(Il Vangelo secondo Giovanni – La Sacra Bibbia – Cap. 7, 25-36 – Ed. Paoline, 1968)
(M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Cap. 487 – Centro Ed. Valtortiano)
(G.L.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 11 – Edizioni Segno)

2. Chi deve essere il Cristo? Un angelo? Più di un angelo! Un uomo? Più di un uomo! Un Dio? Sì, un Dio!
Ma con unita una Carne, perchè possa compiere l’espiazione della carne colpevole

 

Gv 7, 25-36:

Dicevano allora alcuni abitanti di Gerusalemme: « Non è lui che cercano per farlo morire? Ecco, parla liberamente e non gli dicono nulla. I Capi hanno forse riconosciuto davvero che egli è il Cristo? Ma costui noi sappiamo di dov’è, invece il Cristo, quando verrà, nessuno saprà di dove sia ».
Allora Gesù, che insegnava nel Tempio, disse ad alta voce: « Voi mi conoscete e sapete di dove sono: eppure non sono venuto da me; ma c’è veramente uno che mi ha mandato, che voi non conoscete. Io lo conosco, perchè vengo da lui ed è lui che mi ha mandato.
Cercarono perciò di prenderlo, ma nessuno gli mise le mani addosso, perchè non era ancora venuta la sua ora.


2.1 Nell’immaginario collettivo di Israele, il Re dei re avrebbe dovuto avere  un’origine misteriosa. Ma quello?

Siamo sempre, anzi, siamo nuovamente al Tempio, in uno dei giorni della festa dei Tabernacoli.
Gesù parla, anzi sta per parlare, e la gente bisbiglia, si interroga. Vi deve essere – come al solito quando parla Gesù – una gran folla: apostoli, discepoli, incerti, pagani, ma anche non pochi malevoli.
La gente – che sapeva quanto si stesse tramando alle spalle di Gesù , e Gesù stesso lo aveva del resto precedentemente affermato a chiare lettere quando aveva accusato i denigratori di volerlo uccidere -  vede che Gesù accede ora al Tempio liberamente per pregare e predicare, e viene presa dal  dubbio che – magari dopo le sue affermazioni precedenti – i ‘Capi’ abbiano finito per riconoscerlo come il Cristo, l’Unto, il Messia.
E allora ritorna il dubbio di sempre: può mai un uomo in carne ed ossa essere il famoso Cristo, quello di cui han tanto parlato i Profeti, tanto agognato nei secoli dall’intero popolo di Israele?
Nell’immaginario collettivo – come si usa dire oggi – questa figura mitica del Cristo avrebbe dovuto rivelarsi con apparenze straordinarie, tali da imporsi con tutta evidenza, tali da abbagliare chiunque: il Re dei re avrebbe dovuto avere quindi un’origine misteriosa. Ma quello?
Quello lo sapevano tutti da dove veniva e di chi era figlio. Era un falegname. Lo avevano ben detto gli stessi nazareni che erano i primi a non capacitarsi di come egli potesse affermare questa sua identità messianica.
Gesù deve aver sentito le loro parole, o le ha intuite o, più semplicemente, avendo il dono della introspezione perfetta, le deve aver lette nei loro cuori, fatto sta che ritiene giunto il momento di affermare perentoriamente non solo la sua messianicità ma addirittura la sua origine divina.
Stiamo attenti – e lo abbiamo visto nel volume precedente – perché vi è un graduale crescendo della ‘manifestazione’ di Gesù.
Egli – raggiunta l’età matura e, come uomo, preparatosi spiritualmente nel deserto all’inizio della sua missione – riceve una solenne investitura ufficiale, al guado del Giordano all’atto del battesimo da parte del Battista, con la ‘Voce’ di Dio che si sente tuonare nel cielo per affermare la sua divinità e figliolanza.
Poi, l’inizio della missione un po’ in sordina – si fa per dire – con il miracolo di Cana e tanti infermi guariti. Ma potere di miracolo non significa essere necessariamente figli di Dio, vari profeti e anche i nostri ‘santi’ hanno fatto miracoli e non sono ‘figli’ di Dio.
Gesù faceva capire e non capire. Ai suoi stessi apostoli aveva domandato cosa dicesse la gente di lui, chiedendolo poi anche a Pietro, il quale aveva affermato la sua fede nella sua natura di Figlio di Dio.
Ma Pietro era appunto un apostolo, per di più illuminato in quel momento da Dio Padre. E comunque, come racconta Matteo, Gesù pregava i suoi discepoli di non dire ancora ad alcuno che egli era il Cristo, cioè il Messia.
Poi – quando stanno per maturare i tempi secondo quanto previsto nel disegno divino – Gesù comincia ad affermare sempre più chiaramente la sua messianicità, prima, e la sua natura divina, poi.
E’ un crescendo, ed è quello che fornirà alla fine il pretesto per portarlo alla croce.
Ed ecco che in questo brano del Vangelo di Giovanni – ma siamo ormai in pieno nel terzo anno di vita pubblica, alla Festa dei Tabernacoli che si teneva alla fine dei raccolti in autunno, e quindi pochi mesi prima della successiva Pasqua di Passione che sarebbe stata celebrata nel plenilunio di nisam (marzo-aprile) – Gesù coglie l’occasione offerta dagli interrogativi che la gente si pone circa la sua identità e afferma perentoriamente e soprattutto pubblicamente la sua natura divina: ‘Voi mi conoscete e sapete di dove sono: eppure non sono venuto da Me; ma c’è veramente Uno che mi ha mandato, che voi non conoscete. Io lo conosco, perché vengo da Lui, ed è lui che mi ha mandato’.
In queste parole c’è tutto il mistero della Incarnazione che – per noi uomini d’oggi – sembra tanto difficile da comprendere, ma non lo è.
Basta riflettere, riflettere sulla grandezza dell’Universo, composto da miliardi di galassie a loro volta composte da centinaia di miliardi di stelle e pianeti, retto da leggi e da forze di origine misteriosa.
Un universo che – come ha accertato la Fisica moderna, e in particolare l’Astrofisica, e come raccontano nei loro libri cosmologi famosi  e premi Nobel come Stephen W. Hawking e Steve Weinberg  – è originato da una ‘esplosione’, una liberazione immane di Energia che ha dato origine al Big-Bang.
Un universo esploso dal nulla, condensato inizialmente in un punto infinitesimale - con un calore di centinaia di miliardi di gradi nel primo centesimo di secondo dal momento ‘zero’ - dando quindi vita ad un ‘brodo primordiale’  costituito da quelle che la fisica moderna chiama ‘particelle elementari’: elettroni, positoni, neutroni, e tanti fotoni  e cioè ‘luce’, particelle quest’ultime di massa zero che viaggiano alla velocità della luce: 299.792 chilometri al secondo, il tutto per dare vita a quella materia che – ordinandosi – avrebbe dato origine al pianeta Terra nel quale – al momento opportuno – sarebbe apparso l’uomo.
Un universo così immenso ma che al momento del Big-Bang, come scrive Steve Weinberg (‘I primi tre minuti, l’affascinante storia dell’universo’, Mondadori), si pensa avesse dimensioni ‘zero’.
Il fisico Ivan Bogdanov diceva (in ‘Dio e la Scienza’ di Jean Guitton, Bompiani Editore) che un quarantatremiliardesimo di secondo dopo il Big-Bang è chiamato dai fisici il ‘tempo’ o ‘era di Planck, il famoso scienziato che nei primi anni del nostro secolo aveva intuito la realtà dei ‘quanti’, intuizione dalla quale sarebbero partiti gli studi successivi che avrebbero dato vita alle scoperte sensazionali della ‘meccanica quantistica’ che hanno rivoluzionato il vecchio modo di concepire la materia e lo stesso universo.
Aggiungeva l’altro fisico Igor Bogdanov che a questa età incredibilmente piccola (cioè 10 a-43 secondi, vale a dire un quarantatremiliardesimo di secondo dopo il Big-Bang) ‘l’intero universo , con tutto quello che avrebbe contenuto più tardi, le galassie, i pianeti, la terra con i suoi alberi, i suoi fiori…, tutto questo era contenuto in una sfera di piccolezza inimmaginabile: 10 a-33 centimetri, ossia alcuni miliardi di miliardi di volte più piccolo del nucleo di un atomo…’.

2.2 Quindici miliardi di anni...! Però...,  Dio - per essere un Dio - ne ha impiegato di tempo per formare l’universo

Ecco - di fronte a questo, e chi lo afferma è la Scienza moderna – io dico che per me l’Incarnazione non è più un mistero, ma la cosa più ovvia.
Cosa avrebbe potuto impedire ad un Dio-Spirito -
 che ha creato l’universo dal nulla, dando origine alla materia, anche se avrebbe impiegato quindici miliardi di anni - di fecondare l’ovulo di una vergine, dando origine ad una vita, quella dell’Uomo-Dio?
A questo proposito, cioè i quindici miliardi di anni che sarebbero occorsi per dar vita all’universo attuale, e a proposito dell’incarnazione del Figlio, mandato sulla terra da Dio Padre, ricordo una spiegazione che la mia ‘Luce’ mi aveva dato mentre scrivevo un capitolo del mio ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ :

 

11. Dio aveva tutto il tempo che voleva per formare l'universo.

Tutta questa storia della nascita dell'universo, del Big Bang,  mi dico che definirla 'sconvolgente' è un termine ancora 'umano' che non dà l'idea della 'cosa' apocalittica che deve essere successa.
Ma un'altra cosa che mi lascia stupefatto è anche la 'genialità' dell' uomo che, con tante piccole e grandi scoperte fatte una dopo l'altra da centinaia, migliaia di scienziati, decine di migliaia di tecnici,è riuscita ad arrivare indietro nel tempo quasi fino al momento 'zero'. La tecnologia svolge certo un ruolo fondamentale. Leggo ad esempio che per registrare le collisioni fra particelle sub-atomiche vengono utilizzati dei grandi 'rivelatori' all''interno del LEP (Large Electron Positron Collider) una struttura che - situata in un tunnel lungo 27 chilometri, largo  4 metri circa, a circa 100 metri di profondità, non lontano da Ginevra - 'vede'  al proprio interno elettroni e positroni che con macchinari potentissimi vengono fatti 'girare' nel tunnel a velocità vicine a quella della luce. Le particelle che passano vengono 'fotografate' da enormi computers che 'registrano' le collisioni fra particelle ed elaborano le informazioni - per stabilire se quello che hanno 'visto' è 'interessante' o meno - in alcune centinaia di milionesimi di secondo! I 'rivelatori', cioè gli 'occhi' del LEP, sono 'macchine' elettroniche grandi come case, dei veri e propri microscopi giganti per scoprire e studiare l'infinitamente piccolo.
E' ben con questa tecnologia - mi dico - che la scienza è riuscita a ripercorrere nel tempo il cammino inverso della fuga delle galassie per risalire al momento 'zero', o meglio a quel quarantatremiliar- desimo di secondo 'dopo' il momento zero, il famoso 'muro' di Planck, 15 miliardi di anni fa...
'Però - mi dico - quindici miliardi di anni! Ne ha impiegato di tempo, Dio, a formare l' universo!...'
Mi dico anche che mentre mi sembra coerente con la 'immagine' che mi faccio della 'potenza' di Dio il fatto che tutti quegli enormi cambiamenti siano avvenuti nei primi miliardesimi di secondo, non mi sembra da 'Dio' aver dovuto impiegare quindici miliardi di anni, dopo il Big Bang iniziale, per completare l'universo e anche la Terra nella sua forma attuale...

Luce:
Dio aveva tutto il tempo che voleva per formare l'universo.
Perchè Dio è Eterno Presente ed il tempo per lui non ha senso.
Dio non doveva soggiacere alla legge del tempo, alla quale soggiace  l'uomo...
Dio non aveva bisogno ( e quindi questo non era un suo limite ) di 'aspettare' miliardi di anni perchè l'universo fosse ben formato ed atto a ricevere l'uomo, perchè Dio è, Dio è, Dio è sempre stato e sempre sarà in un Eterno Presente.
Dio è 'ordine' e, nel suo ordine, ha stabilito le leggi che governano materia e vita. E, creata la vita - da quella materiale ( perchè anche quest' ultima, come hai letto, ha una sua forma impropria di vita che Io chiamerei, perchè tu intenda, una 'legge' ) a quella vegetale -  ha poi creato il mondo animale perchè - nella scala degli stati ascendenti di sviluppo della materia ( perchè tutto è materia ove si escluda lo spirito che Io vi ho dato ) - si creasse il terreno propizio, voi lo chiamate 'habitat', per la sopravvivenza dell'uomo.
Dal punto di visto umano l'atto creativo non viene necessariamente inteso come creazione 'istantanea', nel senso che il rapporto di causalità ed il concetto di tempo lo fanno apparire come una serie di evoluzioni successive. Ma dal punto di vista divino, dove il tempo non è perchè vi è un eterno presente, anche la creazione per fasi successive è 'istantanea' perchè riprodotta nel 'presente' di Dio.
Ma l'uomo, o meglio l'essere animale, fu creato perfetto nel suo modo d'essere. Ogni essere animale era quello che era, come pure ogni specie vegetale.  L'unica evoluzione fu quella dovuta alle necessità di quello che in termini generali si può chiamare 'ambiente'. Il lombrico era 'lombrico' milioni di anni fa, come lo è ora. L'uomo era 'uomo' quando è stato creato come lo è ora.
Anzi non più uomo, ora, ma Satana.
Creato perfetto, esso è decaduto, come Lucifero.
L'uomo primo non uomo era ma spirito rivestito di carne , spirito intelligente rivestito di carne che, grazie al cervello, era pure intelligente. L'uomo attuale è carne intelligente che ospita uno spirito morto che attende  d'essere miracolosamente resuscitato come Lazzaro.
'Vieni fuori', dico Io sempre ai miei figli 'spiriti' che sono nel sepolcro della carne da quando il Peccato ha trasformato la carne spiritualizzata  in carne animalizzata e quindi in materia corruttibile...
Ma il figlio non ode il richiamo del Padre...
Il figlio volge la testa verso la lusinga dell'altro 'padre', quello che lo chiama dall'inferno del sepolcro: la carne, per continuare a farlo vivere verminosamente nella carne morta che farà poi anche imputridire lo spirito 'sordo' , fino a farlo precipitare nelle sentine dell'Inferno.
Ecco, figlio, a quale sorte si sono votati i figli miei.
Non devo Io piangere? Non deve piangere un Padre del suo dolore spirituale che solo la vostra materialità riesce a intendere come 'materiale', cioè umano ?
Molto di più è il dolore dello spirito, come la gioia.
Ed è per il dolore e la gioia che vi ho mandato il Figlio, il fratello che è anche il Padre, nell' unità con lo Spirito Santo.

***

2.3 Adamo ed Eva, pur condannati, avevano beneficiato delle ‘attenuanti’...

Dunque, mi dico ritornando al discorso iniziale del Vangelo di Giovanni, anzi ritornando a quelle parole di Gesù: ‘…eppure non sono venuto da Me; ma c’è veramente Uno che mi ha mandato, che voi non conoscete. Io lo conosco, perché vengo da Lui ed è Lui che mi ha mandato…’, mi dico che in queste parole vi è come il ‘Big-Bang’ del Progetto divino sull’uomo.
Dio crea infatti all’inizio una razza umanamente perfetta, una razza inferiore solo agli angeli, che erano ‘spiriti’ finissimi, ma più ‘completa’ degli angeli perché fatta anche di carne per apprezzare e godere le bellezze del mondo naturale e diventare ‘spirito’ dopo la vita terrena passando dalla vita materiale ad una specie di sonno spirituale con un corpo smaterializzato e … ‘glorificato’.
Un angelo decaduto, decaduto perché ‘libero’, decaduto per aver voluto sfidare Dio in un atto di Superbia, tenta ‘telepaticamente’ – egli spirito intelligentissimo – Eva, intelligente meno dell’angelo ma anche lei libera.
Anche per Eva la ‘tentazione’ è quella di divenire potentemente ‘creatrice’ come Dio, mangiando il simbolico frutto dell’Albero della Scienza del Bene e del Male , e l’atto di superbia, un vero e proprio tradimento nei confronti di Dio che tutto aveva dato all’uomo, viene punito con la perdita dell’amicizia e dei doni soprannaturali che il Dio del Big-Bang aveva dato all’uomo.
La donna perde i doni, doni spirituali, e si ritrova ‘animale’, e nella animalità risvegliata da Satana  scopre il ‘potere creativo’ nella sessualità, che era l’amore degenerato e deturpato voluto da Satana in spregio a Dio che ci avrebbe voluto ‘spirituali’ anche nella carne. Ed Eva ‘convince’ Adamo.
Essi, che erano perfetti e tutto avevano, ora peccano, non tanto sessualmente, quanto nella superbia: ed è la cacciata dal Paradiso, cioè da un Eden naturale dove tutto avevano senza fatica in un clima ed in un ambiente che migliore non poteva essere.
Non è fiaba, non è fantasia: non più del Big-Bang dell’universo della Fisica moderna, ma è realtà: raccontata dalla Genesi in forma ‘poetica’.
Salta l’equilibrio perfetto della originaria psiche-perfetta, prevale l’io, lo spirito dell’anima viene ‘sottomesso’, prevalgono l’egoismo e tutti gli altri ‘sentimenti’ materiali, come l’invidia e l’odio, la psiche degenera, il fisico degenera, vengono le malattie, la morte, il dolore: tutto quello che abbiamo ora.
Un uomo così – lontano da Dio – non meritava, non poteva più rimanere nel Paradiso, cioè in quella terra dal clima e dall’ambiente particolare.
Ma Dio ha pietà dell’uomo: è vero che l’uomo ha sbagliato, ma ha sbagliato perché ingannato da uno spirito enormemente più intelligente di lui.
E’ come se l’uomo fosse stato un bimbo innocente circuito in qualche modo da un adulto.
L’uomo – anche se circuito - non era senza colpa, perché - anche se era un uomo spiritualmente ‘innocente’ - non era ‘stupido’, ed aveva accettato la ‘tentazione’ sapendo quello che stava per fare, e lo aveva fatto di propria volontà, liberamente.
Di fronte alla intelligenza diabolica di un Lucifero – aveva però delle attenuanti.
La ‘legge della prova’ è una delle leggi che ‘governano’ il mondo spirituale: il concetto è grosso modo che tutti i grandi doni vanno meritati.
E anche le creature angeliche, prima ancora degli uomini, erano state sottoposte a prova.
Ho letto che i primi Padri della Chiesa delle origini del Cristianesimo, quindi i più vicini alle tradizioni orali degli apostoli, dissero che Lucifero – prima ancora della creazione dell’uomo – non aveva condiviso il progetto di Dio sulla creazione dell’uomo,
Quell’essere materiale – per lui puro spirito - era da lui giudicato una creatura inferiore.
Dicono i ‘mistici’ che Lucifero, una sorta di ‘luogotenente’ di Dio, non condivise il progetto di Dio di salvare l’uomo (che sarebbe stato peccatore proprio a causa di Lucifero anche se Lucifero al momento della ‘prova’ non sapeva che egli sarebbe stato responsabile della sua caduta) attraverso l’incarnazione del Verbo in un uomo, che sarebbe stato crocifisso, sarebbe risorto come Uomo-Dio  con un corpo glorificato e come tale avrebbe dovuto essere adorato in Cielo da tutti gli angeli e quindi anche da Lucifero stesso.
Con questi mistici o ci si fida o non ci si fida, fatto sta che Lucifero si ribellò al progetto divino e mentre la ribellione di Lucifero, angelo smisuratamente potente e intelligente meritò l’inferno, un inferno senza perdono perché tra l’altro, nella superbia divenuta odio si guardò bene dal pentirsi, l’uomo-vittima di Lucifero – nella compassione di Dio – ebbe concessa una opportunità di salvezza, di redenzione appunto, a condizione che, di proprio, ci avesse poi messo almeno un poco di buona volontà.
Quale opportunità di salvezza per una Umanità erede del Peccato d’Origine ma che a quel peccato aveva aggiunto una valanga mostruosa di colpe individuali?
Quella del Sacrificio di un Dio, il Verbo, che si sarebbe fatto appunto uomo per riscattare l’uomo di fronte al Padre, come aveva prospettato Dio a Lucifero senza che quest’ultimo – intelligentissimo, ma niente a che vedere con Dio – sapesse che egli sarebbe stato parte attiva di quel progetto, dove anche il Male, alla fin fine, può servire la Causa del Bene, come vedremo andando avanti in questo nostro commento del Vangelo di Giovanni.
E  - dopo quel grande miracolo del Big-Bang, miracolo che  alzando gli occhi al cielo in una notte stellata tutti indistintamente possiamo ogni sera ammirare - ecco ora un ben piccolo miracolo: fecondare una vergine, con il Verbo di Dio che grazie allo Spirito Santo vi si incarna, per dare vita all’Uomo-Dio,  uomo perchè figlio dell’uomo per parte carnale materna e Dio perchè Figlio di Dio per la parte divina, per far di nuovo conoscere all’uomo le sue origini e per insegnargli la strada della spiritualizzazione, dell’amore, della salvezza.
Dov’è il mistero, dunque?
Anche se Gesù - nei primi tempi della sua predicazione quando non affermava ancora perentoriamente la sua origine divina come ad esempio in questo brano del Vangelo - quanto al voler essere ‘misterioso’ non scherzava quando diceva: ‘Voi mi conoscete e sapete di dove sono: eppure io non sono venuto da me, ma c’è veramente uno che mi ha mandato, che voi non conoscete. Io lo conosco, perché vengo da lui ed è lui che mi ha mandato’.


2.4 Vi pare impossibile che un ‘uomo’ possa essere il Messia. Almeno pensate che avesse ad essere un angelo...

E allora andiamo a vedere cosa ha visto la Valtorta:

487.  Al Tempio per la festa dei Tabernacoli. Discorso sulla natura del Cristo.

4 settembre 1946.
Il Tempio è ancor più affollato del giorno avanti.  E nella folla che empie e si agita nel primo cortile vedo molti gentili, molti più di ieri.  Sono tutti in viva attesa, tanto gli israeliti come i gentili.  E parlano, gentili con gentili, ebrei con ebrei fra di loro, a capannelli sparsi qua e là, senza perdere d'occhio le porte.
I dottori, sotto i portici, si affannano ad alzare la voce per attirare e fare sfoggio di eloquenza.  Ma la gente è distratta ed essi predicano a pochi allievi.
Gamaliele c'è. Al suo posto. Ma non parla. Passeggia avanti e indietro sul suo sontuoso tappeto, con le braccia conserte, il capo chino, meditando, e la lunga veste, l'ancor più lungo mantello, che ha disciolto e che pende trattenuto da due rosoni d'argento alle spalle, gli fanno dietro uno strascico che egli respinge col piede quando torna sui suoi passi. I suoi discepoli, i più fedeli, addossati al muro, lo guardano in silenzio, intimoriti, e rispettano la meditazione del loro maestro.
Dei farisei, dei sacerdoti, mostrano di avere un gran da fare, e vanno e vengono...
La gente, che capisce le loro vere intenzioni, se li addita e qualche commento parte come un razzo bruciante a bruciare la loro ipocrisia.  Ma essi fingono di non sentire. Sono pochi rispetto ai molti che non odiano Gesù e che invece odiano loro, e trovano perciò prudente non reagire.
«Eccolo!  Eccolo!  Viene dalla Porta Dorata, oggi!».
«Corriamo!».
«lo resto qua.  Verrà qua a parlare.  Non perdo il posto».
«Neppure io, anzi quelli che se ne vanno fanno posto a noi che restiamo».
«Ma lo lasceranno parlare?».
«Se lo hanno lasciato entrare! ... ».
«Sì, ma è un'altra cosa.  Come figlio della Legge non possono impedirgli di entrare.  Ma come rabbi possono cacciarlo se vogliono».
«Quante differenze!  Se lo lasciano andare a parlare al Dio, perché non lo devono lasciar parlare a degli uomini?» (questo è un gentile che parla).
«E’ vero» dice un altro gentile. «Noi perché siamo impuri non ci lasciate andare là, ma qui si, sperando che si diventi circoncisi ... ».
«Taci, Quinto.  E’ per questo che lo lasciano parlare a noi.  Sperando di potarci come fossimo alberi.  Noi invece veniamo per mettere le sue idee come rami d'innesto in noi selvatici».
«Dici bene.  L'unico che non ci sdegni!».
«Oh! per questo!  Quando si va con una borsa di monete a comperare non ci sdegnano neanche gli altri».
«Guarda!  Noi gentili siamo rimasti padroni del luogo.  Sentiremo bene!  E vedremo meglio!  Mi piace vedere i visi dei suoi nemici. Per Giove!  Un combattimento di volti ...».
«Taci!  Non ti far sentire a nominare Giove. E’ proibito qui».
«Oh! fra Giove e Jeové non c'è che poca differenza.  E fra dèi non si offenderanno... Io sono venuto per buon desiderio di ascolto.  Non per deridere.  Se ne parla tanto da per tutto di questo Nazareno!  Ho detto: è buona la stagione e vado a sentirlo.  C'è chi va più lontano a sentire gli oracoli ... ».
«Da dove vieni?».
«Da Perge.  E tu?».
«Da Tarso».
«Io sono quasi ebreo.  Mio padre era un ellenista di Iconio.  Ma sposò ad Antiochia di Cilicia una romana e poi morì prima che io nascessi.  Ma il seme è ebreo».
«Tarda a venire... Che lo abbiano preso?».
«Non temere.  Ce lo direbbero gli urli della folla.  Questi ebrei strillano come gazze inquiete, sempre ... ».
«Oh! eccolo proprio.  Verrà proprio qui?».
«Non vedi che ad arte hanno occupato tutti i luoghi meno quest'angolo?  Senti quanti ranocchi gracidano per fingersi maestri?».
«Quello là tace, però. E’ vero che è il più grande dottore d'Israele?».
«Sì, ma... che pedante!  Lo ascoltai un giorno e per digerire la sua scienza ho dovuto bere molte coppe di falerno da Tito a Bezeta».  Ridono fra loro.
Gesù si avvicina lentamente.  Passa davanti a Gamaliele, il quale non alza neppure la testa, e poi va al posto di ieri.
La gente, ora mista di israeliti, proseliti e gentili, capisce che sta per parlare e sussurra:«Ecco che parla pubblicamente e non gli dicono niente».
«Forse i principi e i capi hanno riconosciuto in Lui il Cristo.  Ieri Gamaliele, andato via il Galileo, ha parlato molto con degli Anziani».
«Possibile?  Come hanno fatto a riconoscerlo di un subito, se solo poco prima lo ritenevano un degno di morte?».
«Forse Gamaliele possedeva delle prove ... ».
«E che prove?  Che prove volete che abbia in favore di quell'uomo?» investe uno.
«Sta'zitto, sciacallo.  Non sei che l'ultimo degli scrivani.  Chi ti ha interrogato?», e gli danno la baia.  Egli si allontana.
Ma ne subentrano altri, non appartenenti al Tempio, ma certo agli increduli giudei: «Le prove le abbiamo noi.  Noi sappiamo di dove è costui.  Ma il Cristo, quando verrà, nessuno saprà di dove sia.  Di Quello non sapremo l'origine.  Ma di questo!!!  E’ figlio di un falegname di Nazaret, e tutto il suo paese può portare qui testimonianza contro noi se mentiamo ... ».
Intanto si sente la voce di un gentile che dice: «Maestro, parla un poco a noi, oggi.  Ci è stato detto che Tu asserisci essere tutti gli uomini venuti da un solo Dio, il tuo.  Tanto che li chiami figli del Padre.  Una simile idea ebbero anche dei poeti stoici nostri.  Dissero: "Noi siamo progenie di Dio".  I tuoi connazionali ci dicono più impuri di bestie.  Come concili le due tendenze?».
La questione è posta secondo le consuetudini delle dispute filosofiche, almeno credo.  E Gesù sta per rispondere, quando più forte si alza la disputa fra i giudei increduli e quelli credenti, e una voce stridula ripete: «Egli è un semplice uomo.  Il Cristo non sarà tale.  Tutto sarà  d’eccezione in Lui.  Forma, natura, origine ... ».
       Gesù si volge in quella direzione e dice forte: «Dunque conoscete Me e conoscete da dove vengo?  Ne siete ben sicuri?  E anche quel poco che sapete non vi dice nulla?  Non vi è conferma alle profezie?  Ma voi tutto di Me non conoscete.  In verità, in verità vi dico che Io non sono venuto da Me e da dove voi credete che Io sia venuto. E’ la stessa Verità, che voi non conoscete,quella che mi ha mandato».
Un urlo di sdegno si alza dai nemici.
«La stessa Verità.  Voi non sapete le sue opere.  Voi non sapete le sue vie.  Quelle vie per le quali Io sono venuto.  L'odio non può conoscere le vie e le opere dell'Amore.  Le tenebre non possono sostenere la vista della Luce.  Ma Io conosco Colui che mi ha mandato perché Io sono suo, sua parte e un Tutto con Lui.  Ed Egli mi ha mandato perché lo compia ciò che il suo Pensiero vuole».
Avviene un tumulto.  I nemici si avventano per mettergli addosso le mani, catturarlo, percuoterlo.  Apostoli, discepoli, popolo, gentili, proseliti, reagiscono per difenderlo.  Accorrono altri in soccorso dei primi e forse riuscirebbero, ma Gamaliele, che fino a quel momento pareva estraneo ad ogni cosa, lascia il suo tappeto e viene verso Gesù, respinto da chi lo vuole difendere sotto il porticato, e grida: «Lasciatelo stare.  Voglio sentire ciò che dice».  Più del drappello di legionari, che dall'Antonia accorrono a sedare il tumulto, fa la voce di Gamaliele.  Il tumulto cade come un turbine che si spezza, e si cheta il clamore in un brusio.  I legionari, per prudenza, restano presso la cinta esterna, ma inutili ormai.
«Parla» ordina Gamaliele a Gesù. «Rispondi a chi ti accusa».  Il tono è imperioso, ma non schernitore.
Gesù si fa avanti, verso il cortile.  Pacato, riprende a parlare. Gamaliele resta dove è, e i suoi discepoli si affannano a portargli tappeto e sgabello perché stia comodo.  Ma egli rimane in piedi, con le sue braccia conserte, il capo chino, gli occhi chiusi, concentrato ad ascoltare.
«Mi avete accusato senza ragione come se avessi bestemmiato in luogo di aver detto la verità. lo, non per difendermi, ma per darvi la luce acciò possiate conoscere la Verità, parlo.  E non parlo per Me stesso.  Ma parlo ricordando le parole nelle quali credete e sulle quali giurate.  Esse testimoniano di Me.  Voi, lo so, non vedete in Me che un uomo simile a voi, inferiore a voi.  E vi pare che sia impossibile che un uomo possa essere il Messia.  Almeno pensate che avesse ad essere un angelo, questo Messia, che deve essere di un'origine talmente misteriosa da poter essere re solo per l'autorità che il mistero della sua origine suscita.  Ma quando mai nella storia del nostro popolo, nei libri che formano questa storia e che saranno libri eterni quanto il mondo, perché ad essi dottori di ogni paese e di ogni tempo attingeranno per corroborare la loro scienza e le loro ricerche sul passato con le luci della verità, quando mai in questi libri (Ndr.: Salmo 2,7) è detto che Dio abbia parlato ad un suo angelo per dirgli: "Tu mi sarai d'ora in poi Figlio perché Io ti ho generato"?».
Vedo Gamaliele che si fa dare una tavoletta e delle pergamene e si siede scrivendo...
«Gli angeli, creature spirituali, serve dell'Altissimo e sue messaggere, sono state create da Lui come l'uomo, come gli animali, come tutto ciò che fu creato.  Ma non sono state generate da Lui.  Perché Dio genera unicamente un altro Se stesso, non potendo il Perfetto generare altro che un Perfetto, un altro Essere pari a Se stesso, per non avvilire la sua perfezione col generare una creatura di Sé inferiore.  Or dunque, se Dio non può generare gli angeli e neppure elevarli alla dignità di suoi figli, quale sarà il Figlio al quale Egli dice: "Tu sei mio Figlio.  Oggi ti ho generato"?  E di che natura sarà se, generandolo, Egli dice indicandolo ai suoi angeli: "E Lui adorino tutti gli angeli di Dio"?  E come sarà questo Figlio, per meritare (Ndr.:Salmo 110) di sentirsi dire dal Padre, da Colui che è per sua grazia se gli uomini lo possono nominare col cuore che si annichila adorando: "Siedi alla mia destra finché Io faccia dei tuoi nemici sgabello ai tuoi piedi"?  Quel Figlio non potrà essere che Dio come il Padre, del quale divide gli attributi e le potenze, e col quale gode della Carità che li letifica negli ineffabili e inconoscibili amori della Perfezione per Se stessa.
Ma, se Dio non ha giudicato conveniente elevare al grado di Figlio un angelo, avrebbe mai potuto dire di un uomo ciò che disse di Colui che qui vi parla - e molti fra voi che mi combattete eravate presenti quando lo disse - là al guado di Betabara, al finire di tre anni da questo?  Voi lo udiste e tremaste.  Perché la voce di Dio è inconfondibile, e senza una sua speciale grazia atterra chi la ode e ne scrolla il cuore.
Cosa è dunque l'Uomo che vi parla? E’ forse uno nato da seme e da volere d'uomo come tutti voi?  E potrebbe l'altissimo aver posto lo Spirito suo ad abitare una carne priva di grazia, quale è quella degli uomini nati da voler carnale?  E potrebbe l'altissimo, a soddisfare la gran Colpa, essere pago del sacrificio di un uomoPensate.  Egli non elegge un angelo ad esser Messia e Redentore, può mai allora eleggere un uomo ad esserlo? E poteva il Redentore essere soltanto Figlio del Padre senza assumere natura umana, ma con mezzi e poteri che superano le umane deduzioni?  E il Primogenito di Dio poteva mai aver dei genitori, se Egli è il Primogenito eterno?  Non vi si sconvolge il superbo pensiero davanti a questi interrogativi, che salgono verso i regni della Verità, sempre più vicini ad essa, e che trovano risposta solo in un cuore umile e pieno di fede?
Chi deve essere il Cristo?  Un angelo?  Più che un angelo.  Un uomo?  Più che un uomo.  Un Dio?  Sì, un Dio.  Ma con unita una carne, perché essa possa compiere l'espiazione della carne colpevole.  Ogni cosa va redenta attraverso la materia con cui peccò.  Dio avrebbe perciò dovuto mandare un angelo per espiare le colpe degli angeli decaduti, e che espiasse per Lucifero e i suoi seguaci angelici.  Perché, lo sapete, anche Lucifero peccò.  Ma Dio non manda uno spirito angelico a redimere gli angeli tenebrosi.  Essi non hanno adorato il Figlio di Dio, e Dio non perdona il peccato contro il suo Verbo generato dal suo Amore.  Però Dio ama l'uomo e manda l'Uomo, l'Unico perfetto, a redimere l'uomo e a ottenere pace con Dio.  E giusto è che solo un UomoDio possa compiere la redenzione dell'uomo e placare Dio.
Il Padre e il Figlio si sono amati e compresi.  E il Padre ha detto:"Voglio".  E il Figlio ha detto: "Voglio".  E poi il Figlio ha detto: "Dammi".  E il Padre ha detto: "Prendi", e il Verbo ebbe una carne la cui formazione è misteriosa, e questa carne si chiamò Gesù Cristo, Messia, Colui che deve redimere gli uomini, portarli al Regno, vincere il demonio, infrangere le schiavitù.
Vincere il demonio!  Non poteva un angelo, non può compiere ciò che il Figlio dell'uomo può.  E per questo, alla grande opera ecco che Dio non chiama gli angeli ma l'Uomo.  Ecco l'Uomo della cui origine voi siete incerti, negatori o pensosi.  Ecco l'Uomo. L'Uomo accettevole a Dio.  L'Uomo rappresentante di tutti i suoi fratelli.  L'Uomo come voi nella somiglianza, l'Uomo superiore e diverso a voi per la provenienza, il quale, non da uomo ma da Dio generato e consacrato al suo ministero, sta davanti all'eccelso altare per essere Sacerdote e Vittima per i peccati del mondo, eterno e supremo Pontefice, Sommo Sacerdote secondo l'ordine di Melchisedecco.
Non tremate!  Io non tendo le mani alla tiara pontificale.  Un altro serto mi aspetta.  Non tremate!  Io non vi toglierò il razionale.  Un altro è già pronto per Me.  Ma tremate soltanto che  per voi non serva il sacrificio dell'Uomo e la misericordia del Cristo.  Vi ho tanto amati, vi amo tanto che ho ottenuto dal Padre di annichilire Me stesso.  Vi ho tanto amati e vi amo tanto che ho chiesto di consumare tutto il dolore del mondo per darvi la salute eterna.
Perché non mi volete credere?  Non potete credere ancora?  Non è detto del Cristo: "Tu sei Sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedecco"?  Ma quando si è iniziato il sacerdozio?  Forse ai tempi di Abramo?  No. E voi lo sapete.  Il re di giustizia e di pace (Ndr.: Genesi 14,18-20) che appare ad annunciarmi, con figura profetica, all'aurora del nostro popolo, non vi ammonisce che c'è un sacerdozio più perfetto, che viene direttamente da Dio, così come Melchisedec di cui nessuno poté mai dare le origini e che viene chiamato "il sacerdote" e sacerdote rimarrà in eterno?  Non credete più alle parole ispirate?  E, se ci credete, come mai, o dottori, non sapete dare una spiegazione accettabile alle parole che dicono, e di Me parlano: "Tu sei Sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedecco”?  Vi è dunque un altro sacerdozio, oltre, prima di quello di Aronne.  E di questo è detto "sei ". Non "fosti".  Non "sarai".  Sei sacerdote in eterno.  Ecco allora che questa frase preannuncia che l'eterno Sacerdote non sarà della nota stirpe di Aronne, non sarà di nessuna stirpe sacerdotale.  Ma sarà di provenienza nuova, misteriosa come Melchisedee. E’ di questa provenienza.  E se la potenza di Dio lo manda, segno è che vuole rinnovare il Sacerdozio e il rito perché divenga giovevole all'Umanità.
Conoscete voi la mia origine?  No. Sapete voi le mie opere?  No. Intuite voi i frutti di esse?  No. Nulla conoscete di Me.  Vedete dunque che anche in questo sono il "Cristo", la cui origine e natura e missione devono essere sconosciute fin quando a Dio non piaccia svelarle agli uomini.  Beati quelli che sapranno, che sanno credere prima che la rivelazione tremenda di Dio non li schiacci col suo peso al suolo e ve li inchiodi e stritoli sotto la folgorante, potente verità tuonata dai Cieli, urlata dalla terra: "Costui era il Cristo di Dio".
Voi dite: "Egli è di Nazaret.  Suo padre era Giuseppe.  Sua madre è Maria".  No. Io non ho padre che mi abbia generato uomo. Io non ho madre che mi abbia generato Dio.  Eppure ho una carne e l'ho assunta per misteriosa opera dello Spirito, e sono venuto fra voi passando per un tabernacolo santo.  E vi salverò, dopo avere formato Me stesso per volere di Dio, vi salverò facendo uscire il vero Me stesso dal tabernacolo del mio Corpo per consumare il grande Sacrificio di un Dio che si immola per la salvezza dell'uomo.
Padre, Padre mio! lo te l'ho detto all'inizio dei giorni: "Eccomi a fare la tua volontà".  Io te l'ho detto all'ora di grazia prima di lasciarti per rivestirmi di carne onde patire: "Eccomi a fare la tua volontà".  Io te lo dico ancora una volta per santificare coloro per i quali sono venuto: "Eccomi a fare la tua volontà".  E te lo dirò ancora, sempre, sinché la tua volontà sia compiuta ... ».
Gesù, che ha alzato le braccia verso il cielo, pregando, ora le abbassa e le raccoglie sul petto e china la testa, chiude gli occhi e si sprofonda in una orazione segreta.
La gente bisbiglia.  Non tutti hanno capito, anzi i più (e io con loro) non hanno capito.  Siamo troppo ignoranti.  Ma intuiamo che Egli ha enunciato delle grandi cose.  E tacciamo ammirati.
I malevoli, che non hanno capito o non hanno voluto capire, ghignano: «E’ un delirante!».  Ma non osano dire di più e si scostano o si avviano alle porte scuotendo il capo.  Tanta prudenza io credo sia il frutto delle lance e daghe romane che brillano al sole contro la muraglia estrema.
Gamaliele si fa largo fra i rimasti.  Giunge presso Gesù, che prega ancora, assorto, lontano dalla folla e dal luogo, e lo chiama: «Rabbi Gesù!».
«Che vuoi, rabbi Gamaliele?» chiede Gesù alzando il capo, con gli occhi ancora assorti in un'interna visione.
«Una spiegazione da Te».
«Parla».
«Ritiratevi tutti!» ordina Gamaliele, e con un tale tono che apostoli, discepoli, seguaci, curiosi, e gli stessi discepoli di Gamaliele, si scostano alla svelta.
Restano soli l'uno di fronte all'altro.  E si guardano.  Gesù sempre mite e dolce, l'altro autoritario senza volere e involontariamente superbo nell'aspetto.  Espressione venutagli certo da anni di ossequio esagerato.
«Maestro... Mi sono state riportate delle tue parole.  Dette ad un convito... che io ho disapprovato perché insincero.  Io combatto o non combatto, ma sempre apertamente... Ho meditato quelle parole.  Le ho confrontate a quelle che sono nel mio ricordo... E ti ho atteso, qui, per interrogarti su esse... E prima ho voluto sentirti parlare... Essi non hanno capito.  Io spero di poter capire.  Ho scritto le tue parole mentre le dicevi.  Per meditarle.  E non per nuocerti.  Mi credi?».
«Ti credo.  E voglia l'altissimo farle fiammeggiare al tuo spirito».
«Così sia.  Odi.  Le pietre che devono fremere sono forse quelle dei nostri cuori?».
«No, rabbi.  Queste (e indica le muraglie del Tempio con atto circolare).  Perché lo chiedi?».
«Perché il mio cuore ha fremuto quando mi furono riportate le tue parole del convito e le tue risposte ai tentatori.  Credevo che quel fremito fosse il segno ... ».
«No, rabbi. E’ troppo poco il fremito del tuo cuore e quello di pochi altri per essere il segno che non lascia dubbi... Anche se tu, con raro giudizio di umile conoscimento di te, definisci il tuo cuore: pietra.  Oh!  Rabbi Gamaliele, proprio non puoi far del tuo impietrito cuore un luminoso altare accogliente Iddio?  Non per mio utile, rabbi.  Ma perché la tua giustizia sia completa ... ».
E Gesù guarda dolcemente l'anziano maestro, che si tormenta la barba e insinua le dita sotto il copricapo stringendosi la fronte e mormorando, e curva il capo per dirlo: «Non posso... Non posso ancora... Ma spero... Quel segno lo darai sempre?».
«Lo darò».
«Addio, rabbi Gesù».
«Il Signore venga a te, rabbi Gamaliele».
Si separano.  Gesù fa un cenno ai suoi e con essi si avvia fuori del Tempio.
Scribi, farisei, sacerdoti, discepoli di rabbi si precipitano come tanti avvoltoi intorno a Gamaliele, che sta mettendosi nell'alta cintura i fogli che ha scritto.
«Ebbene?  Che te ne pare?  Un pazzo?  Hai fatto bene a scrivere quei deliri.  Ci serviranno.  Hai deciso?  Sei persuaso?  Ieri... oggi... Più che non occorra per persuaderti». 
Parlano tumultuariamente e Gamaliele tace mentre si assetta la cintura, chiude il calamaio che vi ha appeso, rende al suo discepolo la tavoletta su cui si è appoggiato per scrivere sulle pergamene.
«Non rispondi?  Da ieri non parli ... » incalza un suo collega.
«Ascolto.  Non voi.  Lui.  E cerco di riconoscere nelle parole di ora la parola che mi ha parlato un giorno.  Qui».
«E la trovi forse?» ridono in molti.
«Così come un tuono, che ha diversa voce a seconda se è più vicino o più lontano.  Ma è sempre rumore di tuono».
«Suono inconcludente, allora» beffeggia uno.
«Non ridere, Levi.  Nel tuono può essere anche la voce di Dio, e noi essere tanto stolti da crederla rumor di nubi lacerate... Non ridere neppur tu, Elchia, e tu Simone, che il tuono non si abbia a cangiare in fulmine e incenerirvi ... ».
«Allora... tu... quasi dici che il Galileo è quel fanciullo che con Illele credeste profeta, e che quel fanciullo e quell'uomo sono il Messia ... » chiedono motteggiatori, per quanto in sordina, perché Gamaliele si fa rispettare.
«Non dico nulla.  Dico che il rumore del tuono è sempre rumore di tuono».
«Più vicino o più lontano?».
«Ahimè!  Le parole sono più forti, come l'età lo importa.  Ma i venti anni passati hanno fatto venti volte più chiuso il mio intelletto sul tesoro che possiede.  E il suono penetra più debolmente ... ». E Gamaliele lascia cadere la testa sul petto, meditabondo.
«Ah!  Ah!  Ah!  Invecchi e ti fai stolto, Gamaliele!  Prendi per realtà i fantasmi.  Ah!  Ah!  Ah!», ridono tutti.
Gamaliele ha una sdegnosa alzata di spalle.  Poi raccoglie il suo manto, che gli pendeva dalle spalle, vi si avvolge a più giri tanto è ampio, e volta le spalle a tutti senza ribattere parola, sprezzante nel suo silenzio.

 

2.5 Ma come mi piace quel Gamaliele...

Rimango un po’ soprappensiero a riflettere.
Strano che la Valtorta, pur avendo ‘realizzato’ che quello di Gesù era un discorso profondo e bellissimo, abbia detto – proprio lei! – che non era riuscita a capirlo.
Mi sembra infatti un discorso molto elevato ma chiaro. Ma è anche vero che lei lo aveva sentito e trascritto in tempo reale e doveva preoccuparsi – in prima istanza – di scrivere velocemente e bene, senza errori. Avrebbe poi capito meglio rileggendolo.
Gamaliele è un personaggio che – come Pietro, del quale vi avevo detto nel volume precedente, riferendomi al suo carattere – mi piace tremendamente.
Mi sarebbe piaciuto essere un Gamaliele, se fossi vissuto a quei tempi, perché – nel mio piccolo – mi riconosco in qualche modo nel suo carattere.
Di Gamaliele, come dell’altro grande Rabbi Hillele, avevo parlato in un altro mio libro: ‘Alla scoperta del Paradiso perduto’ (Edizioni Segno: Vol. I°, Cap. 21).
In quel capitolo stavo spiegando come – volendo - potevo anche ‘meditare’ utilizzando le tecniche di concentrazione mentale del training autogeno.
Per far capire il come facevo in qualche modo ‘rivivere’ l’episodio, che la Valtorta aveva descritto in visione, di Gesù, bambino dodicenne fra i dottori del Tempio, che aveva appunto parlato vent’anni prima con Gamaliele, proprio lì al Tempio, dicendogli in maniera e tono fortemente ispirato da profeta giovinetto  (pur senza rivelarsi come futuro Messia) che il tempo della venuta del Messia era ormai giunto.
Gesù aveva profetato il futuro misconoscimento del Messia da parte di Israele e la tremenda punizione che nei secoli a venire la nazione di Israele, a causa  del deicidio e dell’invocazione dei Capi giudei a che il Sangue di Cristo cadesse pure sulle teste loro e dei loro figli, avrebbe attirato su di sé, con la distruzione di Gerusalemme e la dispersione del popolo ebraico nel mondo intero.
Tutti i dottori ascoltavano attoniti le parole ispirate e sapientissime di quel giovanetto-profeta attraverso la cui bocca era evidente che vi era Dio che parlava. E mentre il vecchio Hillele - che credo fosse parente di Gamaliele - pregava il giovinetto di fermarsi alla sua ‘scuola’ (perché egli prima di morire potesse trasfondergli il ‘suo’ sapere unendolo alla sapienza che il giovanetto di suo già aveva, affinchè meglio potesse divenire Maestro del popolo di Dio) la visione valtortiana si chiude con questa risposta di Gesù ad Hillele:

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«In verità ti dico che se molti fossero come tu sei, salute verrebbe a Israele. Ma la mia ora non è venuta. A Me parlano le voci del Cielo e nella solitudine le devo raccogliere finchè non sarà la mia ora.
Allora con le labbra e col sangue parlerò a Gerusalemme, e sarà mia la sorte dei Profeti lapidati e uccisi da essa.
Ma sopra il mio essere è quello del Signore Iddio, al quale Io sottometto Me stesso come servo fedele per fare di Me sgabello alla sua Gloria, in attesa che Egli faccia del mondo sgabello ai piedi del Cristo. Attendetemi nella mia ora.
Queste pietre riudranno la mia voce e fremeranno alla mia ultima parola. Beati quelli che in quella voce avranno udito Iddio e crederanno in Lui attraverso ad essa. A questi il Cristo darà quel Regno che il vostro egoismo sogna umano, mentre è celeste e per il quale io dico:'Ecco il tuo servo, Signore, venuto a fare la tua volontà. Consumala, perchè di compierla Io ardo».

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Gamaliele si era dunque allora convinto che quel giovane profeta doveva in realtà essere proprio il Messia, che egli perse però subito di vista finchè – appunto vent’anni dopo – la predicazione travolgente di Gesù ed i suoi miracoli gli avevano fatto pensare che quell’uomo ormai ‘fatto’ potesse essere l’antico giovinetto del Tempio che aveva declamato: ‘Queste pietre riudranno la mia voce e fremeranno alla mia ultima parola…’.
Era questo ‘fremere’ delle ‘pietre’, di cui aveva parlato quel giovinetto nel quale Gamaliele aveva intuito essere il Messia, il segno che Gamaliele attendeva ora dal Cristo-Uomo per esser sicuro che egli fosse veramente il Cristo dei Profeti.

Non sapeva, il povero Gamaliele, che il giovinetto stesse profetizzando il proprio Sacrificio: le pietre alle quali Egli si riferiva non erano quelle del cuore ma quelle del Tempio, dove avrebbe a lungo fatto risuonare la sua voce, e il loro ‘fremito’ sarebbe stato quello del terremoto a Gerusalemme quando Gesù avrebbe esalato sul Calvario l’ultimo respiro.
Gli Atti degli apostoli raccontano che Paolo aveva affermato di essere cresciuto alla scuola prestigiosa del rabbi  Gamaliele, mentre sempre gli Atti narrano ancora che fu Gamaliele,  ‘un fariseo, dottore della legge, stimato da tutto il popolo’, quello che indusse il Sinedrio a liberare gli apostoli che erano stati arrestati dicendo: ‘Non vi occupate più di questi uomini, lasciateli andare; perché se quest’opera viene dagli uomini, cadrà da sé; ma se viene da Dio, voi non potrete distruggerla: non arrischiate di lottare contro Dio…’.
Quel che gli Atti non dicono è invece il retroscena rivelato dalla Valtorta.
Essa infatti, in una visione riportata negli ultimi capitoli della sua Opera, quelli attinenti la Passione di Gesù, dopo averne descritto nei minimi particolari la sua crocifissione e morte seguiti da un terremoto e da una tempesta magnetica, ‘fotografa’ Gamaliele che, scarmigliato e con le vesti in disordine – dopo aver visto il velo del Tempio lacerato e le colonne e mura scossi dal terremoto – capisce finalmente che quello era il famoso ‘segno’ profetizzato vent’anni prima da quel giovinetto, capisce anche di averlo però capito troppo tardi, corre disperato – egli già anziano – su per il Gòlgota, si getta ai piedi della croce e singhiozzando chiede a Gesù pietà per la sua cecità mentale che gli ha ottenebrato la vista spirituale così da fargli capire solo ora quello che invece avevano subito capito i più ‘semplici’: che Gesù era veramente figlio di Dio!
Ma Gesù era ormai morto e, disperazione di Gamaliele!, egli non poteva più sentirlo.
Un rimorso terribile.
La Valtorta – nelle visioni successive - narra però che Gamaliele si convertirà gradualmente e si farà infine cristiano.
Ecco perché ‘mi ritrovo’ in Gamaliele, perché capisco che il mio razionalismo mi rende ‘cieco’, e ho paura di capire bene Gesù troppo tardi, come Gamaliele.

E ora, per terminare, vi faccio un ‘test’.

Rispondete a queste domande, barrando la ‘casella’ interessata:

Avete capito  bene il Discorso al Tempio del Gesù della Valtorta?                Si   No

Un sì:  Dovete migliorare nell’umiltà. Rileggetelo e meditatelo!
Un no: Siete come la Valtorta, ma non illudetevi d’esser anche ‘santi’

Vi è piaciuto, almeno?                                                                         Si    No

Vi ha provocato un qualche ‘sommovimento’ nel cuore?                              Si    No

Un sì  :  Siete di buona volontà, procedete con giudizio senza scoraggiarvi!
Due sì:  Siete sulla buona strada, segno che lo Spirito Santo vi illumina!
Due no: Non disperate, le vie del Signore sono infinite e, come è già successo per me e Gamaliele, prima o poi verrà il momento, visto che avete letto fin qui.

Ci rivediamo al  prossimo capitolo.