(Il Vangelo secondo Giovanni – La Sacra Bibbia - Capp. 1, 43-51 / 2, 1-25 – Ed. Paoline, 1968)
(M. V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Capp.52 e 53 – Centro Ed. Valtortiano)
(G. L. : ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 21 – Edizioni Segno)
3. Quei primi ‘magnifici sette’… ed il primo colpo di frusta
Gv. 1, 43-51:
Il giorno seguente Gesù decise di andare in Galilea.
Incontrò Filippo e gli disse: ‘Seguimi’.
Filippo era di Betsaida, la città di Andrea e Pietro.
Filippo incontrò Natanaele e gli disse:’Abbiamo incontrato colui del quale scrissero Mosè nella legge e i Profeti: Gesù, figlio di Giuseppe, di Nazareth’.
Natanaele rispose: ‘Da Nazareth può uscire qualcosa di buono?’
Filippo insistè: ‘Vieni e vedi’.
Gesù vide Natanaele venire verso di sé e disse: ‘Ecco un vero israelita, in cui non c’è frode’.
Natanaele osservò: ‘Come mi conosci?’.
Gesù gli rispose: ‘Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico’.
Natanaele esclamò: ‘Maestro, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il Re d’Israele!’.
Gesù soggiunge: ‘Per averti detto che ti ho visto sotto il fico, tu credi? Vedrai cose maggiori di queste’.
Poi gli disse: ‘In verità, in verità vi dico: voi vedrete il cielo aperto e gli Angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo’.
3.1 Ne aveva cinquanta…ma ne dimostrava trentacinque
Da questo brano si evince – a parte la battuta di Natanaele (conosciuto anche come Bartolomeo o Bartolmai) dalla quale si capisce che in Galilea i nazareni non dovevano tanto godere di buona fama – che si stava rapidamente formando il primo nucleo apostolico.
Giovanni e Giacomo, Pietro e Andrea, Filippo e Natanaele, eran tutti ‘compaesani’ e certo la comune ‘origine’ e l’amicizia di cui godevano l’un l’altro avrebbe fatto da ‘cemento’ e avrebbe favorito il mantenimento dell’unione in futuro, nonostante le dure prove che avrebbero incontrato nel prosieguo della evangelizzazione.
Ed ecco che…
Gv. 2, 1-12:
Tre giorni dopo si celebrò uno sposalizio in Cana di Galilea, e vi era la Madre di Gesù.
Alle nozze fu pure invitato Gesù con i suoi discepoli. Or venendo a mancare il vino, la Madre di Gesù gli dice: ‘Non hanno più vino’.
Gesù le risponde: ‘Che c’è fra me e te, o donna? L’ora mia non è ancora venuta’.
Ma la Madre sua dice ai servitori: ‘Fate tutto quello che egli vi dirà’.
C’erano lì sei idrie di pietra, preparate per le usuali purificazioni dei Giudei, le quali contenevano da due a tre metrete ciascuna.
Gesù ordinò loro: ‘Empite d’acqua le idrie’.
Le empirono fino all’orlo.
Poi soggiunse: ‘Ora attingete e portate al maestro di tavola’.
Essi ubbidirono. Appena il maestro ebbe assaggiato l’acqua mutata in vino, non sapendo donde venisse, mentre lo sapevano i servitori che avevano attinto l’acqua, chiama lo sposo e gli dice: ‘Tutti servono all’inizio il vino buono, e quando la gente è alticcia danno il meno buono. Tu invece hai serbato il vino buono fino ad ora’.
Questo fu il principio dei miracoli di Gesù, in Cana di Galilea.
Manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
Dopo questo, discese a Cafarnao lui, sua Madre, i suoi fratelli e i suoi discepoli, ma vi rimasero pochi giorni.
E’ un episodio colorito.
Matrimonio, banchetto, tanta gente, bevono senza risparmio e… ad un certo punto – sul più bello – mentre qualcuno reclama ancora vino, i servi si accorgono che non ce n’è più. Imbarazzo…, confabulano fra di loro, avvisano il Padron di casa doppiamente imbarazzato perché o avrebbe dovuto dire agli ospiti che eran dei beoni o che lui aveva tirato a risparmiare proprio sul vino. Ve la immaginate la scena? Avrebbe potuto succedere anche a noi…!
Ma Maria, che tace sempre ma non perde mai un particolare, se ne accorge, vuole evitare una brutta figura al padrone di casa, che evidentemente doveva essere anche un amico, e allora con naturalezza e autorevolezza tira la manica al figlio e gli bisbiglia: ‘Non hanno più vino…’.
E il Figlio, che era divino e aveva già capito tutto al volo, fa invece finta di niente, fa il sornione, come se non capisse: ‘Che c’è fra me e te, o donna? L’ora mia non è ancora venuta…’.
Il che è un po’ come dire, anche se garbatamente: ‘Ma che vuoi che faccia, io? Lo sai che non è ancora arrivato il momento di manifestare chi io sono in realtà’.
Ma la Madre sorride, e – sicura del fatto suo - fa ai servitori: ’Fate tutto quello che egli vi dirà…’. Il che è un modo implicito di dire al figlio ‘Dai, su, non fare i complimenti, fallo questo bel miracolo, per amore del nostro ospite!’.
Presto detto, presto fatto. E il ‘maestro di tavola’, che doveva essere un qualche professionista chiamato per gestire l’organizzazione come si fa ancora adesso nei rinfreschi, ignaro di tutto, assaggia, si accorge che il vino è di quello ‘buono’ e – da buon professionista – rimprovera praticamente al padrone di casa di non conoscere bene il ‘mestiere’…, perché quel vino lì era da dare all’inizio, sottintendendo che è alla fine che doveva dare quello peggiore…!
Visto i ‘professionisti’? Ti fanno sempre ‘risparmiare’ anche se ti sembra che ti fan spendere di più.
‘E i suoi discepoli credettero in lui…’, conclude Giovanni, perché – concludo io che ho le vigne e di vino me ne intendo - anche il vino, quando è buono, fa miracoli…, no?
Ecco, al di là della battuta – perché il mio è un commento del vangelo rispettoso ma pur sempre da ‘uomo della strada’ – questa frase del Vangelo di Giovanni spiega il perché del miracolo: Gesù non era un istrione che voleva dar spettacolo ai commensali facendo un ‘favore’ all’amico padron di casa, ma non sapeva come non accontentare un desiderio esplicito di sua Madre, che non chiedeva mai niente.
E allora decide di prendere due piccioni con una fava e unisce al materiale lo …spirituale, e fa il miracolo – scoprendo un po’ troppo in anticipo le sue carte – ma lo fa per confermare nella fede fin dall’inizio della missione i suoi primi discepoli che infatti – al di là di quello che, di Gesù, aveva detto Giovanni Battista: ‘Ecco l’Agnello di Dio’ – potevano ancora aver dentro al fondo del cuore qualche dubbio.
E infatti ora - per la prima volta in vita loro di fronte ad un avvenimento soprannaturale - folgorati dallo stupore, credono...
E Maria Valtorta?
52. Le nozze di Cana. Il Figlio, non più soggetto
alla Madre, compie per Lei il primo miracolo.
Sera del 16 gennaio 1944. Le nozze di Cana.
Vedo una casa. Una caratteristica casa orientale - un cubo bianco, più largo che alto, con rade aperture - sormontata da una terrazza che fa da tetto, recinta da un muretto alto circa un metro e ombreggiata da una pergola di vite, che si arrampica fin là e stende i suoi rami su oltre metà di questa assolata terrazza
Una scala esterna sale lungo la facciata sino all’altezza di una porta, che si apre a metà altezza della facciata. Sotto ci sono, al terreno, delle porte basse e rade, non più di due per lato, che mettono in stanze basse e scure. La casa sorge in mezzo ad una specie di aia, più spiazzo erboso che aia, che ha al centro un pozzo. Vi sono delle piante di fico e di melo. La casa guarda verso la strada, ma non è sulla strada. E’ un poco in dentro, e un viottolo fra l’erba l’unisce alla via che sembra una via maestra.
Si direbbe che la casa è alla periferia di Cana: casa di proprietari contadini, i quali vivono in mezzo al loro poderetto. La campagna si stende oltre la casa con le sue lontananze verdi e placide. Vi è un bel sole e un azzurro tersissimo di cielo. In principio non vedo altro. La casa è sola.
Poi vedo due donne, con lunghe vesti e un manto che fa anche da velo, avanzarsi sulla via e da questa sul sentiero. Una è più anziana, sui cinquant’anni, e veste di scuro, un color bigio-marrone come di lana naturale. L’altra è vestita più in chiaro, una veste di un giallo pallido e manto azzurro, e sembra avere un trentacinque anni. E’ molto bella, snella, e ha un portamento pieno di dignità, per quanto sia tutta gentilezza e umiltà. Quando è più vicina, noto il color pallido del volto, gli occhi azzurri e i capelli biondi che appaiono sotto il velo sulla fronte. Riconosco Maria SS. Chi sia l’altra, che è bruna e più anziana, non so. Parlano fra loro e la Madonna sorride. Quando sono prossime alla casa, qualcuno, certamente messo a guardia degli arrivi, dà l’avviso, ed incontro alle due vengono uomini e donne tutti vestiti a festa, i quali fanno molte feste alle due e specie a Maria SS.
L’ora pare mattutina, direi verso le nove, forse prima, perché la campagna ha ancora quell’aspetto fresco delle prime ore del giorno, nella rugiada che fa più verde l’erba e nell’aria non ancora offuscata da polvere. La stagione mi pare primaverile, perché i prati sono con erba non arsa dall’estate e i campi hanno il grano ancor giovane e senza spiga, tutto verde. Le foglie del fico e del melo sono verdi e ancora tenere, e così quelle della vite. Ma non vedo fiori sul melo e non vedo frutta né sul melo, né sul fico, né sulla vite. Segno che il melo ha già fiorito, ma da poco, e i frutticini non si vedono ancora.
Maria, molto festeggiata e fiancheggiata da un anziano che pare il padrone di casa, sale la scala esterna ed entra in un’ampia sala che pare tenere tutta o buona parte del piano sopraelevato.
Mi pare di capire che gli ambienti al terreno sono le vere e proprie stanze di abitazione, le dispense, i ripostigli e le cantine, e questa sia l’ambiente riservato a usi speciali, come feste eccezionali, o a lavori che richiedano molto spazio, o anche a distensione di derrate agricole. Nelle feste lo svuotano da ogni impiccio e lo ornano, come è oggi, di rami verdi, di stuoie, di tavole imbandite. Al centro ve ne è una molto ricca, con sopra già delle anfore e piatti colmi di frutta. Lungo la parete di destra, rispetto a me che guardo, un’altra tavola imbandita, ma meno riccamente. Lungo quella di sinistra, una specie di lunga credenza, con sopra piatti con formaggi e altri cibi che mi paiono focacce coperte di miele e dolciumi. In terra, sempre presso questa parete, altre anfore e tre grossi vasi in forma di brocca di rame (su per giù). Le chiamerei giare.
Maria ascolta benignamente quanto tutti le dicono, poi con bontà si leva il manto ed aiuta a finire i preparativi della mensa. La vedo andare e venire aggiustando i letti-sedili, raddrizzando le ghirlande di fiori, dando migliore aspetto alle fruttiere, osservando che nelle lampade vi sia l’olio. Sorride e parla pochissimo e a voce molto bassa. Ascolta invece molto e con tanta pazienza. Un grande rumore di strumenti musicali (poco armonici in verità) si ode sulla via. Tutti, meno Maria, corrono fuori. Vedo entrare la sposa, tutta agghindata e felice, circondata dai parenti e dagli amici, a fianco dello sposo che le è corso incontro per primo.
E qui la visione ha un mutamento. Vedo, invece della casa, un paese. Non so se sia Cana o altra borgata vicina. E vedo Gesù con Giovanni ed un altro che mi pare Giuda Taddeo, ma potrei, su questo secondo, sbagliare. Per Giovanni non sbaglio. Gesù è vestito di bianco ed ha un manto azzurro cupo. Sentendo il rumore degli strumenti, il compagno di Gesù chiede qualcosa ad un popolano e riferisce a Gesù.
« Andiamo a far felice mia Madre » dice allora Gesù sorridendo. E si incammina attraverso ai campi, coi due compagni, alla volta della casa. Mi sono dimenticata di dire che ho l’impressione che Maria sia o parente o molto amica dei parenti dello sposo, perché si vede che è in confidenza.
Quando Gesù arriva, il solito, messo di sentinella, avvisa gli altri. Il padrone di casa, insieme al figlio sposo ed a Maria, scende incontro a Gesù e lo saluta rispettosamente. Saluta anche gli altri due, e lo sposo fa lo stesso.Ma quello che mi piace è il saluto pieno di amore e di rispetto di Maria al Figlio e viceversa. Non espansioni, ma uno sguardo tale accompagna la parola di saluto: « La pace è con te » e un tale sorriso che vale cento abbracci e cento baci. Il bacio tremola sulle labbra di Maria, ma non viene dato. Soltanto Ella pone la sua mano bianca e piccina sulla spalla di Gesù e gli sfiora un ricciolo della sua lunga capigliatura. Una carezza da innamorata pudica.
Gesù sale a fianco della Madre e seguito dai discepoli e dai padroni, ed entra nella sala del convito, dove le donne si dànno da fare ad aggiungere sedili e stoviglie per i tre ospiti, inaspettati, mi sembra. Direi che era incerta la venuta di Gesù e assolutamente impreveduta quella dei suoi compagni.
Odo distintamente la voce piena, virile, dolcissima del Maestro dire, nel porre piede nella sala: « La pace sia in questa casa e la benedizione di Dio su voi tutti ». Saluto cumulativo a tutti i presenti e pieno di maestà.
Gesù domina col suo aspetto e con la sua statura tutti quanti. E’ l’ospite, e fortuito, ma pare il re del convito, più dello sposo, più del padrone di casa. Per quanto sia umile e condiscendente, è colui che si impone.
Gesù prende posto alla tavola di centro con lo sposo, la sposa, i parenti degli sposi e gli amici più influenti. I due discepoli, per rispetto al Maestro, vengono fatti sedere alla stessa tavola.
Gesù ha le spalle voltate alla parete dove sono le giare e le credenze. Non le vede perciò, e non vede neppure l’affaccendarsi del maggiordomo intorno ai piatti di arrosti, che vengono portati da una porticina che si apre presso le credenze.
Osservo una cosa. Meno le rispettive madri degli sposi e meno Maria, nessuna donna siede a quel tavolo. Tutte le donne sono, e fanno baccano per cento, all’altra tavola contro la parete, e vengono servite dopo che sono stati serviti gli sposi e gli ospiti di riguardo. Gesù è presso il padrone di casa ed ha di fronte Maria, la quale siede a fianco della sposa. Il convito comincia. E le assicuro che l’appetito non manca e neanche la sete. Quelli che lasciano poco il segno sono Gesù e sua Madre, la quale, anche, parla pochissimo. Gesù parla un poco di più. Ma, per quanto sia parco, non è, nel suo scarso parlare, né accigliato né sdegnoso. E’ un uomo cortese ma non ciarliero. Interrogato risponde, se gli parlano si interessa, espone il suo parere, ma poi si raccoglie in Sé come uno abituato a meditare. Sorride, non ride mai. E, se sente qualche scherzo troppo avventato, mostra di non udire. Maria si ciba della contemplazione del suo Gesù, e così Giovanni, che è verso il fondo della tavola e pende dalle labbra del suo Maestro.
Maria si accorge che i servi parlottano col maggiordomo e che questo è impacciato, e capisce cosa c’è di spiacevole. ‘ Figlio ‘ dice piano, richiamando l’attenzione di Gesù con quella parola, « Figlio, non hanno più vino ».
« Donna, che vi è più fra Me e te? ». Gesù, nel dirle questa frase, sorride ancor più dolcemente, e sorride Maria, come due che sanno una verità che è loro gioioso segreto, ignorata da tutti gli altri.
Gesù mi spiega il significato della frase.
« Quel “ più “, che molti traduttori omettono, è la chiave della frase e la spiega nel suo vero significato.
Ero il Figlio soggetto alla Madre sino al momento in cui la volontà del Padre mio mi indicò esser venuta l’ora di essere il Maestro. Dal momento che la mia missione ebbe inizio, non ero più il Figlio soggetto alla Madre, ma il Servo di Dio. Rotti i legami morali verso la mia Genitrice. Essi si erano mutati in altri più alti, si erano rifugiati tutti nello spirito. Quello chiamava sempre “Mamma” Maria, la mia Santa. L’amore non conobbe soste, né intiepidimento, anzi non fu mai tanto perfetto come quando, separato da Lei come per una seconda figliazione, Ella mi dette al mondo per il mondo, come Messia, come Evangelizzatore. La sua terza sublime mistica maternità fu quando, nello strazio del Golgota, mi partorì alla Croce facendo di Me il Redentore del mondo.“ Che vi è più fra Me e te? “. Prima ero tuo, unicamente tuo. Tu mi comandavi, Io ti ubbidivo. Ti ero “soggetto “. Ora sono della mia missione.
Non l’ho forse detto? “ Chi, messa la mano all’aratro, si volge indietro a salutare chi resta, non è adatto al Regno di Dio “. Io avevo posto la mano all’aratro per aprire col vomere non le glebe, ma i cuori, e seminarvi la parola di Dio. Avrei levato quella mano solo quando me l’avrebbero strappata di là per inchiodarmela alla croce ed aprire con il mio torturante chiodo il cuore del Padre mio, facendone uscire il perdono per l’umanità. Quel ‘più’ dimenticato dai più, voleva dire questo: “ Tutto mi sei stata, o Madre, finché fui unicamente il Gesù di Maria di Nazareth, e tutto mi sei nel mio spirito; ma, da quando sono il Messia atteso, sono del Padre mio. Attendi un poco ancora e, finita la missione, sarò da capo tutto tuo; mi riavrai ancora sulle braccia come quand’ero bambino, e nessuno te lo contenderà più, questo tuo Figlio, considerato un obbrobrio dell’umanità, che te ne getterà la spoglia per coprire te pure dell’obbrobrio d’esser madre di un reo. E poi mi avrai di nuovo, trionfante, e poi mi avrai per sempre, trionfante tu pure in Cielo. Ma ora sono di tutti questi uomini. E sono del Padre che mi ha mandato ad essi “.
Dico a voi ciò che dissi a quei convitati: “ Ringraziate Maria, E’ per Lei che avete avuto il Padrone del miracolo e che avete le mie grazie, e specie quelle di perdono “.
«Riposa in pace. Noi siamo con te ».
***
Rifletto. Bella, la Valtorta. Oltre al ‘dono’ di saper ‘vedere’, aveva quello – che faceva il paio con il primo – di saper scrivere, o meglio, ‘trascrivere’ tutti i dialoghi in tempo reale.
Non so come funzioni il ‘meccanismo’ delle sue visioni: o scrive a velocità supersonica quel che vede e sente: roba da far invidia al più provetto degli stenografi (ma lei non stenografava…né correggeva mai quel che aveva scritto, salvo non venisse corretta dallo stesso Gesù), oppure – e si sa quanti studi siano stati fatti sui veggenti per capire i meccanismi delle visioni, senza che peraltro si sia riusciti ancora a capirli – la visione avveniva in qualche modo al ‘rallentatore’ per consentirle di descrivere e trascrivere quel che vedeva e sentiva, nei minimi particolari.
Ma chiedersi questo è inutile, come chiedersi come può succedere che un paralitico riacquisti all’improvviso la mobilità.
Rimango pensoso a riflettere sul quel che la Valtorta aveva visto…due donne che si avvicinavano alla casa di Cana, una sulla cinquantina e l’altra sui trentacinque…
Calcolando l’eta di Gesù: una trentina d’anni all’inizio della missione, calcolando che Maria lo avesse avuto a 16/17 anni – a quell’epoca, in quei paesi quella era più che un’età da marito - ora avrebbe dovuto essere vicina alla cinquantina, appunto. E invece no, o meglio sì, ne aveva una cinquantina ma ne mostrava trentacinque.
3.2 Il Peccato ‘psicosomatico’…
Dall’opera della Valtorta emerge più volte il discorso della straordinaria bellezza di Gesù e di Maria, bellezza e perfezione fisica che viene legata al dono della assenza in entrambi del peccato originale, il primo: Gesù perché era un Uomo-Dio, la seconda: Maria perché avrebbe dovuto ospitare nel suo seno un Dio.
Il concetto è grosso modo questo: il Peccato originale fu un peccato spirituale di superbia, un peccato della ‘Psiche’ che fece perdere all’uomo tutti gli straordinari doni psicofisici che l’unione con Dio procurava. E poiché l’uomo è un complesso ‘psicosomatico’ e la psiche influisce sul corpo come fanno le malattie di origine psicosomatica, ecco che tutto il sistema endocrino dell’uomo ed il suo Dna ne rimasero sconvolti, fino a generare – nella successiva riproduzione della specie – individui moralmente e geneticamente ‘tarati’, sempre più deboli e brutti.
Non è solo un fatto di selezione della specie ‘difettosa’ quello che ci ha fatto – nella media generale - più brutti e deboli e non troppo intelligenti, ma la vita di peccato che – essendo vita psichica – ha influenzato il nostro Dna fino a trasformarlo in peggio, di atto riproduttivo in atto riproduttivo.
Prevengo una vostra obiezione. E le donne belle? Forse che loro non sarebbero ‘peccatrici’?
Intanto chi è senza peccato scagli la prima pietra, secondariamente l’uomo bello o la donna bella – dove chiaramente la bellezza fisica non ha alcun riferimento con qualità morali superiori – sono il risultato o di una selezione naturale della ‘specie’ nel senso che se gli ‘ascendenti’ son belli è più ‘probabile’– in base alla legge della ‘ereditarietà’ - che anche i diretti discendenti lo siano, oppure di un ‘mixage’ casuale e fortunato dove dall’incrocio del Dna di due genitori anche brutti salta fuori – per accidente – la combinazione giusta di qualche loro…ascendente bello: magari come Adamo ed Eva, visto che nei nostri cromosomi qualcosa dei primi due ci deve essere rimasto, anche se ‘diluito’.
La razza umana – contrariamente a quel che si pensa – sta subendo una evoluzione negativa sia dal punto di vista fisiologico che morale.
Le medicine ed il tipo di alimentazione danno solo una falsa impressione di miglioramento, peraltro limitata a quei pochi popoli ricchi e ben nutriti che se lo possono permettere.
E il futuro estremo dell’Umanità – questo lo si capisce anche dallo studio dell’Apocalisse – sarà, spiritualmente parlando, un tuffo ulteriore nella brutalità spirituale tanto da indurre Dio a chiudere l’avventura della razza umana, con il Giudizio universale.
In effetti noi possiamo constatare che la cosiddetta civiltà tecnologica non ha prodotto miglioramenti spirituali bensì mezzi ancora più sofisticati di distruzione e sofferenza: bombe atomiche, gas nervini, mezzi batteriologici.
Una volta si uccideva a migliaia, oggi si distrugge a milioni. Potete dire che non è così?
Comunque, quella che emerge chiara dall’opera valtortiana è una ‘tesi’ interessante: la ‘Psiche’ degenerata a causa del Peccato originale, ha instaurato un processo sempre più progressivo di corruzione ‘spirituale’ e quindi anche fisiologica’ per cui, come avviene nella selezione delle razze animali dove incrociando i soggetti con le caratteristiche migliori la razza migliora, qui – al contrario – la razza peggiora, e la razza umana è avviata – sul piano spirituale – verso una sempre più accentuata spiritualizzazione nel senso che gli uomini diventeranno da un lato sempre più ‘perfetti’ nel Bene e dall’altro sempre più raffinati nel Male.
Ma Gesù e Maria, come del resto si conveniva ad un Dio e alla Madre di un Dio, non potevano – nei piani di Dio - che rappresentare in maniera perfetta la razza umana, tal quale sarebbe stata senza la corruzione del peccato di Adamo ed Eva, e nascendo senza peccato originale non ebbero neanche le tare psico-fisiche, e cioè spirituali e fisiologiche , che ogni umano mortale possiede.
Come? Vi lascia perplessi quel che vi ho detto io?
E allora – una volta tanto - vi faccio leggere non la Valtorta ma quel che la ‘mia’ Luce aveva spiegato a me mentre scrivevo il mio libro ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ e meditavo sul Peccato originale e sulla nostra triste situazione di uomini imperfetti:
21. L'uomo viveva nell'Eden...
Luce:
L'uomo viveva nell'Eden...
Vita bella, vita dolcissima. Scrivi!
Le creature gli erano amiche perché l'uomo 'amava' ed esse 'percepivano' l'amore... Poi venne il Peccato, poi ci fu la Colpa e, con questa, la 'macchia' che deturpò l'anima dell'uomo facendogli contrarre la terribile malattia.
Ora ti spiego meglio.
Così come un virus può intaccare la sanità di un corpo umano perfetto e portarlo a progressiva degenerazione, così un virus: il peccato, può intaccare la sanità dello spirito e portarlo a degenerazione.
Tu devi partire dal presupposto, che ti ho già fatto intuire, che la vera essenza dell'uomo è quella spirituale, non essendo il corpo che un completamento della stessa per renderla più completa: in ciò la differenza di perfezione con gli Angeli, solo esseri spirituali.
Or bene, intaccata l'essenza dello spirito, se ne è avuta immediatamente una conseguenza sulla carne, anch'essa corrotta in proporzione. Né questo ti deve stupire. Anche la scienza moderna, pur così ignorante ancora nello studio della Psiche, ha intravisto chiaramente il rapporto fra psiche e corpo. E, l'altra volta, ti avevo spiegato che 'Psiche' è l'Anima.
Le malattie psicosomatiche, come già più volte ti ho illuminato seguendoti nel corso dei tuoi pensieri, sono un indizio, un esempio, di questo 'rapporto' che in realtà è molto, molto più profondo.
Dunque la Psiche, corrotta dal Peccato, dalla perdita della Grazia, ha inquinato il corpo, creato perfetto: si è inquinata lei, innanzitutto, e subito ha contagiato lui. Da tutto ciò è nata l'abiezione, l'odio, l'invidia, l'egoismo. Da ciò sono nate le tare da debolezza congenite che - a causa di un indebolimento delle difese immunitarie - hanno progressivamente aperto la strada alle malattie e poi alle alterazioni funzionali dei geni umani che venivano ritrasmessi tarati ai discendenti.
Ma, in tutto ciò, non bisogna dimenticare la prevalenza dello spirito, non bisogna dimenticare che l'uomo - prima che essere animale - è essere spirituale', e quindi tutto devi vedere alla luce dello spirito e della vita spirituale futura: soprattutto la vita materiale terrena.
Quindi l'evoluzione dell'uomo è stata veramente 'discendente'.
La civiltà dell'uomo 'primo' non era di tipo 'tecnologico' ma di tipo naturale. L'uomo viveva, il primo uomo viveva, in un habitat naturale che più perfetto non poteva essere.
Dopo vennero le caverne, dopo la scoperta del fuoco, dopo il lento progredire verso un destino di crescita intellettuale, morale, civile.
E l'ambiente dove il primo uomo viveva, l'Eden, divenne - per volontà di Dio - ostile. Ostile la terra, che dava frutti con fatica, ostile la natura in genere, con gli elementi: il caldo, il gelo. Ostili gli animali, contaminati anch'essi dal virus 'spirituale' così come anch'essi potrebbero contrarre oggi dall'uomo dei virus interessanti il corpo.
Ed in quest'ostico ambiente l'uomo decadde ed iniziò la sofferenza.
Sofferenza fisica, ma anche morale.
L’uomo perse - con la perdita dell'intelligenza, a causa dalla sua psiche tarata - la coscienza della sua spiritualità: divenne qualcosa di molto simile al 'bruto'. E solo per Misericordia divina i 'Profeti', depositari della Rivelazione, ebbero concesso di ricordare all'uomo la sua origine soprannaturale per ridargli la coscienza del proprio vero essere e la sicurezza del fine a cui tendere.
Ecco, in breve, la storia dell'Umanità che integra le letture che ti ho già donato. La storia dell'Umanità più recente, quella delle ultime migliaia di anni, è già storia di evoluzione superiore, ascendente e non discendente, in quanto l'uomo - per religioni ed educazioni progressive - doveva prepararsi ad accogliere la vera religione: l’unica.
Ma non c'è mai fine alla depravazione morale dell'uomo che - pur nella fase ascendente di una nuova civiltà, pur nella conoscenza di religioni 'rivelate', pur nella conoscenza della mia Dottrina - ha saputo ancora una volta ritoccare le vette dell'abiezione: quelle che mi avevano indotto a mandare il diluvio.
Non manderò più un diluvio, ma diluvio saranno gli uomini a se stessi.
Rimango un bel po' pensieroso, a riflettere. Pensieroso...
Bene.Ora però, finalmente, il quadro mi diventa più chiaro. Bella l'idea della 'malattia psicosomatica'. Quanta gente non conosciamo che si becca delle 'gastriti' per lo stress? E lo 'stress' non è forse una 'affezione' della Psiche? Non avrei mai pensato che, essendo l'anima costituita dalla nostra Psiche (Conscio e Inconscio), una 'malattia' della Psiche, e cioè il Peccato originale che partì dalla Mente intaccandola, potesse coinvolgere in qualche modo anche il corpo. Ma la spiegazione della 'malattia psicosomatica' non fa una 'grinza'. Anzi è di moda, perché oggi si attribuiscono alla Psiche anche certe malattie che non si sanno diagnosticare. Vi è mai capitato? Mia figlia aveva perso due anni di scuola, giovanissima, perché aveva febbroni da cavallo sui 41 e passa. Medici, ricoveri in ospedali, esami, elettroencefalogrammi, esami del sangue. Niente, decine e decine di giorni di febbre ma lei era fresca come una rosa, nessuna traccia di elementi patogeni, nessun virus strano. E allora mi dissero: 'Senta, se la riprenda, per noi non ha niente...'. 'Come, dissi io, non ha niente? E le febbri? E se muore?'. E loro gentili ma testardi: 'Senta sua figlia non ha proprio niente, perfetta, butti via il termometro e non lo guardi più. Sarà qualche malattia di origine 'nervosa'...' . Non sapevo cosa fare e allora - forse con una buona dose di incoscienza - feci la cosa più semplice: seguii il consiglio dei medici e buttai via il termometro. Ora sono nonno di una bambina di due anni, una furba di tre cotte, e mi appresto ad esserlo di un maschietto... sì di un maschietto, perché la ragione della febbre non hanno saputo scoprirla ma che è un 'maschietto' ... quello si vede.
Ritornando 'a bomba' sulla malattia psicosomatica, ricordo che su di un libro che parlava di 'ipnosi medica', di autosuggestione e di 'effetti placebo' (e cioè 'autosuggestivi) di certi farmaci inerti, vale a dire non contenenti medicine vere ma somministrati ai pazienti come se fossero stati veri farmaci, veniva fatto rilevare quanta gente guarisse lo stesso dalle malattie come quelli che prendevano la medicina vera. Era - spiegava il medico scrittore del libro - l'effetto 'placebo'. Il malato - essendosi convinto nella mente, cioè nella psiche vale a dire nell'anima, che si trattava di medicine per guarire - guariva sul serio. Roba da matti. Quindi la convinzione della mente, lo stato della psiche, 'agiva' concretamente sullo stato del corpo, modificandone evidentemente il metabolismo ed inducendolo inconsciamente (cioè senza che l'io ne fosse conscio) a produrre quelle sostanze ... chimiche necessarie a normalizzare le funzioni che erano state compromesse dalla malattia. E il nostro corpo, infatti, è una grandiosa centrale biologica, dai fenomenali processi elettro-chimici - che si ripara da sé, fino ad un certo punto...purtroppo. I libri di medicina psicosomatica - branca molto giovane della Medicina che, come tutti i 'giovani', incontra le sue brave difficoltà ad affermarsi ma poi si affermerà del tutto - dicono che siamo di fronte ad un mondo - quello dei rapporti fra Psiche e Corpo - molto misterioso e tutto da scoprire.
Bene. La spiegazione 'psicoanalitica' della natura psichica, cioè psicologica del peccato originale e delle sue conseguenze devastanti sul corpo, si accorda anche con certe conclusioni a cui è arrivata la medicina ufficiale , razionale e scientifica, e quindi è più confacente alla mia mentalità. Direi quasi 'accettabile' e convincente. Uhm!...Convincente?
Luce:
L'uomo, ti dissi, è una unità psicofisica molto più di quanto la vostra scienza oggi ammetta. Anzi, l'uomo è più 'psiche', cioè anima, che 'materia' la quale è un 'accessorio' che completa l'anima, poiché Io ti dissi che Dio fece l'uomo a sua immagine e somiglianza, e quindi (poiché Dio non ha corpo) l'immagine e somiglianza riguardano l’anima che pertanto - essendo a somiglianza di Dio - è la cosa più importante: anzi, è l'uomo!
Quindi, rovinata l'anima dal Peccato, si è distrutto il suo 'equilibrio'. Si è cioè introdotto 'disordine' dove prima era ordine.
L'ordine era la prevalenza della parte spirituale dell'anima (lo spirito dell'anima) su quella più materiale (cioè l’Io).
Il disordine fu il prevalere dell’Io, così come un asse viene spostato da un equilibrio statico ad un altro, così:
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Il prevalere dell’Io, con tutte le sue tendenze negative, si è ripercosso - proprio per l'unità psicosomatica - anche sul corpo, come si è ripercossa sul corpo la perdita della Grazia con tutte le conseguenze sulla sfera morale e spirituale.
E' questo che ha provocato degenerazione sempre maggiore nella sfera spirituale e fisica: degrado spirituale e morale, degrado fisico, malattie e morte. Di qui il dolore e tutto il resto.
Sconvolto fu quello che voi chiamate 'Dna', sconvolti tutti i centri che presiedono ad una corretta regolazione endocrina, cioè i sistemi ghiandolari. E poiché l’evoluzione spirituale dell’uomo è in discesa, è negativa l'evoluzione fisica dell'uomo. Non è vero che la 'razza' sta migliorando. Essa sta decadendo, e solo la scienza, quella scienza fallace priva di Sapienza che vi ha allontanato da Dio, è riuscita a dare un'impressione fallace di benessere, di crescita evolutiva fisiologica.
Oggi l'uomo, senza medicine, senza conforti umani, è un uomo morto: morto come il suo spirito!
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Beh…! Avete visto dove può portare una ‘meditazione’ su una signora cinquantenne che ne dimostra trentacinque?
Al Peccato! Al Peccato originale.
A questo punto - ritornando allo sposalizio di Cana dove eravamo rimasti con Giovanni - fatto questo primo miracolo, il ‘dado’ è ormai tratto, e Gesù se ne va nella vicina Cafarnao, che ra un po’ una sua ‘base’, per poi proseguire nella sua prima visita ‘ufficiale’ – anzi nella sua prima ‘incursione’ – al Tempio di Gerusalemme.
E’ infatti prossima la prima Pasqua della sua vita pubblica. Quale modo migliore che iniziare la propria predicazione se non andando nella tana del leone, in quella città, presso quel Tempio dove secoli e secoli di allontanamento dallo spirito della legge mosaica avevano trasformato – grazie alle aggiunte umane - la legge di Dio in un insieme di prescrizioni minuziose ed esteriori, complicate e difficili da seguire?
Se un segnale forte doveva essere dato – in particolare proprio nel Tempio che era il Sancta Sanctorum – sul fatto che era arrivata l’ora di cambiare, cosa di meglio se non qualche robusta nerbata materiale, prima delle successive ‘spirituali’ che poi Gesù avrebbe dato a scribi e farisei e in genere ai sacerdoti e capi del Sinedrio?
Gv. 2, 13-25:
Era vicina la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
Egli trovò nel Tempio venditori di buoi, di pecore e di colombe, e cambiamonete seduti.
Fece una sferza di cordicelle e li scacciò tutti dal Tempio, con le pecore e i buoi; sparpagliò il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i tavoli; poi disse ai venditori di colombe; ‘Portate via di qua queste cose : e non fate della casa del Padre mio una casa di mercato’.
Allora i suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: ‘Lo zelo della tua casa mi ha consumato’.
Ma i Giudei, rivoltisi a lui gli domandarono: ‘Qual segno ci mostri per far queste cose?’
Gesù rispose loro: ‘Disfate questo Tempio e in tre giorni io lo farò risorgere’.
Gli replicarono i Giudei: ‘Ci sono voluti quarantasei anni per fabbricare questo Tempio e tu lo farai sorgere in tre giorni?’.
Ma egli intendeva il tempio del proprio corpo.
Quando fu risuscitato da morte, i suoi discepoli ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alle parole dette da Gesù.
Allora egli era in Gerusalemme per la festa di Pasqua, molti credettero nel suo nome, vedendo i prodigi che faceva.
Ma Gesù non si fidava di loro, perché li conosceva tutti; e non aveva bisogno che uno testimoniasse per un altro, sapendo bene da solo quello che vi fosse in ciascuno.
Rifletto ancora. Ecco una frase che costerà molto a Gesù: ‘Disfate questo Tempio e in tre giorni io lo farò risorgere’, frase che – nel racconto dei capi d’accusa di fronte al Sommo Sacerdote del Tempio da parte di ‘testimoni’ in malafede – sarebbe stata travisata e riportata tre anni dopo come : ‘Posso distruggere il Tempio di Dio e riedificarlo in tre giorni’, un po’ come dire che quel falso Messia, oltre che offensore di Dio, aveva fin dall’inizio cominciato a minacciare di voler distruggere il Tempio, pretendendo – perché forse non doveva neanche essere tanto sano di mente – di poterlo poi ricostruire in tre giorni.
Questo è uno dei primi episodi che mette in evidenza una caratteristica molto particolare del modo di parlare di Gesù: parlare usando metafore, con l’incapacità dei giudei – sordi ormai nello spirito – di intuirne il senso spirituale.
3.3 Può esser mai in Galilea un giusto?
Ma la Valtorta? Dove l’abbiam lasciata?
53. La cacciata dei mercanti dal Tempio.
24 ottobre 1944.
Vedo Gesù che entra con Pietro, Andrea, Giovanni e Giacomo, Filippo e Bartolomeo, nel recinto del Tempio.
Vi è grandissima folla entro e fuori di esso. Pellegrini che giungono a frotte da ogni parte della città. Dall’alto del colle, su cui il Tempio è costruito, si vedono le vie cittadine, strette e contorte, formicolare di gente. Pare che fra il bianco crudo delle case si sia steso un nastro semovente dai mille colori. Sì! la città ha l’aspetto di un bizzarro giocattolo, fatto di nastri variopinti fra due fili bianchi e tutti convergenti al punto dove splendono le cupole della Casa del Signore.
Nell’interno poi è... una vera fiera. Ogni raccoglimento di luogo sacro è annullato. Chi corre e chi chiama, chi contratta gli agnelli e urla e maledice per il prezzo esoso, chi spinge le povere bestie belanti nei recinti (sono rudimentali divisioni di corde o di pioli, al cui ingresso sta il mercante, o proprietario che sia, in attesa dei compratori). Legnate, belati, bestemmie, richiami, insulti ai garzoni non solleciti nelle operazioni di adunata e di cernita delle bestie e ai compratori che lesinano sul prezzo o che se ne vanno, maggiori insulti a quelli che, previdenti, hanno portato, di loro, l’agnello.
Intorno ai banchi dei cambiavalute, altro vocio. Si capisce che, non so se in ogni momento o in questo pasquale, si capisce che il Tempio funzionava da... Borsa, e borsa nera. Il valore delle monete non era fisso. Vi era quello legale, di certo vi sarà stato, ma i cambiavalute ne imponevano un altro, appropriandosi di un tanto, messo a capriccio, per il cambio delle monete. E le assicuro che non scherzavano nelle operazioni di strozzinaggio!... Più uno era povero e veniva da lontano, e più era pelato. I vecchi più dei giovani, quelli provenienti da oltre Palestina più dei vecchi.
Dei poveri vecchierelli guardavano e riguardavano il loro peculio, messo da parte con chissà che fatica in tutta l’annata, se lo levavano e se lo rimettevano in seno cento volte, girando dall’uno all’altro cambiavalute, e finivano magari per tornare dal primo, che si vendicava della loro iniziale diserzione aumentando l’aggio del cambio... e le grosse monete lasciavano, tra dei sospiri, le mani del proprietario e passavano fra le grinfie dell’usuraio e venivano mutate in monete più spicciole. Poi altra tragedia di scelte, di conti e di sospiri davanti ai venditori di agnelli, i quali, ai vecchietti mezzi ciechi, appioppavano gli agnelli più grami.
Vedo tornare due vecchietti, lui e lei, spingendo un povero agnelletto che deve esser stato trovato difettoso dai sacrificatori. Pianti, suppliche, mali garbi, parolacce si incrociano senza che il venditore si commuova.
« Per quello che volete spendere, galilei, è fin troppo bello quanto vi ho dato. Andatevene! O aggiungete altri cinque denari per averne uno più bello ».
« In nome di Dio! Siamo poveri e vecchi! Vuoi impedirci di fare la Pasqua, che è l’ultima forse? Non ti basta quello che hai voluto per una piccola bestia? ».
« Fate largo, lerciosi. Viene a me Giuseppe l’Anziano. Mi onora della sua preferenza. Dio sia con te! Vieni, scegli! ».
Entra nel recinto, e prende un magnifico agnello, quello che è chiamato Giuseppe l’Anziano, ossia il d’Arimatea. Passa pomposo nelle vesti e superbo, senza guardare i poverelli gementi alla porta, anzi all’apertura del recinto. Li urta quasi, specie quando esce coll’agnello grasso e belante.
Ma anche Gesù è ormai vicino. Anche Lui ha fatto il suo acquisto, e Pietro, che probabilmente ha contrattato per Lui, si tira dietro un agnello discreto.
Pietro vorrebbe andare subito verso il luogo dove si sacrifica. Ma Gesù piega a destra, verso i due vecchietti sgomenti, piangenti, indecisi, che la folla urta e il venditore insulta.
Gesù, tanto alto da avere il capo dei due nonnetti all’altezza del cuore, pone una mano sulla spalla della donna e chiede: « Perché piangi, donna? ».
La vecchietta si volge e vede questo giovane alto, solenne nel suo bell’abito bianco e nel mantello pure di neve, tutto nuovo e mondo. Lo deve scambiare per un dottore sia per la veste che per l’aspetto e, stupita perché dottori e sacerdoti non fanno caso alla gente né tutelano i poveri contro l’esosità dei mercanti, dice le ragioni del loro pianto.
Gesù si rivolge all’uomo degli agnelli: « Cambia questo agnello a questi fedeli. Non è degno dell’altare, come non è degno che tu ti approfitti di due vecchierelli perché deboli e indifesi ».
« E Tu chi sei? ».
« Un giusto ».
« La tua parlata e quella dei compagni ti dicono galileo. Può esser mai in Galilea un giusto? ».
« Fa’ quello che ti dico e sii giusto tu ».
« Udite! Udite il galileo difensore dei suoi pari! Egli vuole insegnare a noi del Tempio!». L’uomo ride e beffeggia, contraffacendo la cadenza galilea, che è più cantante e più ricca di dolcezza della giudiaca, almeno così mi pare.
Della gente si fa intorno, e altri mercanti e cambiavalute prendono le difese del consocio contro Gesù.
Fra i presenti vi sono due o tre rabbini ironici. Uno di questi chiede:« Sei Tu dottore? » in un modo tale da far perdere la pazienza a Giobbe.
« Lo hai detto ».
« Che insegni? ».
« Questo insegno: a rendere la Casa di Dio casa di orazione e non un posto d’usura e di mercato. Questo insegno ».
Gesù è terribile. Pare l’arcangelo posto sulla soglia del Paradiso perduto. Non ha spada fiammeggiante fra le mani, ma ha i raggi negli occhi, e fulmina derisori e sacrileghi. In mano non ha nulla. Solo la sua santa ira. E con questa, camminando veloce e imponente fra banco e banco, sparpaglia le monete così meticolosamente allineate per qualità, ribalta tavoli e tavolini, e tutto cade con fracasso al suolo fra un gran rumore di metalli rimbalzanti e di legni percossi e grida di ira, di sgomento e di approvazione. Poi, strappate di mano, a dei garzoni dei bestiai, delle funi con cui essi tenevano a posto bovi, pecore e agnelli, ne fa una sferza ben dura, in cui i nodi per formare i lacci scorsoi divengono flagelli, e l’alza e la rotea e l’abbassa, senza pietà. Sì, le assicuro: senza pietà.
La impensata grandine percuote teste e schiene. I fedeli si scansano ammirando la scena; i colpevoli, inseguiti fino alla cinta esterna, se la dànno a gambe lasciando per terra denaro e indietro bestie e bestiole in un grande arruffìo di gambe, di corna, di ali; chi corre, chi vola via; e muggiti, belati, scruccolii di colombe e tortore, insieme a risate e urla di fedeli dietro agli strozzini in fuga, soverchiano persino il lamentoso coro degli agnelli, sgozzati in un altro cortile di certo.
Accorrono sacerdoti insieme a rabbini e farisei. Gesù è ancora in mezzo al cortile, di ritorno dal suo inseguimento. La sferza è ancora nella sua mano.
« Chi sei? Come ti permetti fare questo, turbando le cerimonie prescritte? Da quale scuola provieni? Noi non ti conosciamo, né sappiamo chi sei ».
« Io sono Colui che posso. Tutto Io posso. Disfate pure questo Tempio vero ed Io lo risorgerò per dar lode a Dio. Non Io turbo la santità della Casa di Dio e delle cerimonie, ma voi la turbate permettendo che la sua dimora divenga sede agli usurai e ai mercanti. La mia scuola è la scuola di Dio. La stessa che ebbe tutto Israele per bocca dell’Eterno parlante a Mosè. Non mi conoscete? Mi conoscerete. Non sapete da dove Io vengo? Lo saprete ».
E, volgendosi al popolo senza più curarsi dei sacerdoti, alto nell’abito bianco, col mantello aperto e fluente dietro le spalle, a braccia aperte come un oratore nel più vivo della sua orazione, dice:
Udite, voi di Israele! Nel Deuteronomio è detto: “ Tu costituirai dei giudici e dei magistrati a tutte le porte... ed essi giudicheranno il popolo con giustizia, senza propendere da nessuna parte. Tu non avrai riguardi personali, non accetterai donativi, perché i donativi accecano gli occhi dei savi ed alterano le parole dei giusti. Con giustizia seguirai ciò che è giusto per vivere e possedere la terra che il Signore Iddio tuo ti avrà data “.
Udite, o voi di Israele! Nel Deuteronomio è detto: “ I sacerdoti e i leviti e tutti quelli della tribù di Levi non avranno parte né eredità col resto di Israele, perché devono vivere coi sacrifizi del Signore e colle offerte che a Lui sono fatte; nulla avranno tra i possessi dei loro fratelli, perché il Signore è la loro eredità “.
Udite, o voi di Israele! Nel Deuteronomio è detto: “ Non presterai ad interesse al tuo fratello né denaro, né grano, né qualsiasi altra cosa. Potrai prestare ad interesse allo straniero; al tuo fratello, invece, presterai senza interesse quello che gli bisogna “.
Questo ha detto il Signore. Ora voi vedete che senza giustizia verso il povero si siede in Israele. Non nel giusto, ma nel forte si propende, ed esser povero, esser popolo, vuol dire esser oppresso. Come può il popolo dire: “ Chi ci giudica è giusto ” se vede che solo i potenti sono rispettati e ascoltati, mentre il povero non ha chi lo ascolti? Come può il popolo rispettare il Signore, se vede che non lo rispettano coloro che più dovrebbero farlo? E’ rispetto al Signore la violazione del suo comando? E perché allora i sacerdoti in Israele hanno possessi e accettano donativi da pubblicani e peccatori, i quali così fanno per aver benigni i sacerdoti, così come questi fanno per aver ricco scrigno?
Dio è l’eredità dei suoi sacerdoti. Per essi, Egli, il Padre di Israele, è più che mai Padre e provvede al cibo come è giusto. Ma non più di quanto sia giusto. Non ha promesso ai suoi servi del Santuario borsa e possessi. Nell’eternità avranno il Cielo per la loro giustizia, come lo avranno Mosè e Elia e Giacobbe e Abramo, ma su questa terra non devono avere che veste di lino e diadema di incorruttibile oro: purezza e carità; e che il corpo sia servo allo spirito che è servo del Dio vero, e non sia il corpo colui che è signore sullo spirito e contro Dio.
M’è stato chiesto con quale autorità Io faccio questo. Ed essi con quale autorità profanano il comando di Dio e all’ombra delle sacre mura permettono usura contro i fratelli di Israele, venuti per ubbidire al comando divino?
M’è stato chiesto da quale scuola Io provengo, ed ho risposto: “ Dalla scuola di Dio “.
Sì, Israele. Io vengo e ti riporto a questa scuola santa e immutabile.
Chi vuol conoscere la Luce, la Verità, la Vita, chi vuole risentire la Voce di Dio parlante al suo popolo, a Me venga. Avete seguito Mosè attraverso i deserti, o voi di Israele. Seguitemi, ché Io vi porto, attraverso a ben più tristo deserto, incontro alla vera Terra beata. Per mare aperto al comando di Dio, ad essa vi traggo. Alzando il mio Segno, da ogni male vi guarisco.
L’ora della Grazia è venuta. L’hanno attesa i Patriarchi e sono morti nell’attenderla. L’hanno predetta i Profeti e sono morti con questa speranza. L’hanno sognata i giusti e sono morti confortati da questo sogno. Ora è sorta.
Venite. “Il Signore sta per giudicare il suo popolo e per fare misericordia ai suoi servi “, come ha promesso per bocca di Mosè .
La gente, assiepata intorno a Gesù, è rimasta a bocca aperta ad ascoltarlo. Poi commenta le parole del nuovo Rabbi e interroga i suoi compagni.
Gesù si avvia verso un altro cortile, separato da questo da un porticato. Gli amici lo seguono e la visione ha fine.
… e anch’io sono rimasto a bocca aperta ad ascoltarlo!
Visto il ‘piccolo Giovanni’? Non solo ci ‘vedeva’ bene, ma ci sentiva anche meglio.
A proposito, vi sarete anche voi accorti che, quando la Valtorta racconta di suo, è come se talvolta si rivolgesse ad un interlocutore che la ascolta. Chi è? E’ Padre Migliorini, quel sacerdote che insieme a Padre Berti, e a parecchi altri, la seguirà giornalmente, curandone la direzione spirituale (che per una mistica così: anima-vittima, doveva anche essere una cosa difficile e delicata) confessandola, somministrandole giornalmente l’Eucarestia e infine raccogliendo gli appunti - che lei scriveva a grande velocità e senza correzioni, sempre seduta appoggiata allo schienale di quel suo letto d’inferma - dei quali il sacerdote provvedeva alla copiatura a macchina, dattiloscritti che poi sarebbero diventati – una quindicina d’anni dopo – l’opera editoriale che ormai state imparando a conoscere, in attesa di comprarvela tutta per capire, finalmente, come doveva essere andata quella certa storia che i vangeli raccontano ma che non si capisce tanto bene come fosse stata in realtà, nonché per conoscere chissà quanti episodi che i vangeli ‘ufficiali’ non raccontano, perché – come disse Giovanni evangelista - a contenerli tutti non sarebbero bastati tutti i libri del mondo, figuriamoci i dieci volumi della Valtorta!
Ultima annotazione: divertente il dialogo fra il venditore di agnelli e Gesù: pare proprio di vederlo quello, sfottente, mentre gli fa il verso con l’accento galileo.
Solo che, mentre il galileo Natanaele – nei primi episodi – si era chiesto, riferito a Gesù, se qualcosa di buono poteva mai venire da Nazareth, ora è il giudeo venditore di agnelli che si domanda se mai in Galilea possa esservi un giusto.
Roba da far venir l’infarto a Natanaele!