(Il Vangelo secondo San Giovanni – La Sacra Bibbia - Capp. 6, 14-15/ 7, 1-8 – Ed. Paoline, 1968)
(M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Capp. 463-464 – Centro Editoriale Valtortiano)

15. E cercarono di farlo re…

La natura del Regno Messianico

Gv 7, 1-8:

Dopo di ciò Gesù andava per la Galilea, non volendo aggirarsi per la Giudea, perché i Giudei cercavano di farlo morire.
Era vicina la festa giudaica dei Tabernacoli.
Gli dissero i suoi fratelli: ‘Parti di qua e và in Giudea, affinché anche i tuoi discepoli vedano le opere che tu fai. Nessuno, infatti, che cerca di apparire, agisce in segreto; se tu fai tali cose, fa conoscere te stesso al mondo’.
Infatti, nemmeno i suoi fratelli credevano in lui.
Gesù rispose loro: ‘Il mio tempo non è ancora venuto, ma per voi il tempo è sempre buono.
Il mondo non può odiare voi, ma odia me, perché io attesto che le sue opere sono cattive.
Salite voi a questa festa; io non ci vengo, perché il mio tempo non è ancora venuto’.


15.1. Gesù respingeva ‘a priori’ le tentazioni, noi – anche quando le respingiamo – spesso le…’accarezziamo’

Per comprendere meglio questo brano bisogna tornare un momento ad un passo precedente del Vangelo di Giovanni che non avevamo commentato:

Gv 6, 14-15:

Quegli uomini, visto il prodigio fatto da Gesù, dicevano: ‘Questo è davvero il Profeta che ha da venire al mondo’.
Ma Gesù, accortosi che venivano a rapirlo per farlo re, si ritirò di nuovo solo sulla montagna.

Nella lettura del Vangelo bisogna stare attenti anche ai minimi particolari.
A volte, anzi spesso, in poche parole si racchiude il segreto di tutta una verità, tutta una situazione  non completamente svelata ma che va meditata, cercando di supplire alle carenze di informazione con un pizzico di capacità immaginativa e deduttiva.
Abbiamo ormai tutti capito che Gesù non godeva di buona fama presso la classe dirigente giudaica, in particolare quella sacerdotale che vedeva in lui un pericoloso fustigatore dei propri costumi e temeva di esserne soppiantata in prestigio.
Egli era guardato con sospetto, la dottrina che egli spiegava non era certo quella che quegli uomini si aspettavano da quello che avrebbe dovuto essere l’atteso Messia.
Egli parlava infatti di ‘regalità’, ma di regalità sugli spiriti per realizzare un regno d’amore.
Quelli attendevano invece con impazienza – da secoli – una regalità della carne che dominasse con forza d’imperio su tutti gli altri popoli, Roma compresa.
Gli stessi miracoli che Gesù faceva, non venivano considerati un ‘segno’ sufficiente: infatti anche altri precedenti profeti avevan fatto qualche miracolo, e comunque quegli uomini non volevano credere a parole di amore, perché contrarie al loro modo di sentire.
E quindi gli ebrei – oltre a rifiutare l’amore – rifiutavano quel ’Messia’ imbelle, nonostante tutti i miracoli e tutta quella predicazione che consideravano sapiente, sì, ma anche utopistica.
E allora Gesù, vista la situazione  tesa al punto che i potenti di Gerusalemme brigavano ormai chiaramente per toglierlo dalla circolazione, aveva deciso di andarsene temporaneamente dalla Giudea verso la Galilea che era pur sempre la sua ‘terra’ naturale.
Non lo aveva deciso per vigliaccheria, ma per prudenza: Egli era responsabile per la vita degli apostoli e doveva inoltre avere il tempo di completare la sua predicazione.
Ma se la classe dirigente al potere lo osteggiava, un’altra parte di essa -  soggiogata dalla sua potenza di miracolo - lo credeva capace di tutto, e lo considerava davvero l’atteso Messia: di guerra!
E, credendolo tale, lo voleva far Re.

Ve le ricordavate quelle poche righe di vangelo che accennavano a questo fatto? Chiudevano il racconto del miracolo della prima moltiplicazione dei pani, e Giovanni le aveva buttate lì senza farci sopra alcun commento se non che Gesù se l’era ‘filata’, ritirandosi in montagna da solo.
Una parte della classe dirigente lo voleva incoronare a furor di popolo affinchè Gesù li liberasse dalla soggezione di Roma e vendicasse gli ebrei delle onte e delle sofferenze che nei secoli essi avevano subito, a turno, dai popoli vicini.
Gli ebrei attendevano veramente un Messia universale, Re di tutte le genti, finalmente sottomesse da Israele: il popolo di Dio!
Ed il miracolo del pane aveva scatenato in alcuni queste fantasie: un uomo che mutava l’acqua in vino, moltiplicava pani e pesci, guariva storpi, paralitici, ciechi, scacciava demoni, risuscitava i morti, governava gli elementi della natura, tutto avrebbe potuto se avesse voluto, e doveva quindi essere fatto ‘Re’, per diventare poi Re dei re.
Diciamocelo  francamente: era una tentazione comprensibile, e anche potente, dal loro punto di vista.
Ma – tentazione – lo era anche dal punto di vista di Gesù-uomo, che forse dovette superare, a livello pratico, quella stessa tentazione al potere che Satana gli aveva già prospettato a livello intellettuale nel deserto mentre – raccolto in preghiera e meditazione – Egli si preparava alla vita pubblica.
Credo che molti di noi considerino Gesù molto più ‘Dio’ che uomo, e quindi lo ritengano al di sopra delle ‘tentazioni’ o comunque fatalmente ‘destinato’ a vincerle.
Ma Gesù era anche uomo, un uomo come noi anche se di elevata connotazione morale e spirituale, e – quando la Divinità che era in lui non si manifestava – dell’uomo aveva le debolezze che la Divinità al suo interno non ‘violentava’.
Anche Gesù, come gli angeli e i primi due, fu sottoposto a prova, e non fu certo il Dio ad essere messo a prova, perché come Dio l’avrebbe superata, ma la ‘creatura’ umana: e senza prova l’opera di redenzione dell’Uomo-Dio non sarebbe stata completa tale quale fu.
Egli era un uomo ‘perfetto’, è vero, perché privo di Colpa d’origine, e quindi con il dominio equilibrato dello spirito sulla ‘carne’, fisica e morale, ma non era ‘invulnerabile’ ed era anche un uomo ‘libero’, in tutto – a parte la divinità - come Adamo che  nonostante la sua perfezione, che era una perfezione pur sempre relativa alla natura umana, sbagliò.
E come Adamo, perfetto e tutto il resto, si fece prendere – in un mondo incontaminato - dall’ambizione, dall’orgoglio e dalla superbia di poter essere ‘potente’ come Dio, anche il Gesù-uomo – in un mondo completamente corrotto - avrebbe potuto a maggior ragione sbagliare.
Se Gesù – come uomo - non fosse stato libero di scegliere il Bene e il Male  il suo Sacrificio non avrebbe avuto più lo stesso valore.
Sarebbe stato il ‘Sacrificio’ di un Dio che, come Dio, non avrebbe peraltro neanche potuto ‘soffrire’, nel significato che diamo noi alla sofferenza, perché al di sopra della carne morale e fisica.
Mi seguite?
Gesù quindi era Dio perché il Verbo si era incarnato in lui, ma era anche ‘uomo’, tant’è vero che aveva un’anima di uomo.
Non sono un teologo, e non ho la pretesa di fare un ragionamento giusto in assoluto, ma provate un po’ a pensarci sopra anche voi e ditemi se due più due non fa quattro.
Quindi anche Gesù-uomo era soggetto alle tentazioni: donne, ricchezza, potere.
Ma seppe governarle perché il suo Io era ‘equilibrato’, e soprattutto seppe resistervi.
Non voglio pensare che Gesù resistette dopo averle ‘provate’ – come ‘tentazioni’ -  come le provano gli uomini che subiscono invece le conseguenze della colpa d’origine e, anche quando risanati dal Battesimo, ne portano una indelebile ‘cicatrice’, ma piuttosto che Egli seppe resistere in modo tale da ‘prevenire’ in qualche modo che diventassero tentazioni accarezzate, come succede a noi anche quando poi magari le respingiamo.
Ecco, credo che egli le tentazioni le ‘respingesse’ sdegnosamente, a priori. Mi spiego?
Accettare quelle lusinghe avrebbe infatti significato essere del mondo, governare i popoli, rinunciare a quella regalità dello spirito che gli avrebbe consentito di redimere la razza umana liberandola dal Peccato originale che la relegava nel Limbo o nel Purgatorio dove i migliori attendevano una liberazione che non sarebbe arrivata mai, nonostante Dio Padre – per attenuare con la speranza il peso della cacciata dal Paradiso - avesse promesso il riscatto della discendenza attraverso una Donna che avrebbe ‘vendicato’ la caduta di Eva.
Riscatto?
Per ottenere la redenzione sarebbe infatti stata necessaria una straordinaria offerta d’amore al Padre: il Sacrificio di un Dio, Figlio, che si sarebbe fatto uomo e che avrebbe accettato di morire su una croce, cioè su di trono ben diverso da quello di un Dio o da quello che gli uomini avrebbero immaginato o voluto per sé, un trono sul quale l’Amore si sarebbe assiso trionfante.


15.2 I soliti ‘parenti’…

Gesù, accortosi dunque che una congrega di congiurati esaltati si stava mettendo in testa idee di quel genere e voleva farlo re, fece l’unica cosa che potesse fare: si tolse dalla circolazione in attesa che le acque ed i bollenti spiriti si calmassero.
E lo ritroviamo allora in Galilea: cioè in una provincia secondaria rispetto alla Giudea, dopo un’altra serie di miracoli: ciechi, paralitici, lebbrosi, indemoniati, tutti guariti e ‘liberati’ in villaggi lontani da Gerusalemme e privi di alcuna importanza politica, villaggi come Betsaida, Cafarnao, Magdala, Corozim, Tiberiade.
Ma i suoi seguaci erano popolino, gente semplice, non gente che ‘contava’, come a Gerusalemme.
I cugini (che il Vangelo chiama fratelli ma che là significava ‘cugini’)   non credevano a Gesù come ‘Messia-figlio di Dio’. Essi infatti lo avevano visto nascere e a loro pareva non potesse esser altro che figlio di Giuseppe, loro zio e fratello del loro padre. Ma essi, come quelli che volevano farlo ‘re’,  cominciano ad accarezzare opportunisticamente l’idea che potesse comunque conquistare il potere, ed ecco che allora – dopo averlo osteggiato i primi tempi temendo che le sue idee  religiose avrebbero portato tutti alla persecuzione e alla disgrazia – cominciano a pensare, visto il grande seguito di Gesù, che egli potesse davvero sfondare politicamente, con vantaggio per tutti loro.
Non può che essere questo il senso dell’insinuante discorso che essi – come riferisce Giovanni – fanno a Gesù.
Cosa di meglio allora – per conquistare notorietà – che piazzarsi a Gerusalemme (come se là non lo avessero già conosciuto!) dove c’era il giro del denaro e dove c’erano le leve del potere?
E alla Festa dei Tabernacoli, quando tutti si apprestano a partire per andare a Gerusalemme, i cugini gli fanno: ‘Parti di qua e và in Giudea, affinché i tuoi discepoli vedano le opere che fai. Nessuno infatti, che cerca di apparire, agisce in segreto. Se tu fai tali cose, fa conoscere te stesso al mondo…’ .
Cioè, tradotto in parole povere: ‘A che serve far tanti miracoli qui e governare persino gli elementi della natura se poi la gente che conta è a Gerusalemme. Fatti avanti, fatti conoscere meglio anche là, fai conoscere bene anche a loro - cominciando dai tuoi discepoli, ma di alto livello - di cosa sei capace. Se uno vuol farsi conoscere non se ne sta certo in posti come questi, tagliati fuori dal mondo’.

Chiaro il discorso, no?
Ma Gesù, al quale dovevano esser cascate le braccia, risponde diplomaticamente che lui era odiato dal ‘mondo’ perché egli attestava che le opere del mondo erano cattive, e che ci andassero pure loro a Gerusalemme:   la ‘sua’ ora infatti non era ancora giunta, ed a loro comunque nessuno avrebbe fatto del male.
Gesù-Dio non solo non era compreso dai compaesani di Nazareth, ma neanche nella sua famiglia, come fa notare Giovanni che osserva: ‘Infatti, nemmeno i suoi fratelli credevano in lui…’.
Lo consideravano cioè un uomo come gli altri, tutt’al più un po’ ‘profeta’, oltre che grande taumaturgo.
Questi aspetti di conoscenza della situazione politica e della psicologia ebraica sono fondamentali per capire in quale contesto si dovette svolgere la missione dell’Uomo-Dio, e senza la loro conoscenza parrebbe assurda anche la Morte di croce che, invece, ebbe una sua logica ‘umana’, oltre che satanica.


15.3. Chi è il Salvatore? Chi è il Messia? Il popolo di Israele ha preso per sé quelle parole e ha dato ad esse un significato nazionale, personale, egoista, che non corrisponde alla verità sulla persona del Messia

Ecco quindi che il Gesù della Valtorta – in due lunghe visioni successive, (perchè se Lui stesso le ha fatte lunghe così vuol proprio dire che erano importanti e che ne valeva la pena) fornisce una ben più profonda chiave di lettura che ci aiuterà a comprendere meglio la natura del Regno messianico e… a compatire Gesù.

463. A Tarichea.  Invito di Cusa a Gesù, nonostante un discorso sulla natura del regno messianico,
e conversione di una peccatrice.

27 luglio 1946.
La penisoletta di Tarichea si protende nel lago facendo una profonda insenatura a sud-ovest, di modo che non è errato dire che, più che una penisola, è un istmo circondato dalle acque per quasi tutto il suo perimetro, rimanendo congiunto alla terra solo per una piccola parte.  Almeno così era ai tempi di Gesù, nei quali io la vedo.  Non so se poi, nel corso di venti secoli, le arene e i ciottoli, portati da un torrentello che sbocca proprio nell'insenatura di sud-ovest, abbia potuto modificare l'aspetto del luogo, insabbiando la piccola baia e allargando perciò la lingua di terra dell'istmo.  La baia è quieta, azzurrina con striature di giada là dove rispecchia il verde degli alberi, che si protendono dalla costa verso il lago.  Molte barche ondulano lievemente sulle acque appena mosse.
Quello che mi colpisce è una bizzarra diga che, tutta ad archi posati sulle ghiaie della riva, fa come una passeggiata, un molo, che so io, diretto verso ovest.  Non capisco se è stata fatta per ornamento o se per qualche utile scopo che non capisco.  Questa passeggiata, diga o molo, è ricoperta da uno spesso strato di terra, sul quale sono stati messi degli alberi tanto fitti, sebbene non grandi, che formano una galleria di verde sopra la strada.  Molta gente ozia passeggiando sotto quella galleria stormente, che dalla brezza, dalle acque e dalle fronde trae un coefficiente gradito di frescura.
Si vede nettamente l'imboccatura del Giordano e il defluire delle acque del lago nel letto del fiume, facendo qualche mulinello, qualche ingorgo presso i piloni di un ponte, direi romano per la sua architettura a robusti piloni, messi a tagliamare (non so se dico bene, voglio dire fatti così: 0 ) contro gli spigoli dei quali si frange la corrente delle acque con tutto un giuoco madreperlaceo di luci sotto al sole che le percuote così frante, e soverchiantesi per defluire nella gola del fiume, incassato, dopo aver avuto tanta ampiezza nel lago.  Quasi al termine del ponte, sull'altra riva, una cittadina bianca, sparsa fra il verde di campagne ubertose.  E più su, verso il nord, ma sulla costa orientale del lago, il borgo che precede Ippo e i boschi, alti sulla scogliera, oltre i quali è Gamala, ben visibile in cima del suo colle.
Gesù, seguito da un codazzo di gente che lo segue da Emmaus e che si è aumentata con quelli che già lo attendevano a Tarichea, e fra questi è Giovanna, venuta nella sua barca, si dirige proprio alla diga alberata.  E si ferma al centro di essa, avendo le acque alla destra, la spiaggia alla sinistra.  Chi può si pone sulla via alberata; chi non può trovare posto sulla via si mette giù sulla spiaggia, ancora un poco umida per l'alta marea notturna o per qualche altra ragione e parzialmente ombreggiata dalle fronde degli alberi della diga, oppure fa accostare le barche e vi prende posto all'ombra delle vele.     
Gesù fa cenno di parlare e tutti fanno silenzio.
« E’ detto: "Ti movesti per salvare il tuo popolo, per salvarlo col tuo Cristo".
« E’ detto: "Ed io mi rallegrerò nel Signore ed esulterò in Dio mio Gesù".
Il popolo di Israele ha preso per sé questa parola e ha dato ad essa un significato nazionale, personale, egoista, che non corrisponde alla verità sulla persona del Messia.  Ha dato un significato limitato, che avvilisce la grandezza dell'idea messianica ad una comune manifestazione di potenza umana e di sopraffazione vittoriosa sui dominatori trovati in Israele dal Cristo.
Ma la verità è diversa. E’ grande, illimitata.  Viene dal Dio vero, dal Creatore e Signore del Cielo e della Terra, dal Creatore dell'Umanità, da Quello che, come ha moltiplicato gli astri nel firmamento e ha coperto di piante d'ogni specie la terra e l'ha popolata di animali e messo pesci nelle acque e uccelli nell'aria, così ha moltiplicato i figli dell'Uomo da Lui creato perché fosse re del Creato e sua creatura prediletta.  Ora, come potrebbe il Signore, Padre di tutto il genere umano, essere ingiusto per i figli dei figli dei figli di quelli nati dall'Uomo e dalla Donna, da Lui formati con la materia: terra, e con l'anima: il suo alito divino?  E come trattare questi diversamente da quelli, quasi che non venissero da un'unica sorgente, quasi che non da Lui, ma da qualche altro essere soprannaturale e antagonista, ne fossero stati creati degli altri rami, e perciò stranieri fossero, bastardi, spregevoli?
Il vero Dio non è un povero dio di questo o quel popolo, un idolo, una figura irreale.  E’ la sublime Realtà, è la Realtà universale, è l'Essere Unico, Supremo, Creatore di tutte le cose e di tutti gli uomini. E’ perciò il Dio di tutti gli uomini.  Egli li conosce anche se essi non lo conoscono.  Egli li ama anche se essi, non conoscendolo, non lo amano, o anche se lo conoscono male e lo amano male, o pur conoscendolo non lo sanno amare.  La paternità non cessa quando un figlio è ignorante, stolto o malvagio.  Il padre si studia di istruire il figlio perché istruirlo è amore. Il padre si affatica a rendere meno stolto il figlio deficiente.  Il padre con lacrime, con indulgenze, con castighi salutari, con perdoni misericordiosi, cerca di correggere il figlio malvagio e farlo buono.  Questo il padre-uomo.  E il Padre-Dio sarà forse da meno di un padre-uomo?
  Ecco allora che il Padre-Dio ama tutti gli uomini e vuole la loro salvezza.  Egli, Re di un regno infinito, Re eterno, guarda il suo popolo, fatto di tutti i popoli sparsi sulla terra, e dice: "Ecco il popolo dei miei creati, il popolo che va salvato col mio Cristo.  Ecco il popolo per il quale è stato creato il Regno dei Cieli.  Ed ecco l'ora di salvarlo col Salvatore".
Chi è il Cristo?  Chi il Salvatore?  Chi il Messia?  Molti sono i greci qui presenti e molti, anche non greci, sanno ciò che vuol dire la parola Cristo.  Cristo è dunque il consacrato, l'unto di olio regale per compiere la sua missione.  Consacrato a che?  Forse alla piccola gloria di un trono?  Forse a quella più grande di un sacerdozio?  No. Consacrato a riunire sotto un unico scettro, in un unico popolo, sotto un'unica dottrina, tutti gli uomini, perché siano fratelli fra loro e figli di un unico Padre, figli che conoscono il Padre e che ne seguono la Legge per aver parte nel suo Regno.
Re, in nome del Padre che lo ha mandato, il Cristo regna come a sua natura conviene, ossia divinamente, perché da Dio.  Dio ha messo tutto a sgabello dei piedi del Cristo suo, ma non già perché Egli opprima, sibbene perché Egli salvi.  Infatti il suo nome è Gesù, che in lingua ebraica vuol dire Salvatore.  Quando il Salvatore salverà dalla insidia e ferita più fiera, un monte sarà sotto i suoi piedi e una moltitudine di ogni razza coprirà il monte, a simboleggiare che Egli regna e si innalza su tutta la terra e su tutti i popoli.  Ma il Re sarà nudo, senza altra ricchezza che il suo Sacrificio, per simboleggiare che Egli non tende che alle cose dello spirito, e che le cose dello spirito si conquistano e si redimono con i valori dello spirito e l'eroicità del sacrificio, e non con la violenza e l'oro.  Lo sarà per rispondere - a quelli che lo temono come a quelli che per un falso amore lo esaltano e lo deprimono insieme, volendolo re secondo il mondo, come a quelli che lo odiano senz'altra ragione che il tremore di esser spogliati di ciò che a loro è caro - che Egli è Re spirituale, questo solo, mandato per insegnare agli spiriti a conquistare il Regno, l'unico Regno che Io sono venuto a fondare. Io non vi do leggi nuove.  Agli israeliti confermo la Legge del Sinai; ai gentili dico: la legge per possedere il Regno non è che la legge di virtù che ogni creatura di morale elevata da se stessa si impone, e che, per la fede nel Dio vero, diviene, da legge di morale e di virtù umana, legge di morale soprumana.
O gentili!  Voi usate proclamare dèi i grandi uomini delle vostre nazioni e li mettete fra le schiere dei numerosi e irreali dèi, di cui popolate l'Olimpo che vi siete creato per avere qualcosa in cui credere, perché la religione, una religione è necessaria all'uomo, così come è necessaria una fede, essendo la fede lo stato permanente dell'uomo e l'incredulità l'anormalità accidentale.  E non sempre questi uomini elevati a deità valgono neppur come uomini, essendo grandi talora per forza bruta, talaltra per astuzia potente, altra ancora per potenza in qualche modo acquistata.  Cosicché portano seco loro, come doti di superuomini, delle miserie  che  l'uomo  saggio  vede  per  quello  che  sono: marciume di passioni  scatenate.
Che Io dica il vero lo mostra il fatto che nel vostro Olimpo chimerico voi non avete saputo mettere uno solo di quei grandi spiriti che hanno saputo intuire l'Ente supremo e sono stati agenti intermedi fra l'uomo animale e la Divinità, che hanno istintivamente sentita col loro spirito meditativo e virtuoso.  Dallo spirito che ragiona del filosofo, del vero grande filosofo, allo spirito del vero credente che adora il vero Dio, il passo è breve, mentre dallo spirito del credente all'io dell'astuto, del prepotente, o del materialmente eroe, è un abisso.  Eppure nel vostro Olimpo non sono stati da voi collocati coloro che, per la virtù della vita, si alzarono tanto sulla massa umana sino ad avvicinarsi ai regni dello spirito, ma sono coloro che avete temuto come padroni crudeli, o che avete adulato per servilismo di schiavi, oppure ammirato come esemplare vivente di quelle libertà di istinti animali che ai vostri appetiti anormali paiono scopo e meta nella vita.  E avete invidiato coloro che sono stati ascritti fra gli dèi, trascurando quelli che più si sono accostati alla divinità con la pratica e la dottrina insegnata e vissuta di una vita virtuosa.
Ora in verità Io vi do modo di divenire dèi.  Colui che fa ciò che Io dico e crede in ciò che Io insegno, colui salirà nel vero Olimpo e dio sarà, dio figlio di Dio in un Cielo dove non è corruzione di sorta e dove l'Amore è l'unica legge.  In un Cielo dove ci si ama spiritualmente, senza l'ottusità e senza le insidie dei sensi a far nemici l'un l'altro gli abitanti, così come avviene nelle vostre religioni.  Io non vengo a chiedere atti rumorosamente eroici.  Vengo a dirvi: vivete da creature dotate di anima e ragione, e non da bruti.  Vivete in modo da meritare di vivere, realmente vivere, con la parte immortale di voi nel Regno di Colui che vi ha creati.
Io sono la Vita.  Vengo a insegnarvi la Via per andare alla Vita.  Vengo a dare la vita per voi tutti, e a darvela per darvi la risurrezione dalla vostra morte, dal vostro sepolcro di peccato e di idolatria.  Io sono la Misericordia.  Vengo a chiamarvi, a radunarvi tutti.  Io sono il Cristo Salvatore.  Il mio Regno non è di questo mondo.  Eppure, a chi crede in Me e nella mia parola, un regno nasce nel cuore sin dai giorni del mondo, ed è il Regno di Dio, il Regno di Dio in voi.
Di Me è detto che sono Colui che porterà la giustizia fra le nazioni.
E’ vero.  Perché, se i cittadini di ogni nazione facessero ciò che Io insegno, odi, guerre, sopraffazioni avrebbero fine
E’ detto di Me che lo non alzerei la voce a maledire i peccatori, né la mano a distruggere coloro che sono come canne fesse e lucignoli fumiganti per la loro maniera di vivere indecorosa.
E’ vero. Io sono il Salvatore e vengo ad irrobustire coloro che sono lesionati, a dare umore a coloro la cui luce è fumosa per mancanza di succhi necessari.
E’ detto di Me che sono Colui che apre gli occhi ai ciechi e trae dal carcere i prigionieri e porta alla luce quelli che erano nelle tenebre della carcere
E’ vero.  I ciechi più ciechi sono coloro che neppur con la vista dell'anima vedono la Luce, ossia il vero Dio.  Io vengo, Luce del mondo, perché vedano. I prigionieri più prigionieri sono coloro che hanno per catene le loro passioni malvagie.  Ogni altra catena diviene nulla con la morte del prigioniero.  Ma le catene dei vizi durano e incatenano anche oltre la morte della carne.  Io vengo a scioglierle.  Io vengo a levare dalle tenebre del sotterraneo carcere dell'ignoranza di Dio tutti coloro che il paganesimo soffoca sotto il cumulo delle sue idolatrie.
Venite alla Luce ed alla Salvezza.  Venite a Me, perché il mio Regno è il vero e la mia Legge è buona.  Non vi chiede che di amare l'unico Dio e il prossimo vostro, e perciò di ripudiare gli idoli e le passioni che vi fanno duri di cuore, aridi, sensuali, ladri, omicidi.  Il mondo dice: "Opprimiamo il povero, il debole, il solo.  Sia la forza il nostro diritto, la durezza il nostro abito, l'intransigenza, l'odio, la ferocia, le nostre armi.  Il giusto, perché non reagisce, sia conculcato, e oppressi la vedova e l'orfano che hanno debole voce".  Io dico: siate dolci e mansueti, perdonate ai nemici, soccorrete i deboli, siate giusti nel vendere e nell'acquistare, anche nel diritto siate magnanimi, non approfittandovi del vostro poter premere sugli oppressi.  Non vendicatevi.  Lasciate a Dio la cura di tutelarvi.  Siate morigerati in ogni tendenza, perché la temperanza è prova di forza morale, mentre la concupiscenza è prova di debolezza.  Siate uomini e non bruti, e non temete di essere troppo decaduti e di non poter risorgere.
In verità vi dico che, come un fango può tornare acqua pura evaporando al sole, purificandosi nel lasciarsi ardere ed elevandosi al cielo per ricadere in pioggia o in rugiada scevra di inquinamento e salutare, purché sappia farsi colpire dal sole, così gli spiriti che si accosteranno alla gran Luce che è Dio e grideranno a Lui: "Ho peccato, sono fango, ma anelo a Te, Luce" diverranno spiriti che ascendono purificati al loro Creatore.  Levate alla morte l'orrore, facendo della vostra vita una moneta per acquistare la Vita.  Spogliatevi del passato come di una veste sozza e rivestitevi di virtù.  Io sono la Parola di Dio e in suo Nome vi dico che chi avrà fede in Lui e buona volontà, chi avrà pentimento del passato e proposito retto per l'avvenire, sia che sia ebreo o gentile, diverrà figlio di Dio e possessore del Regno dei Cieli.
Vi ho detto in principio: "Chi è il Messia?".  Vi dico ora: Io sono che vi parlo, e il mio Regno è nei vostri cuori se lo accogliete e poi sarà nel Cielo, che Io vi aprirò se saprete perseverare nella mia Dottrina.  Questo è il Messia e nulla più.  Re di un regno spirituale, del quale col suo Sacrificio aprirà le porte a tutti gli uomini di buona volontà».
Gesù ha finito di parlare e fa per avviarsi verso una scaletta che dalla diga conduce alla riva.  Forse vuole raggiungere la barca di Pietro, che beccheggia presso un rudimentale approdo.  Ma si volge di colpo e guarda fra la folla e grida: «Chi mi ha invocato per lo spirito e per la carne?».
Nessuno risponde.  Egli ripete la domanda e gira i suoi splendidi occhi sulla folla che si assiepa dietro alle sue spalle, non solo sulla via ma anche giù, sulla rena.  Ancora silenzio.
Matteo osserva: «Maestro, chissà quanti in questo momento hanno sospirato a Te sotto l'emozione delle tue parole ... ».
«No.  Un'anima ha gridato: "Pietà", e Io l'ho sentita.  E per dirvi che è vero rispondo: "Ti sia fatto secondo che chiedi, perché giusto è il moto del tuo cuore"». 
E alto, splendido, stende imperiosamente la mano verso il lido.
Tenta avviarsi ancora verso la scaletta, ma gli si pone di fronte Cusa, sceso, si capisce, da qualche barca, e lo saluta profondamente. «Ti cerco da molti giorni.  Ho fatto il giro del lago sempre inseguendoti, Maestro.  Urge che io ti parli.  Sii mio ospite.  Ho molti amici con me».
«Ieri ero a Tiberiade».
«Me lo hanno detto.  Ma non sono solo.  Vedi quelle barche dirette all'altra riva?  Là sono molti che ti vogliono.  Fra questi anche dei tuoi discepoli.  Vieni, ti prego, nella mia casa oltre il Giordano».
«E’ inutile, Cusa.  So ciò che vuoi dirmi».
«Vieni, Signore».
«Malati e peccatori mi attendono; lasciami ... ».
«Anche noi ti attendiamo, malati di ansia per il tuo bene.  E vi sono anche dei malati nella carne, anche ... ».
«Hai sentito le mie parole?  A che insisti dunque?».
«Signore, non ci respingere, noi ... ».
Una donna si è fatta largo fra la folla.  Sono ormai abbastanza pratica di vesti ebraiche per capire che non è ebrea, e di vesti... oneste per capire che costei è una disonesta.  Ma, a velare le sue fattezze e le sue grazie, forse troppo procaci, si è avviluppata tutta in un velo, ceruleo come la veste ampia, eppure provocante nella forma che le lascia scoperte le braccia bellissime. Si getta a terra e striscia fra la polvere sino a giungere a toccare la veste di Gesù, che prende fra le dita e bacia proprio sull'orlo, e piange, tutta scossa da singhiozzi.
Gesù, che stava per rispondere a Cusa con un: «Voi siete in errore e ... », china lo sguardo e dice: «Eri tu quella che mi invocavi?».
«Sì... e non sono degna della grazia che mi hai fatto.  Non avrei dovuto neppure chiamarti con lo spirito.  Ma la tua parola... Signore... io sono peccatrice.  Se mi scoprissi il volto, molti ti direbbero il mio nome.  Sono... una cortigiana... e una infanticida... e il vizio mi aveva resa malata... Ero ad Emmaus, ti ho dato un gioiello, ... me lo hai reso... e un tuo sguardo... mi è sceso in cuore... Ti ho seguito... Hai parlato.  Io ho detto in me le tue parole: "Sono fango, ma anelo a Te, Luce".  Ho detto: "Guariscimi l'anima e poi, se vuoi, la carne".  Signore, sono guarita nella carne... e l'anima? ... ».
«L'anima ti è guarita per il pentimento.  Va' e non peccare mai più.  Ti sono rimessi i tuoi peccati».
La donna bacia di nuovo il lembo della veste e si alza.  Nel farlo le scivola il velo.
«La Galazia!  La Galazia!» gridano in molti e urlano contumelie, e anche raccolgono ghiaia e rena e la gettano sulla donna che si curva e resta intimorita.
Gesù alza la mano severo.  Impone silenzio. «Perché la insultate?  Non lo facevate quando era peccatrice.  Perché ora che si redime?».
«Lo fa perché vecchia e malata».  Urlano in molti e hanno voci di scherno.
Veramente la donna, sebbene non più giovanissima, è ancora ben lungi da essere vecchia e brutta come dicono.  Ma la folla è così.
«Passa avanti a Me e scendi in quella barca.  Ti riaccompagnerò a casa per altra via» ordina Gesù, e dice ai suoi: «Mettetela in mezzo a voi e accompagnatela».
L'ira della folla, aizzata da qualche intransigente israelita, si rovescia tutta su Gesù, e fra urli di: «Anatema!  Falso Cristo!  Protettore di prostitute!  Chi le protegge le approva. Più!  Le approva perché le gode» e simili frasi urlate, meglio, abbaiate e latrate soprattutto da un gruppetto di energumeni ebrei, non so di che casta, fra questi urli, delle ben lanciate manate di sabbia umida raggiungono il viso di Gesù e lo bruttano.
Egli alza il braccio e si deterge la guancia senza protestare.  Non solo, ma ferma col gesto Cusa e qualche altro che vorrebbero reagire in sua difesa e dice: «Lasciateli fare.  Per la salvezza di un'anima soffrirei ben di più!  Io perdono!».
Zenone, quello di Antiochia, che non si era mai allontanato dal Maestro, esclama: «Ora veramente so chi sei!  Un vero dio e non un retore falso!  La greca ha detto il vero!  Le tue parole alle terme mi avevano deluso.  Queste conquistato.  Il miracolo mi ha stupito.  Il tuo perdono agli offensori conquistato.  Addio, Signore!  Penserò a Te e alle tue parole».
«Addio, uomo.  La Luce ti illumini il cuore».
Cusa insiste di nuovo mentre vanno verso l'approdo, mentre sulla diga succede una gazzarra fra romani e greci da un lato e israeliti dall'altro.
« Vieni! Per poche ore soltanto. E’ necessario.  Ti riaccompagnerò io stesso.  Sei benigno alle meretrici e vuoi esser inesorabile con noi?».
«Va bene. Verrò. E’ necessario, infatti ...». Si volge agli apostoli già nelle barche: «Andate avanti.  Io vi raggiungerò ...».
«Vai solo?» chiede Pietro poco contento.
«Sono con Cusa ... ».  
«Uhm!  E noi non si può venire?  Per cosa ti vuole coi suoi amici? Perché non è venuto a Cafarnao?».  
«Ci siamo venuti.  Non c'eravate». 
«Ci aspettavate.  Ecco tutto!».  
«Invece siamo venuti sulle vostre tracce».
«Venite adesso a Cafarnao.  Deve essere il Maestro che viene da voi?».
«Simone ha ragione» dicono gli altri apostoli.
«Ma perché non volete che venga con me? E’ forse la prima volta che viene in casa mia?  Non mi conoscete forse?».
«Sì che ti conosciamo.  Ma non conosciamo gli altri, ecco».
«E di che temete? Che io sia amico dei nemici del Maestro?».
«Non so niente io!  Mi ricordo la fine di Giovanni profeta, io!».
«Simone!  Tu mi fai offesa.  Sono uomo d'onore.  Ti giuro che prima che venisse torto un capello al Maestro mi farei trafiggere. Mi devi credere!  La mia spada è al suo servizio...».
«Eh!... Che trafiggano te... Che servirebbe?  Dopo... Sì, lo credo, ti credo... Ma, tu morto, sarebbe la sua volta.  Preferisco il mio remo alla tua spada, la mia povera barca e soprattutto i nostri semplici cuori a suo servizio».
«Ma con me è Mannaen.  Credi a Mannaen?  E c'è anche il fariseo Eleazar, quello che tu conosci, e il sinagogo Timoneo, e Natanael ben Fada.  Tu non lo conosci questo.  Ma è un capo importante e vuole parlare col Maestro.  E c'è Giovanni detto l'Antipa di Antipatride, favorito da Erode il Grande, ora vecchio e potente, padrone di tutta la valle del Gahas, e... ».
«Basta, basta!Tu fai dei gran nomi, a me nulla dicono, meno due... e vengo anche io…».
«No.  Vogliono parlare col Maestro ... ».
«Vogliono!  E chi sono?  Vogliono?!  Ed io non voglio.  Sali qui, Maestro, e andiamo.  Non voglio sapere di nessuno io, non mi fido che di me stesso io.  Su, Maestro.  E tu va' in pace a dire a costoro che non siamo randagi.  Sanno dove trovarci», e spinge Gesù senza tanti riguardi, mentre Cusa protesta a gran voce.
«Gesù interviene definitivamente: «Non temere, Simone. Nulla mi accadrà di male.  Lo so.  Ed è bene che Io vada.  Bene per Me.  Intendimi ...», e lo fissa con i suoi occhi splendidi come per dirgli: «Non insistere.  Capiscimi.  Vi sono ragioni che consigliano che Io vada».
Simone cede a malincuore.  Ma cede, come dominato... Però borbotta fra i denti malcontento.
«Va' tranquillo, Simone.  Io stesso ti riaccompagnerò il Signore mio e tuo» promette Cusa.
«Quando?».
«Domani».
«Domani?!  Tanto ci vuole per dire due parole?  Siamo fra terza e sesta... Prima di sera, se non è con noi, veniamo noi da te, ricordalo.  E non noi soli ... », e lo dice con un tono che non lascia dubbi sull'intenzione.
Gesù posa la mano sulla spalla di Pietro.
«Ti dico, Simone, che non mi faranno male.  Mostra che credi nella mia vera natura.  Io te lo dico.  Io so.  Non mi faranno nulla.  Vogliono soltanto spiegarsi con Me... Va'... Conduci la donna a Tiberiade, sosta pure da Giovanna, potrai vedere che non mi rapiscono con barche e armati ... ».
«Già, ma la sua casa (e accenna a Cusa) la conosco.  So che dietro c'è la terra, non è un'isola, c'è dietro Galgala e Gamala, Aera, Arbela, Gerasa, Bozra, e Pella e Ramot e quante mai città!...».
«Ma non temere, dico!  Ubbidisci.  Dammi un bacio, Simone.  Va'!  Anche a voi».  Li bacia e li benedice.  Quando vede la barca andare grida loro: «Non è la mia ora.  E finché non è, nulla e nessuno potrà alzare la mano su Me.  Addio, amici».
Si volge a Giovanna, che appare visibilmente turbata e pensierosa, e dice anche a lei: «Non temere. E’ bene che ciò avvenga. Va' in pace».  E a Cusa: «Andiamo.  Per mostrarti che non ho paura.  E per guarirti...».
«Non sono malato, Signore ... ».
«Tu lo sei.  Io te lo dico.  E molti con te.  Andiamo».
Sale sulla barca snella e ricca e si siede.  I rematori iniziano la voga sulle acque chete, facendo un arco per sfuggire alla corrente sensibile là verso il termine del lago, presso lo sbocco di esso nel fiume.

Ragazzi, Pietro mi piace da morire!


15.4. Non lo dirai altro che quando gli uomini vorranno mostrarmi come un comune capo-popolo…
Un giorno verrà. E dirai: ‘Egli non fu re della terra perché non volle…’

 

464. Nella casa di campagna di Cusa, il tentativo di eleggere re Gesù.  La testimonianza del Prediletto.

 

30 luglio 1946.
Sull'altra sponda, presso al passaggio costituito dal ponte, attende già un carro coperto.
«Sali, Maestro.  Non ti affaticherai per quanto sia lungo il tragitto, non tanto per lunghezza di via quanto perché ho ordinato di tenere qui sempre delle coppie di buoi, per non dare ombra agli ospiti più ligi alla Legge. Vanno compatiti...».
«Ma dove sono essi?».
«Ci hanno preceduti su altri carri.  Tobiolo!».
«Padrone!» dice il conducente, che sta aggiogando i buoi. «Gli altri ospiti dove sono?».
«Oh! molto avanti.  Staranno per arrivare alla casa». «Lo senti, Maestro?».
«Ma se non fossi venuto?».
«Oh!  Eravamo certi che saresti venuto.  Perché non avresti dovuto venire?».
«Perché!!  Cusa, Io sono venuto per mostrarti che non sono un vile.  Vili sono unicamente i malvagi, coloro che hanno delle colpe per cui temono la giustizia... La giustizia degli uomini, purtroppo.  Mentre dovrebbero temere per prima, per unica, quella di Dio.  Ma Io non ho colpe e non ho paura degli uomini».
«Ma Signore!  Quelli che sono con me ti venerano tutti!  Come me.  E non ti dobbiamo fare paura per niente!  Ti vogliamo dare onore, non insulto!».  Cusa è addolorato e quasi sdegnato.
Gesù, seduto di fronte a lui, mentre il carro procede lento, cigolando, fra le verdi campagne, risponde: «Più che l'aperta guerra dei nemici Io devo temere quella subdola dei falsi amici, o l'ingiusto zelo di amici veri ma che ancora non mi hanno capito. E tu sei di questi.  Non ricordi ciò che dissi a Bétèr?».
«Io ti ho capito, Signore» mormora Cusa, ma non molto sicuro e senza rispondere direttamente alla domanda.
«Sì.  Mi hai capito.  Sotto la ventata del dolore e della gioia, il tuo cuore si era fatto limpido come, dopo un temporale e un arcobaleno, è limpido l'orizzonte.  E vedevi giusto.  Poi... Volgiti, Cusa, a guardare il nostro mar di Galilea.  Pareva così limpido all'aurora!  Nella notte le guazze avevano deterso l'atmosfera e il fresco notturno aveva calmato l'evaporar delle acque.  Cielo e lago erano due specchi di zaffíro chiaro che si riflettevano le singole bellezze, e i colli, intorno, erano freschi e mondi come li avesse creati Dio nella notte.  Ora guarda.  La polvere delle strade costiere, percorse da persone e animali, l'ardore del sole che fa fumare i boschi e i giardini come caldaie sopra un focolare e incendia il lago facendone evaporar le acque, guarda come hanno turbato l'orizzonte.  Prima le sponde parevano vicine, nitide come erano nel gran nitore dell'aria; ora, guarda... Paiono tremolare offuscate, confuse, simili a cose che si vedono attraverso un velo d'acque impure.  Così è successo in te.  Polvere: umanità.  Sole: orgoglio.  Cusa, non turbare te stesso ... ».
Cusa china il capo, giocherellando macchinalmente con gli ornamenti della sua veste e la fibbia della ricca cintura che sorregge la spada.
Gesù tace, stando quasi ad occhi chiusi come preso da sonno. Cusa ne rispetta il riposo, o ciò che egli crede tale.
Il carro va lento in direzione sud-est, verso delle lievi ondulazioni che sono, almeno credo, il primo scaglione dell'altipiano che limita la valle del Giordano da questo lato orientale.  Certo per ricchezza di acque sotterranee, o di qualche corso d'acqua, le campagne sono fertilissime e belle; grappoli e frutti appaiono da ogni fronda.
Il carro devia su una strada privata, lasciando quella maestra, e si interna sotto un viale foltissimo, sotto il quale è ombra e frescura, almeno relativa, rispetto alla fornace che è l'assolata via maestra.  Una casa bassa, bianca, di signorile aspetto, è in fondo al viale.  Casette più umili sono sparse qua e là per i campi e i vigneti.  Il carro supera un ponticello e un limite oltre il quale il frutteto si muta in giardino dal viale sparso di ghiaia.  Al rumore diverso delle ruote sul ghiaino Gesù apre gli occhi.
«Siamo arrivati, Maestro.  Ecco gli ospiti che ci hanno sentiti e accorrono» dice Cusa.
E infatti molti, tutti di ricca condizione, si affollano all'inizio del viale e salutano con pomposi inchini il Maestro che giunge.  Vedo e riconosco Mannaen, Timoneo, Eleazaro, e mi pare di vedere altri non nuovi ma dei quali non so dire il nome.  E poi molti e molti mai visti, o per lo meno mai notati particolarmente. Vi sono molti con spade, e vi sono altri che in luogo delle spade ostentano gli abbondanti fronzoli farisaici e sacerdotali o rabbinici.
Il carro si arresta e Gesù scende per il primo, inchinandosi in un saluto cumulativo.  I discepoli Mannaen e Timoneo si fanno avanti scambiando un saluto particolare.  E poi si avanza Eleazaro (il fariseo buono del convito in casa di Ismael) e con lui si fanno largo due scribi che ci tengono a farsi riconoscere.  Sono quello che a Tarichea ebbe guarito il figlioletto il giorno della prima moltiplicazione dei pani, e l'altro che ai piedi del monte delle Beatitudini dette cibo a tutti.  E un altro ancora si fa largo: il fariseo che in casa di Giuseppe, al tempo dei grani, fu istruito da Gesù sul vero movente della sua ingiusta gelosia.
Cusa procede alle presentazioni e le risparmio a tutti.  Perché c'è da perdere la testa fra i molti Simone, Giovanni, Levi, Eleazar, Natanaele, Giuseppe, Filippo, ecc. ecc.; sadducei, scribi, sacerdoti, erodiani per la più parte, anzi dovrei dire che gli ultimi sono i più, e qualche pizzico di proseliti e di farisei, due sinedristi e quattro sinagoghi e, sperduto non so come qui dentro, un esseno.
Gesù si inchina ad ogni nome, dando un acuto sguardo ad ogni viso e talora avendo un lieve sorriso, come quando qualcuno, a rendere più chiara la sua identità, specifica qualche fatto che lo mise in rapporto con Gesù.
Così un certo Gioacchino di Bozra dice: «Mia moglie Maria fu da Te guarita dalla lebbra.  Te benedetto».
E l'esseno: «Ti udii quando parlasti presso Gerico e un fratello nostro lasciò le rive del mar Salato per seguirti.  E ancora seppi di Te per il miracolo di Eliseo di Engaddi.  In quelle terre noi puri viviamo attendendo ... ».
Cosa attendano non so.  So che, dicendolo, costui guarda con un'aria di superiorità un po' esaltata gli altri, che non posano certo a mistici ma, per la più parte, paiono usufruire allegramente dei benesseri che la loro posizione concede loro.
Cusa sottrae il suo Ospite alle cerimonie dei saluti e lo conduce in una comoda stanza da bagno, dove lo lascia alle abluzioni d'uso, certo gradite con quel caldo, e torna dai suoi ospiti, coi quali confabula animatamente, e giungono quasi ad una disputa perché i presenti sono di pareri diversi.  Chi vuole intavolare subito il discorso.  Quale?  Chi invece propone di non assalire subito il Maestro, ma di persuaderlo avanti del loro rispetto profondo.  Vince quest'ultima parte che è la più numerosa, e Cusa, da padrone di casa, chiama i servi per ordinare un banchetto da farsi verso sera, lasciando tempo a Gesù, «che è stanco e lo si vede, di riposare», cosa che viene accettata da tutti, tanto che, quando Gesù riappare, gli ospiti si accomiatano con grandi inchini lasciandolo con Cusa, che lo conduce in una stanza ombrosa dove è un basso giaciglio coperto di ricchi tappeti.
Ma Gesù, rimasto solo dopo aver consegnato ad un servo i sandali e la veste, perché fossero ripuliti dalla polvere e dai segni delle peregrinazioni del giorno avanti, non dorme.  Seduto sulla sponda del lettuccio, i piedi scalzi sulla stuoia del pavimento, la corta tunica o sottoveste che gli copre il corpo sino ai gomiti e ai ginocchi, pensa intensamente.  E se l'abbigliamento così ridotto lo fa apparire più giovane nella splendida e perfetta armonia del corpo virile, l'intensità del pensiero, che non è certo lieto, gli incide rughe e gli appesantisce il viso in una espressione di stanchezza dolorosa che lo invecchia.
Nessun rumore nella casa, nessuno nella campagna dove maturano i grappoli nel calore pesante.  Le tende oscure che cadono davanti alle porte e alle finestre non hanno il minimo ondulare.
Passano le ore così... La penombra cresce col decrescere del sole.  Ma il caldo persiste.  E persiste la meditazione di Gesù.
Infine la casa dà segni di risveglio.  Si sentono delle voci, degli scalpiccii, degli ordini.
Cusa muove piano la tenda per vedere senza disturbare.
«Entra!  Non dormo» dice Gesù.
Cusa entra: è già nella veste ornata del banchetto.  Guarda e vede che il lettuccio non mostra segno di aver accolto un corpo. «Non hai dormito?  Perché?  Sei stanco ... ».
«Ho riposato nel silenzio e nell'ombra.  Mi basta».
«Ti farò portare una veste ... ».
«No.  La mia certo è asciugata.  Preferisco quella.  Intendo partire non appena ha termine il banchetto.  Ti prego provvedere acciò Io abbia il carro e la barca».
«Come vuoi, Signore... Avrei voluto trattenerti sino a domani all'aurora ... ».
«Non posso.  Devo andare...     ».
Cusa esce con un inchino...    Si sente un gran parlottio...Passa dell'altro tempo. Torna il servo con la veste di lino fresca di lavatura, odorosa di sole, e coi sandali nettati dalla polvere e ammorbiditi con dell'olio o del grasso che li fa lucidi e flessuosi.  Un altro lo segue con un catino, un'anfora e degli asciugamani, e depone tutto su un basso tavolo.  Escono...

... Gesù raggiunge gli ospiti nell'atrio che divide la casa da nord a sud, creando un luogo ventilato e gradevole, sparso di sedili e ornato di tende leggere, variegate, che modificano la luce senza ostacolare l'aria.  Ora, tirate da parte, lasciano vedere la verde cornice che circonda la casa.
Gesù è imponente.  Nonostante non abbia dormito, sembra essersi nutrito di forza ed è regale nell'incesso.  Il lino della veste appena indossata è candidissimo e i capelli, fatti lucidi dal bagno del mattino, splendono dolcemente incorniciando il volto del loro color dorato.
«Vieni, Maestro.  Attendevamo Te soltanto» dice Cusa, e lo conduce per il primo nella stanza dove sono le mense.
Si siedono dopo la preghiera e una supplementare abluzione alle mani, e il pranzo ha inizio, pomposo come sempre e silenzioso sul principio.  Poi il ghiaccio si rompe.
Gesù è vicino a Cusa, e Mannaen è dall'altro suo lato avendo per compagno Timoneo.  Gli altri sono distribuiti da Cusa, con esperienza di cortigiano, sui lati della tavola fatta a U. Soltanto l'esseno si è ostinatamente rifiutato di prendere parte al banchetto e di sedersi alla tavola con gli altri, e soltanto quando un servo, per ordine di Cusa, gli offre un cestello prezioso colmo di frutta, accetta di sedere davanti ad una bassa tavola, dopo non so quante abluzioni e dopo essersi rialzate le larghe maniche della sua veste candida per tema di macchiarle o per rito, non so.
E’ un bizzarro convito, dove si procede più per sguardi che per discorsi.  Appena brevi frasi di cortesia e uno studiarsi reciprocamente, ossia Gesù studia i presenti e questi studiano Lui.
Infine Cusa fa cenno ai servi di ritirarsi dopo aver posato larghi vassoi di frutta fresche, per essere state tenute forse nel pozzo, bellissime, direi quasi ghiacciate tanto mostrano quella brinatura caratteristica delle frutta tenute in ghiacciaio.  I servi escono dopo avere acceso anche le lampade, per ora inutili, perché ancora il giorno è luminoso nel lungo tramonto estivo.
«Maestro» inizia Cusa, «Tu ti devi essere chiesto il perché di questo ritrovo e di questo nostro silenzio.  Ma ciò che ti dobbiamo dire è molto grave, e orecchie imprudenti non lo devono sentire.  Ora siamo soli e possiamo parlare.  Tu lo vedi.  Il massimo rispetto è in tutti i presenti verso di Te.  Sei fra uomini che ti venerano come Uomo e come Messia.  La tua giustizia, la tua sapienza, i doni dei quali Dio ti ha fatto padrone, sono noti e ammirati fra noi.  Tu per noi sei il Messia d'Israele.  Messia secondo l'idea spirituale e secondo quella politica.  Sei l'Atteso a por fine al dolore, all'avvilimento di tutto un popolo.  E non solo di questo popolo rinchiuso nei confini d'Israele, meglio, della Palestina, ma al popolo di tutto Israele, delle mille e mille colonie della Diaspora, sparse per tutta la terra e facenti echeggiare il Nome di Jeovè sotto ogni cielo e facenti conoscere le promesse e le speranze, che ora si compiono, di un Messia restauratore, di un Vendicatore, di un Liberatore e creatore della vera indipendenza e della patria d'Israele, ossia della Patria più grande che sia nel mondo, la Patria, regina e dominatrice, annullatrice di ogni passato ricordo e di ogni segno vivente di servaggio, l'Ebraismo trionfante su tutto e su tutti, e per sempre, perché così è stato detto e così si compie.  Signore, qui, davanti a Te, Tu hai tutto Israele nei rappresentanti delle diverse classi di questo popolo eterno, castigato ma beneamato dall'Altissimo che lo proclama "suo".  Hai il cuore pulsante e sacro d'Israele coi membri del Sinedrio ed i sacerdoti, hai la potenza e la santità con i farisei e i sadducei, hai la sapienza con gli scribi e i rabbi, hai la politica e il valore con gli erodiani, hai il censo con i ricchi, il popolo coi mercanti e possidenti, hai la Diaspora coi proseliti, hai persino i separati che ora si sentono di riunirsi perché vedono in Te l'Atteso: gli esseni, gli irraggiungibili esseni. Guarda, o Signore, questo primo prodigio, questo grande segno della tua missione, della tua verità.  Tu, senza violenza, senza mezzi, senza ministri, senza milizie, senza spade, raduni tutto il tuo popolo come un serbatoio raduna le acque di mille sorgenti.  Tu, quasi senza parole, senza, assolutamente senza imposizioni, ci riunisci, noi popolo diviso da sventure, da odi, da idee politiche e religiose, e ci pacifichi. O Principe della pace, giubila di aver redento e restaurato prima ancora di aver preso scettro e corona.  Il tuo Regno, l'atteso Regno d'Israele è sorto.  Le nostre ricchezze, le nostre potenze, le nostre spade, sono ai tuoi piedi.  Parla!  Ordina!  L'ora è venuta».
Tutti approvano il discorso di Cusa.  Gesù, le braccia conserte sul petto, tace.
«Non parli?  Non rispondi, o Signore?  Forse ti ha stupito la cosa... Forse ti senti impreparato e dubiti soprattutto che sia impreparato Israele.  Ma non è. Ascolta le nostre voci.  Io parlo, e con me Mannaen, per la Reggia.  Essa non merita più di esistere. E’ l'obbrobrio marcioso d'Israele. E’ la tirannia vergognosa che opprime il popolo e si curva servile ad adulare l'usurpatore.  La sua ora è venuta.  Sorgi, o Stella di Giacobbe, e fuga le tenebre di quel coro di delitti e di vergogne.  Qui sono quelli che, detti erodiani, sono i nemici dei profanatori del nome per loro sacro degli Erodei.  Parlate, voi».
«Maestro.  Io sono vecchio e mi ricordo ciò che era lo splendore di un tempo.  Come nome di eroe messo ad una sitente carogna, tale è il nome di Erode portato dai degeneri discendenti, avvilenti il nostro popolo. E’ l'ora di ripetere il gesto più volte fatto da Israele, quando degli indegni monarchi si sedevano sui dolori del popolo.  Tu solo sei degno di fare questo gesto».
Gesù tace.
«Maestro, ti pare che noi si possa dubitare?  Abbiamo scrutato le Scritture.  Tu sei quello.  Tu devi regnare» dice uno scriba.
«Tu devi essere Re e Sacerdote.  Novello Nehemia, più grande di questo devi venire e purificare.  L'altare è profanato.  Lo zelo dell'Altissimo ti sproni» dice un sacerdote.
«Molti di noi ti hanno combattuto.  Quelli che temono il tuo regnare sapiente.  Ma il popolo è con Te e i migliori di noi col popolo.  Abbiamo bisogno di un sapiente».  
«Di un puro abbisognamo».
«Di un vero re».
«Di un santo».
«Di un redentore.  Sempre più siamo schiavi, e di tutto e di tutti.  Difendici, Signore!».
«Nel mondo siamo calpestati perché, nonostante il numero e la ricchezza, siamo come pecore senza pastore.  Chiama a raccolta col vecchio grido: 'Alle tue tende, o Israele!", e da ogni punto della Diaspora come leva sorgeranno i tuoi sudditi, ribaltando i vacillanti troni dei potenti che non sono amati da Dio».
Gesù tace sempre.  Unico seduto, calmo, come non si trattasse di Lui, in mezzo a questa quarantina di scalmanati, dei quali raccolgo appena un decimo delle ragioni perché parlano tutti insieme in una confusione da mercato, Egli conserva la sua posa e il silenzio.
Tutti urlano: «Di' una parola!  Rispondi!».
Gesù si alza in piedi lentamente, puntando le mani sull'orlo della tavola.  Si fa un silenzio profondo.  Bruciato dal fuoco di ottanta pupille.  Egli apre le labbra e gli altri l'aprono come per aspirare la sua risposta.  E la risposta è breve, ma netta: «No».
«Ma come?  Ma perché?  Ci tradisci?  Tradisci il tuo popolo!  Rinnega la sua missione!  Ripudia l'ordine di Dio! ... ». Un baccano! Un tumulto!  Visi che si fanno cremisi, occhi che si accendono, mani che quasi minacciano... Più che dei fedeli sembrano dei nemici.  Ma così è: quando un'idea politica domina i cuori, anche i miti divengono fiere per chi contrasta quella loro idea.
Al tumulto succede un silenzio strano.  Sembra che, esaurite le forze, tutti si sentano esausti, sopraffatti.  Si guardano interrogativamente, desolati i più... alcuni inquieti...
Gesù volge lo sguardo intorno.  Dice: «Sapevo che per questo mi volevate qui.  E sapevo l'inutilità del vostro passo.  Cusa può dire che l'ho detto a Tarichea.  Sono venuto per mostrarvi che non temo insidia alcuna, perché non è l'ora.  E non la temerò quando l'ora dell'insidia sarà su Me, perché per questo sono venuto.  E sono venuto per persuadervi.  Voi, non tutti, ma molti fra voi, siete in buona fede.  Ma Io devo correggere l'errore nel quale in buona fede siete caduti.  Vedete?  Io non vi rimprovero.  Non rimprovero nessuno, neppure quelli che, per essere miei discepoli fedeli, dovrebbero sapere con giustizia e regolare le proprie passioni con giustizia.  Non rimprovero te, giusto Timoneo, ma ti dico che in fondo al tuo amore che mi vuole onorare è ancora il tuo io, che si agita e sogna un tempo migliore in cui tu possa vedere colpiti coloro che ti colpirono.  Non rimprovero te, Mannaen, per quanto tu mostri di avere dimenticato la sapienza e l'esempio tutti spirituali che avesti da Me, e dal Battista prima di Me; ma ti dico che anche in te è una radice di umanità che risorge dopo l'incendio del mio amore.  Non rimprovero te, Eleazaro, uomo giusto tanto per la vecchia che ti fu lasciata, giusto sempre, e ora non giusto; e non rimprovero te, Cusa, benché Io dovrei perché in te più che in tutti quelli che mi volete re in buona fede è vivo il tuo io.  Re, sì, mi vuoi.  Non c'è insidia nel tuo dire.  Non vieni per cogliermi in fallo, per denunciarmi al Sinedrio, al re, a Roma.  Ma più che l'amore - tu credi che sia tutto amore e non è - più che l'amore tu operi per vendicarti di offese che la reggia ti ha date.  Io sono tuo ospite.  Dovrei tacere la verità sui tuoi sentimenti.  Ma Io sono la Verità in tutte le cose.  E parlo.  Per tuo bene.  E così è di te, Gioacchino di Bozra, e di te, scriba Giovanni, e di te pure, e di te, e di te, e di te».
Indica questo, quello, senza rancore, ma con tristezza... e prosegue: «Non vi rimprovero.  Perché so che non siete voi che volete questo, spontaneamente. E’ l'insidia, è l'avversario che lavora, e voi... voi siete, senza saperlo, dei succubi nelle sue mani. Anche l'amore, anche del vostro amore, o Timoneo, o Mannaen, o Gioacchino, o voi che realmente mi amate, anche della vostra venerazione, o voi che in Me sentite il Rabbi perfetto, anche di questo egli, il Maledetto, si serve per nuocere e nuocermi.  Ma Io dico a voi, come a chi non è nei vostri sentimenti e con scopi che scendono sempre più in basso, fino ad essere tradimenti e delitti, vorrebbe che Io accettassi d'esser re, Io dico: "No.  Il mio Regno non è di questo mondo.  Venite a Me, ché Io instauri il mio Regno in voi, non altro". Ed ora lasciatemi andare».
«No, Signore.  Noi siamo ben decisi.  Noi abbiamo già messo in moto ricchezze, preparato piani, deciso di uscire da questa incertezza che tiene inquieto Israele e della quale se ne approfittano gli altri per nuocere a Israele.  Tu sei insidiato.  E’ vero.  Hai nemici nel Tempio stesso.  Io, uno degli Anziani, non lo nego. Ma per porre fine a questo c'è questo: la tua unzione.  E noi siamo pronti a dartela.  Non è la prima volta che in Israele uno è proclamato re così, per porre fine a sciagure nazionali e a discordie.  Qui c'è chi in nome di Dio lo può fare.  Lasciaci fare» dice uno dei sacerdoti.
«No.  Non vi è lecito.  Non ne avete l'autorità».
«Il Sommo Sacerdote è il primo a volere questo, anche se non appare.  Non può più permettere lo stato attuale di dominazione romana e di scandalo regale».
«Non mentire, sacerdote.  Sulle tue labbra è doppiamente impura la bestemmia.  Tu forse non sai e sei ingannato.  Ma nel Tempio ciò non si vuole».
«La credi dunque una menzogna la nostra asserzione?».
«Sì.  Se non di tutti voi, di molti fra voi.  Non mentite.  Io sono la Luce e illumino i cuori...».
«A noi ci puoi credere» gridano gli erodiani. «Noi non amiamo Erode Antipa né alcun altro».
«No.  Voi amate voi soli.  E vero.  E non potete amare Me.  Vi farei da leva per ribaltare il trono per aprirvi la via ad un più potente potere e per aggravare il popolo di peggiore oppressione. Un inganno a Me, al popolo e a voi stessi.  Roma schiaccerebbe tutti, dopo che voi aveste schiacciato».
«Signore, fra le colonie della Diaspora vi sono uomini pronti a insorgere... le nostre sostanze per questo» dicono i proseliti.
«E le mie e tutto l'appoggio della Auranite e Traconite» urla quello di Bozra.
«So ciò che mi dico.  I nostri monti possono coltivare un esercito, e salvo da insidie, per lanciarlo poi come stormo d'aquile al tuo servizio».
«Anche la Perea».
«Anche la Gaulanite».
«La valle del Gahas con Te!».
«E con Te le rive del mar Salato coi nomadi che ci credono dèi, se Tu consenti di unirti a noi» urla l'esseno, e prosegue con uno sproloquio da esaltato che si perde nel clamore.
«I montanari della Giudea sono della razza dei re forti».
«E quelli dell'Alta Galilea sono eroi della tempra di Debora.  Anche le donne, anche i bambini eroi!».
«Ci credi pochi?  Siamo schiere e schiere.  Il popolo è tutto con Te.  Tu sei il re della stirpe di Davide, il Messia!  Questo il grido sulle labbra di sapienti e di ignoranti, perché questo è il grido dei cuori. I tuoi miracoli... le tue parole... I segni ...».
Una confusione che non riesco a seguire.  Gesù, come roccia ben salda avvolta da un turbine, non si muove, neppure reagisce.  E’ impassibile.  E la ridda delle preghiere, imposizioni, ragioni, continua.
«Tu ci deludi!  Perché vuoi la nostra rovina?  Vuoi fare da Te?  Non puoi.  Matatia Maccabeo non rifiutò l'aiuto degli Assidei e Giuda liberò Israele con l'aiuto di questi... Accetta!!!».
Ogni tanto l'urlo si accomuna su questa parola.  Gesù non cede.

Uno degli Anziani, molto anziano anche d'età, parlotta con un sacerdote e uno scriba più vecchi di lui.  Si fanno avanti.  Impongono silenzio.  Parla il vecchio scriba, che ha chiamato a sé anche Eleazaro e i due scribi Giovanni: «Signore, perché non vuoi cingere il serto di Israele?».
«Perché non è mio.  Non sono figlio di principe ebreo».
«Signore, Tu forse non sai.  Io, con questo e questo, fummo chiamati un giorno perché tre Sapienti vennero chiedendo dove era Colui che era nato re degli ebrei.  Capisci?  "Nato re".  Fummo riuniti noi, principi dei sacerdoti e scribi del popolo, da Erode il Grande, per la risposta.  E con noi era Hillele il Giusto.  La risposta nostra fu: 'A Betlem di Giuda".  Tu, ci consta, là sei nato e grandi segni accompagnarono la tua nascita.  Fra i tuoi discepoli sono dei testimoni di essa.  Puoi Tu negare che fosti adorato Re dai tre Sapienti?».
«Non nego».
«Puoi negare che il miracolo ti precede e ti accompagna e ti segue come segno del Cielo?».
«Non nego».
«Puoi negare di essere il Messia promesso?».
«Non nego».
«E allora, in nome del Dio vivo, perché vuoi defraudare le speranze di un popolo?».
«Io vengo a compire le speranze di Dio».
«Quali?».
«Quelle della redenzione del mondo, della formazione del Regno di Dio.  Il mio Regno non è di questo mondo.  Riponete le vostre sostanze e le vostre armi.  Aprite gli occhi e lo spirito a leggere le Scritture e i Profeti e ad accogliere la mia Verità, e avrete il Regno di Dio in voi».
«No.  Le Scritture parlano di un re liberatore».
«Dalla schiavitù satanica, dal peccato, dall'errore, dalla carne, dal gentilesimo, dall'idolatria.  "Oh! che vi ha fatto Satana, o ebrei, popolo sapiente, per farvi così cadere in errore sulle verità profetiche?  Che vi fa, o ebrei, fratelli miei, per farvi così ciechi?  Che, che vi fa, o miei discepoli, perché anche voi più non comprendiate?  La più grande sventura di un popolo e di un credente è quella di cadere in una falsa interpretazione dei segni.  E qui si compie questa sventura.  Interessi personali, preconcetti, esaltazioni, malo amore di patria, tutto serve a creare il baratro... il baratro dell'errore in cui un popolo perirà misconoscendo il suo Re».
«Tu ti misconosci».
«Voi vi misconoscete e mi misconoscete.  Io non sono il re umano.  E voi... Voi, tre quarti di voi qui adunati lo sapete e volete il mio male, non il mio bene.  Fate per astio, non per amore.  Vi perdono.  Dico ai retti di cuore: "Tornate in voi, non siate i servi inconsci del male".  Lasciatemi andare.  Non c'è altro da dire».
Un silenzio pieno di stupore...
Eleazaro dice: «Io non ti sono nemico.  Credevo fare bene.  E non sono solo...Amici buoni pensano come me».
«Lo so.  Ma dimmi, tu, e sii sincero: che dice Gamaliele?».
«Il rabbi?... Dice... Sì, dice: "L'Altissimo darà il segno se questo è il suo Cristo"».
«Dice bene.  E che Giuseppe l'Anziano?».
«Che Tu sei il Figlio di Dio e regnerai da Dio».
«Giuseppe è un giusto.  E Lazzaro di Betania?».
«Soffre... Poco parla... Ma dice... che Tu regnerai soltanto quando i nostri spiriti ti accoglieranno».
«Lazzaro è saggio.  Quando i vostri spiriti mi accoglieranno.  Per ora voi, anche quelli che credevo spiriti accoglienti, non accogliete il Re e il Regno, e in ciò è il mio dolore».
«Insomma Tu rifiuti?» urlano in tanti.
«L'avete detto».
«Ci hai fatto compromettere, ci danneggi, ci ... » urlano altri: erodiani, scribi, farisei, sadducei, sacerdoti...
Gesù lascia la tavola e va verso questo gruppo, dardeggiandolo con i suoi sguardi.  Che occhi!  Essi, involontariamente, si ammutoliscono, si restringono al muro... Gesù va proprio viso a viso, e dice, piano, ma con un'incisività che taglia come una sciabolata: «E’ detto: "Maledetto chi colpisce di nascosto il suo prossimo e accetta doni per condannare a morte un innocente".  Io a voi dico: vi perdono.  Ma il vostro peccato è noto al Figlio dell'uomo.  Se non vi perdonassi Io... Per molto meno furono inceneriti da Jeovè molti d'Israele».  Ma è tanto terribile nel dire questo che nessuno osa muoversi, e Gesù alza la pesante doppia cortina ed esce nell'atrio senza che nessuno osi un gesto.

Solo quando la tenda cessa di agitarsi, ossia dopo qualche minuto, essi si riscuotono.
«Bisogna raggiungerlo... Bisogna tenerlo ... » dicono i più inferociti.
«Bisogna farsi perdonare» sospirano i migliori, ossia Mannaen, Timoneo, dei proseliti, quello di Bozra, i retti di cuore, insomma.
Si affollano fuori della sala.  Cercano, interrogano i servi: «Il Maestro?  Dove è?».
Il Maestro?  Nessuno lo ha visto, neppure quelli che erano alle due porte dell'atrio.  Non c'è... Con torce e fanali lo cercano fra le ombre del giardino, nella stanza dove aveva riposato.  Non c'è, e non c'è il suo mantello lasciato sul letto, la sua borsa lasciata nell'atrio...
«Ci è sfuggito! E’ un satana!  No. E’ Dio.  Fa ciò che vuole.  Ci tradirà!  No. Ci conoscerà per quello che siamo».  Un clamore di pareri e di reciproci insulti.  I buoni gridano: «Voi ci avete sedotti.  Traditori!  Dovevamo immaginarlo!». 
I malvagi, ossia i più, minacciano, e la zuffa, perduto il capro espiatorio su cui volgersi, volge le sue due parti in se stesse...
E Gesù dove è? Io lo vedo, per suo volere, molto lontano, verso il ponte sull'imbocco del Giordano.  Va veloce come portato dal vento.  I capelli ondeggiano intorno al volto pallido, la veste sbatte come una vela nel rapido andare.  Poi, quando è sicuro che si è distanziato, si inselva nei falaschi della sponda e prende la riva di oriente e, appena trova i primi scogli dell'alta scogliera, vi sale, incurante della poca luce che rende pericoloso il salire sulla costa scoscesa.  Sale, sale sino ad uno scoglio proteso sul lago, vegliato da una quercia secolare, e là si siede, pone un gomito sul ginocchio, sulla palma della mano puntella il mento e, con lo sguardo fisso nella vastità che imbruna, appena visibile più per il chiarore della veste e il pallore del volto, sta...
Ma c'è chi lo ha seguito.  Giovanni.  Un Giovanni seminudo, ossia con la sola corta veste di pescatore, con i capelli tesi di chi è stato in acqua, affannato eppure pallido.  Si accosta piano al suo Gesù.  Pare un'ombra che scivoli sulla scogliera scabra.  Si ferma poco lontano.  Sorveglia Gesù... Non si muove.  Pare un masso aggiunto al masso.  La tunica scura lo annulla ancor più, solo il viso e le gambe e braccia nude sono un poco visibili nell'ombra notturna.
Ma quando, più che vedere, sente piangere Gesù, allora non resiste più e si accosta finché lo chiama: «Maestro!».
Gesù sente il sussurro e alza il capo; pronto a fuggire, si raccoglie la veste.
Ma Giovanni grida: «Che ti hanno fatto, Maestro, perché Tu più non conosca Giovanni?».
E Gesù riconosce il suo Prediletto.  Gli tende le braccia e Giovanni vi si lancia, e i due piangono per due diversi dolori e un unico amore.
Ma poi il pianto calma e Gesù per il primo torna alla netta visione delle cose.  Sente e vede Giovanni seminudo, con la tunica umida, le carni ghiacce, scalzo. «Come sei qui, in questo stato? Perché non sei con gli altri?».
«Oh! non mi sgridare, Maestro.  Non potevo stare... Non potevo lasciarti andare... Mi sono spogliato della veste, di tutto meno questo, e mi sono gettato a nuoto tornando a Tarichea da li, per la riva, a corsa al ponte e poi via, via, dietro di Te, sono rimasto nascosto nel fosso presso la casa, pronto a venir in tuo aiuto, almeno a sapere se ti rapivano, se ti nuocevano.  E ho sentito molte voci in contesa e poi ho visto Te passarmi veloce davanti.  Parevi un angelo.  Per seguirti senza perderti di vista sono caduto in fossi e acquitrini e sono tutto fangoso.  Ti avrò macchiato la veste... Ti guardo da quando sei qui... Tu piangevi?... Che ti hanno fatto, mio Signore?  Ti hanno insultato? Percosso?».
«No.  Mi volevano fare re.  Un povero re, Giovanni!  E molti volevano farlo in buona fede, per vero amore, per scopo buono... I più... per potermi denunziare e levarmi di mezzo... ».
«Chi sono costoro?».
«Non chiederlo».
«E gli altri?».
«Non chiedere neppure il nome di questi.  Non devi odiare e non devi criticare... Io perdono ... ».
«Maestro... c'erano discepoli?... Dimmi questo solo».
«Sì».
«E apostoli?».
«No, Giovanni.  Nessun apostolo».
«Veramente, Signore?».
«Veramente, Giovanni».
«Ah!  Lode a Dio di ciò... Ma perché piangi ancora, Signore? lo sono con Te.  Io ti amo per tutti.  E anche Pietro, e Andrea e gli altri... Quando hanno visto che mi gettavo nel lago, mi hanno dato del pazzo, e Pietro era furente, e mio fratello diceva che volevo morire nei gorghi.  Ma poi hanno capito e mi hanno urlato: "Dio sia con te.  Và.  Và...Ti amiamo noi.  Ma nessuno come me, povero fanciullo».
«Sì.  Nessuno come te.  Hai freddo, Giovanni!  Vieni qui sotto il mio mantello ... ».
«No, ai tuoi piedi, così... Maestro mio!  Perché tutti non ti amano come il povero fanciullo che io sono?».
Gesù se lo attira sul cuore sedendosi al suo fianco. «Perché non hanno il tuo cuore di fanciullo ... ».
«Ti volevano far re?  Ma non hanno capito ancora che il tuo Regno non è di questa terra?».
«Non hanno capito!».
«Senza far nomi, racconta, Signore ... ».
«Ma tu non lo dirai ciò che Io ti ho detto?».
«Se Tu non vuoi, Signore, non lo dirò ... ». 
«Non lo dirai altro che quando gli uomini vorranno mostrarmi come un comune capo popolo.  Un giorno questo verrà.  Tu ci sarai.  E dirai: "Egli non fu re della terra perché non volle.  Perché il suo Regno non era di questo mondo.  Egli era il Figlio di Dio, il Verbo incarnato, e non poteva accettare ciò che è terreno. Volle venire nel mondo e vestire una carne per redimere le carni e le anime e il mondo, ma non soggiacque alle pompe del mondo e ai fomiti del peccato, e nulla di carnale e mondano fu in Lui.  La Luce non si fasciò di Tenebre, l'infinito non accolse cose finite, ma delle creature, limitate per la carne e il peccato, fece delle creature che più gli fossero uguali, portando i credenti in Lui alla regalità vera e instaurando il suo Regno nei cuori, avanti di instaurarlo nei Cieli, dove sarà completo ed eterno con tutti i salvati".  Questo dirai, Giovanni, a chi mi vorrà tutto uomo, a chi mi vorrà tutto spirito, a chi negherà che Io abbia subito tentazione... e dolore.  Dirai agli uomini che il Redentore ha pianto... e che essi, gli uomini, sono stati redenti anche dal mio pianto... ».
«Sì, Signore.  Come soffri, Gesù! ... ».
«Come redimo!  Ma tu mi consoli del soffrire.  All'alba partiremo di qua.  Troveremo una barca.  Tu credi se dico che potremo andar senza remi?».
«Io crederei anche se Tu dicessi che andremmo senza barca ... ».
Restano abbracciati, avvolti nell'unico mantello di Gesù, e Giovanni, nel tepore, finisce ad addormentarsi, stanco, come un bambino fra le braccia della mamma.


15.5. Il piccolo e il grande Giovanni…

Ed ecco come lo stesso Gesù commenta questo episodio del Vangelo di Giovanni con il quale termina la prima parte  della nostra trilogia:

31 luglio 1946.
Dice Gesù:
«Ecco che, per i retti di cuore, è stata data questa pagina evangelica sconosciuta e tanto, tanto illustrativa.  Giovanni, scrivendo dopo molti lustri il suo Vangelo, ha una breve allusione al fatto.  Ubbidiente al desiderio del suo Maestro, del quale illustra più di ogni altro evangelista la natura divina, svela agli uomini questo particolare ignorato, e lo svela con quel suo ritegno verginale che fasciava tutte le sue azioni e parole di un pudore umile e ritroso.
Giovanni, il mio confidente dei fatti più gravi della mia vita, non si è mai pomposamente ammantato di questi miei favori.  Ma anzi, leggete bene, pare che soffra nel rivelarli e che dica: "Devo dire ciò perché è verità che esalta il mio Signore, ma vi chiedo perdono di dovermi mostrare unico nel saperla", e con concise parole accenna al particolare solo a lui noto.
Leggete il primo capitolo del suo Vangelo, dove narra il suo incontro con Me: ‘Giovanni Battista si trovava di nuovo con due suoi discepoli... I due discepoli, udite queste parole... Andrea, fratello di Simon Pietro, era uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e avevano seguito Gesù.  Il primo in cui Andrea si imbatté......’. Egli non si nomina, anzi egli si offusca dietro Andrea che pone in luce.
A Cana era con Me, e dice: "Gesù era coi suoi discepoli... e i suoi discepoli credettero in Lui".  Erano gli altri che avevano bisogno di credere.  Egli già credeva.  Ma si unifica agli altri come creatura bisognosa di vedere miracoli per credere.
Testimone alla prima cacciata dei mercanti dal Tempio, al colloquio con Nicodemo, all'episodio della Samaritana, non dice mai: ‘Io c'ero’, ma conserva la linea di condotta presa a Cana e dice:        "I suoi discepoli" anche quando era lui solo o lui e un altro.  E così continua, non nominandosi mai, mettendo anzi sempre avanti i compagni, quasi non fosse stato il più fedele, il sempre fedele, il perfettamente fedele.
Ricordate la delicatezza con cui accenna all'episodio della Cena, dal quale risulta che egli era il prediletto riconosciuto tale anche dagli altri, che a lui ricorrono quando vogliono sapere i segreti del Maestro: "Cominciarono perciò i discepoli a guardarsi l'un l'altro, non sapendo a chi il Maestro alludesse.  Stava uno di loro, quello da Gesù prediletto, posando sul petto di Lui.  A questo fe' cenno Simon Pietro e chiese: 'Di chi parla?'.  E quello, posato come era sul petto di Gesù, chiese a Lui: 'Chi è mai, Signore?'.
Neppur si nomina come chiamato nel Getsemaní con Pietro e Giacomo.  Neppur dice: "Io seguii il Signore".  Dice: "Lo seguì Simon Pietro e un altro discepolo, e quest'altro, essendo noto al Pontefice, entrò con Gesù nell'atrio del Pontefice".  Senza Giovanni Io non avrei avuto il conforto di vedere lui e Pietro nelle prime ore della cattura.  Ma Giovanni non se ne vanta.
Personaggio fra i principali nelle ore della Passione, l'unico apostolo sempre presente ad essa amorosamente, pietosamente, eroicamente presente presso il Cristo, presso la Madre, di fronte a Gerusalemme scatenata, tace il suo nome anche nell'episodio saliente della Crocifissione e delle parole del Morente: "Donna, ecco tuo figlio", "Ecco tua madre".  E il "discepolo", il senza nome, senza altro nome che quello che è la sua gloria dopo essere stato la sua vocazione: "il discepolo".
Divenuto il "figlio" della Madre di Dio, neppur dopo questo onore si esalta, e nella Risurrezione dice ancora: "Pietro e l'altro discepolo (ai quali Maria di Lazzaro aveva detto del sepolcro vuoto) uscirono e andarono... Correvano... ma quell'altro discepolo corse più di Pietro e arrivò primo e chinatosi vide... ma non entrò...... Tratto di umiltà soave!  Lascia, egli, il prediletto, il fedele, che Pietro, il capo, benché peccatore per viltà, entri per primo.  Non lo giudica.  E’ il suo Pontefice.  Lo soccorre anzi con la sua santità, perché anche i "capi" possono, hanno anzi bisogno dei sudditi per esser sorretti.
Quanti sudditi migliori dei "capi"!  Non negate mai la vostra pietà, o sudditi santi, ai "capi" che flettono sotto il peso che non sanno portare, o ai quali il fumo dell'onore dà cecità ed ebbrezza. Siate, o sudditi santi, i cirenei dei vostri Superiori; siate, sii, o mio piccolo Giovanni, perché a te per tutti parlo, i "Giovanni" che corrono avanti e guidano i "Pietri", e poi si fermano lasciandoli entrare, per il rispetto alla loro carica, e che - oh! capolavoro di umiltà! - e che, per non mortificare i "Pietri" che non sanno comprendere e credere, giungono a mostrarsi, a lasciar credere, che sono ottusi e increduli essi pure come i "Pietri".
Leggete l'ultimo episodio sul lago di Tiberiade.  E’ ancor Giovanni che, ripetendo l'atto fatto altre volte, riconosce il Signore nell'Uomo ritto sulla riva e, dopo aver spartito il cibo insieme, nella domanda di Pietro: "E di costui che ne sarà?" è sempre "il discepolo", nulla più.
Per quanto riguarda lui, si annulla.  Ma, quando è da dire cosa che faccia risplendere di luce sempre più divina il Verbo di Dio incarnato, ecco che Giovanni alza i veli e rivela un segreto.
Nel sesto capitolo del Vangelo egli dice: 'Accortosi che volevano rapirlo per farlo re, fuggì di nuovo solo sul monte".  Ed è resa nota ai credenti questa ora del Cristo, perché i credenti sappiano che molteplici e complesse furono le tentazioni e le lotte mosse al Cristo nelle sue diverse caratteristiche di Uomo, di Maestro, di Messia, di Redentore, di Re, e che gli uomini e Satana - l'eterno istigatore degli uomini - non risparmiarono nessuna insidia al Cristo per sminuirlo, abbatterlo, distruggerlo. All'Uomo, all'eterno Sacerdote, al Maestro come al Signore si mossero in assalto le malizie sataniche e umane, larvate dei pretesti più accettabili come buoni, e le passioni del cittadino, del patriota, del figlio, dell'uomo, furono tutte stuzzicate o tentate per scoprire un punto debole sotto cui far leva.
Oh! figli miei che non riflettete che alla tentazione iniziale e alla tentazione ultima, e delle mie fatiche di Redentore vi paiono "fatiche" solo le ultime, e dolorose solo le ore estreme, e amare e disilludenti solo le estreme esperienze, sostituitevi per un'ora a Me, fate conto di essere voi quelli ai quali viene prospettata pace coi compatrioti, aiuto degli stessi, possibilità di compiere le purificazioni necessarie per rendere santo il Paese diletto, le possibilità di restaurare, riunire le sparse membra d'Israele, di por fine al dolore, al servaggio, al sacrilegio.  E non dico: sostituitevi a Me, pensandovi offerta una corona.  Dico solo di avere il mio cuore di Uomo per un'ora, e dite: la seducente proposta, come vi avrebbe lasciati?  Trionfatori fedeli alla divina Idea, o non piuttosto vinti?  Ne sareste usciti più che mai santi e spirituali, o avreste distrutto voi stessi coll'aderire alla tentazione o col cedere alle minacce?  E con che cuore ne sareste usciti, dopo aver constatato sino a che punto Satana spingeva le sue armi per ferirmi nella missione e negli affetti, traviandomi su errata via i discepoli buoni, e mettendomi in lotta aperta coi nemici ormai smascherati, resi feroci dall'essere stati scoperti nelle loro trame?
Non state col compasso e misurino, col microscopio e la scienza umana, non state con argomentazioni pedanti da scriba a misurare, a confrontare, a confutare se Giovanni ha detto bene, fino a quanto è vero questo o quello.  Non sovrapponete la frase di Giovanni all'episodio dato ieri per vedere se i contorni combacino.  Non ha sbagliato Giovanni per debolezza di vecchio e non ha sbagliato il piccolo Giovanni per debolezza di malata.  Questo ha detto ciò che ha visto.  Il grande Giovanni, dopo molti lustri dal fatto, ha narrato ciò che sapeva e, con fine concatenazione dei luoghi e dei fatti, ha svelato il segreto noto a lui solo della tentata, e non senza malizia, incoronazione del Cristo.
A Tarichea, dopo la prima moltiplicazione dei pani, sorge nel popolo l'idea di fare del Rabbi nazareno il re d'Israele.  Sono presenti Mannaen, lo scriba e altri molti che, imperfetti ancora nello spirito ma onesti nel cuore, raccolgono l'idea e se ne fanno fautori per dare onore al Maestro, per porre fine alla lotta ingiusta contro Lui, per errore nell'interpretazione delle Scritture, errore diffuso per tutto Israele, acciecato da sogni di regalità umana, e per speranza di santificare la patria contaminata da molte cose.
E molti, come era naturale, aderiscono all'idea semplicemente.  E molti fingono subdolamente di aderirvi per nuocermi.  Uniti questi ultimi dall'odio per Me, dimenticano i loro odi di casta, che li avevano sempre tenuti divisi, e si alleano per tentarmi onde poi dare un'apparenza legale al delitto che già era deciso dai loro cuori.  Sperano in una mia debolezza, in un mio orgoglio.  Essi, orgoglio e debolezza, e la mia conseguente accettazione della corona offerta, avrebbero dato una giustificazione alle accuse che volevano lanciare contro di Me.  E dopo... Dopo sarebbero serviti a dar pace al loro spirito subdolo e preso dai rimorsi, perché si sarebbero detti, sperando di poterlo credere: "Roma, non noi, ha punito il Nazareno agitatore".  L'eliminazione legale del loro Nemico.  Tale era per loro il loro Salvatore...
Ecco le ragioni della tentata proclamazione.  Ecco la chiave dei più forti odi successivi.  Ecco, infine, l'alta lezione del Cristo.  La comprendete?  E lezione di umiltà, di giustizia, di ubbidienza, di fortezza, di prudenza, di fedeltà, di perdono, di pazienza, di vigilanza, di sopportazione, verso Dio, verso la propria missione, verso gli amici, verso gli illusi, verso i nemici, verso Satana, verso gli uomini suoi strumenti di tentazione, verso le cose, verso le idee.  Tutto deve essere contemplato, accettato, respinto, amato o no, guardando il fine santo dell'uomo: il Cielo, la volontà di Dio.
Piccolo Giovanni.  Questa è stata una delle ore di Satana per Me.  Come le ha avute il Cristo così le hanno i piccoli Cristi.  Bisogna subirle e superarle senza superbie e senza sfiducie.  Non sono senza scopo.  E scopo buono.  Non temere però.  Dio, durante queste ore, non abbandona, ma sorregge chi è fedele.  E dopo scende l'Amore a fare, dei fedeli, dei re.  E, oltre ancora, finita l'ora della Terra, salgono i fedeli al Regno, in pace per sempre, vittoriosi per sempre...
La mia pace, piccolo Giovanni, coronato di spine.  La mia pace...».

Fine

della  prima parte