(Il Vangelo secondo San Giovanni – La Sacra Bibbia – Cap. 6, 16-21 – Edizioni Paoline, 1968)
(M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Cap. 274 – Centro Editoriale Valtortiano)

12. Gesù cammina sulle acque…

Gv 6, 16-21:

Fattosi poi sera , i suoi discepoli scesero al mare e, saliti in barca, si diressero all’altra riva del lago, verso Cafarnao..
Era già buio, ma Gesù non era ancora venuto da loro.
Or, soffiando gran vento, il mare era agitato.
Avanzatisi per circa venticinque o trenta stadi, videro Gesù camminare sul mare e accostarsi alla barca, ed ebbero paura.
Ma egli disse loro: ‘Sono io, non temete’.
Allora vollero prenderlo nella barca e subito la barca toccò terra, là dove erano diretti.


12.1 Tutte le volte che potevano gli apostoli andavano a vela…

Questo episodio – con rispetto parlando – lo racconta molto meglio Matteo  (Mt 14, 24-33) che, evidentemente, doveva essere in quella barca con gli altri apostoli ma che non ha vergogna a raccontare nei particolari che si erano tutti presi una ‘fifa’ tremenda: prima per il mare agitato che aveva fatto loro temere un naufragio e poi perché si vedono apparire Gesù sul mare in piena notte, fra i flutti spumeggianti ed il vento che fischia, e lo scambiano per un fantasma.
Credo che dovessero aver pensato che fosse l’anima di qualche trapassato venuta a prelevali per portarli nell’aldilà.

E’ dunque terminata la moltiplicazione dei pani, cala la sera e la folla si allontana in cerca di un ricovero per dormire oppure si accampa per la notte alla maniera dei nostri campeggiatori.
Sono tutti ancora sbalorditi per quel miracolo, perché ognuno di loro – mentre i discepoli distribuivano con il loro cestino – aveva potuto constatare che sembrava un pozzo senza fondo dal quale saltavano fuori pagnotte e pesce a volontà: da non credere, se non l’avessero visto con i loro occhi.
Gli apostoli invece salgono in barca perché da quelle parti  (le strade consolari romani erano rare e le altre dovevano essere poco più che sentieri carrabili) la barca doveva essere un mezzo di locomozione rapido, rispetto ad un carretto trascinato da cavalli o buoi, non parliamo poi dell’andare a piedi.
Non che gli apostoli si spostassero con mezzi di lusso, ma  i primi quattro erano pescatori e la barca – anzi: due barche belle grandi – erano le loro.
Tutte le volte che potevano andavano a vela, e quando cadeva il vento davan di mano ai remi e vogavano almeno in quattro, mentre uno se ne stava al timone.
Anche in questo caso andavano a vela, e il vento era contrario. Non siete mai stati velisti come me? Andare in barca a vela di notte – se c’è un po’ di ‘mare’ - non è bello, sembra che tu sprofondi nella voragine di buio e ti può prendere, le prime volte, un poco d’ansia, perché ti chiedi cosa ci sarà mai là in fondo a quel buco nero dove ti pare tu ti debba infilare prima di rialzarti con un senso di sollievo sulla cresta dell’onda successiva. 
Se poi il vento fischia e ti sferza il volto con spruzzi d’acqua gelida, inzuppandoti gli abiti e facendoti sentire in ammollo, la situazione psicologica non migliora certamente.
Se poi il vento è anche contrario e, per mantenere la rotta, devi ‘risalire’ andando – come si dice in gergo velico – di ‘bolina’, la barca si inclina paurosamente sul fianco sottovento, il bordo sfiora pericolosamente l’acqua nera che vedi scorrere velocemente gorgogliando lungo la fiancata, mentre ti senti in procinto di capovolgerti da un momento all’altro, tu sotto e la barca sopra, nel buio, senza nessuno che ti venga a salvare, anzi senza che nessuno se ne sia neanche accorto.
Ma gli apostoli non erano incoscienti, erano partiti con il tempo buono – come una volta era successo a me – e si erano trovati a fronteggiare una burrasca, che su un lago dicono sia peggiore che in mare aperto.
Insomma, roba da raccomandarsi l’anima al Signore, provateci se non ci credete!
E ci devono aver provato anche gli apostoli, a raccomandarsi l’anima, ed ecco che infatti il Signore arriva…anzi, come se lo spavento per tutto quel che ho detto non fosse loro bastato, si vedono arrivare un…fantasma.
Anche a quei tempi c’erano i fantasmi, cioè anime che in qualche modo potevano apparire e materializzarsi con un corpo ‘esoterico’, evanescente, e facevano paura allora come ora.
Ma sentono la voce di Gesù: ‘Calma e sangue freddo, ragazzi, sono io!’.
‘Sei tu?’, fanno quelli che pensano che per la paura devono aver le traveggole, sembrandogli impossibile che Gesù – nonostante abbia già fatto il miracolo dei pani – se ne possa ora stare lì in piedi sul lago, senza sprofondare.
‘Se sei tu, chiamami, e fammi camminare verso di te sulle acque, come fai tu’.
Pietro era il Capo riconosciuto, prima dei pescatori e poi degli apostoli, e doveva avere anche un bel temperamento, un po’ spavaldo.
Al sentire la voce di Gesù si doveva essere evidentemente un po’ rinfrancato e forse, abbandonare la barca…, suvvia non proprio abbandonarla ma camminar sul mare come Gesù, gli deve esser sembrata una cosa strepitosa. A chi non piacerebbe?
E Gesù – che nel buio doveva sorridersela sapendo quel che fra poco sarebbe successo – gli fa ‘Vieni, vieni..’.
E Pietro – nel frattempo dovevano aver lasciato un po’ la vela in bando  per fermarsi, mentre il vento continuava a fischiare – non ci pensa due volte, e …salta in mare, o meglio atterra su una superficie che, liquida o meno, lo sorregge come fosse terraferma. Vi ci immaginate? Un senso di stupore, perché tutto il ‘discorso’ funziona, qualche passo incerto tastando il terreno, anzi l’acqua, un senso di trionfo e di ‘potere’ e poi… poi un dubbio: ‘Sarà mai possibile?’.
Ecco, amici miei: è il ‘dubbio’ quello che ci frega, nella vita come nello spirito. Ed a quel punto Pietro affonda come nelle sabbie mobili: '‘Salvami, salvami’, grida mentre l’acqua gli arriva già al collo e lui, terrorizzato, si dimentica persino di saper nuotare…
Gesù, anziché cacciargli la testa sott’acqua per la sua mancanza di fede, lo agguanta per un braccio e lo tira su, e dolcemente lo rimprovera ‘Uomo di poca fede, perché hai dubitato?’
E meno male che anche a noi, quando dubitiamo, non ci caccia giù, perché Lui è ben venuto per salvarci, no?

Ecco io me la sono immaginata così ma - voi che leggete –  leggete bene la Valtorta perché, in realtà …


12.2 …Quella volta gli toccò tornare invece a remi

 

274. Gesù cammina sulle acque. La sua prontezza nel soccorrere chi lo invoca.

4 marzo 1944.
(...)
   E’ tarda sera, quasi notte, perché ci si vede appena sul sentiero che si inerpica su un poggio su cui sono sparse delle piante che mi paiono di ulivo.  Ma, data la luce, non posso assicurare.  Insomma, sono piante non troppo alte, fronzute e contorte come di solito sono gli ulivi.
Gesù è solo.  Vestito di bianco e col suo manto azzurro cupo. Sale e si interna fra le piante.  Cammina di un passo lungo e sicuro.  Non sveltamente, ma per la lunghezza del passo fa molta strada anche andando senza fretta.  Cammina sinché giunge ad una specie di balcone naturale, dal quale ci si affaccia sul lago tutto quieto sotto al lume delle stelle, che ormai gremiscono il cielo coi loro occhi di luce.  Il silenzio avvolge Gesù col suo abbraccio riposante e lo stacca e smemora dalle folle e dalla terra congiungendolo al cielo, che pare scendere più basso per adorare il Verbo di Dio e carezzarlo con la luce dei suoi astri.
Gesù prega nella sua posa abituale: in piedi e con le braccia aperte a croce.  Ha dietro alle sue spalle un ulivo e pare già crocifisso su questo tronco scuro.  Le fronde lo sovrastano di poco, alto come è, e sostituiscono con una parola consona al Cristo il cartello della croce.  Là: Re dei giudei.  Qui: Principe della pace.  Il pacifico ulivo dice giusto a chi sa intendere.
Prega a lungo.  Poi siede sulla balza che fa base all'ulivo, su un radicone che sporge, e prende la sua attitudine solita, con le mani intrecciate e i gomiti posati sui ginocchi.  Medita.  Chissà quale divina conversazione Egli intreccia col Padre e lo Spirito in quest'ora in cui è solo e può esser tutto di Dio.  Dio con Dio!

Mi pare che molte ore passino così, perché vedo che le stelle cambiano zona e molte già sono tramontate ad occidente.
'Proprio mentre una larva di luce, anzi di luminosità, perché non si può ancora chiamare luce, si disegna all'estremo orizzonte dell'est, un brivido di vento scuote l'ulivo.  Poi calma. Poi riprende più forte.  A pause sincopate e sempre più violente.  La luce dell'alba, appena appena iniziata, stenta a farsi strada per un accumulo di nubi scure che vengono ad occupare il cielo, spinte da raffiche di vento sempre più forte.  Anche il lago non è più quieto.  Ma, anzi, mi pare che stia mettendo insieme una burrasca come quella già vista nella visione della tempesta.  Il rumore delle fronde e il brontolio delle acque empiono ora lo spazio, poco prima tanto quieto.
Gesù si scuote dalla sua meditazione.  Si alza.  Guarda il lago. Cerca su esso alla luce delle superstiti stelle e della povera alba malata, e vede la barca di Pietro che arranca faticosamente verso la sponda opposta, ma che non ce la fa.  Gesù si avvolge strettamente nel mantello sollevando il lembo, che cade e che gli darebbe noia nello scendere, sul capo come fosse un cappuccio, e scende di corsa, non per la strada già fatta ma per un sentieruolo rapido che va direttamente al lago.  Va così velocemente che pare che voli.
Giunto sulla riva schiaffeggiata dalle acque, che fanno sul greto tutto un orlo di spuma sonante e floccosa, prosegue il suo cammino veloce come non camminasse su un elemento liquido e tutto in movimento, ma sul più liscio e solido pavimento della terra.  Ora diventa Egli luce.  Sembra che tutta la poca luce, che ancora viene dalle rare e morenti stelle e dall'alba burrascosa, si converga su Lui e ne venga raccolta come fosforescenza intorno al suo corpo slanciato.  Vola sulle onde, sulle creste spumose, nelle pieghe scure fra onda e onda, a braccia tese in avanti, col manto che si gonfia intorno alle sue gote e che svolazza, per quanto può, così stretto come è al corpo, con un palpito d'ala.
Gli apostoli lo vedono e gettano un grido di paura che il vento porta verso Gesù.
« Non temete.  Sono Io ». La voce di Gesù, per quanto abbia il vento contrario, si spande sul lago senza fatica.
« Sei proprio Tu, Maestro? » chiede Pietro. « Se sei Tu, dimmi di venirti incontro camminando come Te sulle acque ».
Gesù sorride. « Vieni » dice semplicemente, come fosse la cosa più naturale del mondo camminare sull'acqua.
E Pietro, seminudo come è, ossia con una tunichella corta e senza maniche, fa un salto soprabordo e va verso Gesù.
Ma, quando è lontano una cinquantina di metri dalla barca e quasi altrettanto da Gesù, viene preso dalla paura.  Fin lì l'ha sorretto il suo impulso d'amore.  Ora l'umanità lo soverchia e... trema per la propria pelle.  Come uno messo su un suolo scivoloso, o meglio su una sabbia mobile, egli comincia a traballare, ad annaspare, a sprofondare.  E più annaspa e ha paura, e più sprofonda.
Gesù si è fermato e lo guarda.  Serio.  Attende.  Ma non stende neppure una mano, che ha anzi conserte al petto, e non fa più passo o parola.
Pietro sprofonda.  Scompaiono i malleoli, gli stinchi, i ginocchi.  Le acque son quasi all'inguine, lo superano, montano verso la cintura.  E il terrore è sul suo viso.  Un terrore che lo paralizza anche nel pensiero.  Non è più che una carne che ha paura di affogare.  Non pensa neppure di gettarsi a nuoto.  Nulla.  E’ inebetito dalla paura.

Finalmente si decide a guardare Gesù.  E basta che lo guardi perché la sua mente cominci a ragionare, a capire dove è salvezza. « Maestro, Signore, salvami ».
Gesù disserra le braccia e, quasi portato dal vento o dall'onda, si precipita verso l'apostolo e gli tende la mano dicendo: « Oh, che uomo di poca fede!  Perché hai dubitato di Me? Perché hai voluto fare da te? ».
Pietro, che si è afferrato convulsamente alla mano di Gesù, non risponde.  Lo guarda soltanto per vedere se è in collera, lo guarda con un misto di restante paura e di sorgente pentimento.
Ma Gesù sorride e lo tiene ben stretto per il polso, sino a che, raggiunta la barca, ne scavalcano il bordo e vi entrano.  E Gesù comanda: « Andate a riva.  Costui è tutto bagnato ». E sorride guardando l'umiliato discepolo.
Le onde si spianano per facilitare l'approdo, e la città, vista altra volta dall'alto di una collina, si delinea oltre la riva.
La visione mi cessa qui.

Dice Gesù:
« Molte volte non attendo neppure d'esser chiamato quando vedo dei miei figli in pericolo.  E molte volte accorro anche per chi è meco figlio ingrato.
Voi dormite o siete presi dalle cure della vita, dalle sollecitudini della vita. lo veglio e prego per voi.  Angelo di tutti gli uomini, Io sto proteso su voi, e nulla m'è più doloroso del non poter intervenire perché voi negate il mio intervento preferendo fare da voi o, peggio, chiedendo aiuto al Male.  Come padre che si vede significare da un figlio: "Non ti amo.  Non ti voglio.  Esci da casa mia", lo resto umiliato e addolorato come non lo fui per le ferite.  Ma, se appena non mi intimate: "Vattene" e siete solo distratti dalla vita, allora lo sono l'eterno Vegliante che è pronto a venire prima ancora d'esser chiamato.  E se aspetto che sol mi diciate una parola - qualche volta l'aspetto - è per sentirmi chiamare.
Che carezza, che dolcezza sentirmi chiamare dagli uomini!  Sentire che si ricordano che sono "Salvatore"!  Non ti dico poi che infinita gioia mi penetra e esalta quando v'è chi m'ama e mi chiama anche senza attendere l'ora del bisogno.  Mi chiama perché ama Me più d'ogni altro al mondo e sente empirsi di una gioia simile alla mia solo a chiamare: "Gesù, Gesù", come fanno i bambini quando chiamano: "Mamma, mamma" e sembra loro che miele scenda fra le loro labbra, perché la sola parola "mamma" porta con sé il sapore dei baci materni.
Gli apostoli vogavano ubbidendo al mio comando di andare ad attendermi a Cafarnao.  Ed Io, dopo il miracolo dei pani, m'ero isolato dalla folla, non per sdegno di essa o per stanchezza.
Non avevo mai sdegno per gli uomini, neppure se erano meco cattivi.  Solo quando vedevo calpestata la Legge e profanata la Casa di Dio giungevo allo sdegno.  Ma allora non ero Io in causa, ma gli interessi del Padre.  Ed Io ero sulla terra primo dei servi di Dio per servire il Padre dei Cieli.  Non ero mai stanco di dedicarmi alle folle, anche se le vedevo così ottuse, tarde, umane, da far cadere il cuore anche ai più fiduciosi nella loro missione.  Anzi, proprio perché erano così deficienti, moltiplicavo le mie lezioni all'infinito, li prendevo proprio come scolari tardivi e ne guidavo lo spirito nelle più rudimentali scoperte e iniziazioni, così come un paziente maestro guida le manine inesperte degli scolari a tracciare i primi segni, per renderli sempre più capaci di comprendere e fare.  Quanto amore ho dato alle folle!  Le pigliavo dalla carne per portarle allo spirito.  Anche Io cominciavo dalla carne.  Ma, mentre Satana prende da quella per portare all'Inferno, lo prendevo da quella per portare al Cielo.
Mi ero isolato per ringraziare il Padre del miracolo dei pani. Avevano mangiato in molte migliaia di persone.  E avevo raccomandato di dire "grazie" al Signore.  Ma, ottenuto l'aiuto, l'uomo non sa dire "grazie".  Lo dicevo Io per loro.
E dopo... E dopo m'ero fuso col Padre mio, del quale avevo una nostalgia d'amore infinita.  Ero sulla terra, ma come una spoglia senza vita.  Il mio spirito si era lanciato incontro al Padre mio, che sentivo curvo sul suo Verbo, e gli diceva: "T'amo, o Padre santo!".  Era la mia gioia dirgli: "T'amo".  Dirglielo da Uomo oltre che da Dio.  Umiliargli il sentimento dell'uomo così come gli offrivo il mio palpito di Dio.  Mi pareva di essere la calamita che attirava a sé tutti gli amori dell'uomo - dell'uomo capace di amare un pochino Iddio - di accumularli e di offrirli nel cavo del mio Cuore.  Mi pareva di essere Io solo, l'Uomo, ossia la razza umana, che tornava come nei giorni innocenti a conversare con Dio nel fresco della sera.
Ma, per quanto la beatitudine fosse completa poiché era beatitudine di carità, non mi astraeva dai bisogni degli uomini.  E avvertii il pericolo dei miei figli sul lago.  E lasciai l'Amore per l'amore.  La carità deve essere sollecita.
Mi hanno preso per un fantasma.  Oh! quante volte, poveri figli, mi prendete per un fantasma, un oggetto di paura!  Se pensaste sempre a Me, mi riconoscereste subito.  Ma avete tante altre larve nel cuore, e questo vi dà il capogiro.  Ma Io mi faccio conoscere.  Oh! se mi sapeste sentire!
Perché affonda Pietro dopo aver camminato per molti metri?  Lo hai detto: perché l'umanità gli soverchia lo spirito.
Pietro era molto "uomo".  Fosse stato Giovanni, non avrebbe né soverchiamente osato né volubilmente cambiato pensiero. La purezza dà prudenza e fermezza.  Ma Pietro era "uomo" in tutta l'estensione del nome.  Aveva il desiderio di primeggiare, di far vedere che "nessuno" come lui amava il Maestro, voleva imporsi e, sol perché era uno dei miei, si credeva già al disopra delle debolezze della carne.  Invece, povero Simone, nelle prove dava delle controprove non sublimi.  Ma era necessario perché fosse poi colui che perpetuava la misericordia del Maestro fra la Chiesa nascente.
Pietro non solo si fa prendere il sopravvento dalla paura per la sua vita in pericolo, ma diviene unicamente, come tu hai detto, "una carne che trema".  Non riflette più, non mi guarda più.  Anche voi fate così.  E più il pericolo è imminente, e più volete fare da voi.  Come se voi poteste fare qualcosa!  Mai, come nelle ore in cui dovreste sperare in Me e chiamarmi, vi allontanate, mi serrate il cuore e anche mi maledite.  Pietro non mi maledice.  Ma mi dimentica, e devo sprigionare imperio di volontà per chiamare a Me il suo spirito: che faccia alzare gli occhi al suo Maestro e Salvatore.
Lo assolvo in anticipo dal suo peccato di dubbio perché lo amo, questo uomo impulsivo che, quando sarà confermato in grazia, saprà procedere senza più turbamenti o stanchezze sino al martirio, gettando instancabile, sino alla morte, la sua mistica rete per portare anime al suo Maestro.
E quando egli mi invoca, non cammino, volo in suo soccorso e lo tengo stretto per condurlo in salvo.  Mite il mio rimprovero perché comprendo tutte le attenuanti di Pietro.  Sono il difensore e il giudice più buono che sia e che sarà mai stato.  Per tutti.
Vi capisco, poveri figli miei!  E se anche vi dico una parola di rimprovero, il mio sorriso ve l'addolcisce.  Vi amo.  Ecco tutto.  Voglio che abbiate fede.  Ma, se l'avete, vengo e vi porto fuori dal pericolo.  Oh! se sapesse la terra dire: "Maestro, Signore, salvami!".  Basterebbe un grido, ma di tutta la terra, perché istantaneamente Satana e i suoi esecutori cadessero vinti.  Ma non sapete avere fede.  Vado moltiplicando i mezzi per portarvi alla fede.  Ma essi cadono fra la vostra melma come sasso nella melma di una palude e vi giacciono sepolti.
Non volete purificare le acque del vostro spirito, amate esser putrido fango.  Non importa. lo faccio il mio dovere di Salvatore eterno.  E se anche non potrò salvare il mondo, perché il mondo non vuole esser salvato, salverò dal mondo coloro che, per amarmi come devo esser amato, non sono più del mondo ».

***

Me ne rimango a lungo pensoso a meditare su questo ‘dettato’ di Gesù alla Valtorta.
Rivado indietro sul mio schermo del computer, faccio quindi scorrere il testo in avanti per gustarmi nuovamente la profondità e la dolcezza delle sue parole finché…finché non mi accorgo – dal testo - che ho sbagliato tutto: gli apostoli non stavano andando a vela, ma vogavano…, lo dice Gesù nel suo ‘dettato’ di commento.
Vogavano perché il vento era evidentemente troppo contrario e gli apostoli – anziché far dei ‘bordi’ obliqui da un lato e poi dall’altro, come si fa in barca a vela quando si deve risalire controvento, fatto che però allunga il percorso - volevano evidentemente raggiungere in linea diretta guadagnando il più rapidamente possibile il porticciolo di Cafarnao...a remi.

Vabbè…, ma sul resto, più o meno, con il mio commento ci avevo azzeccato, no?