(Il Vangelo secondo Giovanni – La Sacra Bibbia – Capp. 9,35-41 e 10,1-21 – Ed. Paoline)
(M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Cap. 518 – Centro Ed. Valtortiano)

10. Sono venuto nel mondo per portare la luce e la conoscenza di Dio e per provare gli uomini e per giudicarli.
Questo mio è tempo di scelta, di elezione, di selezione.

 

Gv 9, 35-41 e 10, 1-21:

Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori e, incontratolo, gli disse: «Credi tu nel Figlio dell’Uomo?».
Quello rispose: «E chi è, Signore, affinchè creda in lui?».
Gli disse Gesù: «Tu lo vedi: è colui che parla con te».
Allora egli esclamò: «Signore, io credo». E lo adorò.
Gesù disse: «Sono venuto in questo mondo perchè si operi una discriminazione: affinchè quelli che non vedono, vedano; e quelli che vedono, diventino ciechi».
Lo udirono alcuni Farisei che erano con lui e gli domandarono: «Siamo forse ciechi anche noi?».
Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste colpa; invece voi dite: ‘Noi vediamo’. Il vostro peccato rimane».
«In verità, in verità vi dico: chi non entra nell’ovile per la porta, ma vi sale dall’altra parte, è ladro e assassino. Chi invece entra per la porta è pastore delle pecore. A lui apre il portinaio, le pecore ascoltano la sua voce ed egli chiama per nome le proprie pecore e le conduce fuori. E, quando ha fatto uscire tutte le sue, cammina innanzi a loro: le pecore lo seguono, perchè conoscono la sua voce. Non seguono invece un estraneo, ma fuggono da lui, perchè non conoscono la voce degli estranei».
Questa parabola narrò ad essi Gesù, ma quelli non capirono ciò che volesse dir loro.
Perciò Gesù riprese: «In verità, in verità vi dico: Io sono la porta delle pecore. Tutti quelli che sono venuti prima di me, sono ladri e assassini; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta. Chi per me passerà, sarà salvo; entrerà, uscirà e troverà pascoli. Il ladro non viene che per rubare, ammazzare e distruggere. Io sono venuto affinchè abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.
Io sono il buon Pastore. Il buon Pastore dà la propria vita per le sue pecore. Il mercenario, invece, è chi non è pastore, a cui non appartengono le pecore, quando vede venire il lupo abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde. Perchè è mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon Pastore e conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre: e per le mie pecore do la mia vita.
Ho pure altre pecore che non sono di questo ovile: anche quelle devo condurre, e ascolteranno la mia voce e si avrà un solo gregge e un solo pastore.
Per questo mi ama il Padre, perchè io sacrifico la vita per nuovamente riprenderla. Nessuno me la toglie, ma la do io da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
Nacque di nuovo dissenso fra i Giudei per queste parole.
Molti dicevano: «E’ indemoniato e vaneggia; perchè ascoltarlo?».
Altri rispondevano: «Questi non sono discorsi da indemoniato: può forse un demonio aprire gli occhi ai ciechi?».


10.1 Attenzione: questo concetto può sembrare un gioco di parole

Avevo concluso il commento nel capitolo precedente, meravigliandomi come mai  – per quanto l’episodio del cieco guarito fosse stato divertente – Giovanni avesse voluto dilungarsi a raccontare un miracolo, bello finchè si vuole, ma non diverso -  nella sostanza - da tanti altri.
Mi ero però dimenticato quanto vi avevo già spiegato una volta – mi pare nel primo volume - quando avevo detto che Giovanni aveva voluto completare i Vangeli degli altri tre evangelisti, aggiungendo una riflessione teologica e dottrinaria di alto livello.
Giovanni racconta nel suo Vangelo soprattutto i ‘miracoli’ dai quali prende spunto qualche discorso di Gesù, fra i tanti discorsi che egli tenne, che è di particolare rilevanza e che gli altri evangelisti non hanno magari messo suffficientemente in luce.
Quello di Giovanni è un Vangelo ‘maturo’, e non solo perchè è l’ultimo, ma perchè è molto riflessivo e spinge ad approfondire gli argomenti, anche se questi – secondo uno stile che è caratteristico di tutti e quattro i vangeli – vengono presentati in maniera ‘piana’ perchè possano essere più facilmente  trasmessi e assorbiti di generazione in generazione da popoli di tutte le culture.
Proseguendo nella lettura del Vangelo di Giovanni, si vede il seguito del precedente episodio.
Qualche tempo dopo, infatti, Gesù incontra nuovamente il cieco guarito ed è da questo secondo incontro che Gesù prende spunto per lanciare all’Umanità il suo celebre ‘messaggio’: Io sono il Buon Pastore, messaggio che ha un significato molto più profondo di quanto a prima vista potrebbe sembrare.
Esaminiamolo dunque da vicino, questo episodio.
Come abbiamo più volte rilevato leggendo il Vangelo di Giovanni e specialmente nel primo volume di questo nostro lavoro, molto spesso i vari episodi vengono presentati uno dopo l’altro come se si succedessero senza soluzione di continuità.
Invece – ad una attenta analisi e facendo magari anche uno studio comparato con gli stessi episodi citati negli altri tre vangeli – si scopre che fra l’episodio di un brano e quello precedente è magari passato del tempo.
Anche in questo caso, fra la cacciata del cieco dal Tempio di Gerusalemme ed il suo nuovo incontro con Gesù, deve essere passato qualche giorno, e il ricordo di quel miracolo portentoso : due bulbi oculari infusi ex-novo nelle orbite vuote, ha certamente fatto e rifatto il giro della città, facendo imbestialire ancora di più i Capi giudei.
Non deve sembrare ‘troppo miracoloso’ per essere vero, un miracolo del genere.
Ad esempio i miracoli riconosciuti ‘ufficialmente’ dalla Commissione internazionale scientifica di Lourdes non lo sono da meno.
Anche gli scienziati più ‘prevenuti’ hanno dovuto ammettere che, in quei casi almeno, non si poteva comprendere altrimenti l’assoluta eccezionalità dell’avvenimento, al di fuori di qualsiasi spiegazione scientifica e medica.
Dunque Gesù incontra nuovamente il ‘cieco’.
Il cieco non conosceva Gesù – come si capisce dal colloquio che segue – perchè al momento del miracolo era ancora cieco e poi, dopo che si era lavato alla fontana di Siloe, Gesù se ne era già andato.
Il cieco sapeva solo che quel suo benefattore era quel Gesù che tutti mormoravano essere il Messia, anzi il Figlio di Dio.
Cerchiamo di concentrarci mentalmente e di immaginarci la scena.
Gesù lo vede, deve essere per strada, lo riconosce, lo chiama, quello viene, non riconosce Gesù e lo guarda interrogativamente.
Gesù gli domanda come sta e quello – pensando che tutti devono proprio sapere che lui è un miracolato, anche i ‘forestieri’ come gli pare quell’uomo - risponde che sta benissimo, anzi che meglio di così – con quel due pò-pò di begli occhi che si ritrova – non potrebbe andare.
‘Chi te li ha fatti?’, avrà chiesto Gesù.
‘Quell’Uomo che tutti chiamano il Messia!’, risponde quello.
‘Ma tu ci credi in lui?’
‘Crederci? Altro che, se vorrei. Ma non lo conosco nemmeno, e vorrei tanto poterlo conoscere...!’.
E gli disse allora Gesù: ‘Lo vedi: è colui che parla con te’.
E quello si getta al suolo, gli stringe magari i piedi come solevano fare a quei tempi, e lo adora, come si adora un Dio, perchè infatti esclama, come racconta Giovanni: ‘Signore, io credo’.
E fin qui niente di straordinario.
Ma ecco che al vedere quella scena e quell’assembramento di persone, poichè certamente con Gesù ci sarà stato l’intero gruppo apostolico, si sarà fermata dell’altra gente a guardare ed ascoltare, e nel mucchio, non saranno certo mancati i soliti scribi e farisei e via dicendo.
‘Il Figlio dell’Uomo – dice allora Gesù ergendosi in tutta la sua figura e volgendo intorno uno sguardo circolare con i suoi occhi di zaffiro – è venuto in questo mondo perchè si operi una discriminazione: affinchè quelli che non vedono, vedano  e quelli che vedono, diventino ciechi’.

Attenzione, questo concetto può sembrare un gioco di parole, ma invece nasconde o meglio rivela una profonda verità teologica.
L’evangelista Luca (2, 21-35) narra l’infanzia di Gesù e nel raccontare della sua circoncisione e presentazione al Tempio scrive che ad un certo punto si presenta - davanti a Giuseppe e Maria che hanno il bambino in braccio -  Simeone, uomo vecchio e giusto che aspettava ardentemente la redenzione d’Israele.
Lo Spirito Santo – così dice Luca – stava su di lui e gli aveva rivelato che egli non sarebbe morto prima di aver veduto il Messia.
In quel momento il vecchio Simeone – vedendo Gesù – sospinto dallo Spirito prorompe in una lode, benedice Giuseppe e Maria e poi profetizza a Maria: ‘Ecco, egli è posto per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione; a te pure una spada trapasserà l’anima. Così si sveleranno i pensieri di molti cuori’.
Cosa c’entrano la caduta, la risurrezione, la contraddizione e lo svelarsi dei pensieri dei cuori con la discriminazione  che sarebbe stata operata dal Figlio dell’Uomo?  C’entra, c’entra.
Riprendiamo un momento in esame il Progetto di Dio sull’Umanità.
Il primo uomo sbaglia e coinvolge nel suo errore – attraverso le conseguenze psico-somatiche del Peccato Originale – tutta l’Umanità futura.
Ma Dio – per via di quel discorso sulle ‘attenuanti’ che gli aveva concesso, diversamente da quanto aveva fatto nei confronti dell’angelo ribelle Lucifero - promette salvezza (spirituale) a lui e alla sua discendenza per cui, come a causa di una donna l’Umanità si era ‘perduta’, attraverso un’altra donna ( Maria, che in grande umiltà avrebbe acconsentito al progetto divino e avrebbe dato alla luce Gesù) l’Umanità sarebbe stata salvata.
O.K?
Ma quale ‘Umanità’? Quella dei ‘volenterosi’ o quella dei ‘facinorosi’?
Quella dei volenterosi! L’Umanità cioè di quelle persone che pur imperfette, pur deboli, pur peccatrici, vorrebbero sforzarsi di migliorare, di emendarsi, anche se la debolezza delle loro forze non glielo consente tanto.
Siccome io sono ottimista, credo che sia la maggior parte dell’Umanità, solo che è una parte che ha bisogno di una spintarella, che ha bisogno di essere ‘aiutata’ perchè – a causa del peccato originale – non ha più in sè le forze spirituali sufficienti, e perchè non vede neanche più con chiarezza cosa si debba fare per salvarsi.
Gli altri – i ‘capri’ – non solo non vedono con chiarezza, ma soprattutto ‘non vogliono’ vedere perchè l’assetto dell’Umanità gli sta bene così, con le sue ingiustizie – che essi trovano ‘naturali’ - fra le quali essi riescono a ‘navigare’ a piacimento con soddisfazione dei loro interessi, che non sono spirituali ma materiali, mentre quelli spirituali essi dicono che sono ‘fola’, fantasia, illusione, incapacità di capire la ‘realtà’.
O.K?
E allora, al momento buono, il Verbo si incarna, diventa Uomo e comincia ad insegnare, facendosi aiutare dai miracoli perchè - se l’Uomo non crede più a Dio che non vede- ai miracoli che vede, invece – se niente niente avesse un pò di buona volontà – ci potrebbe anche credere, no?
E allora la discriminazione?
La discriminazione è questa: Il Verbo viene ad operare, insegna la Verità e ognuno sarà libero di accettarla o respingerla. Ma la Verità dividerà gli uomini nel senso che costoro – posti di fronte ad essa – saranno costretti a rivelare il pensiero del loro cuore, a ‘scegliere’, cioè a schierarsi da una parte o dall’altra e a quel punto sarà possibile a Dio fare una ‘discriminazione’, cioè una divisione, fra ‘pecore’ e ‘capri’.
E al momento del giudizio particolare i ‘capri’ non potranno più dire che essi erano ‘ciechi’ e che  ‘non avevano visto’, ma essi sapranno che pur avendo ben visto non avevano voluto, e si renderanno ben conto della giustezza del giudizio che avranno ricevuto.
Ogni uomo è infatti libero di accettare o meno il messaggio di Dio, e quindi di meritare o meno la salvezza nel Regno celeste.
E Dio, per bontà, ha voluto – con la sua incarnazione – che quelli che erano ‘ciechi’ (vale a dire ignoranti nelle cose di Dio, ma di buona volontà) potessero comprendere le cose di Dio alla luce della sua Parola, e quelli che ci ‘vedevano’ (cioè erano o avrebbero dovuto essere già  ‘esperti’ nelle cose del Signore non solo per cognizione religiosa ma anche per semplice cultura che consente di capire meglio ciò che è bene e ciò che è male) ma poi per cattiva volontà non ne traevano le conseguenze di comportamento, perdessero la loro capacità di vedere, e cioè di salvarsi, visto che avrebbero sprezzantemente disprezzato l’opportunità di salvezza che sarebbe stata loro offerta.
Non vi pare tutto di una logica e di una semplicità estrema? Neanche noi - al posto di Dio - avremmo potuto ragionar meglio…!
So che vi sembra quasi tutto un sogno, una fantasia. Ma basta credere in Dio, credere che siamo spiriti in carne umana, credere nella Rivelazione.
Non vi sembra forse un sogno anche l’universo formato da miliardi di galassie che si perdono nell’infinito? Guardando il cielo di notte, vale a dire nelle condizioni giuste di osservazione, li vediamo bene quegli ammassi stellari, che di giorno invece non si vedono, anche se ci sono.
E la natura che ci circonda? E la composizione della materia? E noi stessi: fatti di atomi, protoni, neutroni, elettroni, cioè sostanzialmente di una sorta di ‘elettricità’ evanescente che però ha le caratteristiche della ‘solidità’ corporea?
Non vi sembra, quello della nostra costituzione fisica (e non parliamo del ‘funzionamento’ di un corpo umano), un ‘sogno’? Ciò non di meno è reale, no?
E lo spirito? Lo spirito – che è immateriale - non lo si può vedere coi ‘sensi’ e quindi non lo possiamo ‘toccare con mano’, ma – per deduzione – possiamo arrivare a capire che ‘deve’ esistere, come per deduzione, vedendo un’ombra incorporea proiettata su di un muro intuiamo che ci deve essere una fonte luminosa ed un oggetto che ve la proietta.
Cosa c’è di tanto incredibile? Non ci volete ‘credere’?
Vabbè! Tanto il ‘Credere’ non è strettamente indispensabile per salvarsi: basta comportarsi come se ci credessimo: e cioè comportarsi bene, infatti al resto ci pensa Lui perchè se vi comportate bene, anche se non ci credete, vuol dire che siete pecore del suo Ovile, anche senza saperlo.
E qui infatti Gesù – guardandosi intorno, fra la gente, in quella stradetta di Gerusalemme – fa questo grande discorso, anzi lo fa meglio.
Gesù parlava bene ma nello stesso tempo si esprimeva con immagini semplici.
E nella parabola Gesù spiega che il ‘buon pastore’ conosce le sue pecore, così come queste ‘riconoscono’ la voce del loro pastore.
Cosa vuol dire?
Vuol dire che Dio, che vive fuori dal tempo, sa ab-eterno quali sono gli uomini che accetteranno volontariamente di seguire le ispirazioni che Egli imprimerà al loro cuore: sono quelli le sue ‘pecore’ che Egli conosce da prima che il Tempo fosse, così come queste ‘pecore’ – volontariamente sintonizzate sulla lunghezza d’onda del Signore – sono quelle che sapranno riconoscere la ‘voce’  della sua Parola, cioè del loro Pastore sceso sulla terra per radunarle.

Quello del ‘Buon Pastore’ è un discorso profondo ma semplice.
Se quindi non sono riuscito a spiegarvelo bene,  o se voi non lo capite, vuol dire che lo Spirito Santo non ci illumina e che c’è bisogno di molta preghiera.
Statemi ancora a sentire.


10.2 Ammettiamo un pò – per scendere terra terra – che il Regno dei Cieli sia un regno intergalattico come quei film di fantascienza...

L’Umanità – da sempre - è infestata da ‘cattivi pastori’, cioè da uomini che perseguono il loro interesse e quello dei gruppi di potere o di pressione che essi rappresentano.
Non è necessario essere dei buoni ‘cristiani’ per capirlo. Basta il comune buon senso.
La società che ci circonda è dominata da questi uomini che perseguono i loro scopi, in tutti i campi, dall’economia alla politica, persino nella religione nella misura in cui questa possa essere utilizzata come un ‘paravento’.
Persino nella cultura perchè spesso gli uomini-capri prendono a copertura di quel che fanno le ‘idee’ che tanti ‘uomini di cultura’ – capri anche loro - gli spiattellano già pronte perchè essi se ne possano servire: la cultura, questa sorta di ‘dea’, diventa il loro alibi.
Negli ultimi secoli, ad esempio, non c’è stata rivoluzione – a cominciare da quella ‘francese’ fino ai giorni nostri -  non c’è stato genocidio, senza che alla sua ‘radice’ i responsabili non avessero rivendicato una solida base ‘filosofica’ e culturale’.
Le più grandi nefandezze dell’Umanità sono state compiute sotto la copertura di ideologie che le rivestivano di una logica ineccepibile e di onorabilità.
L’Umanità è dunque sovente governata da uomini, e sono questi i falsi pastori di cui parla Gesù, che – per perseguire quelli che in realtà sono i propri obbiettivi – usano tutti i mezzi per convincere i più deboli, i più incolti, i più creduli – facendo leva anche sui loro istinti, anzi sui nostri istinti peggiori – per tirarseli dietro.
E’ la storia delle ingiustizie, dei dolori e delle guerre interminabili che da millenni hanno squassato e continuano a percorrere l’Umanità.
E’ la storia di taluni grandi ‘Capi’ che all’insegna di filosofie, ideologie, razzismi continuano a dividere i popoli. La storia di quelli che – all’interno persino di certe gerarchie religiose – cercano di utilizzare le stesse religioni come centri di potere o anche come elemento fazioso di divisione fra un popolo di una religione e uno dell’altra.
E’ tutta gente che dell’Amore se la ride.
Siamo nati in un mondo sbagliato? Sì e no. All’inizio non lo era ma poi lo è diventato e ormai siamo tutti in ballo.
Ma chi – in terra - non passa dalla porta dell’amore, non entra in Cielo.
Ecco la realtà più dura per noi umani.
Ammettiamo un pò – per scendere terra terra – che il Regno dei Cieli sia un regno intergalattico come quei film di fantascienza di cui abbiam parlato.
Là ci possono andare – dopo la morte del corpo ma non dello spirito che è quello che più conta – solo ‘cittadini’ di un certo tipo, che abbiano voluto e saputo raggiungere una elevazione morale e spirituale che li rende degni di far parte di quel mondo di extra-terrestri.
Là ci possono volare, insomma, dei cittadini che – spiritualmente parlando – abbiano la ‘fedina penale’ pulita.
La capacità spirituale di comportarsi bene, cioè l’amore, è il passaporto per questo nuovo mondo e Dio è sceso in terra per insegnare a tutti le regole per ottenerlo, avendo Egli deciso di riaprire le frontiere intergalattiche.
Ma mentre i falsi pastori perseguono solo i loro interessi ma poi sono pronti ad abbandonare l’uomo a se stesso, noncuranti della sua rovina perchè essi sono dei pastori-idolo, il Verbo che si incarna per amore dell’uomo è pronto a sacrificare – Egli Dio – la propria vita di Uomo-Dio, perchè Egli è il vero Pastore, quello che ha creato le anime degli uomini  che quindi considera veramente figli suoi, sempre che essi lo vogliano conoscere come padre e non preferiscano invece l’altra paternità, quella che ritengono più congeniale a quel che essi desiderano fare.
Ed il progetto del Verbo non è solo quello di salvare le ‘pecore’ dell’ovile di Israele, ma anche dell’altro ovile più grande, quello del resto dell’Umanità che – accettando il Cristianesimo – conoscerà la via con la quale ci si salva più facilmente.
Quante volte mi son sentito dire: ‘Ma chi l’ha detto che la religione giusta sia il Cristianesimo’?
E’ una domanda legittima, anche se spesso maschera - sotto una parvenza di domanda logica - quella che in realtà è una voglia di ‘contestazione’.
Ma è una domanda mal posta.
Prima di porci questa domanda bisognerebbe che ci interrogassimo sul fatto se crediamo che esista un Dio, se siamo propensi a credere che siamo degli ‘spiriti’, se intendiamo veramente sforzarci di condurci nella direzione di un comportamento che rispetti gli altri come vorremmo che gli altri rispettassero noi.
Allora a quel punto, se la risposta che ci siam dati è positiva, la domanda diventa pertinente.
Ma scopriremmo anche che è una domanda ‘inutile’, dal punto di vista dell’Assoluto.
Credo che possiamo tutti accettare l’idea che, se Dio esiste, deve essere uno solo per tutti, e non può dividersi in divinità di tutte le specie a seconda dei gusti e delle culture.
E se Dio è ‘uno’ per tutti i popoli è chiaro che la sua Verità non può essere che una sola.
Ora, non è un mistero che molte religioni siano nate per soddisfare una esigenza interiore di ‘spiritualità’, per soddisfare in qualche modo quel senso di ‘trascendente’ che l’uomo – anche quello primitivo – ha sempre avvertito dentro la propria anima, o nel proprio ‘inconscio’ se la si vuol chiamare così, senso del trascendente che Dio stesso ha impresso all’anima nel crearla affinchè essa si ricordi – poi – di avere un Dio dal quale ritornare.
Fra queste religioni ve ne sono alcune che dicono però di essere frutto di una ‘rivelazione’: Dio che ha parlato a certi loro uomini rivelando loro le sue ‘verità’.
E’ difficile negare che Dio possa aver parlato anche agli uomini di altre religioni. Credo anzi che Dio parli a tutti gli uomini, da sempre.
Il problema semmai è di stabilire quanto gli uomini abbiano capito, quanto di proprio abbiano aggiunto, quanto abbiano modificato di quanto Dio aveva sussurrato al loro orecchio spirituale.
Può però Dio – che è Verità – aver insegnato verità sostanzialmente diverse a religioni diverse?
Poichè la Verità è una, la religione vera non può che essere una.
Queste sono forse considerazioni un po’ ‘filosofiche’, ma in realtà – indipendentemente dal tipo di ‘teologia’ – quello che a Dio interessa ai fini del ‘passaporto’ per quel suo Regno Intergalattico di cui abbiamo parlato prima -  non è la ‘filosofia’, ma la pratica: quella dell’amore.
E’ questo il ‘minimo comun denominatore’ di tutti i popoli, necessario per una ‘fedina penale’ pulita.
Non è il ‘censo’ secondo l’ordine terreno quello che ci dà diritto al ‘passaporto’. Anzi spesso il ‘censo’ è causa di ‘superbia’ mentre chi non ha censo è più facile che sia ‘umile’.
E allora l’umile si salva meglio del ‘colto’, se pratica l’amore.
Ma dite un po’. Fra tanti dèi ‘falsi e bugiardi’, non vi sembra che un ‘Dio d’amore’ sia quello più credibile in assoluto?
Un Dio che invita ad amare il prossimo, che non invita a tagliar la testa a chi non si converte ma lo vuol conquistare con l’amore e che, anche se non lo ‘converte’, va a guardare nel suo cuore?
Potremmo infatti scegliere di essere musulmani o induisti ma Dio – che è Dio di tutti e non solo dei cristiani – guarderebbe dentro ai nostri cuori.
Indipendentemente dalla religione praticata, se Dio leggerà cose buone nei cuori, non sarà certo lui a stigmatizzarci, perché comunque avremmo scelto la strada dell’amore.
Solo se rifiutiamo aprioristicamente l’amore possiamo contestare a Dio l’essere un ‘Dio d’amore’.
E il ‘Dio dei cristiani’ non è completamente, totalmente. ‘Dio d’amore’?
Oggi non sono pochi quelli che da cristiani abbracciano altre religioni.
Non voglio entrare nel merito, e comunque la ricerca dell’Assoluto – se fatta in buona fede – è sempre da rispettare.
Ma se invece la scelta di un’altra religione fosse sotto-sotto dettata da ragioni di ‘comodità’, perché più confacente ai nostri interessi, magari perché meno severa nell’indicarci le strade del miglioramento dell’anima, più comoda per tante altre ragioni, più ‘simpatica’ perché ci consente di continuare a rimanere noi stessi e perché ci sembra più ‘comprensiva’ verso il nostro ‘sistema’ di vita, dandoci in più l’illusione di avere una ‘copertura’ ed una benedizione del Cielo, beh ..., io vi dico che l’induista vero o l’islamico in buona fede si salveranno, ma forse non ci salveremmo noi se avessimo fatto quella scelta per questi motivi.
Non di rado infatti, quei ‘cristiani’che contestano: ‘Ma chi ha mai detto che il Cristianesimo sia la religione ‘vera’?’, sono persone che però si guardano bene dall’abbracciare – in piena coerenza – le altre religioni.
E ciò perchè essi non sono ‘pecore’ neanche di quell’altro ovile, anzi non sono pecore di alcun Ovile.


10.3 Un Regno fondato sull’amore

Bene, Gesù ha ormai finito il suo discorso e, come sempre succede, il ‘pubblico’ del Vangelo di Giovanni si divide.
Qualcuno scuote la testa e ribadisce che quello vaneggia e fa discorsi da indemoniato. Qualche altro che quelli non sono discorsi da indemoniato perchè ‘un demonio non avrebbe potuto certo aprire quegli occhi a un cieco’.

E ora gustiamoci con calma questo episodio del Buon Pastore come lo vede la Valtorta:

 

518. A Gerusalemme, l'incontro con il cieco guarito e il discorso che rivela in Gesù il buon Pastore.


25 ottobre 1946.
Gesù, entrato in città dalla porta di Erode, sta attraversandola dirigendosi verso il Tiropeo e il borgo di Ofel.
«AI Tempio ci andiamo?» chiede l'Iscariota.
«Sì».
«Bada a ciò che fai!» ammoniscono in molti.
«Non mi fermerò che il tempo della preghiera».
«Ti tratterranno».
«No.  Entreremo dalle porte di settentrione e usciremo dalle porte di mezzogiorno, e non faranno a tempo ad organizzarsi per nuocermi.  A meno che ci sia sempre alle mie spalle uno che mi sorveglia e indica».
Nessuno ribatte e Gesù prosegue verso il Tempio che appare, in cima al suo colle, quasi spettrale nella luce verde gialla di un plumbeo mattino d'inverno, nel quale il sole sorgente è soltanto un ricordo che si ostina a tenersi presente cercando di aprirsi un varco nella nuvolaglia pesante.  Sforzo vano!  Lo splendere allegro dell'aurora non è ridotto che ad un riflesso smorto di un giallo irreale, non diffuso, ma a chiazze miste a toni di piombo venato di verde.  E sotto a questa luce i marmi e gli ori del Tempio appaiono smorti, tristi, direi lugubri come rovine emergenti da una zona di morte.
Gesù lo guarda intensamente nel salire verso la cinta.  E guarda i volti dei viandanti mattutini.  Per la più parte umile gente: ortolani, pastori con le bestiole da macello, servi o massaie diretti ai mercati.  Tutta gente che va via silenziosa, ravvolta nei mantelli, un poco curva per difendersi dall'aria vibrata del mattino.  Anche i volti sembrano più pallidi che non come sono solitamente i volti di questa razza. E’ la luce strana che li fa così verdastri o quasi perlacei nel contorno delle stoffe colorate dei manti, non certo atti nei loro verdi, viola vivo, giallo intenso, a gettare riflessi rosei sui volti.  Qualcuno saluta il Maestro, ma non si ferma.  Non è ora propizia.  Mendichi non ce ne sono ancora a gettare il loro lamentoso grido ai crocicchi e sotto i voltoni che coprono le vie ad ogni poco.  L'ora e la stagione contribuiscono alla libertà, per Gesù, di andare senza ostacoli.
Eccoli alla cinta.  Entrano.  Vanno nell'atrio degli Israeliti.  Pregano mentre un suono di trombe, direi di argento per il loro timbro, annuncia certo qualcosa di importante, spargendosi per il colle e mentre un profumo di incenso si sparge soavemente, soverchiando ogni altro odore meno piacevole che possa sentirsi in cima al Moria, ossia il perpetuo, direi naturale, odore di carne che viene sgozzata e consumata dal fuoco, di farina bruciata, di olio ardente che stagna sempre lassù, più o meno forte ma sempre presente per i continui olocausti.
Vengono via per altra direzione e cominciano ad essere notati dai primi accorrenti al Tempio, da appartenenti allo stesso, dai cambiavalute e venditori che stanno montando i loro banchi e i loro recinti.  Ma sono troppo pochi, e la sorpresa è tale che non sanno agire.  Fra loro si scambiano parole di stupore: «E’ tornato!», «Non è andato in Galilea come dicevano», «Ma dove era nascosto, se non fu trovato in nessun luogo?», «Vuole proprio sfidarli», «Che stolto!», «Che santo!», e così via, a seconda dell'animo dei singoli.
Gesù è già fuori dal Tempio e scende verso la strada che va verso Ofel, quando, all'incrocio con delle vie che salgono a Sion, si imbatte nel cieco nato, guarito da poco, che carico di ceste piene di mele odorose cammina tutto allegro, scherzando con altri giovani ugualmente carichi che vanno in senso opposto al suo.
Forse al giovane passerebbe inosservato l'incontro, dato che egli ignora il volto di Gesù e quello degli apostoli.  Ma Gesù non ignora il volto del miracolato.  E lo chiama.  Sidonia detto Bartolmai si volge e guarda interrogativamente l'uomo alto e maestoso, nonostante sia vestito umilmente, che lo chiama a nome dirigendosi ad una vietta.
     «Vieni qui» ordina Gesù.
Il giovane si avvicina senza posare il suo carico, sogguarda Gesù e, credendolo uno desideroso di acquistare le mele, dice: «Il mio padrone le ha già vendute.  Ma ne ha ancora, se vuoi.  Sono belle e buone.  Venute ieri dai pometi di Saron.  E se ne comperi molte ne hai un forte sconto, perché ... ».
Gesù sorride alzando la destra a porre freno alla parlantina del giovane.  E dice: «Non ti ho chiamato per acquistare le mele, ma per rallegrarmi con te e benedire con te l'Altissimo che ti ha usato grazia».
«Oh, sì!  Io lo faccio di continuo, e per la luce che vedo e per il lavoro che posso fare, aiutando mio padre e mia madre, finalmente.  Ho trovato un buon padrone.  Non è ebreo, ma è buono.  Gli ebrei non mi volevano per... perché sanno che sono stato cacciato dalla sinagoga» dice il giovane posando al suolo le ceste.
«Ti hanno cacciato?  Perché?  Che hai fatto?».
«lo niente.  Te lo assicuro.  Il Signore ha fatto.  Egli in sabato mi ha fatto trovare quell'uomo che si dice sia il Messia, ed Egli mi ha guarito, come Tu vedi.  E per questo mi hanno cacciato».
«Allora Colui che ti ha guarito non ti ha fatto in tutto un buon servizio» tenta Gesù.
«Non lo dire, uomo!  E una bestemmia la tua!  Prima di tutto mi ha mostrato che Dio mi ama, poi mi ha dato la vista... Tu non sai cosa è "vedere", perché hai sempre visto.  Ma uno che non aveva mai visto!  Oh!... E’... Sono tutte le cose insieme che si hanno con la vista.  Io ti dico che quando ho visto, là presso Siloe, ho riso e pianto, ma di gioia, eh?  Ho pianto come non avevo pianto nella sventura.  Perché ho capito allora quanto essa era grande e quanto buono era l'altissimo.  E poi posso guadagnarmi la vita, e con lavoro decoroso.  E poi... - questo è quello che più di tutto spero mi conceda il miracolo avuto - e poi spero poter incontrare l'uomo che si dice Messia e il suo discepolo che mi ha ... ».
«E che faresti allora?».
«Lo vorrei benedire.  Lui e il suo discepolo.  E vorrei dire al Maestro, che deve venire proprio da Dio, di prendermi per suo servo».
«Come?  Per causa sua sei all'anatema, con fatica trovi lavoro, puoi essere anche più punito, e vuoi servirlo?  Non sai che sono perseguitati tutti coloro che seguono Colui che ti ha guarito?».
«Eh! lo so!  Ma Egli è il Figlio di Dio, così si dice fra noi.  Per quanto quelli di lassù (e accenna al Tempio) non vogliono che si dica.  E non merita lasciare tutto per servire Lui?».
«Credi tu dunque nel Figlio di Dio e nella sua presenza in Palestina?».
«lo lo credo.  Ma vorrei conoscerlo per credere in Lui non solamente nell'intelletto ma con tutto me stesso.  Se Tu sai chi è e dove si trova, dimmelo, perché io vada a Lui e lo veda, e creda, completamente in Lui, e lo serva».
«Lo hai veduto già, né c'è bisogno che tu vada a Lui.  Quello che tu vedi in questo momento e che ti parla è il Figlio di Dio».
Io non potrei asserirlo con piena sicurezza, ma mi è parso, che nel dire queste parole Gesù abbia quasi avuto una brevissima trasfigurazione, divenendo bellissimo e direi splendente.  Direi che, per premiare l'umile credente in Lui e confermarlo nella sua fede, abbia, per la durata di un baleno svelato la sua bellezza futura, voglio dire quella che assumerà dopo la risurrezione e conserverà nel Cielo, la sua bellezza di creatura umana glorificata, di corpo glorificato e fuso all'inesprimibile bellezza della Perfezione che è sua.  Un attimo, dico.  Un baleno.  Ma l'angolo semioscuro, dove si sono ridotti per parlare, sotto l'archivolto del vicolo, si illumina stranamente di una luminosità che si sprigiona da Gesù che, ripeto, si fa bellissimo.
Poi torna tutto come prima, meno il giovane che ora è a terra, col viso nella polvere, e che adora dicendo: «lo credo, Signore, mio Dio!».
«Alzati. lo sono venuto nel mondo per portare la luce e la conoscenza di Dio e per provare gli uomini e giudicarli.  Questo mio tempo è tempo di scelta, di elezione e di selezione.  Io sono venuto perché i puri di cuore e d'intenzione, gli umili, i mansueti, gli amanti della giustizia, della misericordia, della pace, coloro che piangono e quelli che sanno dare alle diverse ricchezze il loro reale valore e preferire quelle spirituali alle ricchezze materiali, trovino ciò che il loro spirito anela, e quelli che erano ciechi, perché gli uomini hanno alzato muraglie spesse ad interdire la luce, ossia la conoscenza di Dio, vedano, e quelli che si credono veggenti divengano ciechi ... ».
«Allora Tu odii molta parte degli uomini e non sei buono come dici di essere.  Se lo fossi, cercheresti che tutti vedessero, e chi già vede non divenisse cieco» interrompono alcuni farisei, sopraggiunti dalla via principale e avvicinatisi con altri, cautamente, alle spalle del gruppo apostolico.
Gesù si volge e li guarda.  Non è certo più trasfigurato in dolce bellezza, ora! E’ un Gesù ben severo quello che fissa sui suoi persecutori i suoi sguardi di zaffíro, e la sua voce non ha più la nota d'oro della letizia, ma è bronzea, e come suono di bronzo è incisiva e severa mentre risponde: «Non sono Io quello che voglio che non vedano la verità coloro che al presente la combattono.  Ma sono essi stessi che alzano delle lastre davanti alle loro pupille per non vedere.  E si fanno ciechi di loro libera volontà.  E il Padre mi ha mandato perché la divisione avvenga e siano veramente noti i figli della Luce e quelli delle Tenebre, coloro che vogliono vedere e coloro che vogliono farsi ciechi».
«Siamo forse anche noi fra questi ciechi?».
«Se lo foste e cercaste di vedere, non ne avreste colpa.  Ma è perché dite: "Noi ci vediamo", e poi non volete vedere, che peccate.  Il vostro peccato rimane perché non cercate di vedere pur essendo dei ciechi».
«E cosa dobbiamo vedere?».
«La Via, la Verità, la Vita.  Un cieco nato, come era costui, col suo bastoncello può sempre trovare la porta della sua casa e girare in essa, perché conosce la sua casa.  Ma, se fosse portato in altri luoghi, non potrebbe entrare dalla porta della nuova casa, perché non saprebbe dove si trova e darebbe di cozzo contro le muraglie. Il tempo della nuova Legge è venuto.  Tutto si rinnova e un mondo nuovo, un nuovo popolo, un nuovo regno sorgono.  Ora quelli del tempo passato non conoscono tutto questo.  Essi conoscono il loro tempo.  Sono come dei ciechi portati in un nuovo paese dove è la casa regale del Padre, ma della quale non conoscono l'ubicazione.  Io sono venuto per condurli ed introdurli in essa e perché vedano.  Ma sono Io stesso la Porta per la quale si accede nella casa paterna, nel Regno di Dio, nella Luce, nella Via, nella Verità, nella Vita.  E sono anche Colui che è venuto a radunare il gregge rimasto senza guida e a condurlo in un unico ovile: in quello del Padre.  Io so la porta dell'Ovile, perché sono insieme Porta e Pastore.  E vi entro e vi esco come e quando voglio.  E vi entro liberamente, e dalla porta, perché sono il vero Pastore.
Quando uno viene a dare alle pecore di Dio altre indicazioni, o cerca traviarle portandole ad altre dimore e ad altre vie, non è il buon Pastore, ma è un pastore idolo.  E così, chi non entra dalla porta dell'ovile, ma cerca di entrarvi da un'altra parte scavalcando il recinto, non è il pastore ma un ladro e un assassino che vi entra con intento di rubare e di uccidere, perché gli agnelli predati non abbiano voce di lamento e non richiamino l'attenzione dei guardiani e del pastore.  Anche fra le pecore del gregge d'Israele cercano di insinuarsi dei falsi pastori per traviarle fuori dai pascoli, lontane dal Pastore vero.  E vi entrano disposti anche a strapparle dal gregge con la violenza, e all'occorrenza sono anche disposti ad ucciderle e colpirle in tante maniere, perché non parlino dicendo al Pastore le astuzie dei falsi pastori né gridino a Dio di proteggerle contro i loro avversari e gli avversari del Pastore.
Io sono il buon Pastore e le mie pecore mi conoscono, e mi conoscono coloro che sono in eterno i portinai del vero Ovile.  Essi hanno conosciuto Me e il mio Nome e lo hanno detto perché fosse noto ad Israele, e mi hanno descritto e preparato le mie vie, e quando la mia voce si è udita, ecco che l'ultimo di essi mi ha aperto la porta, dicendo al gregge in attesa del vero Pastore, al gregge stretto intorno al suo bastone: "Ecco!  Questo è Colui di cui ho detto che viene dietro di me.  Uno che mi precede perché esisteva prima di me ed io non lo conoscevo.  Ma per questo, perché siate pronti a riceverlo, sono venuto a battezzare con l'acqua, affinché fosse manifestato in Israele".  E le pecore buone hanno sentito la mia voce e, quando le ho chiamate per nome, esse sono accorse e le ho condotte meco, così come fa un vero pastore noto alle pecore che lo riconoscono alla voce e lo seguono dovunque egli vada.  E quando le ha fatte uscire tutte, cammina davanti ad esse, ed esse gli vanno dietro perché amano la voce del pastore.  Mentre non vanno dietro ad uno straniero, ma anzi fuggono lontano da lui perché non lo conoscono e lo temono.  Io pure cammino davanti alle mie pecore per segnare loro la via ed affrontare per primo i pericoli e segnalarli al gregge, che voglio condurre in salvo nel mio Regno».
«Che Israele non è più forse il regno di Dio?».
«Israele è il luogo da dove il popolo di Dio deve assurgere alla vera Gerusalemme e al Regno di Dio».
«E il Messia promesso, allora?  Quel Messia che Tu asserisci di essere, non deve dunque rendere trionfante Israele, glorioso, padrone del mondo, assoggettando al suo scettro tutti i popoli e vendicandosi, oh!, vendicandosi ferocemente di tutti coloro che lo hanno assoggettato da quando è popolo?  Non è vero nulla di questo, allora?  Tu neghi i profeti?  Tu dici stolti i rabbi nostri?  Tu ... ».
«Il Regno del Messia non è di questo mondo.  Esso è il Regno di Dio, fondato sull'amore.  Non altro è. E il Messia non è re di popoli e milizie, ma re di spiriti.  Dal popolo eletto verrà il Messia, dalla stirpe regale, e soprattutto da Dio che lo ha generato e mandato.  Dal popolo di Israele si è iniziata la fondazione del Regno di Dio, la promulgazione della Legge d'amore, l'annuncio della buona Novella della quale parla il profeta.  Ma il Messia sarà Re del mondo, Re dei re, e il suo Regno non avrà limite e confine, né nel tempo né nello spazio.  Aprite gli occhi ed accettate la verità».
«Non abbiamo capito niente del tuo farneticare.  Dici parole senza nesso.  Parla e rispondi senza parabole.  Sei o non sei il Messia?».
«E non avete ancora capito?  Vi ho detto che sono Porta e Pastore per questo.  Finora nessuno ha potuto entrare nel Regno di Dio perché esso era murato e senza uscite.  Ma ora lo sono venuto e la porta per entrare in esso è fatta».
«Oh!  Altri hanno detto di essere il Messia, e sono poi stati riconosciuti per dei ladroni e dei ribelli, e la giustizia umana ha punito la loro ribaldine.  Chi ci assicura che Tu non sei come essi? Siamo stanchi di soffrire e di far soffrire al popolo il rigore di Roma, in grazia di mentitori che si dicono re e fanno alzare il popolo a sommossa!».
«No.  Non è esatta la vostra frase.  Voi non volete soffrire, ciò è vero.  Ma che il popolo soffra non ve ne duole.  Tanto è vero che al rigore di chi ci domina unite il vostro rigore, opprimendo con le decime esose e molte altre cose il popolo minuto.  Chi vi assicura che Io non sia un malandrino?  Le mie azioni.  Non sarò Io quello che fa pesante la mano di Roma.  Ma anzi, se mai, Io la alleggerisco consigliando a dominatori e dominati pazienza e umanità.  Almeno queste».
Molta gente - perché ormai molta se ne è aggruppata e sempre cresce, tanto che ne è ingombro il traffico sulla via grande e perciò rifluiscono tutti nel vicoletto, sotto le volte del quale le voci rimbombano - approva dicendo: «Ben detto per le decime! E’ vero!  Egli consiglia a noi sommissione e ai romani pietà».
I farisei, come sempre, si inveleniscono per le approvazioni della folla e divengono ancor più mordenti nel tono con cui si rivolgono al Cristo. «Rispondi senza tante parole e dimostra che sei il Messia».
«In verità, in verità Io vi dico che lo sono. lo, Io soltanto sono la Porta dell'ovile dei Cieli.  Chi non passa da Me non può entrare.  E’ vero.  Ci sono stati altri falsi Messia, e altri ancora ce ne saranno.  Ma l'unico e vero Messia sono Io.  Quanti sin qui sono venuti, dicendosi tali, non lo erano, ma erano soltanto ladri e briganti.  E non solo quelli che si facevano chiamare Messia da pochi del loro stesso animo, ma anche altri ancora che, senza darsi quel nome, esigono però un'adorazione che neppure al vero Messia viene data.  Chi ha orecchie per intendere intenda. Però osservate.  Né ai falsi Messia né ai falsi pastori e maestri le pecore hanno dato ascolto, perché il loro spirito sentiva la falsità della loro voce che voleva mostrarsi dolce ed era crudele.  Soltanto dei caproni li hanno seguiti per essere loro compagni nelle ribalderie.  Caproni selvatici, indomiti, che non vogliono entrare nell'Ovile di Dio, sotto lo scettro del vero Re e Pastore. Perché questo, ora, si ha in Israele.  Che Colui che è il Re dei re diviene il Pastore del gregge, mentre un tempo colui che era pastore di greggi divenne re, e l'Uno e l'altro vengono da un'unica radice, da quella di Isai, come è detto nelle promesse e profezie.
I falsi pastori non hanno avuto parole sincere né atti di conforto.  Essi hanno disperso e torturato il gregge, o lo hanno abbandonato ai lupi, o lo hanno ucciso per trarne profitto vendendolo per assicurarsi la vita, o gli hanno sottratto i pascoli per fare di essi dimore di piacere e boschetti per gli idoli.  Sapete quali sono i lupi?  Sono le male passioni, i vizi che gli stessi falsi pastori hanno insegnato al gregge, praticandoli essi per primi.  E sapete quali sono i boschetti degli idoli?  Sono i propri egoismi davanti ai quali troppi bruciano incensi.  Le altre due cose non hanno bisogno di essere spiegate perché è fin troppo chiaro il sermone.  Ma che i falsi pastori così facciano è logico.
Non sono che ladri che vengono per rubare, uccidere e distruggere, per portare fuori dall'ovile in pascoli infidi, o condurre a falsi ovili che non sono che macelli.  Ma quelli che passano da Me sono al sicuro e potranno uscire per andare ai miei pascoli, o rientrare per venire ai miei riposi, e farsi robusti e pingui di succhi santi e sani.  Perché Io sono venuto per questo.  Perché il mio popolo, le mie pecorelle, sin qui magre e afflitte, abbiano la vita, e vita abbondante, e di pace e letizia.  E tanto voglio questo che sono venuto a dar la mia vita perché le mie pecore abbiano la Vita piena e abbondante dei figli di Dio.
Io sono il Pastore buono.  E un pastore quando è buono dà la vita per difendere il suo gregge dai lupi e dai ladroni, mentre il mercenario, che non ama le pecore ma il denaro che ricava dal condurle ai pascoli, non si preoccupa che di salvare se stesso e il gruzzolo che ha in seno e, quando vede venire il lupo o il ladrone, fugge, salvo poi tornare a prendere qualche pecora lasciata malviva dal lupo, o dispersa dal ladrone, e uccidere la prima per mangiarla, o vendere come sua la seconda, aumentando il gruzzolo e dicendo poi al padrone, con bugiarde lacrime, che neppure una delle pecore si è salvata.  Che importa al mercenario se il lupo azzanna e disperde le pecore, e il ladrone ne fa razzia per portarle al beccaio?  Ha forse vegliato su esse mentre crescevano, e faticato per farle robuste?  Ma colui che è padrone e sa quanto costi una pecora, quante ore di fatica, quante veglie, quanti sacrifici, le ama ed ha cura di esse che sono il suo bene.  Ma Io sono più che un padrone.  Io sono il Salvatore del mio gregge e so quanto mi costi anche la salvezza di un'anima sola, e perciò sono pronto a tutto pur di salvare un'anima.  Essa mi è stata affidata dal Padre mio.  Tutte le anime mi sono state affidate col comando che Io ne salvi un numero stragrande.  Quante più ne riuscirò a strappare alla morte dello spirito, e tanto più il Padre mio avrà gloria.  E perciò Io lotto per liberarle da tutti i loro nemici, ossia dal loro io, dal mondo, dalla carne, dal demonio, e dai miei avversari che me le contendono per darmi dolore.  Io faccio questo perché conosco il pensiero del Padre mio.  E il Padre mio mi ha mandato a fare questo perché conosce il mio amore per Lui e per le anime.  E anche le pecore del mio gregge conoscono Me e il mio amore, e sentono che Io sono pronto a dare la mia vita per dare ad esse la gioia.
E ho altre pecorelle.  Ma non sono di questo Ovile.  Perciò non mi conoscono per ciò che lo sono, e molte ignorano che Io sia e chi Io sia.  Pecorelle che a molti fra noi paiono peggio di capre selvagge e riputate indegne di conoscere la Verità e di avere la Vita e il Regno.  Eppure non è così.  Il Padre vuole anche queste, e perciò devo avvicinare anche queste, farmi conoscere, fare conoscere la buona Novella, condurle ai pascoli miei, radunarle.  Ed esse pure daranno ascolto alla mia voce perché finiranno ad amarla.  E si avrà un solo Ovile sotto un solo Pastore, e il Regno di Dio sarà composto sulla terra, pronto ad essere trasportato e accolto nei Cieli, sotto il mio scettro e il mio segno e il mio vero Nome.
Il mio vero Nome! E’ noto a Me soltanto!  Ma quando il numero degli eletti sarà completo, e fra inni di tripudio si assideranno alla grande cena di nozze dello Sposo con la Sposa, allora il mio Nome sarà conosciuto dai miei eletti che per fedeltà ad Esso si saranno santificati, pur senza conoscere tutta l'estensione e la profondità di ciò che è essere segnati dal mio Nome e premiati per il loro amore ad Esso, né quale sia il premio... Questo Io voglio dare alle mie pecore fedeli. Ciò che è la mia stessa gioia ... ».
Gesù gira uno sguardo lucido di un pianto estatico sui visi rivolti a Lui, e un sorriso gli tremula sul labbro, un sorriso talmente spiritualizzato nel volto spiritualizzato che un brivido scuote la folla, che intuisce il rapimento del Cristo in una visione beatifica e il suo desiderio d'amore di vederla compita.  Si riprende.  Chiude un istante gli occhi, celando il mistero che la sua mente vede e che l'occhio potrebbe troppo tradire, e riprende:
«Per questo mi ama il Padre, o mio popolo, o mio gregge!  Perché per te, per il tuo bene eterno lo do la vita.  Poi la riprenderò.  Ma prima la darò perché tu abbia la vita e il tuo Salvatore a vita di te stesso.  E la darò in modo che tu te ne pasca, mutandomi da Pastore in pascolo e fonte che daranno cibo e bevanda, non per quaranta anni come per gli ebrei nel deserto, ma per tutto il tempo di esilio per i deserti della terra.  Nessuno, in realtà, mi toglie la vita.  Né coloro che amandomi con tutti loro stessi meritano che Io la immoli per loro, né coloro che me la levano per odio smisurato e paura stolta.  Nessuno me la potrebbe levare se da Me Io non consentissi a darla e se il Padre non lo permettesse, presi ambedue da un delirio d'amore per l'Umanità colpevole.  Da Me stesso Io la dono.  E ho il potere di riprenderla quando voglio, non essendo conveniente che la Morte possa prevalere sulla Vita.  Perciò il Padre mi ha dato questo potere, ed anzi il Padre questo mi ha comandato di fare.  E per la mia vita, offerta e consumata, i popoli diverranno un unico popolo: il mio, il Popolo celeste dei figli di Dio, separandosi nei popoli le pecore dai caproni e seguendo le pecore il loro Pastore nel Regno della Vita eterna».
E Gesù, che ha fino allora parlato forte, si volge sottovoce a Sidonia detto Bartolmai, rimasto sempre davanti a Lui con il suo cestone di mele fragranti ai piedi, e gli dice: «Tu hai dimenticato tutto per Me.  Ora sarai certamente punito e perderai il posto.  Lo vedi?  Io ti porto sempre dolore.  Per Me hai perduto la sinagoga, e ora perderai il padrone ... ».
«E che me ne faccio di tutto ciò, se ho Te?  Tu solo hai valore per me.  E lascio tutto per seguirti, sol che Tu me lo concedi.  Lascia soltanto che porti queste frutta a chi le ha comperate e poi sono con Te».
«Andiamo insieme.  Poi andremo da tuo padre.  Perché tu hai un padre e devi onorarlo col chiedergli la sua benedizione».
«Sì, Signore.  Tutto ciò che vuoi.  Però insegnami molto perché io non so nulla, proprio nulla, neppur leggere e scrivere, perché ero cieco».
«Non preoccuparti di ciò.  La buona volontà ti farà scuola».
E si avvia per tornare sulla via principale, mentre la folla commenta, discute, litiga anche, incerta fra i diversi pareri che sono sempre i soliti: è Gesù di Nazaret un ossesso o un santo?  La folla, discorde, disputa mentre Gesù si allontana.