Betania. Forse si aggira per quelle montagne senza osare di mostrarsi».
«Vai, vai, Simone. Tu ci hai tutti riuniti e... salvati col riunirci, perché ci hai portati da Lazzaro. Avete sentito che parole ebbe il Signore per lui? Ha detto: "il primo che in mio Nome ha perdonato e guidato". Perché non lo mette al posto dell'Iscariota?» chiede Matteo.
«Perché non vorrà dare al perfetto amico il posto del Traditore» risponde Filippo.
«Ho sentito poco fa, quando ho fatto un giro per i mercati e ho parlato a venditori di pesce, che... - sì, mi posso fidare di loro - che quelli del Tempio non sanno che fare del corpo di Giuda. Non so chi fu... ma questa mattina all'alba i guardiani del Tempio hanno trovato dentro al sacro recinto il suo corpo putrido, con ancora la fune al collo. lo penso siano stati dei pagani a staccarlo e a gettarlo là dentro chissà come» dice Pietro.
«A me invece hanno detto ieri sera alla fonte, ho sentito dire, anzi, che da ieri sera hanno frombolato le viscere del Traditore fin contro la casa di Anna. Pagani, certo. Perché nessun ebreo avrebbe toccato, dopo più di cinque giorni, quel corpo. Chissà come era putrido!» dice Giacomo d'Alfeo.
«Oh! un orrore fin dal sabato!». Giovanni impallidisce al ricordo.
«Ma come finì in quel posto? Era suo?».
«E chi ha mai saputo niente di esatto da Giuda di Keriot? Vi ricordate come era chiuso, complicato ... ».
«Puoi dire: bugiardo, Bartolomeo. Mai era sincero. Per tre anni fu con noi, e noi, che tutto avevamo in comune, davanti a lui eravamo come davanti all'alto muro di una fortezza».
«Di una fortezza? Oh! Simone! Di' di un labirinto!» esclama Giuda d'Alfeo.
«Oh! sentite! Non parliamo di lui! Mi pare di averlo a evocare e che debba venire a darci disturbo. Io vorrei cancellare il suo ricordo da me e da ogni cuore. Ebreo o gentile che sia. Ebreo, per non arrossire di avere partorito dalla nostra razza questo mostro. Gentile, perché fra loro non ci sia chi ci può dire un giorno: "Fu uno di Israele il suo Traditore" . Io sono un ragazzo. E non dovrei parlare davanti a voi per primo. Sono l'ultimo e tu, Pietro, sei il primo. E qui c'è lo Zelote e Bartolomeo, istruiti, e ci sono i fratelli del Signore. Ma, ecco, io vorrei presto mettere uno al dodicesimo posto, uno che santo fosse, perché, finché vedrò quel posto vuoto nel gruppo nostro, io vedrò la bocca dell'inferno coi suoi fetori fra noi. E ho paura che ci travii ... ».
«Ma no, Giovanni! Sei rimasto impressionato dalla bruttezza del suo delitto e del suo corpo appeso ... ».
«No, no. Anche la Madre ha detto: "Ho visto Satana vedendo Giuda di Keriot". Oh! facciamo presto a cercare un santo da mettere a quel posto!».
«Senti, io non scelgo nessuno. Se Lui, che era Dio, ha scelto un Iscariota, che sceglierà mai il povero Pietro?».
«Eppure dovrai bene ... ».
«No, caro. Io non scelgo nulla. Lo chiederò al Signore. Basta di peccati fatti da Pietro!».
«Tante cose dobbiamo chiedere. L'altra sera siamo rimasti come ebeti. Ma dobbiamo farci insegnare. Perché... Come faremo a capire se una cosa è peccato proprio? O se non lo è? Vedi come il Signore parla diverso di noi sui pagani. Vedi come scusa più una viltà e un rinnegamento di quanto non scusi il dubbio sul possibile suo perdono... Oh! io ho paura di fare male» dice sconsolato Giacomo d'Alfeo.
«Veramente ci ha tanto parlato. Eppure mi pare di sapere niente. Sono ebete da una settimana» confessa sconsolato l'altro Giacomo.
«Io pure».
«Io pure».
«E anche io».
Sono tutti nelle stesse condizioni e, stupiti, si guardano l'un l'altro. Ricorrono alla ormai abituale soluzione: «Andremo da Lazzaro» dicono.
«Forse là troveremo il Signore e... Lazzaro ci aiuterà».
Bussano al portone. Tacciono tutti ascoltando. E hanno un «oh!» di stupore vedendo entrare nel vestibolo Elia insieme a Tommaso. Un Tommaso così stranito che non pare più lui.
I compagni gli si affollano intorno gridando il loro giubilo: «Lo sai che è risorto e che è venuto? E aspetta te per tornare!».
«Sì. Me lo ha detto anche Elia. Ma non ci credo. Io credo a ciò che vedo. E vedo che per noi è finita. Vedo che siamo tutti dispersi. Vedo che non c'è più neppure un sepolcro noto dove piangerlo. Vedo che il Sinedrio si vuole disfare, e del complice di cui decreta il seppellimento, come fosse un animale sozzo, ai piedi dell'ulivo dove si è impiccato, e dei seguaci del Nazareno. Io sono stato fermato nel venerdi, alle porte, e mi hanno detto: 'Anche tu eri uno dei suoi? E morto, ormai. Torna a battere l'oro". E sono scappato ... ».
«Ma dove? Ti abbiamo cercato da per tutto!».
«Dove? Sono andato verso la casa di mia sorella a Rama. Poi non ho osato entrare perché... per non essere rimproverato da una donna. Allora ho vagato per le montagne giudee e ieri sono finito a Betlemme, nella sua grotta. Quanto ho pianto... Mi sono addormentato fra le macerie e lì mi ha trovato Elia, che era venuto... non so perché».
«Perché? Ma perché nelle ore di gioia o di dolore troppo grande si va dove più si sente Dio. Io molte volte, in questi anni, ero andato là, di notte, come un ladro, per sentirmi carezzare l'anima dal ricordo del suo vagito. E poi scappavo al primo sole per non essere lapidato. Ma ero già consolato. Ora sono andato là per dire a quel luogo: "Io sono felice" e per prendere quanto posso di esso. Abbiamo deciso così. Noi vogliamo predicare la sua Fede. Ma ce ne darà forza un pezzo di quel muro, un pugno di quella terra, una scheggia di quei pali. Non siamo santi tanto da osare di prendere la terra del Calvario ... ».
«Hai ragione, Elia. Lo dovremo fare noi pure. E lo faremo. Ma Tommaso?...».
«Tommaso dormiva e piangeva. Gli ho detto: "Svegliati e non piangere più. E’ risorto". Non mi voleva credere. Ma tanto ho insistito che l'ho persuaso. Eccolo. Ora è fra voi ed io mi ritiro. Raggiungo i compagni diretti in Galilea. La pace a voi». Elia se ne va.
«Tommaso, è risorto. Io te lo dico. Fu con noi. Mangiò. Parlò. Ci benedisse. Ci perdonò. Ci ha dato potestà di perdonare. Oh! perché non sei venuto prima?».
Tommaso non si scuote dal suo abbattimento. Crolla il capo, testardo. «Io non credo. Avete visto un fantasma. Siete tutti folli. Le donne per le prime. Un uomo morto da sé non risorge».
«Un uomo no. Ma Egli è Dio. Non lo credi?».
«Sì. Lo credo che è Dio. Ma, appunto perché lo credo, penso e dico che, per quanto sia tanto buono, non può esserlo al punto di venire fra chi lo ha così poco amato. E dico che, per quanto sia tanto umile, deve averne basta di avvilirsi nella nostra carnaccia. No. Sarà, certo lo è, trionfante in Cielo e, forse, apparirà come spirito. Dico: forse. Non meritiamo neppure questo! Ma risorto in carne e ossa, no. Non lo credo».
«Ma se lo abbiamo baciato, visto mangiare, udito la voce, sentito la sua mano, visto le ferite!».
«Niente. Io non credo. Non posso credere. Dovrei vedere per credere. Se non vedo nelle sue mani il foro dei chiodi e non vi metto dentro il dito, se non tocco le ferite dei piedi e se non metto la mano dove la lancia ha aperto il costato, io non credo. Non sono un bambino o una donna. lo voglio l'evidenza. Quello che la mia ragione non può accettare lo rifiuto. E io non posso accettare questa vostra parola».
«Ma Tommaso! Ti pare che ti si voglia ingannare?».
«No, poverini. Anzi! Beati voi che siete tanto buoni da volermi portare ad avere la pace che siete riusciti a darvi con questa vostra illusione. Ma... io non credo alla sua Risurrezione».
«Non temi di essere punito da Lui? Sente e vede tutto, sai?».
«Chiedo che mi persuada. Ho una ragione, e l'uso. Lui, Padrone della ragione umana, raddrizzi la mia se è deviata».
«Ma la ragione, Lui lo diceva, è libera».
«Ragion di più perché io non la faccia schiava di una suggestione collettiva. lo vi voglio bene e voglio bene al Signore. Lo servirò come posso e starò con voi per aiutarvi a servirlo. Predicherò la sua dottrina. Ma non posso credere altro che vedendo».
E Tommaso, cocciuto, non intende altro che se stesso. Gli parlano di tutti quelli che lo hanno visto, e come lo hanno visto. Lo consigliano a parlare con la Madre. Ma lui crolla il capo, seduto su un sedile di pietra, più pietra lui del sedile. Testardo come un bambino, ripete: «Crederò se vedrò ... ».
La grande parola degli infelici che negano ciò che è tanto dolce e santo credere ammettendo che Dio può tutto.
Me ne rimango pensoso a meditare, rileggendo nuovamente questo brano, sul commento della Valtorta, riferito a quelle ultime parole di Tommaso: ‘Crederò se vedrò…’, quando lei conclude: ‘…La grande parola degli infelici che negano ciò che è tanto dolce e santo credere ammettendo che Dio può tutto…’.
Medito su quel ‘ammettendo che Dio può tutto…’, e ripenso a tutte quelle mie elucubrazioni sulla risurrezione del nostro corpo, quella finale, e alla sua forma e sostanza eterea, non potendo io ammettere – come essere raziocinante – che possa aversi una risurrezione della carne in carne ed ossa…, per poter vivere da uomini perfetti in una sorta di Paradiso ‘celeste’.
Mi viene allora un ultimo dubbio. E se – ragionando come ho ‘ragionato’ – mi fossi comportato anche io come San Tommaso? Se avessi sbagliato tutto?
Perché, se così fosse, direi subito anch’io come San Tommaso: ‘Chiedo che mi persuada. Ho una ragione e l’uso. Lui, Padrone della ragione umana, raddrizzi la mia se è deviata’.
Senonchè - riflettendo ancora - mi rendo conto che a San Tommaso, Gesù poteva ancora perdonarla in quel momento una esclamazione del genere, mentre a me…, con tutto quel che ho letto…
Cosa posso dire – allora - se non ‘Signore, perdonami e aumenta la mia fede!’?