(Il Vangelo secondo San Giovanni – La Sacra Bibbia – Cap. 6, 1 – Edizioni Paoline, 1968)
( M.V. : ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Capp. 232,233,242,272 – Centro Ed. Valtortiano)
10. Dopo questo … il Vangelo della Misericordia!
Gv 6, 1:
Dopo questo, Gesù passò all’altra riva del Mar di Galilea, cioè di Tiberiade.
10.1 A Magdala si faceva un gran parlare di Maria che non esce più, non dà più feste…
Dopo questo – e voi direste: subito dopo il discorso sulla Trinità e sulla missione del Verbo susseguenti alla guarigione del paralitico della piscina del Tempio – Gesù passò all’altra riva…
Ma anche qua si ripete l’uso di un vocabolo che – come già successo in precedenza – va interpretato, se non addirittura tradotto dall’originale in maniera diversa.
La mia professoressa di latino e greco – a scuola – mi diceva sempre di star attento con le traduzioni.
Certe parole, in una lingua, non hanno lo stesso identico significato che gli daremmo noi nella nostra.
Le lingue sono una cosa ‘viva’ e talvolta il significato della stessa parola cambia con il passare del tempo.
Oppure certe parole di altre lingue possono avere tante sfumature diverse, a seconda del contesto in cui sono inserite: classico, poi, l’esempio della lingua inglese dove devi far caso non solo alle sfumature e al contesto, ma anche al ‘tono’ con cui le dici, non parliamo dell’accento.
Avete mai parlato con un inglese? Gli dici una parola e la capisce bene, poi gli dici una frase e quello non capisce. Gliela ripeti, e quello non capisce, come se – anziché lui - a non sapere l’inglese fossi tu che gli parli! Gliela ripeti allora ancora una volta, guardandolo bene negli occhi in gesto di sfida e scandendo le sillabe, e quello – che ti guarda con gli occhi attenti e spalancati come se non capisse proprio dove vuoi arrivare – ad un certo punto li spalanca ancor più e con il viso illuminato e trionfante fa: ‘ok…, OK…! che tradotto, in questo particolare ‘contesto e sfumatura’, deve voler dire: ‘Ho capito…ho capito…’ (finalmente!) e poi ti ripete lui – come se pronunciata da lui fosse una cosa completamente diversa - quella stessa identica frase che tu gli avevi già detto tre volte.
Solo che – lui - te l’ha detta appunto con un ‘tono’ diverso, no?
Da picchiarlo!
Dunque, nel caso specifico di questo inizio del Capitolo 6 del Vangelo di Giovanni, ‘ dopo questo’ non significa ‘Subito dopo questo…’ , ma ‘dopo un bel pò di tempo’, e lo vediamo esaminando il ‘contesto’ degli altri tre vangeli.
Infatti – dopo questo - Giovanni doveva aver fretta di cominciare subito a parlare, per il significato dottrinario che aveva, del miracolo della prima moltiplicazione dei pani con il successivo discorso di Gesù sul ‘Pane del Cielo’, cioè l’Eucarestia.
Ma siccome noi vorremmo capire un pochino meglio come si svolgono gli avvenimenti, un’occhiata agli altri vangeli la diamo lo stesso, e anche alla Valtorta.
E vediamo così che Giovanni ha saltato a piè pari vari episodi coloriti, come la guarigione dell’emoroissa, quella che aveva toccato di nascosto a Gesù la sua veste per poter guarire, poi la risurrezione di una fanciulla appena morta, e – ancora - la guarigione di due ciechi e di un muto indemoniato (Mt 9, 27-34), esorcismo – quest’ultimo – che ottenne poi il risultato di far dire ai farisei la frase famosa: ‘Caccia i demoni per mezzo del principe dei demoni…!’.
Dite che non avete mai visto guarire due ciechi ed esorcizzare un indemoniato?
E risuscitare una fanciulla morta, allora?
Vabbè, ‘vediamoci’ almeno l’episodio dei ciechi e dell’indemoniato, così come lo vede Maria Valtorta, perché poi - nel terzo volume di questo nostro piccolo ‘vangelo’ - vi farò ‘vedere’ quella di Lazzaro, di risurrezione, e poi nientemeno che quella di Gesù.
232. Guarigione di due ciechi
e di un muto indemoniato.
28 luglio 1945.
Poi Gesù scende nella cucina e, vedendo che Giovanni sta per andare alla fonte, anziché rimanere nella cucina calda e fumosa preferisce andare con Giovanni, lasciando Pietro alle prese con dei pesci che hanno portato allora allora i garzoni di Zebedeo per la cena del Maestro e degli apostoli.
Non vanno alla fonte sorgiva che è all'estremo del paese, ma a quella sulla piazza e dove certo l'acqua viene portata ancora da quella bella e abbondante sorgiva che spiccia dalla costa del monte presso il lago. Sulla piazza è la solita folla dei paesi palestinesi a sera. Donne con le anfore, bambini che giuocano, uomini che trattano di affari o... di pettegolezzi locali. Passano anche, attorniati da servi o da clienti, i farisei diretti alle ricche case. Tutti si scansano per farli passare ossequiandoli, salvo poi, appena passati, maledirli di cuore narrando i loro ultimi soprusi e strozzinaggi.
Matteo, in un angolo della piazza, conciona i suoi antichi amici, il che fa dire con sprezzo e a voce alta al fariseo Uria: « Le famose conversioni! L'affetto al peccato rimane e lo si vede dalle amicizie che durano. Ah! Ah! ».
Al che Matteo si volge risentito rispondendo: «Durano per convertirli ».
« Non ce n'è bisogno! Basta il tuo Maestro. Tu stacci lontano, che non ti torni la malattia, ammesso che tu sia guarito proprio ».
Matteo diviene paonazzo nello sforzo di non dirne quattro, ma si limita a rispondere:«Non temere e non sperare ».
« Cosa? ».
« Non temere che io torni ad essere Levi il pubblicano e non sperare che io ti imiti per perdere queste anime. Le separazioni e gli sprezzi li lascio a te e ai tuoi amici. Io imito il mio Maestro e avvicino i peccatori per portarli alla Grazia ».
Uria vorrebbe ribattere, ma sopraggiunge l'altro fariseo, il vecchio Eli,e dice:«Ma non sporcare la tua purezza e non contaminare la tua bocca, amico. Vieni con me » e prende sottobraccio Uria portandolo verso la sua casa.
Intanto la folla, specie di bambini, si è stretta ancora a Gesù. Vi è fra i bambini la coppia dei fratellini Giovanna e Tobiolo, quelli che in un giorno lontano si litigavano per i fichi, e dicono a Gesù, brancicando con le manine l'alto corpo di Gesù per richiamare la sua attenzione: « Senti, senti. Anche oggi siamo stati buoni, sai? Non abbiamo mai pianto. Non ci siamo mai fatti dispetti, per amore di Te. Ci dai un bacio? ».
« Siete stati buoni dunque, e per amor mio! Che gioia mi date. Eccovi il bacio. E domani siate meglio ancora ».
E vi è Giacomo, il piccolo che portava ogni sabato la borsa di Matteo a Gesù. Dice:«Levi non mi dà più nulla per i poveri del Signore, ma io ho messo via tutti gli spiccioli che mi danno quando sono buono e ora te li do. Li dai ai poveri per il mio nonno? ».
« Certamente. Che ha il nonno? ».
« Non cammina più. E’ tanto vecchio e le gambe non lo reggono più ».
« Ti spiace questo? ».
« Sì, perché era il mio maestro quando si andava per la campagna. Mi diceva tante cose. Mi faceva amare il Signore. Anche ora mi dice di Giobbe e mi fa vedere le stelle del cielo, ma dalla sua sedia... Era più bello prima ».
« Verrò da tuo nonno domani. Sei contento? ».
E Giacomo è surrogato da Beniamino, non quello di Magdala, il Beniamino di Cafarnao, quello di una lontana visione. Giunto sulla piazza insieme alla madre e visto Gesù, lascia la mano materna e si getta con un grido che pare un garrito di rondine fra la piccola calca e, arrivato davanti a Gesù, lo abbraccia ai ginocchi dicendo: « Anche a me, anche a me una carezza! ».
Passa in quel momento il fariseo Simone e fa un pomposo inchino a Gesù, che glie lo ricambia. Il fariseo si ferma e, mentre la folla si scansa come intimorita, il fariseo dice: «E a me non daresti una carezza? » e ha un lieve sorriso.
« A tutti che me la chiedono. Mi felicito con te, Simone, per la tua ottima salute. Mi avevano detto a Gerusalemme che eri stato alquanto malato ».
« Sì. Molto. Ti ho desiderato per guarire ».
« Credevi che Io lo potessi? ».
« Non ne ho mai dubitato. Ma ho dovuto guarire da me perché Tu sei stato molto assente. Dove sei stato? ».
« Ai confini di Israele. Così ho occupato i giorni fra Pasqua e Pentecoste ».
« Molti successi? Ho saputo dei lebbrosi di Innom e Siloam. Grandioso. Quello solo? No certo. Ma ciò si sa per il sacerdote Giovanni. Chi non è prevenuto crede in Te ed è beato ».
« E chi non crede perché è prevenuto? Che è di lui, saggio Simone? ».
Il fariseo si turba un poco... è combattuto fra la voglia di non condannare i suoi troppi amici che sono prevenuti contro Gesù e quella di ben meritare gli elogi di Gesù. Ma vince questa e dice: « E chi non vuole credere in Te nonostante le prove che dai è condannato».
« Io vorrei che nessuno lo fosse... ».
« Tu sì. Noi non ti ricambiamo con la stessa misura di bontà che Tu hai per noi. Troppi non ti meritano... Gesù, ti vorrei mio ospite domani... ».
« Domani non posso. Facciamo fra due giorni. Accetti? ».
« Sempre. Avrò... amici... e li dovrai compatire se... ».
« Sì, sì. Verrò con Giovanni ».
« Solo lui? ».
« Gli altri hanno altre missioni. Eccoli che tornano dalle campagne. La pace a te, Simone ».
« Dio sia con Te, Gesù ».
Il fariseo se ne va e Gesù si riunisce agli apostoli.
Tornano a casa per la cena.
Ma mentre mangiano il pesce arrostito li raggiungono dei ciechi che già avevano implorato Gesù per la via. Ripetono ora il loro: « Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di noi!».
« Ma andate via! Vi ha detto: "domani", e domani sia. Lasciatelo mangiare » rimprovera Simon-Pietro.
« No, Simone. Non li cacciare. Tanta costanza merita un premio. Venite avanti voi due » dice poi ai ciechi, e quelli entrano tastando col bastone il suolo e le pareti. « Credete voi che Io vi possa rendere la vista? ».
« Oh! sì! Signore! Siamo venuti perché ne siamo certi ».
Gesù si alza da tavola, li avvicina, pone i suoi polpastrelli sulle palpebre cieche, alza il volto, prega e dice: « Siavi fatto secondo la fede che avete ». Leva le mani e le palpebre senza moto si muovono, perché la luce colpisce di nuovo le pupille rinate in uno, e si disigillano le palpebre all'altro, e dove prima era una naturale sutura, dovuta certo a ulceri mal curate, ecco che si riforma l'orlo palpebrale senza difetti e si alza e si abbassa con moto d'ala.
I due cadono in ginocchio.
«Alzatevi e andate. E badate bene che nessuno sappia ciò che vi ho fatto. Portate alle vostre città la novella della grazia ricevuta, ai parenti, agli amici. Qui non è necessario e non è propizio all'anima vostra. Conservatela immune da lesioni nella sua fede così come, ora che sapete cosa è l'occhio, lo preserverete da lesioni per non accecare di nuovo ».
La cena ha termine. Salgono sulla terrazza dove è un poco di frescura. Il lago è tutto un brillio sotto il quarto di luna.
Gesù si siede sull'orlo del muretto e si astrae a guardare quel lago di argento mosso. Gli altri parlano fra di loro a voce sommessa per non disturbarlo. Ma lo guardano come affascinati.
Infatti! Come è bello! Tutto aureolato di luna che ne illumina il volto severo e sereno nello stesso tempo, permettendo di studiarne i più lievi particolari, Egli sta colla testa lievemente riversa, appoggiata al tralcio ruvido della vite che sale di lì per stendersi poi sulla terrazza. I suoi occhi lunghi, di un azzurro che nella notte pare quasi color dell'onice, pare riversino onde di pace su tutte le cose. Qualche volta si alzano verso il cielo sereno, sparso d'astri, talaltra si abbassano sulle colline, e più giù, sul lago, altre ancora fissano un punto indeterminato e pare che sorridano ad un loro proprio vedere. I capelli ondeggiano lievi al vento leggero. Con una gamba sospesa a poca distanza dal suolo, l'altra che al suolo si appoggia, sta così, seduto di sbieco, con le mani abbandonate sul grembo, e l'abito bianco pare accentuare il suo candore, farsi quasi d'argento per la luce lunare, mentre le mani lunghe e di un bianco d'avorio sembrano accentuare la loro tinta di vecchio avorio e la loro bellezza virile e pure affusolata. Anche il volto, dalla fronte alta, dal naso diritto, dall'ovale sottile delle guance, che la barba biondo rame allunga, sembra, in questa luce lunare, farsi di avorio vecchio perdendo la sfumatura rosea che nel giorno si nota al sommo delle guance.
« Sei stanco, Maestro? » interroga Pietro.
« No ».
« Mi sembri pallido e pensieroso... ».
« Pensavo. Ma non credo essere più pallido del solito. 'Venite qui... Il lume di luna vi fa tutti pallidi voi pure. Domani andrete a Corozim. Forse troverete dei discepoli. Parlate loro. E badate di essere domani al vespero qui. Predicherò presso il torrente ».
« Che bella cosa! Lo diremo a quelli di Corozim. Oggi, nel ritorno, abbiamo incontrato Marta e Marcella. Erano state qui? » chiede Andrea.
« Sì ».
« A Magdala si faceva un gran parlare di Maria che non esce più, che non dà più feste. Abbiamo riposato presso la donna dell'altra volta. Beniamino mi ha detto che quando ha voglia di fare il cattivo pensa a Te e... ».
« ... e a me, dillo pure Giacomo » dice l'Iscariota.
« Non lo ha detto ».
« Ma lo ha sottinteso dicendo: "Non voglio essere bello ma cattivo, io" e mi ha guardato storto. Non mi può soffrire... ».
« Antipatie senza peso, Giuda. Non ci pensare » dice Gesù.
« Sì, Maestro. Ma è seccante che... ».
« C'è il Maestro? » grida una voce dalla via.
« C'è. Ma che volete da capo? Non vi basta il giorno quanto è lungo? E questa l'ora
di disturbare dei poveri pellegrini? Tornate domani » ordina Pietro.
« E’ che abbiamo con noi un muto indemoniato. E per la strada ci è scappato tre volte. Se non era così si arrivava prima. Siate buoni! Fra poco, quando la luna sarà alta, urlerà forte e spaventerà il paese. Vedete come già si agita?! ».
Gesù si sporge dal muretto dopo avere attraversato tutta la terrazza. Gli apostoli lo imitano. Una collana di visi curvi su una turba di gente che alza la testa verso quelli che la chinano. In mezzo, con mosse e mugolio da orso o da lupo incatenato, un uomo ben legato ai polsi perché non fugga. Mugola dimenandosi con mosse bestiali e come cercando al suolo chissà che. Ma quando alza gli occhi e incontra lo sguardo di Gesù ha un urlo bestiale, inarticolato, un vero ululato, e cerca fuggire. La folla, quasi tutta Cafarnao nei suoi adulti, si scansa impaurita.
« Vieni, per carità! Gli riprende come prima... ».
« Vengo subito ». E Gesù scende svelto andando di faccia al disgraziato, che è più che mai agitato.
« Esci da costui. Lo voglio ».
L'ululo si schianta in una parola: « Pace! ».
« Sì, pace. Abbi pace ora che sei liberato ».
La folla urla di meraviglia vedendo il subitaneo passaggio dalla furia alla quiete, dalla possessione alla liberazione, dal mutismo alla favella.
« Come avete saputo che ero qui? ».
« A Nazaret ci dissero: "E’a Cafarnao". A Cafarnao ce lo confermarono due che si dicevano risanati negli occhi da Te, in questa casa ».
« E vero! E’ vero! Anche a noi lo dissero... » gridano in molti. E commentano: « Mai si videro simili cose in Israele! ».
«Se non avesse l'aiuto di Belzebù non le farebbe » ghignano i farisei di Cafarnao, fra i quali manca Simone.
« Aiuto o non aiuto, io sono guarito e i ciechi pure. Voi non lo potreste fare, nonostante le vostre gran preghiere » rimbecca il muto indemoniato guarito e bacia la veste di Gesù, che non risponde ai farisei ma si limita a licenziare la folla col suo: « La pace sia con voi », mentre trattiene il miracolato e chi lo accompagna offrendo loro ricovero nella stanza alta per il riposo fino all'alba.
"...Dice Gesù: « Qui metterete la parabola della pecorella smarrita, avuta il 12-8-1944».
10.2 Se non siam figliol prodighi siamo certamente tutti pecorelle smarrite…
A proposito di ‘pecorella smarrita’, visto che Gesù ha detto poco sopra alla Valtorta di mettere questa parabola subito dopo l’episodio dei due ciechi e dell’indemoniato, lo potremmo fare anche noi qui, no?
In fin dei conti anche questo della pecorella smarrita è un episodio che si situa nel famoso intervallo di tempo fra il ‘dopo questo’ ed il passaggio di Gesù all’altra riva del Mar di Galilea di cui abbiamo parlato all’inizio.
E Luca (15, 1-7) così la racconta:
Tutti i pubblicani e i peccatori si avvicinavano a Gesù per ascoltarlo; ma i Farisei e gli Scribi mormoravano dicendo: ‘Costui accoglie i peccatori e mangia con essi’.
Allora egli disse loro questa parabola: Chi di voi, avendo cento pecore, se ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e non va in cerca di quella smarrita, finché non l’abbia ritrovata? E quando l’ha ritrovata se la mette sulle spalle tutto contento e, ritornato a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: ‘Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la mia pecorella smarrita’.
Così, vi dico, vi sarà in cielo una gioia maggiore per un solo peccatore che si pente, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di penitenza.
Che la ‘pecorella smarrita’, nel caso specifico della parabola’, fosse Maria di Magdala, Luca – che è un ‘gentiluomo’ - non si sogna nemmeno di rivelarlo ed in ogni caso si potrebbe sempre ‘difendere’ dicendo che se non l’ha detto nel suo Vangelo Matteo, che era presente, non avrebbe potuto vederla lui che non c’era e che ha riferito solo cose dette da altri.
Lo veniamo però a sapere grazie alle visioni del ‘piccolo Giovanni’ che quel che vedeva scriveva e – non essendo un uomo – non si doveva neanche sentire legato a vincoli di ‘galanteria’.
La Valtorta, infatti, fa capire che la parabola – Gesù – se l’era inventata su due piedi proprio per lei, la peccatrice, che si era intrufolata in incognito fra la folla che ascoltava.
L’ultima volta che avevamo visto la bella Maria di Magdala era stato quando era arrivata a quel campo sui monti dove Gesù predicava, facendo la svampita con quei quattro bellimbusti, salvo poi scappare via furiosa ed umiliata quando aveva intuito che Gesù – parlando di lussuria ed adulterio pur senza guardarla – ‘predicava’ in realtà proprio per lei.
Nel ‘vangelo’ rivelato alla Valtorta, si vedono però – dopo quell’episodio e prima di quello della pecorella smarrita di cui fra poco parleremo – altre due visioni che contrassegnano il ‘percorso’ di conversione spirituale di Maria di Magdala.
Prima la guarigione da parte di Gesù di un amante di Maria accoltellato a morte da un rivale in casa della stessa Maria, con la madre e la moglie del fedifrago, accorse sconvolte e disperate, che urlavano a Maria ‘Satana!’, e non la volevano poi perdonare, nonostante Gesù avesse nel frattempo guarito l’uomo dopo averlo fatto trasportare fuori da quella casa impura.
Poi un’altra visione con un primo timido segno di conversione che giunge in casa di Lazzaro a Betania, segno che gli viene segnalato tramite una lettera da Marta che - chiamata precedentemente d’urgenza da Maria nella sua residenza di Magdala – ha trovato la sorella in crisi spirituale dopo l’episodio dell’accoltellamento.
Lazzaro, personaggio potente di una famiglia politicamente importante e ricchissima, era un ‘giusto’ e soffriva terribilmente – insieme a sua sorella Marta – per la condotta di Maria e per lo scandalo che lei gettava sul loro nome disonorando la memoria dei loro genitori, ormai morti.
Egli - già da tempo - aveva implorato da Gesù la grazia della conversione spirituale della sorella, che egli amava moltissimo.
Ora, appunto, Marta scriveva felice una lettera al fratello (il quale la legge a Gesù che in quel giorno era ospite a casa sua) per dirgli che aveva trovato Maria trasformata, piangeva a lungo nella sua stanza, le faceva un sacco di domande su Gesù, si interessava sulla sua dottrina e…forse era la volta buona.
Difficilmente le conversioni avvengono istantaneamente, anzi di norma presuppongono un cammino spesso lento perché entra in discussione tutto un modo d’essere, tutto un modo di ragionare e di comportarsi e non è facile perdere le vecchie abitudini e diventare un ‘uomo nuovo’.
L’uomo nuovo che cerca di emergere cozza infatti contro l’uomo vecchio che non vuol lasciare il campo, ed allora nasce un travaglio che è sofferenza, tanto più combattuta quanto più è forte la differenza fra l’uomo di prima e quello di dopo.
E’ insomma un parto doloroso che però – come aveva spiegato Gesù quella notte a Nicodemo – è quello che apre le porte dello spirito e predispone in futuro al cielo.
Maria – come dicevo all’inizio – nell’episodio della ‘pecorella’ si era avvicinata in incognito al luogo dove Gesù predicava, e ascoltava le sue parole.
Gesù – che come Uomo-Dio tutto sapeva di lei e doveva solo aspettare che lei predisponesse liberamente il suo animo – per delicatezza non dà mostra di averla notata ma – dirigendo il suo pensiero alla sua anima - vuol farle capire quanto sia grande l’amore di Dio Padre verso i propri figli. E porta allora in esempio la parabola del pastore che – avendo cento pecore ed avendo perduto una pecorella che si era smarrita – pianta il gregge, lasciandolo comunque al sicuro, e si dà a cercarla senza posa finchè non la trova e la salva, come ci ha raccontato appunto Luca.
Ma siccome ci sentiamo un po’ tutti delle pecorelle smarrite, perché non andiamo a sentirci, dalla Valtorta, ‘quanto’ Dio Padre ci ama?
233. La parabola della pecorella smarrita, ascoltata anche da Maria di Magdala.
(12 agosto 1944)
Gesù parla alle folle. Montato sul margine arborato di un torrentello, parla a molta gente sparsa su un campo che ha il grano segato e mostra l'aspetto desolante delle stoppie arse.
E’ sera. Il crespuscolo scende, ma già sale la luna. Una bella e chiara sera di prima estate. Dei greggi tornano all'ovile e il din-don dei campanacci si mescola ad un grande cantare di grilli o cicale, un grande gri, gri, gri...
Gesù prende lo spunto dalle mandre che passano.
Dice:« Il Padre vostro è come un pastore sollecito.
Che fa il pastore buono? Cerca pascoli buoni per le sue pecorelle, quelli dove non sono cicute e tossici, ma dolci trifogli, aromatiche mentucce e amari ma salutiferi radicchi. Cerca là dove insieme al cibo sia fresco e puro ruscello e ombra di piante e non regnino aspidi fra il verde delle zolle. Non si cura di preferire i pascoli più grassi perché sa che in essi è facile trovare insidia di colubri e d'erbe nocive, ma dà le sue preferenze ai pascoli montani, dove le rugiade fan monda e fresca l'erbetta, ma il sole la pulisce dai rettili, là dove l'aria è mossa e buona e non pesante e malsana come quella di pianura. Il buon pastore osserva una per una le sue pecore. Le cura se sono malate, le medica se ferite. A quella che si ammalerebbe per troppa ingordigia di cibo dà la voce, all'altra che prenderebbe un male per rimanere troppo all'umido o troppo al sole dice di venire in altro luogo. E se una svogliata non mangia, egli le cerca gli steli aciduli e aromatici atti a risvegliarle l'appetito e glieli porge di sua mano parlandole come a persona amica.
Così fa il Padre buono che è nei Cieli coi suoi figli erranti sulla terra. Il suo amore è la verga che li raduna, la sua voce è la guida, i suoi pascoli la sua Legge, il suo ovile il Cielo.
Ma ecco che una pecorella lo lascia. Quanto Egli l'amava! Era giovane, pura, candida, come nuvola in cielo d'aprile. Il pastore la guardava con tanto amore, pensando a quanto bene poteva ad essa fare e quanto amore riceverne. Ed essa lo abbandona.
E’ passato, lungo la via che costeggia il pascolo, un tentatore. Non ha la casacca austera, ma veste una veste di mille colori. Non ha cintura di pelle con l'ascia e il coltello pendenti, ma una cintura d'oro da cui pendono sonagli argentini, melodiosi come voce di usignolo, e fiale di essenze che inebbriano... Non ha bordone come il pastore buono col quale radunare e difendere le pecore, e se non basta il bordone egli è pronto a difenderle con l'ascia e coltello e anche con la vita. Ma questo tentatore che passa ha fra le mani un turibolo brillante di gemme, da cui sale un fumo che è lezzo e profumo insieme, ma che sbalordisce così come lo sfaccettio dei gioielli - oh! quanto falsi! - abbacina. Egli va cantando e lascia cadere manate di un sale che brilla sulla strada oscura...
Novantanove pecore guardano e stanno. La centesima, la più giovane e cara, fa un balzo e scompare dietro al tentatore. Il pastore la chiama. Ma lei non torna. Va più veloce del vento per raggiungere colui che è passato e, per sorreggersi nella corsa, gusta di quel sale che le scende dentro e la brucia di un delirio strano per cui anela ad acque fonde e verdi in un cupo di selve. E nelle selve, dietro il tentatore, si sprofonda e penetra e sale e scende e cade... una, due, tre volte. E una, due, tre volte sente intorno al suo collo l'abbraccio viscido dei rettili, e volendo bere beve acque inquinate, e volendo nutrirsi morde erbe lucide di bave schifose.
Che fa intanto il pastore buono? Chiude al sicuro le novantanove fedeli e poi si pone in cammino, e non resta di andare sinché non trova tracce della perduta. Poiché ella non torna a lui, che pure affida ai venti le sue parole di richiamo, egli va a lei. E la vede da lungi, ebbra fra le spire dei rettili, tanto ebbra che non sente nostalgia del volto che l'ama; e lo deride. E la rivede, colpevole di esser penetrata, ladra, nell'altrui dimora, tanto colpevole che non osa più guardarlo... Eppure il pastore non si stanca... e va. La cerca, la cerca, la segue, l'incalza. Piangendo sulle tracce della perduta - lembi di vello: lembi d'anima; tracce di sangue: delitti diversi; lordure: prove della sua lussuria - egli va e la raggiunge.
Ah! ti ho trovata, diletta. Ti ho raggiunta! Quanto cammino ho fatto per te. Per riportarti all'ovile. Non chinare la fronte avvilita. Il tuo peccato è sepolto nel mio cuore. Nessuno, fuorché lo che ti amo, lo conoscerà. lo ti difenderò dalle critiche altrui, ti coprirò con la mia persona per farti scudo contro le pietre degli accusatori. Vieni. Sei ferita? Oh! mostrami le tue ferite. Le conosco. Ma voglio che tu me le mostri con la confidenza che avevi quando eri pura e guardavi a me, tuo pastore e dio, con occhio innocente. Eccole. Hanno tutte un nome. Come sono profonde! Chi te le ha fatte tanto profonde queste nel fondo del cuore? Il Tentatore, lo so. E’ lui che non ha bordone né ascia, ma che colpisce più a fondo col suo morso avvelenato, e dietro a lui colpiscono i gioielli falsi del suo turibolo: coloro che ti hanno sedotta col loro brillare... e che erano zolfi d'inferno tratti alla luce per arderti il cuore. Guarda quante ferite! Quanto vello lacerato, quanto sangue, quanti rovi.
O povera piccola anima illusa! Ma dimmi: se lo ti perdono, tu mi ami ancora? Ma dimmi: se lo ti tendo le braccia, tu vi accorri? Ma dimmi: hai sete dell'amore buono? E allora vieni e rinasci. Torna nei pascoli santi. Piangi. Il tuo col mio pianto lavano le tracce del tuo peccato, ed lo per nutrirti, poiché sei consumata dal male che ti ha arsa, mi apro il petto, le vene mi apro, e ti dico: "Pasciti, ma vivi!". Vieni, che ti prendo sulle braccia. Andremo più solleciti ai pascoli santi e sicuri. Tutto dimenticherai di quest'ora disperata. E le novantanove sorelle, le buone, giubileranno per il tuo ritorno perché, lo te lo dico, mia pecorella smarrita che ho cercato venendo da tanto lontano, che ho raggiunto, che ho salvato, si fa più festa fra i buoni per uno smarrito che torna, che non per novantanove giusti che mai si sono allontanati dall'ovile ».
Gesù non si è mai voltato a guardare sulla via che ha alle spalle e sulla quale è sopraggiunta, fra le penombre della sera, Maria di Magdala, ancora elegantissima, ma vestita almeno, e ricoperta da un velo oscuro che ne confonde i tratti e le forme. Ma quando Gesù parla dal punto: « Io ti ho trovata, diletta », Maria porta le mani sotto al velo e piange, piano e continuamente.
La gente non la vede perché ella è al di qua dell'argine che borda la via. La vede solo la luna ormai alta e lo spirito di Gesù...
... il quale mi dice: « Il commento è nella visione. Ma te ne parlerò ancora. Ora riposa perché è ora. Ti benedico, Maria fedele ».
10.3 Dammi un segno che la mia vita ha servito ad espiare il mio peccare…
Rimango pensieroso a riflettere su questa parabola, e mi dico che è stato veramente un peccato che il ‘piccolo Giovanni’ non fosse vissuto o non avesse avuto le sue visioni e scritto il suo ‘vangelo’ duemila anni fa. In fin dei conti sarebbero stati cinque i vangeli, quattro per una agevole trasmissione ai posteri in forma ‘abbreviata’ e il quinto…, il quinto per convertirci meglio, no?
Ricordo che Gesù – in un passo dell’Opera Valtortiana – le aveva detto più o meno che questo ‘vangelo’ datole in visione era un grande dono di misericordia all’uomo moderno del XX secolo che non crede più in niente, neanche in Dio.
Dall’Opera della Valtorta, ed in particolare dai Quaderni, eccezionali per elevatezza di insegnamenti spirituali e che contengono un’altra serie di visioni e di ‘dettati’ di Gesù alla mistica violetta in ordine a tutti i temi principali della vita, si comprende come Gesù – duemila anni fa – dovette veramente avere un grande amore di predilezione verso Maria Maddalena, questa libertina peccatrice che nel suo cuore egli vedeva come simbolo dei peccatori salvati di questo mondo.
Una volta convertita, e prima che Lui lasciasse la terra, la Maddalena aveva chiesto a Gesù di darle il ‘dono’ della sofferenza di vittima per espiare i propri peccati e per essere una piccola corredentrice a sua imitazione, dono che Gesù accettò di accordare non sotto forma di dolore ‘corporale’ ma di ‘sofferenza d’amore’.
E la Valtorta, che amava moltissimo la figura della Maddalena, la rivede poi in visione (una antica tradizione la voleva evangelizzatrice in Francia insieme a Lazzaro) in una grotta di montagna, sempre bella e invecchiata, sola e penitente, mentre prega un croficisso, fatto da due rami incrociati e legati con vimini, posto sopra un altare rudimentale di pietra, vicino ad un lettuccio di frasche.
La Maddalena (che ora dimostra una sessantina d’anni) si sente prossima a morire, piange, invoca il suo Gesù, si dispera di non riuscire a soffrire di più per lui ma dice di riuscire ancora ad amarlo per tutto ciò che Egli ha fatto per la sua personale redenzione e per l’Umanità, si rammarica – anche se non pensa che andrà all’inferno – di dover fare chissà quanta attesa di espiazione prima di poter entrare in Paradiso.
La Maddalena, con quel corpo ormai scarno da penitente , scivolata a terra, fronte a terra, piange, piange perché Gesù non c’è più:
‘La vita mi fugge, Maestro mio. E dovrò morire senza rivederti? Quando potrò bearmi del tuo viso? I miei peccati stanno di fronte a me e mi accusano. Tu mi hai perdonata, e credo che l’inferno non mi avrà. Ma quanta sosta nell’espiazione prima di vivere di Te! Oh! Maestro buono! Per l’amore che mi hai dato conforta l’anima mia! L’ora della morte è venuta. Per il tuo morire desolato sulla croce conforta la tua creatura! Tu mi hai generata. Tu. Non la madre mia. Tu mi hai risuscitata più che non risuscitasti Lazzaro, fratello mio. Poiché egli era già buono e la morte non poteva che esser attesa nel tuo Limbo. Io ero morta nell’anima e morire voleva dire morire in eterno. Gesù, nelle tue mani raccomando lo spirito mio! E’ tuo perché me l’hai redento. Accetto per ultima espiazione di conoscere l’asprezza del tuo morire abbandonato. Ma dammi un segno che la mia vita ha servito ad espiare il mio peccare…’.
Rimango a riflettere sulla sofferenza d’amore, non dolore di malattia fisica ma sofferenza d’amore. E mi colpisce il fatto che la mistica Maddalena nella sua preghiera non gli avesse chiesto, come avviene anche oggi per tanti stigmatizzati, di farle subire la sofferenza dei dolori fisici della croce, ma la tremenda sofferenza ‘spirituale’ dell’abbandono che Gesù avvertì sulla croce, abbandono apparente da parte del Padre che si ‘nascose’ all’occhio spirituale dell’Uomo-Dio affinché – sentendosi Egli abbandonato perfino dal Padre – la sua sofferenza ed espiazione a favore dell’Umanità fosse ancora più completa.
Credo che sia stata la sofferenza di gran lunga più atroce, ed è appunto questa la sofferenza d’amore di compartecipazione che la Maddalena chiede piangendo al suo Gesù per completare la sua espiazione prima di morire.
Gli chiede il dono di quest’ultima espiazione insieme ad un segno che la sua vita di penitente è stata sufficiente ad espiare le sue colpe
E Gesù non poteva non rispondere con un ‘segno’ a quest’ultima richiesta d’amore, e risponde anch’Egli con un segno d’amore: le appare fulgido e nella sua veste trionfante di risorto.
Infatti la Valtorta così continua:
‘Maria!’
Gesù è apparso. Pare scendere dalla rustica croce. Ma non è piagato e morente. E’ bello come la mattina della risurrezione. Scende dall’altare e va verso la prostrata. Si curva su di lei. La chiama ancora, e poiché ella pare credere che quella Voce suoni per i suoi sensi spirituali e, volto a terra come è, non vede la luce che Cristo irradia, Egli la tocca posandole una mano sul capo e prendendole il gomito come a Betania per rialzarla.
Quando ella si sente toccata e riconosce dalla lunghezza quella mano, ha un gran grido. E alza un volto trasfigurato di gioia. E lo abbassa per baciare i piedi del suo Signore.
‘Alzati, Maria. Sono Io. La vita fugge. E’ vero. Ma Io vengo a dirti che il Cristo ti aspetta. Non vi è attesa per Maria. Tutto è perdonato a lei. Dal primo momento fu perdonato. Ma ora è più che perdonato. Il tuo posto è già pronto nel mio Regno. Sono venuto, Maria, per dirtelo. Non ho dato ordine all’angelo di farlo perché Io rendo il centuplo di quanto ricevo ed Io ricordo quanto ho da te ricevuto. Maria, riviviamo insieme un’ora passata. Ricorda Betania. Era la sera dopo il Sabato. Mancavano sei giorni al mio morire. La tua casa, la ricordi? Era tutta bella nella cintura fiorita del suo frutteto. L’acqua cantava nella vasca e le prime rose odoravano intorno alle sue mura. Lazzaro mi aveva invitato alla sua cena e tu avevi spogliato il giardino dei fiori più belli per ornare la tavola dove il tuo Maestro avrebbe preso il suo cibo. Marta non aveva osato rimproverarti perché si ricordava le mie parole e ti guardava con una dolce invidia perché tu splendevi d’amore andando e venendo nei preparativi. E poi Io ero giunto. E più rapida di una gazzella tu eri corsa, precedendo i servi, ad aprire il cancello col tuo grido abituale. Pareva sempre il grido di una prigioniera liberata. Infatti Io ero la tua liberazione e tu eri una prigioniera liberata. Gli apostoli erano con Me. Tutti. Anche quello che ormai era come un membro incancrenito del corpo apostolico.. Ma vi eri tu a prendere il suo posto. E non sapevi che guardando il tuo capo curvato nel bacio ai miei piedi e il tuo occhio sincero e pieno d’amore, guardando soprattutto lo spirito tuo, Io dimenticavo il disgusto di avere al fianco il traditore. Ho voluto te sul Calvario per questo. Te nell’orto di Giuseppe per questo. Perché vederti era esser sicuro che la mia morte non era senza scopo. E mostrarmi a te era ringraziamento per il tuo fedele amore. Maria, tu benedetta che non hai mai tradito, che mi hai confermato nella speranza mia di Redentore, tu in cui Io vidi tutti i salvati dal mio morire! Mentre tutti mangiavano, tu adoravi. Mi avevi dato l’acqua profumata per i miei piedi stanchi e baci casti e ardenti per le mie mani e, non contenta ancora, hai voluto infrangere l’ultimo prezioso tuo vaso e ungermi il capo ravviandomi i capelli come una mamma, e ungermi le mani e i piedi perché tutto del tuo Maestro odorasse come membra di re consacrato… E Giuda, che ti odiava perché eri onesta ora e respingevi con la tua onestà le cupidigie dei maschi, ti aveva rimproverata…Ma io ti avevo difesa perché tu avevi compiuto tutto per amore, un amore così grande che il suo ricordo venne meco nell’agonia della sera del giovedì all’ora di nona…Ora, per questo atto di amore che tu mi hai dato alla soglia della mia morte, Io vengo, alla soglia della tua morte, a renderti amore. Il tuo Maestro ti ama, Maria. Egli è qui per dirti questo. Non avere timore, non ansia di altra morte. Il tuo morire non è diverso da quello di chi versa il suo sangue per Me. Che dà il martire? La sua vita per l’amore del suo Dio. Che dà il penitente? La sua vita per l’amore di Dio. Che dà l’amante? La sua vita per l’amore del suo Dio. Vedi che non vi è differenza. Martirio, penitenza, amore consumano lo stesso sacrificio e per lo stesso fine. In te, dunque, penitente e amante, è il martirio come in chi perisce nelle arene. Maria, Io ti precedo nella gloria. Baciami la mano e posa in pace. Riposa. E’ tempo per te di riposare. Dammi le tue spine. Ora è tempo di rose. Riposa e aspetta. Ti benedico, benedetta’.
Gesù ha obbligato Maria a coricarsi sul suo giaciglio. E la santa, col viso lavato d’un pianto d’estasi, si è stesa come il suo Dio ha voluto ed ora pare dormire con le braccia conserte al seno, con le lacrime che continuano a scendere, ma la bocca che ride.
Si rialza a sedere quando un fulgore vivissimo si fa nella grotta per la venuta di un angelo portante un calice che posa sull’altare e che adora. Anche Maria, inginocchiata presso il lettuccio, adora. Non può più muoversi. Le forze calano. Ma è beata. L’angelo prende il calice e la comunica. Poi risale al Cielo.
Maria, come un fiore arso da troppo sole, si piega, si piega con le braccia ancora conserte sul seno e cade col viso fra le foglie del giaciglio. E’ morta. L’estasi eucaristica ha reciso l’ultimo filo vitale…’
10.4 Venuta a Me per capriccio di oziosa che non sa come empire le sue ore di ozio…
Ecco qua, vi ho già raccontato la fine della sua storia, e ora non vi interesserà più sapere quel che era successo prima.
Ma no, che ne val la pena…, questo non è un film ma una storia vera che val la pena di essere raccontata, tutta, o quasi…
E allora riprendiamo dalla fine della parabola della pecorella smarrita, dove Gesù dà alla Valtorta un dettato di commento:
A commento di tre episodi sulla conversione di Maria di Magdala.
13 agosto 1944
Dice Gesù:
« Dal gennaio, da quando ti ho fatto vedere la cena in casa di Simone il fariseo, tu e chi ti guida avete desiderato di conoscere di più di Maria di Magdala e quali parole ho avuto per lei. Sette mesi dopo vi scopro queste pagine di passato per fare contenti voi e per dare una norma a quelli che devono sapersi curvare su queste lebbrose di anima, e una voce che invita queste infelici che soffocano nel loro sepolcro di vizio ad uscirne.
Dio è buono. Con tutti è buono. Non misura con misure umane. Non fa differenze fra peccato e peccato mortale. Il peccato lo addolora, quale che sia. Il pentimento lo rende lieto e pronto al perdono. La resistenza alla Grazia lo rende inesorabilmente severo, perché la Giustizia non può perdonare all'impenitente che muore tale nonostante tutti gli aiuti avuti perché si convertisse.
Ma delle mancate conversioni, se non la metà almeno i quattro decimi, sono causa prima la trascuranza dei preposti al convertire, un male inteso e bugiardo zelo che è tenda messa su un reale egoismo e orgoglio per cui si sta tranquilli nel proprio asilo, senza scendere fra il fango per strapparne un cuore. "Io sono puro, io sono degno di rispetto. Non vado là dove vi è marciume e dove mi si può mancare di riverenza". Ma colui che così parla non ha letto il Vangelo dove è detto che il Figlio di Dio andò per convertire pubblicani e meretrici, oltre a onesti che solo erano nella Legge antica? Ma non pensa costui che l'orgoglio è impurità di mente, che l'anticarità è impurità di cuore? Sarai vilipeso? Io Io fui prima e più di te, ed ero il Figlio di Dio. Dovrai portare la tua veste sull'immondezze? Ed Io non la toccai con le mie mani questa immondezza per metterla in piedi e dirle: "Cammina su questa nuova via"?
Non ricordate cosa ho detto ai vostri primi predecessori? "In qualunque città o villaggio entrerete informatevi chi vi sia che lo meriti e dimorate presso lui". Questo perché il mondo non mormori. Il mondo troppo facile a vedere il male in tutte le cose. Ma ho aggiunto: "Nell'entrare poi nelle case - 'case' ho detto, non 'casa' - salutatele dicendo: ' Pace a questa casa '. Se la casa ne è degna la pace verrà sopra di essa, se non ne è degna tornerà a voi". Questo per insegnarvi che, sino a prova sicura di impenitenza, dovete avere per tutti uno stesso cuore. E ho completato l'insegnamento dicendo: "E se alcuno non vi riceve e non ascolta le vostre parole, uscendo da quelle case e da quelle città scuotete la polvere che vi è rimasta attaccata alle suole". La fornicazione, sui buoni che la Bontà costantemente amata fa come cubo di cristallo liscio, non è che polvere. Polvere che basta scuotere o soffiarle sopra perché voli via senza lasciare lesione.
Siate veramente buoni. Un blocco solo con la Bontà eterna al centro. E nessuna corruzione potrà salire a sporcarvi oltre le suole che poggiano al suolo. L'anima è tanto in alto! L'anima di chi è buono e di chi è tutta una cosa con Dio. L'anima è in Cielo. Là non giunge polvere e fango, neppure se è lanciato con astio contro lo spirito dell'apostolo. Può colpirvi la carne, ferirvi cioè materialmente e moralmente, perseguitandovi, perché il Male odia il Bene, o offendendovi. E che perciò? Non fui offeso Io? Non fui ferito? Ma incisero quelle percosse e quelle parole oscene sul mio spirito? Lo turbarono? No. Come sputo su uno specchio e come sasso lanciato contro la succosa polpa di un frutto, scivolarono senza penetrare, o penetrarono ma solo in superficie, senza ferire il germe chiuso nel nocciolo, anzi favorendone il germogliare, perché più facile è erompere da una massa socchiusa che non da una integra. E’ morendo che il grano germina e l'apostolo produce. Morendo materialmente talora, morendo quasi giornalmente, nel senso metaforico perché non ne è che frantumato l'io umano. E questa non è morte, è Vita. Trionfa lo spirito sulla morte dell'umanità.
Venuta a Me per capriccio di oziosa che non sa come empire le sue ore di ozio, alle sue orecchie, rintronate dai bugiardi ossequi di chi la cullava cogli inni al senso per averla sua schiava, è suonata, alle sue orecchie, la voce limpida e severa della Verità. Della Verità che non ha paura d'esser schernita e incompresa e parla le sue parole guardando Dio. E come coro di campane a festa tutte le voci si sono fuse nella Parola. Le voci use a suonare nei cieli, nell'azzurro libero dell'aria, propagandosi per valli e colline, pianure e laghi, per ricordare le glorie del Signore e le sue festività.
Non ricordate il doppio di festa che nei tempi di pace faceva tanto lieto il giorno dedicato al Signore? La campana maggiore dava, col maglio sonoro, il primo squillo in nome della Legge divina. Diceva: "Parlo in nome di Dio, Giudice e Re". Ma poi le minori campane arpeggiavano: "che è buono, misericorde e paziente", sinché la campana più argentina, con voce d'angelo, diceva: "la cui carità spinge a perdonare e a compatire per insegnarvi che il perdono è più utile del rancore, e il compatimento dell'inesorabilità. Venite a Chi perdona. Abbiate fede in Chi compatisce".
Anche Io, dopo aver ricordato la Legge, calpestata dalla peccatrice, ho fatto cantare la speranza del perdono. Come una serica fascia di verde e di azzurro l'ho scossa fra le tinte nere perché vi mettesse le sue confortevoli parole. Il perdono! La rugiada sull'arsione del colpevole. La rugiada non è grandine che saetta, colpisce, rimbalza e va, senza penetrare, uccidendo il fiore. La rugiada scende così lieve che il fiore anche più tenue non la sente posarsi sui petali di seta. Ma poi ne beve il fresco e si ristora. Essa si posa presso le radici, sull'arsa gleba, e va oltre... E’ un umidore di lacrime, pianto delle stelle, amoroso pianto di nutrici sui figli che hanno sete, e che scende, esso stesso ristoro, insieme al latte dolce e fecondo. Oh! i misteri degli elementi che operano anche quando l'uomo riposa o pecca! Il perdono è come questa rugiada. Porta seco non solo mondezza, ma succhi vitali rapiti non agli elementi, ma ai focolari divini.
Poi, dopo la promessa di perdono, ecco la Sapienza che parla e dice ciò che è lecito o non lecito, e richiama e scuote. Non per durezza. Ma per sollecitudine materna di salvare. Quante volte la vostra selce non si fa ancora più impenetrabile e tagliente verso la Carità che su voi si curva!... Quante volte fuggite mentre Essa vi parla!... Quante la deridete! Quante la odiate!... Se la Carità usasse con voi i modi che voi usate con Lei, guai alle vostre anime! Invece, lo vedete? Essa è l'instancabile Camminatrice che viene alla ricerca vostra. Viene a raggiungervi anche se voi vi intanate in luride tane.
Perché lo sono voluto andare in quella casa? Perché non ho operato in essa il miracolo? Per insegnare agli apostoli come agire, sfidando prevenzioni e critiche per compiere un dovere tanto alto che è esente da queste cosucce del mondo.
Perché ho detto a Giuda quelle parole? Gli apostoli erano molto uomini. Tutti i cristiani sono molto uomini, anche i santi della terra lo sono, sebbene in maniera minore. Qualcosa di umano sopravvive anche nei perfetti. Ma gli apostoli non erano ancora tali. I loro pensieri erano compenetrati di umano. Io li portavo in alto. Ma il peso della loro umanità li riportava in basso. Per farli scendere sempre meno, dovevo mettere sulla via dell'ascesa delle cose atte ad arrestarne la discesa, di modo che contro esse si fermassero meditando e riposando, per poi salire più oltre del limite di prima. Cose che fossero di un tenore atto a persuaderli che Io ero un Dio. Perciò introspezione d'anime, perciò vittoria sugli elementi, perciò miracoli, perciò trasfigurazione, risurrezione e ubiquità. Io fui sulla strada di Emmaus mentre ero nel Cenacolo; e l'ora delle due presenze, confrontate fra apostoli e discepoli, fu una delle ragioni che più li scosse, svellendoli dai loro lacci e scagliandoli nella via del Cristo. Più che per Giuda, membro che covava in sé già la morte, lo parlai per gli altri undici. Che ero Dio dovevo necessariamente farlo loro brillare davanti, non per orgoglio ma per necessità di formazione. Ero Dio e Maestro. Quelle parole mi indicano tale. Mi rivelo in una facoltà extraumana e insegno una perfezione: non avere discorsi cattivi neppure col nostro interno. Poiché Dio vede, e Dio deve vedere un interno puro per potervi scendere e farvi dimora.
Perché non ho operato il miracolo in quella casa? Per fare capire a tutti che la presenza di Dio esige un ambiente puro. Per rispetto alla sua eccelsa maestà. Per parlare, senza parole di labbra ma con una parola ancor più profonda, allo spirito della peccatrice e dirle: "Lo vedi, infelice? Sei tanto sozza che tutto intorno a te si fa sozzo. Tanto sozzo che non vi può operare Dio. Tu sozza più di costui. Perché tu ripeti la colpa d'Eva e offri il frutto agli Adami, tentandoli e levandoli al Dovere. Tu, ministra di Satana".
Perché però non voglio che sia chiamata "satana" dalla madre angosciata? Perché nessuna ragione giustifica l'insulto e l'odio. Necessità prima e condizione prima per avere Dio con noi è non aver rancore e sapere perdonare. Necessità seconda saper riconoscere che anche noi, o chi è nostro, è colpevole. Non vedere solo le colpe altrui. Necessità terza saper conservarsi grati e fedeli, dopo aver avuto grazia, per giustizia verso l'Eterno. Infelici quelli che, a grazia ottenuta, sono peggio dei cani e non si ricordano del loro Benefattore, mentre l'animale se ne ricorda!
Non ho detto parola alla Maddalena. Come fosse una statua l'ho guardata un attimo e poi l'ho lasciata. Sono tornato ai "vivi" che volevo salvare. Lei, materia morta come e più di un marmo scolpito, l'ho avvolta di noncuranza apparente. Ma non ho detto parola e fatto atto che non avesse a principale mira la sua povera anima che volevo redimere. E l'ultima parola: "Io non insulto. Non insultare. Prega per i peccatori. Null'altro", come ghirlanda di fiori che si compie, si è andata a saldare con la prima detta sul monte: "Il perdono è più utile del rancore e il compatimento dell'inesorabilità". E l'hanno chiusa, la povera infelice, in un cerchio vellutato, fresco, profumato di bontà, facendole sentire come è diversa la amorosa servitù a Dio dalla feroce schiavitù di Satana, come è soave il profumo celeste rispetto al lezzo della colpa e come riposa l'esser amati santamente rispetto all'esser posseduti satanicamente.
Vedete come è misurato il Signore nel volere. Non esige conversioni fulminee. Non pretende l'assoluto da un cuore. Sa attendere. E sa accontentarsi. E mentre attende che la perduta ritrovi la via, la folle la ragione, si accontenta di quanto le può dare la madre sconvolta. Non le chiedo altro che: "Puoi perdonare?". Quante altre cose avrei avuto a chiederle per renderla degna del miracolo, se avessi giudicato alla stregua umana! Ma Io misuro divinamente le forze vostre. Quella povera madre sconvolta era già molto se giungeva a perdonare. E le chiedo questo soltanto, in quell'ora. Dopo, resole il figlio, le dico: "Sii santa e fa' santa la tua casa". Ma mentre lo spasimo la sconvolge non le chiedo che perdono per la colpevole. Non si deve esigere tutto da chi poco prima era nel nulla delle Tenebre. Quella madre sarebbe poi venuta alla Luce totale, e con lei la sposa e i bambini. Sul momento, ai suoi occhi, ciechi di pianto, occorreva far giungere il primo crepuscolo della Luce: il perdono, l'alba del giorno di Dio.
Dei presenti uno solo - non conto Giuda, parlo dei cittadini ivi accolti, non dei miei discepoli - uno solo non sarebbe venuto alla Luce. Queste disfatte sono connesse alle vittorie dell'apostolato. Vi è sempre qualcuno per cui l'apostolo si affatica invano. Ma non devono, queste sconfitte, far perdere lena. L'apostolo non deve pretendere di ottenere tutto. Contro di lui sono forze avverse dai molti nomi, che come tentacoli di piovre riafferrano la preda che egli aveva loro strappato. Il merito dell'apostolo resta ugualmente. Infelice quell'apostolo che dice: "So che là non potrò convertire e perciò non vado". Costui è apostolo di ben scarso valore. Occorre andare anche se uno solo su mille si salverà. La sua giornata apostolica sarà fruttuosa per quell'uno come per mille. Poiché egli avrà fatto tutto quanto poteva, e Dio premia questo. Occorre anche pensare che dove l'apostolo non può convertire, perché il convertendo è troppo abbrancato da Satana e le forze dell'apostolo sono inferiori allo sforzo richiesto, può intervenire Iddio. E allora? Chi più da Dio?
Altra cosa che deve assolutamente praticare l'apostolo è l'amore. Palese amore. Non solo l'amore segreto dei cuori dei fratelli. Quello basta ai fratelli buoni. Ma l'apostolo è operaio di Dio e non deve limitarsi a pregare, deve agire. Agisca con amore. Grande amore. Il rigore paralizza il lavoro dell'apostolo e il movimento delle anime verso la Luce. Non rigore ma amore. L'amore è la veste d'amianto che rende incorruttibile al morso delle vampe delle malvagie passioni. L'amore è saturazione di essenze preservatrici che impediscono alla putredine umano-satanica di penetrare in voi. Per conquistare un'anima occorre sapere amare. Per conquistare un'anima occorre portarla ad amare. Amare il Bene ripudiando i suoi poveri amori di peccato.
Io volevo l'anima di Maria. E come per te, piccolo Giovanni, non mi sono limitato a parlare dalla mia cattedra di Maestro. Sono sceso a cercarla per le vie del peccato. L'ho inseguita e perseguitata col mio amore. Dolce persecuzione! Sono entrato, Io-Purezza, dove era ella-impurità. Non ho temuto scandalo né per Me né per gli altri. Scandalo in Me non poteva entrare perché ero la Misericordia; e questa piange sulle colpe ma non se ne scandalizza. Infelice quel pastore che si scandalizza e dietro questo paravento si trincera per abbandonare un'anima! Non sapete che le anime sono più soggette dei corpi a risorgere, e la parola pietosa e amorosa che dice: "Sorella, sorgi per tuo bene" opera sovente il miracolo? Non temevo lo scandalo altrui. Davanti all'occhio di Dio il mio operato era giustificato. Davanti all'occhio dei buoni era compreso. L'occhio malevolo in cui fermenta malizia, evaporando da un interno corrotto, non ha valore. Esso trova colpe anche in Dio. Non vede perfetto che sé. Perciò non lo curavo.
Le tre fasi della salvazione di un'anima sono:
Essere integerrimi per poter parlare senza timore d'esser posti a tacere. Parlare a tutta una folla, di modo che la nostra apostolica parola detta alle turbe che si affollano intorno alla mistica barca vada, per cerchi d'onda, sempre più lontano, sino alla riva motosa dove sono coricati coloro che stagnano nel fango e non si curano di conoscere la Verità. Questo è il primo lavoro per rompere la crosta della dura zolla e prepararla al seme. Il più severo per chi lo compie e per chi lo riceve, perché la parola deve, come vomere tagliente, ferire per aprire. E in verità vi dico che il cuore dell'apostolo buono si ferisce e sanguina per il dolore di dover ferire per aprire. Ma anche questo dolore è fecondo. Col sangue e il pianto dell'apostolo si fa fertile la zolla incolta.
Seconda qualità: operare anche là dove uno, men compreso della sua missione, fuggirebbe. Spezzarsi nello sforzo di strappare zizzania, gramigna e spine per mettere a nudo il terreno arato e far balenare su esso, come sole, il potere di Dio e la sua bontà, e nello stesso tempo, con modo di giudice e di medico, esser severo e pur pietoso, fermo in una pausa di attesa per dare tempo alle anime di superare la crisi, meditare, decidere.
Terzo punto: non appena l'anima che nel silenzio si è pentita, piangendo e pensando sui suoi trascorsi, osa venire timidamente, paurosa d'esser cacciata, verso l'apostolo, l'apostolo abbia un cuore più grande del mare, più dolce di un cuore di mamma, più innamorato di un cuore di sposo, e lo apra tutto per farne fluire onde di tenerezza. Se avrete Dio in voi - Dio che è Carità - troverete facilmente le parole di carità da dire alle anime. Dio parlerà in voi e per voi e, come miele che scola da un favo, come balsamo che fluisce da un'ampolla, l'amore andrà alle labbra arse e disgustate, andrà agli spiriti feriti e sarà sollievo e medicina.
Fate che i peccatori vi amino, voi dottori delle anime. Fate che sentano il sapore della carità celeste e se ne rendano tanto ansiosi da non cercare più altro cibo. Fate che sentano nella vostra dolcezza un tale sollievo che lo cerchino per tutte le loro ferite. Bisogna che la vostra carità mandi via da loro ogni timore perché, come dice l'epistola che hai letto oggi: "Il timore suppone il castigo, chi teme non è perfetto nella carità". Ma non lo è neppure chi fa temere. Non dite: "Che hai fatto?". Non dite: "Va' via". Non dite: "Tu non puoi aver gusto all'amore buono". Ma dite, dite in mio nome: "Ama ed io ti perdono". Ma dite: "Vieni, le braccia di Gesù sono aperte". Ma dite: "Gusta questo Pane angelico e questa Parola e dimentica la pece d'inferno e gli scherni di Satana". Fatevi soma per le altrui debolezze. L'apostolo deve portare le sue e quelle altrui, insieme alle croci sue e altrui. E mentre venite a Me, carichi delle pecore ferite, rassicuratele, queste erranti, dite: "Tutto è dimenticato di quest'ora"; dite: "Non aver paura del Salvatore. Egli è venuto dal Cielo per te, proprio per te. lo non sono che il ponte per portarti a Lui che ti aspetta, oltre il rio della assoluzione penitenziale, per condurti ai suoi pascoli santi, i cui principi sono qui, sulla terra, ma poi proseguono, con una bellezza eterna che nutre e bea, nei Cieli".
Ecco il commento. Voi poco vi tocca, voi pecore fedeli al Pastore buono. Ma se a te, piccola sposa, sarà aumento di fiducia, al Padre sarà ancor più luce nella sua luce di giudice, e per tanti sarà non pungolo a venire al Bene. Ma sarà la rugiada che penetra e nutre, di cui ho parlato, e che fa rialzare i fiori appassiti. Alzate il capo. Il Cielo è in alto. Va' in pace, Maria. Il Signore è con te ».
10.5 Epicureo e mezzo filosofo…, come me
Bene, della Maddalena riparleremo ancora ma ora, per completare la sua storia relativamente a questo periodo, non si può ignorare un altro successivo episodio che la riguarda, e che racconta sempre Luca (7, 36-50), il quale neanche qui ne fa il nome, dove assistiamo ad un atto che sigilla la sua definitiva conversione.
Una donna - portando con sé un vaso d’alabastro pieno di essenze profumate – si presenta all’improvviso davanti al tavolo di convito di un fariseo che aveva invitato a cena Gesù, , si getta ai sue piedi, glieli unge, li bagna piangendo, glieli asciuga coi suoi lunghi capelli e gli chiede perdono per i suoi peccati, il tutto fra l’indignazione degli altri farisei a tavola perché tutti sapevano che quella donna era una ‘peccatrice’ e Gesù – se fosse stato veramente ‘profeta’ – non avrebbe dovuto ignorarlo e avrebbe dovuto conseguentemente respingerla.
I commentatori ‘ufficiali’ dei vangeli non sanno, non possono sapere che questa che vien definita peccatrice era la Maddalena ma è Giovanni ( Gv 12, 1-11) che involontariamente la ‘tradisce’ lasciandocelo intuire – se stiamo bene attenti - quando descrive un episodio successivo avvenuto in casa di Lazzaro a Betania, episodio che riguarda appunto Maria che qui era in casa sua.
In questo episodio di Betania, Maria di Lazzaro ripete in maniera straordinariamente identica, i comportamenti della peccatrice dell’episodio raccontato da Luca.
Ed è proprio Gesù stesso che, apparendo in carne ed ossa a Maria nella grotta della visione che abbiamo letto poco sopra, le ricorda quell’episodio d’amore che lei gli tributò a Betania prima della sua morte, episodio d’amore che ora Gesù è venuto a ricambiare nell’ora della morte della Maddalena: perché Gesù restituisce sempre il centuplo!
Maria – nell’imminenza della crocifissione di Gesù che sarebbe avvenuta di lì a qualche giorno e che Gesù aveva più volte ormai anticipato ai discepoli per prepararli - lo aveva ‘unto’ anzitempo rompendo un vaso prezioso di unguenti che gli aveva versato sui piedi, piedi che poi lei gli aveva asciugato con i propri capelli.
Siamo di fronte ad una modalità comportamentale femminile unica nei Vangeli che porta non solo la stessa ‘firma’ della Maddalena dell’episodio valtortiano in casa del fariseo e della peccatrice misteriosa di cui racconta Luca, ma anche l’impronta della passionalità spirituale della Maddalena. Lei fu forte nel pentimento e nella fede come prima era stata forte nel peccato, cosa che del resto - l’ho letto non so più dove – dicono sia una caratteristica dei grandi peccatori convertiti.
Vi è infine ancora un episodio – sempre riferito a questo periodo che stiamo commentando – che riguarda la Maddalena.
La vediamo qui già al seguito di Gesù mentre passa velata e con vesti dimesse col gruppo apostolico nelle vie di Tiberiade.
Il bagliore degli occhi o forse un angolo di volto la fanno riconoscere da un gruppo di suoi vecchi compagni di baldoria che – allibiti nel vederla ‘onesta’ e sdegnosa ai loro inviti - lanciano lazzi e frizzi a lei e a Gesù mentre il solito scriba ipocrita e ‘farisaico’ si scandalizza che Gesù conduca simili donne con sé. L’ex-peccatrice Maddalena procura a Gesù l’occasione di una nuova conversione, quella del suo ex-compagno di festini Crispo, romano, epicureo e mezzo filosofo. Questi – assetato come molti di conoscere la ‘Verità’, l’aveva cercata sui libri di scienza e filosofia come ho fatto io e – non avendola trovata - si era poi messo a seguire Gesù, come ho fatto io.
Leggiamo ora la Valtorta:
242. Discorso sulla Verità al romano Crispo, unico ascoltatore di Gesù a Tiberiade.
3 agosto 1945.
Quando la barca si ferma nel porticciuolo di Tiberiade, accorrono a vedere chi giunge alcuni sfaccendati che passeggiavano presso il moletto. Vi sono persone di ogni ceto e di ogni nazionalità. Perciò le lunghe vesti ebraiche di tutti i colori, le zazzere e le barbe imponenti degli israeliti, si mescolano alle vesti di lana candida, più corte e sbracciate, e ai visi glabri, dai capelli corti, dei romani robusti, e a quelle ancor più ridotte che coprono i corpi snelli ed effeminati dei greci, che sembra abbiano assimilato fin nelle pose l'arte della loro nazione lontana, come statue di dèi scese sulla terra in corpi di uomini avvolti in tuniche molli, volti classici sotto chiome arricciate e profumate, braccia cariche di braccialetti che scintillano nelle movenze studiate.
Molte donne di piacere sono mescolate a questi due ultimi generi di persone, perché i romani e gli elleni non si peritano di esporre i loro amori sulle piazze e per le vie, mentre i palestinesi se ne astengono, salvo poi praticare allegramente il libero amore con donne di piacere dentro le loro case. Ciò appare nettamente perché le cortigiane, nonostante gli occhiacci che fanno loro gli interpellati, chiamano famigliarmente per nome diversi ebrei fra i quali non manca un infiocchettato fariseo.
Gesù si dirige verso la città, proprio là dove la folla più elegante si raduna più fitta. La folla elegante, ossia romana e greca per lo più, con qualche pizzico di cortigiani di Erode e di altri che credo ricchi mercanti della costa fenicia, verso Sidone e Tiro, perché parlano di quelle città e di empori e navi. Le terme hanno i portici esterni pieni di questa folla elegante e oziosa, che perde così il suo tempo discutendo su argomenti molto piccini, quali il favorito discobolo o l'atleta più agile e armonico nella lotta greco-romana. Oppure cicalano di mode e di banchetti, e prendono appuntamenti per gite allegre andando ad invitare le più belle cortigiane o le dame che escono profumate e arricciate dalle terme o dai palazzi, riversandosi in questo centro di Tiberiade, marmoreo, artistico come un salone.
Naturalmente il passaggio del gruppo suscita curiosità intensa, e questa diventa addirittura morbosa quando vi è chi riconosce Gesù per averlo visto a Cesarea, e vi è chi riconosce la Maddalena per quanto proceda tutta ammantellata e col velo bianco molto calato sulla fronte e sulle guance, di modo che per essere così velata, e a capo chino per giunta, ben poco del suo viso si vede.
« E’ il Nazzareno che ha guarito la bambina di Valeria » dice un romano.
« Mi piacerebbe vedere un miracolo » gli risponde un altro romano.
« Io lo vorrei sentire parlare. Dicono che è un gran filosofo. Gli diciamo che parli? » chiede un greco.
« Non te ne impicciare, Teodate. Predica nuvole. Sarebbe piaciuto al tragedo per una satira » risponde un altro greco.
« Non inquietarti, Aristobulo. Pare che ora scenda dalle nuvole e vada al solido. Vedi che ha scorta di femmine giovani e belle? » scherza un romano.
« Ma quella è Maria di Magdala! » urla un greco, e poi chiama: «Lucio! Cornelio! Tito! Ma guardate là Maria! ».
« Ma non è lei! Maria così! Sei ebbro? ».
« E’ lei, ti dico. Non posso ingannarmi anche se è così mascherata ».
Romani e greci si affollano verso il gruppo apostolico che taglia per sbieco la piazza piena di portici e fontane. Anche donne si uniscono a questi curiosi, ed è proprio una donna che va quasi sotto il volto di Maria per vederla meglio e resta di sasso vedendo che è proprio lei.
Chiede:« Che fai in questa guisa? » e ride di scherno.
Maria si ferma, si raddrizza alza una mano e si scopre il volto gettando indietro il velo.
E’ la Maria di Magdala signora potente su tutto ciò che è spregevole e padrona, già padrona delle sue impressioni, che appare.
« Sono io, sì » dice con la sua splendida voce e con dei lampi negli occhi bellissimi.
« Sono io. E mi disvelo perché non abbiate a pensare che mi vergogno di essere con questi santi ».
« Oh! Oh! Maria coi santi! Ma vieni via! Non avvilire te stessa! » dice la donna.
« Avvilita fui fino ad ora. Adesso non più ».
« Ma sei folle? O è un capriccio? ».
« Vieni con me. Sono più bello e più allegro di quella prefica coi baffi che mortifica la vita e ne fa un funerale. Bella è la vita! Un trionfo! Un'orgia di gioia. Vieni. Io saprò superare tutti per farti felice » dice un giovane brunetto dal volto volpino pur essendo bello, e fa per toccarla.
« Indietro! Non mi toccare. Hai detto bene: la vita che voi fate è un'orgia. E delle più vergognose. Ne ho nausea ».
« Oh! Oh! Fino a poco fa era la tua vita, però » risponde il greco.
« Ora fa la vergine! » ghigna un erodiano.
« Tu rovini i santi! Il tuo Nazzareno perderà l'aureola con te. Vieni con noi » insiste un romano.
« Venite voi con me dietro a Lui. Cessate di essere animali e divenite almeno uomini ».
Un coro di risate e di beffe le risponde.
Solo un vecchio romano dice: « Rispettate una donna. E’ libera di fare ciò che vuole. Io la difendo ».
« Il demagogo! Sentilo! Ti ha fatto male il vino di ieri sera? » chiede un giovane.
« No.E’ ipocondriaco perché gli duole la schiena » gli risponde un altro.
« Vai dal Nazzareno che te la gratti ».
« Vado perché mi gratti il fango che ho preso in contatto con voi » risponde l'anziano.
« Oh! Crispo che si è corrotto a sessant'anni! » ridono in molti facendogli cerchio intorno.
Ma l'uomo detto Crispo non si preoccupa di essere beffato e si dà a camminare dietro alla Maddalena, che raggiunge il Maestro messosi all'ombra di un edificio bellissimo che si stende in forma di esedra su due lati di una piazza.
E Gesù è già alle prese con uno scriba che lo rimprovera di essere in Tiberiade e con quella compagnia.
« E tu perché vi sei? Questo per essere a Tiberiade. E anche ti dico che pure a Tiberiade, anzi più qui che altrove, vi sono anime da salvare » gli risponde Gesù.
« Non sono salvabili: sono gentili, pagani, peccatori ».
« Per i peccatori Io sono venuto. Per far conoscere il Dio vero. A tutti. Anche per te sono venuto ».
« Non ho bisogno di maestri né di redentori. Io sono puro e dotto ».
« Almeno lo fossi tanto da conoscere il tuo stato! ».
« E Tu da sapere quanto ti pregiudichi con la compagnia di una meretrice ».
« Ti perdono anche in suo nome. Ella, nella sua umiltà, annulla il suo peccato. Tu, per la tua superbia, raddoppi le tue colpe ».
« Non ho colpe ».
« Hai la capitale. Sei senza amore ».
Lo scriba dice: « Raca! » e volge le spalle.
« Per mia colpa, Maestro! » dice la Maddalena.
E vedendo il pallore di Maria Vergine geme: « Perdonami. Io faccio insultare tuo Figlio. Mi ritirerò... ».
« No. Tu resti dove sei. Lo voglio Io » dice Gesù con voce incisiva e un balenare tale negli occhi, un che di dominio in tutta la sua persona che lo fa quasi inguardabile. E poi più dolcemente: « Tu resti dove sei. E se qualcuno non sopporta la tua vicinanza, questo qualcuno se ne va, lui soltanto ».
E Gesù si riavvia dirigendosi verso la parte occidentale della città.
« Maestro! » chiama il romano corpulento e vecchietto che ha difeso la Maddalena. Gesù si volge.
« Ti chiamano Maestro, e io pure ti chiamo così. Desideravo sentirti parlare. Sono un mezzo filosofo e un mezzo gaudente. Ma forse Tu potresti fare di me un onesto uomo ».
Gesù lo guarda fisso e dice: « Io lascio la città dove regna la bassezza della animalità umana ed è sovrano lo scherno ». E riprende a camminare.
L'uomo dietro, sudando e faticando perché il passo di Gesù è sollecito e lui è grosso e vecchietto, appesantito anche dai vizi. Pietro, che si volta indietro, ne avverte Gesù.
« Lascialo camminare. Non te ne occupare ».
Dopo poco è l'Iscariota che dice: « Ma quell'uomo ci segue. Non va bene! ».
« Perché? Per pietà o per altro motivo? ».
« Pietà di lui? No. Perché più in distanza ci segue lo scriba di prima con altri giudei ».
« Lasciali fare. Ma era meglio se avevi pietà di lui che di te ».
« Di Te, Maestro ».
« No: di te, Giuda. Sii schietto nel capire i tuoi sentimenti e nel confessarli ».
« Io veramente ho pietà anche del vecchio. Si fatica, sai, starti dietro » dice Pietro che suda.
« A seguire la Perfezione si fatica sempre, Simone ».
L'uomo li segue instancabile, cercando di stare vicino alle donne, alle quali però non rivolge mai la parola.
La Maddalena piange silenziosamente sotto al suo velo. « Non piangere, Maria» conforta la Madonna prendendole la mano. « Dopo il mondo ti rispetterà. Sono i primi giorni quelli più penosi ».
« Oh! non per me! Ma per Lui. Se gli dovessi fare del male non me lo perdonerei. Hai sentito lo scriba che cosa ha detto? Io lo pregiudico ».
« Povera figlia! Ma non sai che queste parole fischiano come tanti serpenti intorno a Lui da quando tu ancora non pensavi di venire a Lui? Mi ha detto Simone che lo accusarono di questo fino dallo scorso anno, per avere guarito una lebbrosa, un tempo peccatrice, vista nel momento del miracolo e poi mai più, vecchia più di me che gli sono madre. Ma non sai che dovette fuggire dall'Acqua Speciosa perché una tua disgraziata sorella era andata là per redimersi? Come vuoi che l'accusino se Egli è senza peccato? Con menzogne. E in che trovarle? Nella sua missione fra gli uomini. L'atto buono viene agitato come prova di colpa. E qualunque cosa facesse mio Figlio, sarebbe sempre colpa per loro. Se si chiudesse in un eremo sarebbe colpevole di trascurare il popolo di Dio. Scende fra il popolo di Dio ed è colpevole di farlo. Per loro è sempre colpevole ».
« Sono odiosamente cattivi, allora! ».
« No. Sono ostinatamente chiusi alla Luce. Egli, il mio Gesù, è l'eterno Incompreso. E sempre, e sempre più lo sarà ».
« E non ne soffri? Mi sembri tanto serena ».
« Taci. E’ come se il mio cuore fosse fasciato di spine roventi. Ad ogni respiro io ne sono punta. Ma che Egli non lo sappia! Mi faccio vedere così per sostenerlo con la mia serenità. Se non lo conforta la sua Mamma, dove potrà trovare conforto il mio Gesù? Su quale seno potrà curvare il capo senza trovare ferita o calunnia per farlo? E’ dunque ben giusto che io, al disopra delle spine che già mi lacerano il cuore, e delle lacrime che bevo nelle ore di solitudine, posi un morbido manto di amore, metta un sorriso, a qualunque costo, per lasciarlo più quieto, più quieto finché... finché l'onda dell'odio sarà tale che nulla più gioverà. Neanche l'amore della Mamma... ». Maria ha due righe di pianto sul volto pallido.
Le due sorelle la guardano commosse.
« Ma Egli ha noi che lo amiamo. Gli apostoli poi... » dice Marta per consolarla.
« Ha voi, sì. Ha gli apostoli... Ancora molto inferiori al loro compito... E il mio dolore è più forte perché so che Egli nulla ignora... ».
« Allora saprà anche che io lo voglio ubbidire fino all'immolazione se occorre?» chiede la Maddalena.
« Lo sa. Sei una grande gioia sul suo duro cammino ».
« Oh! Madre! » e la Maddalena prende la mano di Maria e la bacia con espansione.
Tiberiade finisce nelle ortaglie del suburbio. Oltre è la via polverosa che conduce a Cana, limitata da un lato da frutteti, dall'altro da una serie di prati e di campi arsi dall'estate.
Gesù si inoltra in un frutteto e sosta all'ombra delle piante folte. Lo raggiungono le donne e poi il trafelato romano, che proprio non ne può più. Si mette un poco scosto, non parla, ma guarda.
« Mentre riposiamo prendiamo il cibo » dice Gesù. « Là vi è un pozzo e presso un contadino. Andate a chiedergli acqua».
Va Giovanni e il Taddeo. Tornano con una brocca gocciolante d'acqua, seguiti dal contadino che offre degli splendidi fichi.
« Dio te ne compensi nella salute e nel raccolto ».
« Dio ti protegga. Sei il Maestro, vero? ».
« Lo sono ».
« Parli qui? ».
« Non c'è chi lo desidera ».
« Io, Maestro. Più dell'acqua che è così buona per chi ha sete » grida il romano.
« Hai sete? ».
« Tanto. Ti sono venuto dietro dalla città ».
« Non mancano in Tiberiade fontane d'acqua fresca ».
« Non fraintendermi, Maestro, o fare mostra di fraintendermi. Ti sono venuto dietro per sentirti parlare».
« Ma perché? ».
« Non so perché e come. E stato vedendo lei (e accenna la Maddalena). Non so. Qualche cosa che mi ha detto: "Quello ti dirà ciò che ancora non sai". E sono venuto ».
« Date all'uomo acqua e fichi. Che si ristori il corpo ».
« E la mente? ».
« La mente ha ristoro nella Verità».
« E per quello che ti sono venuto dietro. Ho cercato la Verità nello scibile. Ho trovato la corruzione. Nelle dottrine anche migliori c'è sempre un che di non buono. Io mi sono avvilito fino a divenire un nauseato e nauseante uomo senza altro futuro che l'ora che vivo».
Gesù lo guarda fissamente mentre mangia pane e fichi che gli hanno portato gli apostoli.
Il pasto è presto finito.
Gesù, rimanendo seduto, principia a parlare come se facesse una semplice lezione ai suoi apostoli. Rimane vicino anche il contadino.
« Molti sono quelli che cercano la Verità per tutta la vita senza giungere a trovarla. Sembrano folli che vogliano vedere pur tenendo una cavezza di bronzo sui loro occhi e annaspano cercando convulsamente, tanto che sempre più si allontanano dalla Verità, oppure la nascondono rovesciando su essa cose che la loro ricerca folle smuove e fa precipitare. Non può che accadere loro così, perché cercano là dove la Verità non può essere.
Per trovare la Verità bisogna unire l'intelletto con l'amore e guardare le cose non solo con occhi sapienti, ma con occhi buoni. Perché vale più la bontà della sapienza. Colui che ama giunge sempre ad avere una traccia verso la Verità. Amare non vuole dire godere di una carne e per la carne. Quello non è amore. E’ sensualità. Amore è l'affetto da animo ad animo, da parte superiore a parte superiore, per cui nella compagna non si vede la schiava ma la generatrice dei figli, solo quello, ossia la metà che forma con l'uomo un tutto che è capace di creare una vita, più vite; ossia la compagna che è madre e sorella e figlia dell'uomo, che è debole più di un neonato o più forte di un leone a seconda dei casi, e che come madre, sorella, figlia, va amata con rispetto confidente e protettore. Ciò che non è quanto Io dico, non è amore. E’ vizio. Non conduce all'alto ma al basso. Non alla Luce ma alle Tenebre. Non alle stelle ma al fango. Amare la donna per sapere amare il prossimo. Amare il prossimo per sapere amare Dio.
Ecco trovata la via della Verità. La Verità è qui, uomini che la cercate. La Verità è Dio. La chiave per comprendere lo scibile è qui. La dottrina che è senza difetto non è che quella di Dio. Come può l'uomo dare risposta ai suoi perché, se non ha Dio che gli risponde? Chi può svelare i misteri del creato, anche solo e semplicemente quelli, se non il Fattore supremo che ha fatto questo creato? Come comprendere il prodigio vivente che è l'uomo, essere in cui si fonde la perfezione animale con quella perfezione immortale che è l'anima, per cui dèi siamo se abbiamo in noi viva l'anima, ossia libera da quelle colpe che avvilirebbero il bruto e che pure l'uomo compie, e si vanta di compierle?
Io vi dico le parole di Giobbe, o cercatori della Verità: "Interroga i giumenti e ti istruiranno, gli uccelli e te lo indicheranno. Parla alla terra e ti risponderà, ai pesci e te lo faranno sapere".
Sì, la terra, questa terra verdeggiante e fiorita, queste frutta che si gonfiano sulle piante, questi uccelli che prolificano, queste correnti di venti che distribuiscono le nubi, questo sole che non erra il suo sorgere da secoli e millenni, tutto parla di Dio, tutto spiega Dio, tutto svela e disvela Iddio. Se la scienza non si appoggia su Dio diviene errore che non eleva ma avvilisce. Il sapere non è corruzione se è religione. Chi sa in Dio non cade perché sente la sua dignità, perché crede nel suo futuro eterno. Ma bisogna cercare il Dio reale. Non le fantasime che dèi non sono ma solo deliri di uomini ancora avvolti nelle fasce della ignoranza spirituale, per cui non c'è ombra di sapienza nelle loro religioni e ombra di verità nelle loro fedi.
Ogni età è buona per divenire sapienti. Anzi, ancora in Giobbe questo è detto: "Sul far della sera ti sorgerà una specie di luce meridiana, e quando ti crederai finito sorgerai come la stella del mattino. Sarai pieno di fiducia per la speranza che ti attende".
Basta la buona volontà di trovare la Verità, e prima o poi essa si lascerà trovare. Ma una volta che trovata sia, guai a chi non la segue, imitando i cocciuti di Israele che, avendo già in mano il filo conduttore per trovare Dio - tutte le cose che di Me sono dette nel Libro - non vogliono arrendersi alla Verità e la odiano, accumulando sul loro intelletto e sul loro cuore le macie dell'odio e delle formule, e non sanno che per troppo peso la terra si aprirà sotto il loro passo che crede essere di trionfatore e non è che passo di schiavo dei formalismi, dell'astio, degli egoismi, ed essi saranno ingoiati, precipitando là dove vanno i colpevoli coscienti di un paganesimo più colpevole ancora di quello che dei popoli si sono dati, da se stessi, per avere una religione su cui regolare se stessi.
No, che Io, così come non respingo chi si pente fra i figli di Israele, così non respingo neppure questi idolatri che credono in ciò che fu loro dato da credere, e che dentro, nel loro interno, gemono: "Dateci la Verità!".
"Ho detto. Ora riposiamo in questo verde, se l'uomo lo concede. A sera andremo a Cana ».
« Signore, io ti lascio. Ma poiché non voglio profanare la scienza che Tu mi hai dato, partirò questa sera da Tiberiade. Lascio questa terra. Mi ritiro col mio servo sulle coste della Lucania. Ho là una casa. Molto mi hai dato. Di più comprendo che Tu non possa dare al vecchio epicureo. Ma in quello che mi hai dato ho già tanto da ricostruire un pensiero. E... Tu prega il tuo Dio per il vecchio Crispo. L'unico tuo ascoltatore di Tiberiade. Prega perché prima della stretta di Libitina io possa riudirti e, con la capacità che credo poter creare in me sulle tue parole, capirti meglio e capire meglio la Verità. Salve, Maestro ». E saluta alla romana.
Ma poi, passando presso le donne sedute un poco in disparte, si inchina a Maria di Magdala e le dice: « Grazie, Maria. Bene fu che ti conoscessi. Al tuo vecchio compagno di festini tu hai dato il tesoro cercato. Se giungerò dove tu già sei, lo dovrò a te. Addio ». E se ne va.
La Maddalena si stringe le mani sul cuore, con un viso stupito e radioso. Poi a ginocchi si trascina davanti a Gesù. « Oh! Signore! Signore! E’ dunque vero che io posso portare al bene? Oh! mio Signore! Ciò è troppa bontà! ». E curvandosi col viso fra l'erba bacia i piedi di Gesù bagnandoli di nuovo col pianto, ora riconoscente, della grande amorosa di Magdala.
***
Bene. Rifletto sulla conclusione di questo episodio che mi piace molto perché – a parte i festini e il suo ‘saluto alla romana’ – mi ritrovo molto in Crispo, e sulla lezione che lui ha ricevuto dovrò meditare ancora parecchio, se vorrò giungere anch’io alla Verità.
Certo però che quella di baciare i piedi di Gesù bagnandoglieli di pianto doveva proprio essere una abitudine, per la Maddalena!
10.6 Come speravo di fare io una volta…
Con questi episodi che avete letto siamo ormai entrati nel secondo anno di predicazione.
Nell’opera della Valtorta (dieci volumi di vita evangelica, a parte il resto della produzione letteraria) Gesù le fa rivivere numerosissimi episodi, perché ognuno di essi, anche il più piccolo, contiene un insegnamento.
In uno di questi piccoli episodi quotidiani di questo periodo, ad esempio, si parla nuovamente di reincarnazione e vita eterna (come se ne era già accennato con Nicodemo) e si vede Gesù dialogare con uno scriba.
Leggiamolo, così magari quelli che credono ancora nella reincarnazione o nella metempsicosi si metteranno il cuore in pace, sapendo che, in questa vita, possono sparare solo un colpo, e non possono quindi permettersi di sbagliarlo rimandando – come speravo di fare anch’io una volta - la propria ‘conversione’ ad…altra vita.
272. Rincarnazione e vita eterna
nel dialogo con uno scriba.
6 settembre 1945.
Quando Gesù mette piede sulla riva destra del Giordano, a un buon miglio forse più, dalla penisoletta di Tarichea, là dove non vi è che campagna bella verde - perché il terreno, ora asciutto, ma umido nel profondo, mantiene vive le piante anche più esili - trova molta gente ad attenderlo.
Gli vengono incontro i cugini con Simone Zelote: « Maestro, le barche ci hanno indicato... Forse anche Mannaen è stato un indice... ».
« Maestro » si scusa Mannaen « io sono partito di notte per non essere visto e non ho parlato con nessuno. Credilo. Mi hanno chiesto in molti dove eri. Ma io a tutti ho detto solo: "E’ partito". Ma credo che il male lo abbia fatto un pescatore dicendo che ti aveva dato la barca... ».
« Quell'imbecille di mio cognato! » tuona Pietro. « E glielo avevo detto di non parlare! E gli avevo detto che andavamo a Betsaida! E gli avevo detto che se parlava gli strappavo la barba! E lo farò! Oh, se lo farò! E ora? Addio pace, isolamento, riposo! ».
« Buono, buono, Simone. Noi abbiamo già avuto le nostre giornate di pace. E, del resto, parte dello scopo che perseguivo l'ho avuto: ammaestrarvi, consolarvi e calmarvi per impedire offese e urti fra voi e i farisei di Cafarnao. Ora andiamo da questi che ci attendono. A premiare la loro fede e il loro amore. Anche questo amore, non è cosa che solleva? Noi soffriamo di quello che è odio. Qui è amore. Perciò è godimento ».
Pietro si calma come un vento che cade di colpo. E Gesù va verso la folla dei malati, che lo attendono con il desiderio inciso sul volto, e li guarisce uno dopo l'altro, benevolo, paziente anche verso uno scriba che gli presenta il figlioletto ammalato.
E’ questo scriba che gli dice: « Lo vedi? Tu fuggi. Ma inutile è farlo. Odio e amore sono sagaci nel trovare. Qui l'amore ti ha trovato come è detto nel Cantico. Ormai per troppi Tu sei come lo Sposo dei Cantici. E si viene a Te come la Sulamite va allo sposo, sfidando le guardie di ronda e le quadrighe di Aminadab».
« Perché dici questo? Perché? ».
« Perché è vero. Venire è pericolo perché sei odiato. Non lo sai che ti posteggia Roma e ti odia il Tempio? ».
« Perché mi tenti, uomo? Tu metti l'insidia nelle tue parole per portare al Tempio e a Roma le mie risposte. Non con insidia Io ho curato tuo figlio... ».
Lo scriba, sotto al dolce rimprovero, china il capo confuso e confessa: «Vedo che realmente Tu vedi i cuori degli uomini. Perdona. Io vedo che realmente Tu sei santo. Perdona. Ero venuto, sì, fermentando in me il lievito che altri vi aveva messo... ».
« E che aveva trovato in te il calore adatto per fermentare ».
« Sì. E’ vero... Ma ora ne parto senza lievito. Ossia con un lievito nuovo ».
« Lo so. E non ho rancore. Molti sono in colpa per propria volontà, molti per volontà altrui. Diversa sarà la misura con cui saranno giudicati dal giusto Iddio. Tu, scriba, sii giusto e non corrompere in avvenire come fosti corrotto. Quando le pressioni del mondo ti premeranno, guarda la grazia vivente che è tuo figlio, salvato da morte, e sii riconoscente a Dio ».
« A Te ».
« A Dio. A Lui ogni gloria e lode. Io sono il suo Messia e sono il primo a lodarlo e a glorificarlo. Il primo ad ubbidirlo. Perché l'uomo non si avvilisce onorando e servendo Dio in verità, ma si degrada servendo il peccato ».
« Bene dici. Sempre così parli? Per tutti? ».
« Per tutti. Parlassi ad Anna o a Gamaliele, o parlassi al mendico lebbroso su una carraia, le parole sono le stesse perché la Verità è una ».
« Parla, allora, perché tutti siamo qui, mendichi di una tua parola o di una tua grazia ».
« Parlerò. Acciò non si dica che ho preconcetti verso chi è onesto nelle sue convinzioni».
« Sono morte quelle che avevo. Ma è vero. Ero onesto in esse. Credevo servire Dio combattendo Te ».
« Sei sincero. E per questo meriti di comprendere Dio che non è mai menzogna. Ma le tue convinzioni non sono ancora morte. Io te lo dico. Sono come gramigne bruciate. Alla superficie sembrano morte e in verità hanno avuto un duro assalto che le ha sfinite. Ma le radici sono vive. Ma il terreno le nutre. Ma le rugiade le invitano a gettare nuovi rizomi, e questi nuove foglie. Bisogna sorvegliare perché ciò non avvenga, o sarai di nuovo invaso dalle gramigne. 'Israele è duro a morire! ».
« Deve dunque morire Israele? E’ pianta malvagia? >,.
« Deve morire per risorgere ».
« Una rincarnazione spirituale? ».
« Una evoluzione spirituale. Non ci sono rincarnazioni in nessun genere ».
« C'è chi vi crede ».
« Sono in errore »,
« L'ellenismo ha messo anche in noi queste credenze. E i dotti se ne pascono e gloriano come di un cibo nobilissimo ».
« Contraddizione assurda in quelli che gridano l'anatema per la trascuranza di uno dei seicentotredici precetti minori ».
« E’ vero. Ma... così è. Piace imitare ciò che pur si odia ».
« Allora imitate Me, posto che mi odiate. E meglio per voi sarà ».
Lo scriba deve sorridere argutamente, per forza, per questa uscita di Gesù. La gente sta a bocca aperta ad ascoltare, e i lontani si fanno ripetere dai vicini le parole dei due.
« Ma Tu, in confidenza, che credi della rincarnazione? ».
« Che è errore. L'ho detto ».
« Vi è chi sostiene che i vivi si generano dai morti, e i morti dai vivi, perché ciò che è non si distrugge ».
« Ciò che eterno è non si distrugge, infatti. Ma dimmi.. Secondo te, il Creatore ha limiti a Se stesso? ».
« No, Maestro. Pensarlo sarebbe menomazione ».
« Tu lo hai detto. E può allora pensarsi che Egli permetta che uno spirito rincarni perché più che tanti spiriti non ce ne possono essere? ».
« Non si dovrebbe pensare. Eppure vi è chi lo pensa ».
« E, ciò che è peggio, lo pensa in Israele. Questo pensiero di una immortalità dello spirito - che è già grande, anche se è unito all'errore di una valutazione ingiusta di come avvenga questa immortalità, in un pagano - dovrebbe essere perfetto in un israelita. Invece, in chi lo ammette nei termini della tesi pagana, diviene pensiero ridotto, abbassato, colpevole. Non gloria del pensiero, che mostra di essere degno di ammirazione per aver rasentato da solo la Verità e che perciò testimonia della natura composita dell'uomo, come lo è nel pagano, per questa sua intuizione di una perenne vita della cosa misteriosa che ha nome anima e che ci distingue dai bruti. Ma menomazione del pensiero che, conoscendo la divina Sapienza e il Dio vero, materialista diventa anche in cosa così altamente spirituale. Lo spirito non trasmigra che dal Creatore all'essere e dall'essere al Creatore, al quale si presenta dopo la vita per avere giudizio di vita o di morte. Questa è verità. E là dove è mandato, là resta. In eterno ».
« Non ammetti il Purgatorio? ».
« Sì. Perché lo chiedi? ».
« Perché dici "dove è mandato resta". Il Purgatorio è temporaneo ».
« Appunto lo assorbo nel mio pensiero alla Vita eterna. Il Purgatorio è già "vita". Tramortita, legata, ma vitale sempre. Finita la temporanea sosta nel Purgatorio, lo spirito conquista la perfetta Vita, la raggiunge più senza limiti e legami. Due saranno le cose che resteranno: il Cielo - l'Abisso; il Paradiso - l'inferno. Due le categorie: i beati - i dannati. Ma da quei tre regni che ora sono, nessuno spirito tornerà mai a vestire carne. E ciò fino alla risurrezione finale, che chiuderà per sempre l'incarnazione degli spiriti nelle carni, dell'immortale nel mortale ».
« Dell'eterno no? ».
« Eterno è Dio. L'eternità è non avere un principio e una fine. E ciò è Dio. L'immortalità è continuare a vivere da quando si è iniziato a vivere. E ciò è per lo spirito dell'uomo. Ecco la differenza ».
« Tu dici "vita eterna"».
« Sì. Da quando uno è creato alla vita, può, per lo spirito, per la grazia e per la volontà, conseguire la vita eterna. Non l'eternità. Vita presuppone inizio. Non si dice "vita di Dio", perché Dio non ha avuto principio ».
« E Tu? ».
« Io vivrò perché anche carne sono, e allo spirito divino ho unito l'anima del Cristo in carne d'uomo ».
« Dio è detto "il Vivente"».
« Infatti non conosce morte. Egli è Vita. L'inesauribile Vita. Non vita di Dio. Ma Vita. Solo questo. Sono sfumature, o scriba. Ma è nelle sfumature che si ammanta Sapienza e Verità ».
« Parli così ai gentili? ».
« Non così. Non capirebbero. Mostro loro il Sole. Ma così come lo mostrerei ad un bambino fino allora cieco e stolto, e miracolosamente tornato a vista e intelligenza. Così: come astro. Senza addentrarmi a spiegarne la composizione. Ma voi di Israele non siete né ciechi né stolti. Da secoli il dito di Dio vi ha aperto gli occhi e snebbiato la mente... ».
« E vero, Maestro. Eppure siamo ciechi e stolti ».
« Vi siete fatti tali. E non volete il miracolo di chi vi ama ».
« Maestro... ».
« E’ verità, scriba ».
Costui china la testa e tace. Gesù lo lascia andando oltre e, nel passare, carezza Marziam e il figlioletto dello scriba che si sono messi a giocare con dei sassolini multicolori.
Più che una predicazione, la sua è una conversazione con questo o quel gruppo. Ma è una continua predicazione, perché risolve ogni dubbio, chiarisce ogni pensiero, riassume o dilata cose già dette o concetti ritenuti in parte da qualcuno. E le ore passano così...
***
Se vi soffermate a meditare bene questo colloquio fra Gesù e lo Scriba, battuta per battuta, vedrete quante verità teologiche scoprirete, verità che ci toccano da vicino.
Ed è finalmente, solo dopo questo episodio che – passato Gesù, come diceva Giovanni, all’altra riva del Mar di Galilea - avviene quel famoso miracolo della prima moltiplicazione dei pani, della quale Giovanni avrebbe voluto parlar subito ma di cui noi, che ora siamo stanchi, parleremo invece nel prossimo capitolo.