(Il Vangelo secondo Giovanni – La Sacra Bibbia – Cap. 7,31-36 – Ed. Paoline, 1968)
(M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Cap. 488 – Centro Ed. Valtortiano)

 

3. L’Uomo-Dio viveva con un piede nel tempo e con l’altro nell’eternità…
Roba da equilibristi!

 

Gv 7, 31-36:

Però molti del popolo credettero in lui e dicevano: « Il Cristo, quando verrà, farà forse più miracoli di quanti ne ha fatti lui? ».
I Farisei udirono che la folla bisbigliava di lui tali cose e i gran Sacerdoti e i Farisei mandarono delle guardie a prenderlo.
Disse allora Gesù: « Ancora per poco tempo sono con voi, poi vado a chi mi ha mandato. Voi mi cercherete e non mi troverete, e dove sono io voi non potete venire ».
Dicevano tra loro i giudei: « Dove andrà costui perché noi non lo possiamo trovare? Andrà forse ai dispersi fra i pagani, ad insegnare ai gentili? Che significa questo suo dire: ‘Voi mi cercherete e non mi troverete; e dove sono io voi non potete venire’? ».

 

 

3.1 Gesù la grammatica la conosceva bene…

Abbiamo visto dall’episodio precedente che il ‘clima’, intorno a Gesù, si stava ‘surriscaldando’. Egli aveva infatti chiaramente affermato la sua ‘divinità’ facendo scoppiare un tumulto con i suoi nemici che avevano cercato di aggredirlo e catturarlo, salvato però da Gamaliele perché – commenta Giovanni nel suo Vangelo – ‘non era ancora venuta la sua ora.’.
E allora Gesù – a Gamaliele che lo aveva invitato a spiegarsi meglio, a rispondere alle accuse di blasfemità e che intanto si era seduto, tavolette cerate alla mano per annotare come uno scolaro, lui sapiente com’era, quel che Gesù avrebbe detto – allora Gesù fa quel discorso di grandissima suggestività e sapienza, anche retorica e dialettica – sul quale poi noi abbiamo fatto il ‘test’.
Dopo quel discorso – racconta Giovanni – molti del popolo credettero in lui perché pur non avendolo capito bene – come dice la Valtorta – avrebbero barrato i due ‘sì’ delle caselle del test, come avete fatto voi.
Quelli del popolo dicevano quindi che egli doveva essere per forza il Cristo anche perché nessun altro ‘Cristo’ che fosse venuto dopo avrebbe potuto fare più miracoli di quanti ne aveva fatti Gesù.
Per inciso, in questo nostro commento, abbiamo preso in esame il vangelo di Giovanni che – per le ragioni che ho già spiegato – sorvola sui miracoli, premendo a Giovanni sottolineare quei momenti della predicazione e della vita di Gesù che mettevano in luce gli aspetti teologici e dottrinari.
Ma gli altri tre Vangeli di Matteo, Luca e Marco (dal greco chiamati ‘sinottici’ perché seguono tutti la stessa falsariga, ragion per cui non è detto che un giorno non potremo commentarli tutti insieme prendendo tre piccioni con una fava) sono pieni di miracoli che, se sono già stupefacenti nelle descrizioni dei tre evangelisti, lo diventano molto di più sotto la penna delle visioni di Maria Valtorta che, ormai lo avrete capito anche voi per via del ‘sommovimento’ del cuore, quelle visioni le ‘vedeva’ davvero e non potevano essere ‘letteratura’ e ‘fantasia’.
I gran Sacerdoti e i Farisei, dunque, avevano infiltrato le loro spie fra la gente e venivano messi al corrente di quel che di Gesù si diceva. Essi capivano quindi che il loro ‘potere’ e ‘prestigio’ veniva messo sempre più in discussione. E – non essendo del parere espresso da Giovanni nel brano precedente – essi decidono che l’ora di prenderlo e toglierlo di mezzo è proprio venuta.
E mandano spie a cercarlo fra i galilei ed i ‘simpatizzanti’, per sapere dov’era e trovare un momento buono (come in effetti sarebbe successo circa sei mesi dopo al Getsemani) per catturarlo senza che egli avesse il popolo intorno a sostenerlo.
La vita di Gesù deve aver a questo punto subito una svolta e quel viaggio in incognito, ‘quasi di nascosto’, che egli avrebbe voluto fare per la Festa dei Tabernacoli, si era trasformato in una clamorosa ingombrante presenza, tanto da farlo vivere, specie di notte, in una clandestinità.
Egli sapeva – perché il Dio  che era un tutt’uno con lui si manifestava anche all’Uomo - che se la sua ora non era ancora giunta sarebbe però presto arrivata, e non mancava allora di preparare i ‘suoi’ su questa evenienza: ‘Ancora per poco tempo sono con voi, poi vado a chi mi ha mandato. Voi mi cercherete e non mi troverete, e dove sono io voi non potete venire…’.
Avrete certamente notato che Egli, di sé, parla al tempo presente (sono, vado), mentre quando parla degli altri usa il  futuro (cercherete, troverete).
Non è che Gesù non conoscesse la grammatica…, anzi doveva padroneggiarla in maniera fantastica,  ma egli sapeva in anticipo che un giorno le sue parole e i suoi vangeli sarebbero stati passati al setaccio sovente anche da una critica ‘occhiuta’ e voleva far capire - anche a posteriori - che Egli quando parlava come Dio-Spirito – era fuori del Tempo.
I verbi passato e presente valgono per noi che viviamo nel Tempo, ma per un Gesù-Dio che vive nell’eternità di un eterno ‘presente’ non vi è che il ‘io vado’ e il ‘io sono’: ‘Io sono Colui che è!’.
Albert Einstein ha dimostrato la sua famosa ‘teoria’ scientifica sulla ‘relatività’ del tempo e dello spazio.
Dio, fuori del tempo, vede incessantemente scorrere dinanzi a Sé quelli che per l’Umanità sono i fatti passati, presenti e futuri cose se fossero, e ai suoi ‘occhi’ lo sono, un fatto ‘presente’.
Vi faccio un esempio alla buona?
Immaginate di vedere davanti a voi una ‘formichina’ che cammini sul piano di un tavolo percorrendo una lunga linea retta che va dal punto di partenza ‘A’ al punto di arrivo ‘B’, fine del tavolo.
La formica che è ‘piccola’ e non vede il punto di arrivo, laggiù in fondo al tavolo, va avanti senza sapere se e quali ostacoli incontrerà e cosa ci sarà alla fine, e forse non se lo chiede nemmeno.
Può darsi che con le sue ‘antennine’ capti qualcosa, ma non ne siamo sicuri, e con i suoi occhietti vede certamente poco al di là del suo naso.
E di ostacoli ne incontra, e ne supera anche, a volte aggirandoli, a volte arrampicandovicisi sopra.
Per la formica tutti questi sono ‘imprevisti’, o ‘destino fatale’, come la fine della passeggiata, alla fine del tavolo.
Ma per noi che guardiamo la formica lì davanti a noi nel nostro ‘presente’, e per Dio che guarda noi dal ‘suo’, è tutto prevedibile, anzi tutto previsto, e non perché vi sia un fato ineluttabile al quale non ci possiamo sottrarre, come la fine del tavolo, ma perché, da fuori, le cose si vedono meglio. O no?

 

3.2 E dopo tanti discorsi ‘impegnati’ di Gesù, , rilassiamoci ascoltando le chiacchere della gente…

Ma ora, poiché di discorsi di Gesù ne abbiamo sentiti già tre, in questi giorni della Festa dei Tabernacoli, perché non proviamo a rilassarci ed ascoltare i ‘discorsi’ della gente, così come ce li fa vedere e sentire la Valtorta?
Non sono solo ‘chiacchere’ ma anche uno ‘spaccato’ psicologico del clima nel quale Gesù aveva cominciato a muoversi negli  ultimi sei mesi di vita, vita sempre più pericolosa.
Altro che andar lì per farsi conoscere meglio dai potenti di Gerusalemme, come gli avevano proposto a Nazareth i suoi ‘fratelli’, termine questo che in aramaico stava per ‘parenti’.
 Leggendo questo brano-visione della Valtorta è come se anche noi cominciassimo ora a vivere quel clima, fatto di osanna da un lato e di odio dall’altro, che di lì a pochi mesi avrebbe portato alla cattura, condanna e crocifissione di Gesù:

 

488.  Al Tempio per la festa dei Tabernacoli.
Partenza segreta per Nobe dopo la preghiera.

5 settembre 1946.
Senza preoccuparsi affatto del malanimo altrui, Gesù torna al Tempio per la terza giornata.  Non deve però aver dormito in Gerusalemme, perché i suoi sandali mostrano di essere per bene impolverati.  Forse ha passato la notte sui colli che sono intorno alla città.  E con Lui devono essere stati i suoi fratelli Giacomo e Giuda insieme a Giuseppe (pastore) e a Salomon.  Si incontra con gli altri apostoli e discepoli presso la muraglia orientale del Tempio.
«Sono venuti, sai?  Tanto da noi, come dai discepoli più noti.  Bene è stato che Tu non ci fossi!».
«Dobbiamo sempre fare così».
«Sta bene.  Ma ne parleremo dopo.  Andiamo».
«Una gran turba ti ha e ci ha preceduti esaltando i tuoi miracoli.  Quanti si sono persuasi e credono in Te!  Avevano ragione i tuoi fratelli, in questo» dice Giovanni apostolo.
«Sono andati a cercarti persino da Annalia, sai?».
«E al palazzo di Giovanna.  Ma non hanno trovato altro che Cusa... e con un umore!  Li ha cacciati come cani, dicendo che in casa sua non vuole spie e che ne ha avuto basta di loro.  Ce lo ha detto Gionata, che è qui col padrone» dice Daniele (pastore).
«Sai?  Gli scribi volevano disperdere quelli che ti attendevano col persuaderli che Tu non sei il Cristo.  Ma essi hanno risposto: "Il Cristo non è? E chi volete allora che sia?  Potrà mai un altro uomo fare i miracoli che fa Lui?  Li hanno forse fatti gli altri che si dicevano il Cristo?  No, no.  Potranno sorgere cento e mille impostori, magari creati da voi, e che dicano di essere il Cristo.  Ma nessuno che possa venire farà mai più miracoli come quelli che Egli fa e tanti quanti Lui ne fa'.  E perché scribi e farisei sostenevano che li fai perché sei un Belzebù, essi hanno risposto: "Oh! allora voi ne dovreste fare di strepitosi, perché certo che sì che voi siete dei Belzebù rispetto al Santo"» racconta Pietro, e ride, e ridono tutti ricordando l'uscita della folla e lo scandalo degli scribi e farisei che se ne erano andati sdegnati.
Sono ormai dentro al Tempio e vengono subito circondati dalla folla ancor più numerosa che non fosse gli scorsi giorni.
«Pace a Te, Signore!  Pace!  Pace!» gridano gli israeliti.
«Salve, Maestro!» salutano i gentili.
«La pace e la luce vengano a voi» risponde Gesù con un unico saluto.
«Temevamo che ti avessero preso, o che non venissi per prudenza e per disgusto.  E ci saremmo sparsi a cercarti per ogni
luogo» dicono molti.
Gesù ha un pallido sorriso e domanda: «Allora non mi volete perdere?».
«E se ti perdiamo, Maestro, chi ci darà più le lezioni e le grazie che Tu ci dai?».
«Le mie lezioni resteranno in voi e ancor più le capirete quando Io me ne sarò andato...E per la mia assenza di fra mezzo agli uomini non cesseranno le grazie di scendere su coloro che pregheranno con fede».
«Oh!  Maestro!  Ma te ne vuoi proprio andare?  Di' dove vai e noi ti verremo dietro.  Abbiamo tanto bisogno di Te!».
«Il Maestro lo dice per sentire se lo amiamo.  Ma dove volete che vada il Rabbi d'Israele se non in Israele, qui?».
«In verità vi dico che ancora per poco tempo Io sono con voi e vado da quelli ai quali il Padre mi ha mandato.  Dopo mi cercherete e non mi troverete.  E dove lo sono voi non potrete venire. Ma ora lasciatemi andare.  Oggi Io non parlerò qui dentro. Ho dei poveri che mi attendono altrove e non possono venire perché molto ammalati.  Dopo la preghiera Io andrò da essi».
E con l'aiuto dei suoi discepoli si fa largo andando verso il cortile degli Israeliti.  Quelli che restano si guardano fra loro.
«Dove mai andrà?».
«Dal suo amico Lazzaro certo. E’ molto malato».
«Io dicevo: dove andrà, non oggi, ma quando ci lascerà per sempre.  Non avete sentito che ha detto che noi non potremo  trovarlo?».
«Forse andrà a radunare Israele, evangelizzando i dispersi di noi fra le nazioni.  La Diaspora spera come noi nel Messia».
«Oppure andrà a insegnare ai pagani per attirarli al suo Regno».
«No.  Non deve essere così.  Sempre potremmo trovarlo, anche fosse nell'Asia lontana, o nel centro dell'Africa, o in Roma, in Gallia, in Iberia, o in Tracia o fra i Sarmati.  Se Egli dice che non lo troveremmo anche cercandolo, segno è che non sarà in nessuno di questi luoghi».
«Ma già!  Che vorrà dire questo suo dire: 'mi cercherete e non mi troverete, e dove lo sono voi non potrete venire"?  Io sono... Non: Io sarò... Dove è dunque?  Non è qui fra noi?».
«lo te lo dico, Giuda!  Egli pare uomo, ma è uno spirito!».
«Ma no!  Fra i discepoli vi sono quelli che lo hanno visto neonato.  Anzi, più ancora!  Hanno visto la Madre gravida di Lui poche ore prima che nascesse».
«Ma sarà poi proprio quel fanciullino, ora divenuto uomo?  Chi ci assicura che non sia un altro essere?».
«Eh! no.  Egli potrebbe essere un altro e i pastori sbagliarsi.  Ma la Madre!  Ma i fratelli!  Ma tutto un paese!».
«I pastori hanno riconosciuto la Madre?».
«Certo che sì ... ».
«Allora... Ma perché allora dice: "Dove Io sono voi non potrete venire"?  Per noi c'è il futuro: potrete.  Per Lui resta il presente: sono.  Non ha dunque futuro questo Uomo?».
«Non so che ti dire. E’ così».
«Io ve lo dico. E’ un pazzo».
«Lo sarai tu, spia del Sinedrio».
«Io spia?  Io sono un giudeo che lo ammira.  E avete detto che va da Lazzaro?».
«Nulla abbiamo detto, vecchio spione.  Non sappiamo nulla.  E se sapessimo non te lo diremmo.  Va' a dire a chi ti manda che lo cerchino di loro.  Spia!  Spia!  Pagato! ... ».
L'uomo vede la mal parata e se la svigna.
«Ma noi stiamo qui!  Fossimo usciti, lo avremmo visto.  Corri di là!  Corri di qua!... Diteci che via ha preso.  Ditegli che non vada da Lazzaro».
Quelli di gambe leste galoppano via... E tornano...
«Non c'è più... Nella folla si è mescolato e nessuno sa dire ... ».
Delusa, la folla si scioglie lentamente...
... Ma Gesù è molto più vicino di quanto essi non credano.  Uscito da qualche porta, ha girato intorno all'Antonia ed è uscito dalla città per la porta del Gregge, scendendo nella valle del Cedron, che ha pochissima acqua al centro del letto.  Gesù lo passa saltando sulle pietre che emergono dall'acqua e si avvia per il monte degli Ulivi, che in quel punto sono folti e mescolati ancora ai macchioni che fanno tetra, direi funebre, questa parte di Gerusalemme, stretta fra le fosche muraglie del Tempio che domina da quel lato con tutto il suo monte, e il monte Uliveto dall'altro.  Più a sud la valle si schiarisce e si allarga, ma qui è proprio stretta, una unghiata di gigantesco artiglio che ha scavato un solco profondo fra i due monti Moria e Uliveto.
Gesù non va verso il Getsemani, anzi va tutto in senso opposto, verso nord, sempre camminando sul monte che poi si allarga in una valle selvaggia dove, più addossato ad un altro giro di colli bassi e pure selvaggi e sassosi, scorre il torrente che fa un arco al nord della città.  Agli ulivi subentrano là alberelli sterili, spinosi, contorti, scapigliati, mescolati a rovi che gettano i loro tentacoli da ogni lato.  Un luogo molto triste, molto solitario.  Ha qualche cosa di luogo infernale, apocalittico.  Qualche sepolcro, e nulla più.  Neppure dei lebbrosi.  Ed è strana questa solitudine contrastante con la folla della città, così vicina e così piena di gente e di rumore.  Qui, tolto il gorgoglio dell'acqua sui sassi e il fruscio del vento fra le piante nate fra le pietre, non si sente nessun rumore.  Manca persino la nota allegra degli uccelli, così numerosi fra gli ulivi del Getsemani e dell'Uliveto.  Il vento piuttosto forte che viene da nord-est, sollevando piccoli mulinelli di polvere, respinge il rumore della città, e il silenzio, un silenzio da luogo di morte, regna nel luogo, opprimente, quasi pauroso.
«Ma si va proprio per di qui?» chiede Pietro a Isacco.
«Sì, sì.  Ci si va anche da altre strade, uscendo dalla porta di Erode, e meglio da quella di Damasco.  Ma è bene che voi conosciate i sentieri meno noti.  Noi abbiamo girato tutti i dintorni per conoscerli e per insegnarveli.  Potrete andare così dove volete, nelle vicinanze, senza passare per le vie solite».
«E... c'è da fidarsi di quei di Nobe?» dice ancora Pietro.
«Come della tua casa stessa.  Tommaso lo scorso inverno, Nicodemo sempre, il sacerdote Giovanni suo discepolo e altri hanno fatto del piccolo paese un luogo suo».
«E tu hai fatto più di tutti» dice Beniamino (pastore).
«Oh! io!!  Allora tutti si è fatto, se io ho fatto.  Ma credi, Maestro, che ora tutto intorno alla città hai dei luoghi sicuri ... ».
«Anche Rama ... » dice Tommaso, che ci tiene alla sua città.
«Mio padre e mio cognato hanno pensato a Te con Nicodemo».
«Allora anche Emmaus» dice un uomo che non mi è nuovo, ma non so dire di preciso chi è, anche perché di Emmaus ne ho trovate più di una in Giudea, senza parlare di quel luogo presso Tarichea.
«E’ lontana per andare e venire come faccio ora.  Ma non mancherò di venirci qualche volta».
«E a casa mia» dice Salomon.
«Là certamente almeno una volta per salutare il vecchio».
«C'è anche Bétèr».
«E Betsur».
«Non andrò in casa delle discepole, ma quando sarà necessario le chiamerò a Me».
«Io ho un amico sincero presso En Rogel.  La sua casa ti è aperta.  E nessuno penserà, di quelli che ti odiano, che Tu sei così vicino a loro» dice Stefano.
«Il giardiniere dei giardini reali ti può ospitare. E’ tutt'uno con Mannaen, che gli ha ottenuto quel posto... e poi... Tu lo hai guarito un giorno ... ».
«Io?  Non lo conosco ... ».
«Era, a Pasqua, fra i poveri che Tu guaristi da Cusa.  Un colpo di falce sporca di letame gli faceva marcire una gamba, e il suo primo padrone lo aveva cacciato per questo.  Mendicava per i suoi figli.  E Tu lo hai guarito.  Mannaen lo ha poi messo ai Giardini, ottenendogli il posto in un momento buono dell'Antipa. Ora quell'uomo fa tutto ciò che Mannaen dice.  E per Te poi ... » dice Mattia (pastore).
«Non ho mai visto Mannaen con voi ... » dice Gesù fissando molto Mattia, che cambia colore e si turba.
«Vieni avanti con Me».  Il discepolo lo segue. «Parla!».
«Signore... Mannaen ha sbagliato... e soffre molto, e con lui Timoneo e qualche altro ancora.  Non hanno pace perché Tu ... ».
«Non crederanno che ho odio per loro ... ».
«Noooh!  Ma... Hanno paura delle tue parole e del tuo volto».
«Oh! che errore!  Proprio perché hanno sbagliato devono venire alla Medicina.  Sai dove sono?».
«Sì, Maestro».
«Allora va' da essi e di' loro che li aspetto a Nobe».
Mattia se ne va senza perdere tempo.
Il sentiero sul monte si alza di modo che è visibile tutta Gerusalemme vista da nord... Gesù con i suoi le volge le spalle, andando proprio in senso opposto alla città.

 

 

3.3. Mannaen: in comune col Tetrarca aveva avuto solo la balia…

Me ne rimango un poco a rimuginare su Mannaen.
Non capisco perché mai egli pensasse che Gesù dovesse avercela con lui. Infatti era un suo fedele discepolo, un pezzo grosso dell’entourage di Erode.
Di lui, vi è solo un brevissimo accenno negli Atti degli Apostoli (13,1) quando Luca evangelista – parlando della missione di Paolo e Barnaba - dice che ad Antiochia vi erano alcuni personaggi, che cita di nome, e fra questi ‘Manaèn, fratello di latte di Erode il tetrarca’.
Erode…, e all’improvviso mi viene ora in mente a cosa alludono i discepoli di Gesù in quest’ultimo brano della Valtorta.
Mannaen insieme a Cusa, marito di Giovanna di Cusa, era fra quei discepoli di Gesù che, come abbiamo visto alla fine del volume precedente, avevano ‘forzato’ l’amico Gesù a partecipare ad un convito segreto da essi organizzato al quale erano stati invitati un sacco di notabili: farisei, scribi, sacerdoti, erodiani che, convinti che Gesù fosse veramente il Messia, ma un Messia di spada, volevano indurlo ad accettare una incoronazione a re.
Essi gli avevano promesso il loro aiuto - contando su una certa sollevazione del popolo al seguito di Gesù - per spodestare la classe dirigente ed il potere politico di Erode, alleato dei romani, governare Israele e liberarsi dei Romani stessi, visto che i Profeti avevano detto che il Messia sarebbe divenuto il Re dei re.
Gesù, anzi l’Uomo-Dio, che conosceva in anticipo, per prescienza, le loro intenzioni, non avrebbe voluto farsi coinvolgere in un intrigo del genere .
Si trattava infatti di una iniziativa ordita dagli uomini ma in realtà tentazione di Satana il quale stava puntando a far ‘cadere’ umanamente l’uomo-Gesù – così come già successo con Adamo ed Eva - su un progetto di ambizione e potenza terrena per far fallire così il progetto di redenzione spirituale dell’Umanità.
Era un convito pericoloso anche perché fra i tanti vi erano alcuni infiltrati dei Sacerdoti del Tempio che avrebbero potuto sfruttare una eventuale adesione al progetto da parte di Gesù contro Gesù stesso, denunciandolo ad Erode ed ai romani.
Gesù aveva però deciso che era meglio partecipare lo stesso al convito proprio per chiarire al di là di ogni equivoco la sua posizione e per spiegare una volta per tutte a quella gente come doveva essere intesa in realtà la figura del Messia e di quale Regno egli sarebbe stato Re.
Mi pare di aver già spiegato bene, nel volume precedente, che nel Gesù-Uomo vi era contestualmente il Verbo-Dio, ma che il Verbo-Dio si mostrava e si faceva ‘sentire’ nel Gesù-Uomo quando il ‘Dio’ che era in lui lo avesse ritenuto utile ai fini della sua missione sulla Terra.
Ecco perché Gesù lo vediamo sovente comportarsi e dialogare come uomo ma talvolta predicare irresistibilmente o comportarsi come Dio, come nel potere di miracolo.
In quell’occasione del convito Gesù aveva fatto un discorso interessantissimo e potente, che ben fa capire cosa si aspettasse Israele dal Messia, e come mai la classe dirigente di allora – sensibile alle questioni di ‘potere’ – non avesse potuto accettare Gesù come il Messia, in quanto troppo diverso da quello che essa si attendeva secondo le sue secolari aspettative interiori.
E molti di quel gruppo segreto di ‘congiurati’, che allora si consideravano suoi ‘amici’, sia pur ‘interessati’, passarono ad odiarlo quando – respinti – videro crollare i loro sogni.
Ora che ci penso, dunque,  doveva esser proprio quello il ‘convito’ al quale Gamaliele aveva alluso, nel capitolo precedente, quando, aveva parlato a quattr’occhi con Gesù: ‘Maestro, Mi sono state riportate delle tue parole. Dette a un convito…che io ho disapprovato perché insincero. Io combatto o non combatto, ma sempre apertamente… Ho meditato quelle parole. Le ho confrontate a quelle del mio ricordo… E ti ho atteso, qui, per interrogarti su esse…E prima ho voluto sentirti parlare…Essi non hanno capito. Io spero di poter capire. Ho scritto le tue parole mentre le dicevi. Per meditarle. E non per nuocerti. Mi credi?…’

Le parole a cui allude Gamaliele erano quelle che gli avevan riferito esser state dette da Gesù nel convito, relative alla natura divina del Messia e del suo Regno spirituale e soprannaturale, e che in altra maniera erano ora risuonate nel discorso di poco prima, quando Gesù aveva spiegato che  nemmeno  un Angelo ma solo un Dio, incarnato in un uomo, poteva ‘redimere gli uomini, portarli al Regno, vincere il demonio, infrangere la schiavitù…’.
Erano infine gli stessi concetti espressi in altra forma da quel  giovinetto dodicenne che Gamaliele aveva conosciuto vent’anni prima, quando egli -  istintivamente, anche per come parlava quel fanciullo – aveva ‘sentito’ che quello doveva essere il futuro Messia, fanciullo di allora che però – nonostante la sapienza e i miracoli di Gesù - egli non era più sicuro di riconoscere in quell’uomo fatto che ora  Gamaliele si trovava davanti,
Anche Gamaliele, che era un ‘giusto’, si sarebbe atteso infatti un Messia di guerra!
E Mannaen – concludendo ora - non aveva più il coraggio, come spiegano i discepoli a Gesù nella visione valtortiana,  di presentarsi di fronte a lui perché dopo quel convito famoso doveva aver capito di averla fatta grossa, grossa non tanto perché avesse ‘tramato’ contro Erode Antipa (con il quale del resto aveva solo condiviso il latte della balia) quanto perché Erode  attraverso gli infiltrati del Tempio avrebbe potuto venire a sapere del convito segreto e del tentativo di incoronazione.
Mannaen aveva capito che si era lasciato ‘strumentalizzare’ dai finti ‘golpisti’ esponendo Gesù ad un gravissimo rischio visto che  quell’Erode Tetrarca altri non era che il degno figlio di quell’altro Erode il Grande, quello della famosa strage degli innocenti, trent’anni prima.
Insomma gli Erode erano gente che non amava la ‘concorrenza’.