(Il Vangelo secondo Giovanni – La Sacra Bibbia – Cap. 12, 12-19 – Ed. Paoline, 1968)
(M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Cap. 591 – Centro Ed.. Valtortiano)
(Il Profeta Giona - La Sacra Bibbia – Ed. Paoline, 1968)
4. Non uno, ma molti miracoli ancora farò. E due saranno quali nessuna mente d’uomo può pensare…
Gv 12, 12-19:
Il giorno dopo, la folla accorsa alla festa, sentendo dire che Gesù si recava a Gerusalemme, prese dei rami di palma e gli andò incontro gridando: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il Re d’Israele!».
Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto: «Non temere, figlia di Sion: ecco, viene il tuo re, seduto sopra un puledro d’asina».
I suoi discepoli non compresero subito queste cose ma, glorificato che fu Gesù, si ricordarono che erano state scritte di lui e che essi gliele avevano fatte.
La folla che era con lui quando chiamò Lazzaro fuori del sepolcro e lo risuscitò dai morti, ne rendeva testimonianza.
Anche per questo gli andò incontro la turba, perché aveva sentito che egli aveva fatto quel miracolo.
I Farisei, allora, dissero fra di loro: «Vedete che non si conclude nulla? Ecco, tutto il mondo lo segue».
4.1 Ora vi spiego – a modo mio – la settimana santa…ed il ‘segno di Giona’!
‘Il giorno dopo’…, Gesù fa il suo ingresso trionfale in Gerusalemme.
Bisogna stare attenti alla cronologia per non far confusione, anche perché i Vangeli non nominano i vari giorni della settimana mentre noi abbiamo bisogno di capire bene in quale ordine si siano svolti gli avvenimenti.
‘Il giorno dopo’ con cui inizia questo capitolo di Giovanni è quello immediatamente successivo alla cena di Betania che si era chiusa così male per via di quella battuta caustica di Giuda nei confronti di Maria Maddalena, è cioè il giorno dell’ingresso trionfale in Gerusalemme.
Da quel momento in poi, e cioè dalla fine di quest’ultima giornata, i Sacerdoti ed i Farisei decideranno che ogni misura era colma e gli avvenimenti precipiteranno e si risolveranno in sette giorni, cioè in un settenario che, per la simbologia numerica dell’Antico Testamento, è sempre stato un numero perfetto, come quello del racconto della creazione.
A quei tempi, anche Israele aveva la sua settimana di sette giorni, solo che quella andava da un sabato all’altro, perché il sabato era giorno festivo, giorno di riposo, giorno del Signore, come il Signore aveva voluto insegnare agli uomini attraverso il racconto della Genesi facendo vedere che Egli stesso il settimo giorno si riposò.
La nostra settimana è derivata dalla loro, solo che per noi cristiani il giorno del Signore (Dominus) è la Domenica – che commemora e festeggia la risurrezione del Signore - e gli altri giorni successivi (Lunedì, martedì, etc.) hanno un nome diverso da quelli ebraici di allora.
Nel capitolo precedente abbiamo visto – lo ha detto chiaramente Giovanni – che Gesù e gli altri apostoli erano andati a Betania da Lazzaro sei giorni prima dell’inizio della Pasqua ebraica, le cui celebrazioni – per inciso – duravano vari giorni.
Ora se Gesù e gli apostoli hanno consumato l’agnello mosaico della Pasqua ebraica durante la cena del primo giorno di festa, il giorno che noi chiamiamo il Giovedì santo, allora, escludendo quel giorno e contando con le dita a ritroso : mercoledì 1, martedì 2, lunedì 3, domenica 4, sabato 5, venerdì 6 giorni…
Quindi Gesù doveva esser arrivato a Betania, da Gerico, non oltre il Venerdì precedente, anche perché il Sabato – secondo le prescrizioni legali – non avrebbero potuto viaggiare.
E il sabato, gli offrono la famosa cena, da Lazzaro.
Voi vi direte, e perché mai gliela offrono Sabato e non Venerdì?
Intanto perché – dopo tutta quella strada a piedi, diciamo un paio di giornate – saran stati tutti stanchi morti.
In secondo luogo perché Maria e Marta, sorelle di Lazzaro, dovevano avere il tempo materiale di organizzarla, una cena di quella importanza e per così tante persone.
In terzo luogo perché il Sabato era per gli israeliti giorno di festa, e i pranzi di festa di solito si fan nei giorni di festa, no?
Quindi la cena devono averla offerta proprio di Sabato, anche perché – mi accorgo ora mentre vi sto spiegando tutto questo, e ci rimango un po’ male – il giorno dopo, quello dell’ingresso a Gerusalemme, è ben il giorno che noi chiamiamo della Domenica delle palme…, no?
Quindi non ci possiamo sbagliare.
Allora, per tornare al discorso del settenario e del numero perfetto, e contando questa volta non a ritroso ma in avanti, partendo dal giorno dopo quello dell’ingresso in Gerusalemme, fa: 1 Lunedì, 2 Martedì, 3 Mercoledì, 4 Giovedì, 5 Venerdi, 6 Sabato, 7 Domenica… di Risurrezione: perfetto!
Scusatemi, se a volte complico le cose semplici, ma non so fare i conti di casa – perché ho sempre bisogno di mia moglie – e volete che sappia fare quelli molto più complicati dei giorni e delle settimane?
Quello di saper fare i conti dei giorni e delle settimane credo sia un dono di natura.
Mia moglie, per esempio, oggi – anno 1999 – che è Lunedì 6 dicembre, mi ha detto in una frazione di secondo che quest’anno Natale cadrà Sabato 25 dicembre e Pasqua del 2000, anno del Giubileo, cadrà Domenica 23 aprile.
E quando io l’ho guardata sbigottito, chiedendomi come avesse mai fatto, oltre ad azzeccar la data, ad indovinare anche il giorno di Pasqua, che cadrà fra quasi cinque mesi, lei - leggendomi evidentemente nel pensiero - dopo un batter di ciglio ha aggiunto con un sorriso perfido ma disarmante che la Pasqua - lo sanno tutti - cade sempre di Domenica, la quale, aggiunta al Lunedì dell’Angelo ed al Martedì, fan però quest’anno tre giorni di festa perché l’ultimo è il giorno della Festa nazionale della Liberazione, non dal Peccato, però.
Al che io, molto più pratico, do’ un’occhiata al calendario, scopro che è tutto vero e mi accorgo che, dopo il martedì di Liberazione ci sono solo tre giorni lavorativi: mercoledì, giovedì e venerdi, prima del week-end successivo, e sarebbe l’occasione buona per prendere un aereo e farci un ‘ponte-lungo’ di nove giorni nella nostra mini-casa in Sardegna, dove non riusciamo ad andare che raramente.
Insomma non so come lei faccia. Ma io per fare i conti che mi interessano – l’avrete capito – ho bisogno del ‘pallottoliere’, o del… calendario!
Nel caso voi siate come me, sarà allora meglio farci uno ‘schemino’ di questa settimana cruciale, anche perché questo libro che state leggendo ruota quasi tutto intorno a questi sette giorni:
Lunedì: Gesù è a Gerusalemme, parabola del fico sterile e dei vignaioli perfidi (vedere Matteo, Marco e Luca, perché Giovanni sorvola).
Martedì: la battuta di Gesù a Farisei & C. sulla moneta e sul tributo a Cesare. E’ quella che vi avevo già detto che sarebbe tanto piaciuta a Pilato se l’avesse già saputa quando (per i particolari della battuta vedi però gli altri tre evangelisti perché anche qui Giovanni sorvola) vi avevo raccontato, nel primo capitolo, di quel che secondo me Ponzio doveva aver pensato di Gesù nell’apprendere la notizia della risurrezione di Lazzaro.
Mercoledì: chiedono a Gesù quale è il maggiore dei comandamenti, c’è l’episodio dell’obolo della vedova povera che aveva messo nella cassa del Tempio solo due ‘piccioli’ che però contavano più dei tanti soldi dei ricchi che li davano senza sacrificio, poi i discorsi – anzi le invettive - su scribi e farisei, le profezie di Gesù sulla distruzione futura del Tempio e sui cosiddetti ‘ultimi tempi’.
Anche qui vedere gli altri tre che ci scrivono delle paginate perché Giovanni sorvola, salvo – sugli ultimi tempi – scriverci poi un libro intero a parte: L’Apocalisse.
Non c’è che dire: Giovanni gli argomenti o li affronta a fondo o niente.
E’ per questo che anch’io (pubblicità occulta…!) ci ho scritto da tempo un libro sopra: ‘Alla scoperta del Paradiso perduto – ovvero la Rivelazione del Dio nascosto’ – (Vol. II, non ancora dato alle stampe). Roba da esser messi all’Indice, se l’Indice esistesse ancora.
Giovedì: si fanno i preparativi per la cena pasquale, per la consumazione dell’agnello mosaico, nel corso della quale Gesù celebrerà la sua ‘cena pasquale’ istituendo l’Eucarestia, il suo più grande miracolo, un miracolo che farà dire agli scettici:‘impossibile!’ (come quello della auto-risurrezione ), il miracolo eucaristico per cui come l’acqua di Cana si era trasformata in vino, il pane – pur mantenendo le apparenze di pane – si trasforma nel corpo di Gesù Cristo, il miracolo in cui Gesù avrebbe sostituito la ‘Pasqua’ ebraica con la propria immolazione: quella dell’Agnello il cui Sangue libera l’Umanità dal Peccato e dalle sue tragiche conseguenze.
La notte di Giovedì Gesù viene catturato al Getsemani. I Sacerdoti avevano infatti deciso – grazie alla delazione finale di Giuda dopo quella cena di Betania – di accelerare i tempi e di togliere dalla scena Gesù al più presto.
Venerdi: Gesù viene condannato di prima mattina, fustigato, crocifisso, messo nel sepolcro nel tardo pomeriggio di quel venerdì stesso: tutto in fretta, appunto, perché al tramonto di quella sera di venerdì cominciava il sabato ebraico che era festivo.
Sabato: se per gli ebrei è stata notte di festa per i cristiani è stata una notte tragica, con un risveglio altrettanto tragico nel rendersi conto che quell’incubo non era stato un sogno. Maria Santissima, poi, deve averla passata in bianco, poverina!
Domenica: Gesù risorge, anche un po’ in anticipo rispetto ai quei tre giorni famosi del ‘segno di Giona’ che Gesù stesso aveva ‘promesso’ avrebbe dato ai Farisei per ‘dimostrare’ – a posteriori - la sua divinità.
Giona era un profeta – a dire il vero un po’ renitente all’adempiere alla sua missione di annunziare la Parola di Dio - che avrebbe dovuto andare nella nemica città di Ninive, la cui malvagità era giunta al colmo - a profetizzare che Dio l’avrebbe distrutta se gli abitanti non si fossero convertiti.
Una persona normale si sarebbe preoccupata di andare a predicare la distruzione proprio in casa dei nemici storici di Israele.
Ma i profeti – si sa – non sono persone normali e così Giona – a parte la paura di andare a predicare la distruzione in casa degli altri – aveva anche paura che il Signore, vedendoli convertiti, si commuovesse e cambiasse idea.
E così Giona fa quello che avrebbe fatto uno di noi: prende un biglietto su una nave da crociera di quei tempi e – illudendosi di poter scappare da Dio - se la fila nella direzione opposta, cioè destinazione Tarsis che era in Spagna, che a quell’ epoca era un po’come dire ai confini del mondo allora conosciuto, perché dopo c’era l’Atlantico e l’America non l’avevano ancora scoperta.
Ma scoppia una terribile tempesta che mette in pericolo la nave su cui egli viaggia e tutto l’equipaggio.
L’equipaggio, molto pagano, subodora che a bordo ci deve essere un ‘menagramo’, getta i dadi a sorte per sapere chi è che porta jella e – jella estrema! – i dadi ‘ ‘marcano’ Giona il quale – pentito nel frattempo per quella sua fuga, che oltretutto stava finendo male - confessa che quella tempesta è stata voluta dal suo Dio per le sue colpe ma che se essi avessero voluto placare il suo Dio e salvarsi avrebbero sempre potuto immolare lui, Giona, gettandolo in mare.
Non so se la sua fosse stata una battuta allo stile inglese.
Quelli gli credono, lo ringraziano e …lo buttano in mare.
Ma il Signore – che certo doveva aver apprezzato il suo pentimento e ancor di più l’offerta della sua vita, ma che doveva aver anche bisogno di lui per la missione - gli aveva preparato lì un gran pesce, che lo inghiotte tutto intero e nel cui ventre Giona sarebbe rimasto fin quando Dio – dopo aver tenuto Giona in ammollo per tre giorni e tre notti mentre lui pregava e ripregava promettendo che se Dio lo avesse salvato egli avrebbe adempito alla sua missione di predicazione – ordina al pesce di rigettarlo sulla spiaggia (sano e salvo!).
E infatti Giona va a Ninive, che allora era una città veramente grande che si stima avesse almeno seicentomila abitanti.
Nelle note di commento al Libro di Giona si dice che la stima degli abitanti è stata così fatta su base proporzionale tenendo conto del rapporto fra giovani e vecchi. Infatti – continua la nota - nel Libro è detto che Dio voleva salvare i niniviti ‘perché vi erano centoventimila persone che non sapevano distinguere la destra dalla sinistra’, e ciò sarebbe stata una espressione che - a quei tempi -significava che quelli erano fanciulli.
Comunque, fanciulli od adulti, Giona si mette a predicare e – sorpresa! – i niviviti gli credono e cominciano a convertirsi sul serio, vestendosi di sacco, facendo digiuni, insomma cambiando vita.
Avrebbe dovuto essere soddisfatto, Giona, no? E invece ci rimane male perché capisce che Dio – come lui aveva temuto fin dal primo momento – ne avrebbe avuto compassione e avrebbe finito per non distruggerli più.
Vi sembra strano? Ma guardate che per i profeti come Giona è una cosa normale. Se Ninive non fosse stata distrutta, i niniviti – una volta salvi - avrebbero potuto mettere in discussione, a posteriori, le sue qualità di vero profeta. Può succedere, anche a tanti ‘profeti’ odierni di certe sette che continuano a predire la fine del mondo. E’ umano: uno profetizza la fine del mondo, quella non avviene, e a lui gli dispiace, anche se lui è il primo a ‘salvarsi’ insieme agli altri. L’orgoglio e la vanità sono più forti della vita.
Comunque Giona, dopo aver predicato, addolorato della testardaggine del Signore nel voler salvare i nemici di Israele che secondo lui non avrebbero dovuto essere salvati anche perché di un’altra religione, si ritira a vivere in campagna, ma in una capanna, aspettando che passino i quaranta giorni di tempo che lui aveva dato ai niniviti e vedere cosa avrebbe fatto veramente il Signore, la cui compassione egli proprio non riusciva a capire, e al quale chiedeva implorandolo che Egli si prendesse l’anima sua perché – piuttosto che veder salvi i niniviti – preferiva morire lui prima.
Accipicchia…! Sarà stato profeta, ma era davvero tosto, quel Giona. Sfido che fosse risultato indigesto anche al pescecane.
Ma dentro alla capanna – si era in Assiria – c’era un caldo impossibile, e fuori…non c’era un filo d’ombra mentre Giona se ne stata seduto a vedere quel che sarebbe capitato alla città.
E allora il Signore fa spuntare d’incanto una pianta, un ricino che – se non lo sapete – ha delle belle foglie molto larghe e ombrose ma nasconde una sorpresa perché i suoi semi sono velenosi.
Giona è molto, molto soddisfatto e quella bell’ombra fresca lenisce il suo dispiacere.
Ma il Signore, all’alba del giorno dopo – altra sorpresa - fa seccare, servendosi di un baco velenoso che lo punge, quel ricino.
Sorge il sole, e viene anche un vento infocato. Clima desertico, rischio di insolazione. Giona – con la testa in fiamme – giace accasciato e – pensando addolorato al suo bel ricino distrutto - chiede al Signore la morte anche per sè piuttosto che sopravvivere in quel modo. Giona era depresso, lo dovete capire. E allora il Signore – che con Giona aveva confidenza - gli dice: ‘Ah! Tu te la prendi tanto perché ti è mancato il ricino che ti avevo dato e che non ti è costato nessuna fatica e che in una notte è nato e in una notte è morto? E, secondo te, non dovrei avere allora io dispiacere e compassione a distruggere una città grande come Ninive, dove ci sono più di centoventimila persone che non sanno distinguere la loro destra dalla loro sinistra?’
Questa storia, più o meno, l’ho letta - ovviamente raccontata seriamente e non come ve la ‘interpreto’ io, da ‘uomo della strada’, che tanto serio non sono - su ‘Il Profeta Giona’, La Sacra Bibbia, Edizioni Paoline.
Me non mi dovete prender sul serio per come a volte racconto le cose, come ad esempio quella volta che scrissi un libro (pubblicità occulta!): ‘Alla scoperta del Paradiso perduto, ovvero il Dio interiore (Vol. I – Ed. Segno). Dovendo affrontare (seriamente) quel tema difficilissimo che è la spiegazione della presenza del dolore che affligge tremendamente l’Umanità, nonostante questo Dio buono che rivendichiamo noi cristiani, presi lo spunto (scherzosamente) dal tema del dolore che emerge dal Libro di Giobbe. E questo libro lo avevo raccontato e spiegato al profano a modo mio, naturalmente, perché mi era sembrato l’unico modo per convincere dei lettori – dalla mentalità ‘laica’ come la mia - ad affrontare un argomento, quale il ‘dolore’, dal quale altrimenti sarebbero scappati: insomma quello è un libro dove uno un po’ ride e un po’ piange, come questo, quasi.
Nelle ‘note’ al Libro di Giona delle Edizioni Paoline il commentatore diceva anche che quella di Giona era ‘figura’ di Gesù che si sarebbe immolato per salvare l’umanità risorgendo dalla tomba dopo tre giorni.
E comunque aggiunge, seriamente: ‘Non si sa che sorta di pesce sia, ma dev’essere dell’ordine degli squali. Nel ventre di uno di tali mostri fu trovato una volta un cavallo, un’altra volta un uomo con tutta la sua armatura: e Muller racconta che, nel 1758, da un pescecane fu tolto un uomo vivo, divorato pochi momenti prima.Tre giorni e tre notti, espressione per specificare la durata di 24 ore, ma non necessariamente significa che si tratti di giorni interi’.
Peraltro, aggiungo io, la risurrezione di Gesù – nel sepolcro dalle 15 del Venerdì fino alla Domenica mattina presto - è avvenuta al terzo giorno: Venerdì-Sabato-Domenica, e non dopo tre giorni di 24 ore, che farebbero un totale di 72 ore.
Tre giorni, come Giona dalla pancia del pesce…non giorni interi, sembra dedurre infatti quel commentatore delle Paoline, perché anche a lui – evidentemente – tre giorni interi di 24 ore nella pancia del pesce devono esser sembrati troppi, per tornarne fuori vivo.
Comunque - anche se anziché un fatto realmente accaduto il racconto di Giona fosse stato solo un racconto ‘ispirato’ per simboleggiare non solo che Dio vuole salvare tutti gli uomini, anche i ‘pagani’ di altre religioni, ma anche la risurrezione di Gesù al terzo giorno che sarebbe avvenuta una domenica di qualche secolo dopo - quella Domenica è stata dunque il giorno dell’Apoteosi!
Se non fossimo sicuri della avvenuta risurrezione – mi pare avesse detto lo stesso San Paolo in una sua lettera - cadrebbe la base della fede cristiana, e tutti gli sforzi che facciamo per ‘santificarci’ sarebbero inutili.
Bene, ho finito questo commento estemporaneo. Tutta chiara, ora, la settimana santa?
In questo terzo volume – lo ripeto - è ben di questa che stiamo parlando, e del dopo risurrezione, per terminare.
4.2 Santificherò coloro che hanno buona volontà e farò cadere e andare in pezzi coloro che avranno mala volontà.
Come dicevamo dunque all’inizio, il giorno dopo la cena di Betania, e cioè la Domenica, Gesù si reca a Gerusalemme.
Si capisce, anche se il racconto di Giovanni come al solito è scarno, che si è trattato veramente di un trionfo.
Chissà quanti discepoli di Gesù erano confluiti a Gerusalemme da tutte le parti, preparando organizzativamente il terreno.
Il miracolo di Lazzaro aveva fatto il resto. Nonostante i due/tre mesi che dovevan già essere passati, era ancora l’argomento del giorno, anche perché per tutti gli israeliti che venivano dalla Diaspora quella era una novità assoluta che i ‘residenti’ si affrettavano a raccontare.
I sacerdoti schiumavano.
Attenzione!
Da questo momento in poi Gesù cambia atteggiamento rispetto al passato.
Prima evitava ‘grane’, si sottraeva alla troppa ‘pubblicità’ e - in caso di ‘scontro’ - se ne andava prudentemente per non creare ulteriori occasioni di attrito con la classe dirigente.
Ora invece, nell’imminenza di questa Pasqua e dopo aver ancor tre o quattro giorni prima ricordato ai suoi apostoli che la situazione sarebbe presto degenerata con la sua cattura e uccisione, sembra abbandoni ogni prudenza ‘offrendo’ se stesso a quell’ingresso in città che – più che ad un ingresso - doveva assomigliare a una marcia trionfale su Gerusalemme.
Per i sacerdoti del Tempio sarebbe stato un ‘affronto’, da lavare appunto col sangue!
Quel tripudio di folla, osannante e impazzita, come se Lui fosse stato un ‘dio’, era intollerabile.
‘Vedete che non si conclude nulla? Ecco, tutto il mondo lo segue!’.
Questa è la battuta che – come racconta Giovanni – corre sulla bocca dei Farisei, che è un po’ come dire: ‘Qui noi perdiamo un sacco di tempo in chiacchere, mentre quello fa i fatti e ora lo seguono tutti …’.
E’ una battuta che ben dipinge il loro scoraggiamento, la loro frustazione, la loro conseguente rabbia e quindi la loro reazione finale.
Come spiegano gli altri evangelisti, ciò li indurrà infatti – dopo che già i Capi avevan deciso di far morire anche Lazzaro, testimonianza scomoda della potenza di Gesù – ad accelerare, complice Giuda, i tempi della cattura e uccisione di Gesù stesso, prima del sabato delle prossime festività pasquali, quindi giorno doppiamente festivo, di grande affollamento e rischioso per potenziali tumulti da parte dei discepoli di Gesù che certo sarebbero stati presenti numerosi il sabato e che bisognava invece prendere d’anticipo.
Ma cosa dice, di questa giornata trionfale, la Valtorta?
591. La sera al Getsemani. Gli apostoli richiamati alla realtà dopo l'ebbrezza del trionfo.
4 marzo 1945.
Gesù è con i suoi nella pace dell'orto degli Ulivi. E’ sera. Una tepida sera di plenilunio. Sono seduti sui naturali sedili che sono i balzi dell'uliveto, proprio i primi, che si affacciano su quella naturale piazzetta che forma la radura posta al principio del Getsemani. Il Cedron fruscia contro i suoi sassi e pare che parlotti fra sé. Qualche canto di usignolo. Qualche sospiro di brezza. E null'altro.
Gesù parla.
«Dopo il trionfo di questa mattina ben diverso è il vostro spirito. Che devo dire? Che è sollevato? Oh! sì! Secondo l'umanità è sollevato. Siete entrati in città tremanti per le mie parole. Pareva che ognuno temesse, per sé, gli sgherri oltre le mura, pronti ad assalirlo e farlo prigioniero.
In ogni uomo vi è un altro uomo che si rivela nelle ore più gravi. Vi è l'eroe, che nelle ore di maggior pericolo balza fuori dal mite che il mondo sempre vide e giudicò insignificante, l'eroe che dice alla lotta: "Eccomi", che dice al nemico, al prepotente: "Con me misurati". E vi è il santo che, mentre tutti fuggono terrorizzati davanti ai feroci che vogliono vittime, dice: "Me prendete in ostaggio e in sacrificio. Pago io per tutti". E vi è il cinico, che sulle sventure generali fa approfitto proprio e ride sui corpi delle vittime. C'è il traditore che ha un coraggio suo proprio, quello del male. Il traditore che è l'amalgama del cinico con il vigliacco, che è pure una categoria che si manifesta nelle ore gravi. Perché cinicamente trae profitto da una sventura e vigliaccamente passa al partito più forte, osando, pur di averne utile, affrontare lo sprezzo dei nemici e le maledizioni degli abbandonati. C'è infine, ed è il tipo più diffuso, il vigliacco che nell'ora grave non è capace che di rammaricarsi per essersi fatto conoscere di un partito e di un uomo, ora colpiti da anatema, e di fuggire... Questo vigliacco non è delinquente quanto il cinico e ributtante come il traditore. Ma mostra sempre la imperfezione della sua struttura spirituale. Voi... siete tali. Non dite di no. Io leggo nelle coscienze.
Questa mattina fra voi pensavate: ‘Che ci avverrà? Andremo a morte noi pure?’. E la parte più bassa gemeva: ‘Quanto mai!.....’.
Sì. Ma vi ho mai ingannati? Dalle prime mie parole vi ho parlato di persecuzione e morte. E quando uno fra voi, per eccesso di ammirazione, volle vedermi e volle presentarmi come un re, uno dei poveri re della Terra, sempre povero anche se re e restauratore del reame di Israele, Io ho subito corretto l'errore e detto: "Re dello spirito lo sono. Io offro privazioni, sacrificio, dolore. Non ho altro. Qui sulla Terra non ho altro. Ma dopo la mia, e la vostra morte nella mia fede, lo vi darò un Regno eterno, quello dei Cieli". Vi ho detto forse diverso? No. Voi dite di no.
E voi, allora, dicevate anche: "Questo solo vogliamo. Con Te, come Te, per Te vogliamo essere, ed essere trattati, e patire". Sì. Dicevate così. Ed eravate anche sinceri. Ma era perché non ragionavate che da bambini, da svagati bambini. Vi pensavate facile il seguirmi e tanto eravate pregni di sensualità triplice che non potevate ammettere che fosse vero quello che Io vi accennavo. Pensavate: "Egli è il Figlio di Dio. Lo dice per provare il nostro amore. Ma Egli non potrà essere percosso dall'uomo. Lui che opera miracoli saprà bene fare un grande miracolo in suo favore!". E ognuno aggiungeva: "lo non posso credere che Egli sia tradito, preso, ucciso". Tanto forte questa vostra umana fede nella mia potenza che giungevate a non avere fede nelle mie parole, la Fede vera, spirituale, santa e santificante.
"Lui che fa miracoli ne farà pure uno in suo favore!", dicevate.
Non uno, ma molti ancora ne farò. E due saranno quali nessuna mente d'uomo può pensare. Saranno quali solo i credenti nel Signore potranno ammetterli. Tutti gli altri, nei secoli dei secoli, diranno: "Impossibile!". E anche oltre la morte Io sarò oggetto di contraddizione per molti.
In un dolce mattino di primavera Io ho annunciato da un monte le diverse beatitudini. Ce ne è ancora una: "Beati quelli che sanno credere senza vedere". Ho già detto, andando per la Palestina: "Beati quelli che ascoltano la parola di Dio e l'osservano", e ancora: "Beati quelli che fanno la volontà di Dio", e altre, altre ne ho dette, perché nella casa del Padre mio sono numerose le gioie che aspettano i santi. Ma anche questa c'è. Oh! beati quelli che crederanno senza avere visto con gli occhi corporali! Tanto santi saranno che, essendo in Terra, vedranno già Dio, il Dio nascosto nel Mistero d'amore.
Ma voi, dopo tre anni che siete con Me, a questa fede ancora non siete giunti. E credete solo a ciò che vedete. Perciò da stamane, dopo il trionfo, dite: "E’ ciò che noi dicevamo. Egli trionfa. E noi con Lui". E come uccelli che rimettono le penne, strappate da un crudele, vi alzate a volo, ebbri di gioia, sicuri, liberi da quella costrizione che le mie parole vi avevano messo sul cuore. Siete più sollevati allora anche nello spirito? No. In questo siete ancora meno sollevati. Perché siete ancora più impreparati all'ora che incombe. Avete bevuto gli osanna come vino forte e piacente. E ne siete ebbri. Un ebbro è mai un forte? Basta una manina di bambino a farlo traballare e cadere. Così siete voi. E basterà l'apparizione degli sgherri a farvi fuggire come timide gazzelle che vedono affacciarsi ad una rupe del monte il muso aguzzo dello sciacallo e, ratte come vento, si disperdono per le solitudini del deserto.
Oh! badate di non morire di un'orrida sete in quella arsa arena che è il mondo senza Dio! Non dite, non dite, o amici cari, ciò che dice Isaia alludendo a questo vostro stato di spirito falso e pericoloso. Non dite: "Costui non parla altro che di congiure. Ma non c'è da temere, non c'è da avere spavento. Non dobbiamo, temere ciò che Egli ci profetizza. Israele lo ama. E noi l'abbiamo visto". Quante volte il tenerello piede ignudo di un pargolo calpesta le erbette fiorite del prato, cogliendo corolle per portarle alla mamma, e crede trovare solo steli e fiori, e invece posa il calcagno sulla testa dell'angue, e ne è morso e ne muore! I fiori celavano il serpente. Anche stamane... anche stamane così! Io sono il Condannato coronato di rose. Le rose!... Quanto durano le rose? Che resta di esse dopo che la corolla loro si è sfaldata in neve di profumati petali? Spine.
Io - Isaia l'ha detto - sarò per voi, e con voi dico che sarò per il mondo, santificazione, ma anche pietra d'inciampo, pietra di scandalo e laccio e rovina per Israele e per la Terra.
Santificherò coloro che avranno buona volontà e farò cadere e andare in pezzi coloro che avranno mala volontà.
Gli angeli non dicono parole di menzogna e parole di poca durata. Essi vengono da Dio, che è Verità e che è Eterno, e ciò che dicono e verità e parola immutabile. Essi hanno detto: "Pace agli uomini di buona volontà". Allora nasceva, o Terra, il tuo Salvatore. Ora va a morte il tuo Redentore. Ma per avere pace da Dio, ossia santificazione e gloria, occorre avere "buona volontà". Inutile il mio nascere, inutile il mio morire per coloro che non hanno questa volontà buona. Il mio vagito e il mio rantolo, il primo passo e l'ultimo , la ferita della circoncisione e quella della consumazione, saranno stati invano se in voi, se negli uomini, non ci sarà la buona volontà di redimersi e santificarsi. Ed Io ve lo dico: "Moltissimi inciamperanno in Me, che sono posto come colonna di sostegno e non come tranello per l'uomo, e cadranno perché ebbri di superbia, di lussuria, di avarizia, e saranno chiusi nella rete dei loro peccati, e presi e dati a Satana". Mettete queste parole nei vostri cuori, sigillatele per i futuri discepoli.
Andiamo. La Pietra sorge. Un altro passo in avanti. Sul monte. Deve splendere sulla vetta perché Egli è Sole, Luce è, è Oriente. E il Sole splende sulle cime. Deve essere sul monte, perché il Tempio vero deve essere visto da tutto il mondo. E da Me stesso lo edifico con la Pietra viva della mia Carne immolata. Ne collego le parti colla calcina fatta di sudore e di sangue. E sarò sul mio trono ammantato di una porpora viva, coronato di una corona nuova, e quelli che sono lontani verranno a Me, lavoreranno nel mio Tempio, intorno ad esso. Io sono la base e la vetta. Ma tutto intorno, sempre più grande, si estenderà la dimora. Ed Io stesso lavorerò le mie pietre e i miei artieri. Come Io sono stato dal Padre, dall'Amore e dall'uomo e dall'Odio lavorato a scalpello, così lo li lavorerò. E dopo che in un sol giorno sarà stata levata l'iniquità dalla Terra, sulla pietra del Sacerdote in eterno verranno i sette occhi per vedere Iddio e sboccheranno le sette fonti per vincere il fuoco di Satana.
Satana... Giuda, andiamo. E ricordati che il tempo stringe e che per la sera del Giovedì deve essere consegnato l'Agnello».