(Corriere della Sera 14.10.98 – Interviste: ‘Il vero peccato di Sant’Agostino’)
(Teofilo il Siculo: ‘Il Grande Equivoco di Sant’Agostino’ da ‘Il Segno del Soprannatura’)
(Martino Penasa: ‘Viene Gesù – La venuta intermedia del Signore’)
4. Una croce mi perseguita…
4.1 - Le donne di Sant’Agostino
A proposito di Sant’Agostino, nei numeri di ottobre e novembre ‘98 della Rivista ‘Il Segno del Soprannaturale’ trovo un paio di articoli, a firma di Teofilo il Siculo, dal titolo
Il ‘Grande Equivoco’
di Sant’Agostino
Leggo abbastanza per scriverne qui subito perché mi sembra impossibile ragionare sulla ‘Parusia intermedia’ che sta per venire senza leggere prima quanto viene scritto sul ‘Grande Equivoco’ in cui sarebbe caduto non solo Sant’Agostino ma anche quelli che - acriticamente, come dice anche Padre Martino Penasa - lo hanno seguito nella sua interpretazione.
D’altra parte – rifletto - noi uomini da che mondo è mondo abbiamo sempre avuto l’abitudine di seguire ‘acriticamente’ i personaggi dei quali abbiamo grande stima, e questo ci ha non di rado procurato valanghe di guai.
Anche Padre Penasa, nel suo ‘Viene Gesù – La Venuta intermedia del Signore’, illustra e soprattutto confuta – come Teofilo il Siculo - la spiegazione della Parusia intermedia data da Sant’Agostino.
Alla fine – dopo 26 pagine di analisi dettagliata – Padre Penasa così conclude:
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‘Abbiamo constatato qui la fragilità dell’esegesi di Sant’Agostino e della sintesi teologica che ne ricava.
Data la stima esagerata che il mondo cattolico ha di lui come teologo, giudico necessario addurre altre prove di tale fragilità.
Era molto scarso in lui il lavoro di lima, paziente e tenace, nel rivedere, correggere, coordinare bene in un sistema logico, le proprie affermazioni teologiche nei vari punti discussi.
A prova di ciò, ricordiamo che egli fu per un certo tempo eretico, vero e proprio, vittima del manicheismo.
Anche dopo la conversione, dava sempre ampio spazio al sentimento affettivo, più che al ragionamento severo, guardando con occhi pessimistici la materia e il suo mondo corporale. Infatti, nella lotta contro il pelagianesimo calca volentieri sul concetto di ‘massa perditionis’ riguardo alla razza umana, nata da Adamo.
Da quello sfondo, l'imprudente agostiniano Lutero poté ricavare con una certa facilità le sue tesi riguardanti il ‘servo arbitrio’ e la ‘Gratia’ troppo generosa, che coprirebbe come mantello pietoso le brutture del peccato, inevitabile e permanente. É frutto della poca precisione e della mancanza del paziente lavoro di lima.
Lo stesso si dica di Giansenio. Egli chiama ‘Augustinus’ la sua opera fondamentale da cui deriva il giansenismo: infatti era un'ampia collezione di passi agostiniani...
Ricordiamo che verso la fine della sua vita, egli stesso si sentì in dovere di rivedere le sue opere e di correggere vari punti, alcuni per intero, altri in parte.
É il suo libro delle ‘Retractationes’, in cui passa in rassegna non meno di 67 opere.
Sono le sue ‘Confessioni’ sotto l'aspetto dottrinale…
Stando così le cose, è logico e doveroso anche per noi deciderci a ritoccare e a limare un po’ meglio le sue affermazioni circa il problema della venuta intermedia di Gesù e del millennio felice che la segue, distinguendolo per bene dal millenarismo, che è tutt'altra cosa, condannabile e condannata.'
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Neanche a farlo apposta, a rincarar la dose e quasi a dar manforte a Padre Penasa, anche il ‘Corriere della Sera’ del 14.10.98 se la prende con Sant’Agostino con un articolo dal titolo: ‘Il vero peccato di Sant’Agostino’.
É un articolo con un’intervista pubblicitaria ad uno scrittore il quale ha scritto appunto su Sant’Agostino prendendo lo spunto da un episodio vero, ma inventandosi il resto, e vendendo così dieci milioni di copie, il che dimostra che la verità non paga perché solo se raccontate delle ‘storie’ trovate seguito.
Stento un po’ a capire quale sia il vero ‘peccato’ di Sant’Agostino, anche se qui nell'intervista gli si attribuiscono amanti e figli illegittimi. Poi invece mi accorgo che per l'autore del libro il peccato non è questo, anzi…
Infatti l’intervistato – che si dichiara un estimatore delle teorie freudiane, il che è tutto dire - anziché rimproverare a Sant’Agostino i suoi trascorsi da libertino – lo taccia di un rapporto edipico nei confronti della madre, e soprattutto finisce per definirlo ‘monomaniaco’, un uomo ossessionato dal sesso di cui però vuole liberarsi perché ritiene sia un male… e con un sistema di pensiero (rigida separazione fra cielo e terra, fra anima e corpo) dal quale scaturirebbe inevitabilmente la condanna della donna (ecco il ‘peccato’!) creatura inferiore, ricettacolo del male, colpevole dei peccati dell'uomo…
La cosa che però mi aveva colpito – lo avrete capito - non erano le ‘opinioni’ su Sant’Agostino dell'autore del libro quanto invece il seguente esordio dell'articolo del giornalista:
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La storia si può raccontare così: lui e lei, giovanissimi, s’incontrano, si piacciono e già la sera stessa finiscono a letto. Pur non sposandosi, hanno un figlio che crescono insieme. La mamma di lui, però, ambiziosa e possessiva, non tollera quell'unione: si aspetta qualcosa di più da quel ragazzo, e perciò farà di tutto per separarli. Raggiunti i due amanti nel paese in cui han trovato rifugio, scaccia la concubina: ‘suo figlio - le dice - ha chiesto in sposa una fanciulla di buona famiglia, perciò non vuole più vederla’.
In realtà, non è tanto il matrimonio che preme a madre e figlio, quello che i due hanno in programma è un onore più alto e più arduo, destinato a durare nei secoli: la santità. Che puntualmente figlio e madre otterranno.
Detto in questo modo sembra una telenovela stile ‘Mariana il diritto di nascere’. Invece è la storia di Aurelio Agostino di Tagaste, di sua madre Monica, e della donna che visse con lui dodici anni e gli dette il figlio Adeodato. Accadde tutto questo sullo scadere del quarto secolo dopo Cristo, e lo stesso protagonista maschile ce l'ha narrato nelle sue Confessioni, scritte intorno all'anno 400…’
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Rimango un poco perplesso. Avevo letto, qualche anno fa, le memorie di Sant’Agostino, cioè le sue ‘Confessioni’, ma Sant’Agostino – la sua storia - non mi sembra la raccontasse proprio così.
Io la so in un'altra maniera. Sua madre era una brava donna, e infatti è diventata Santa Monica, ma dopo aver educato il figlio ai principi cristiani soffriva nel vederlo condurre una vita da libertino e ne avrebbe voluto una conversione al cristianesimo.
E pregava tantissimo per questo, e mi pare anche di ricordare che Dio, in una visione, le avesse promesso una futura conversione del figlio.
Come ogni madre che si rispetti, desiderava però anche che il figlio ‘scapestrato’ si ‘sistemasse’, cioè mettesse la testa a posto, in altre parole si ammogliasse ‘come Dio comanda’.
Infatti Agostino viveva ‘more uxorio’ con una bella mora nordafricana dalla quale aveva avuto il figlio Adeodato, intelligentissimo, poi morto appena diciassettenne.
Madre e amici, credo, si erano dati da fare per trovargli una ‘fanciulla’ di buona famiglia, e così Agostino nelle sue ‘Confessioni’ (Libro sesto, 13-23 e 15-25) racconta:
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Frattanto mi si sollecitava instancabilmente a prendere moglie. Così ne avevo ormai avanzato la richiesta e ottenuto la promessa. Chi lavorava maggiormente in questo senso era mia madre, con l'idea che, una volta sposato, il lavacro del battesimo mi avrebbe ripulito… e la fanciulla fu richiesta. Le mancavano ancora due anni all'età da marito, però piaceva a tutti, e così si aspettava… Frattanto i miei peccati si moltiplicavano, e quando mi fu strappata dal fianco, quale ostacolo alle nozze, la donna con cui ero solito coricarmi, il mio cuore, a cui era attaccata, ne fu profondamente lacerato e sanguinò a lungo. Essa partì per l'Africa, facendo voto di non conoscere nessun altro uomo e lasciando con me il figlio naturale avuto da lei. Ma io, sciagurato, incapace d’imitare una femmina e di pazientare quei due anni di attesa finché avrei avuto in casa la sposa già richiesta, meno vago delle nozze di quanto fossi servo della libidine, mi procurai un'altra donna, non certo moglie, quale alimento, quasi, che prolungasse, intatta e ancora più vigorosa, la malattia della mia anima, vegliata da una consuetudine che doveva durare fino al regno della sposa. Non guariva per questo la ferita prodotta in me dall'amputazione della compagna precedente…
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Agostino di Tagaste – fidatevi di me - non era un ‘maniaco’ ossessionato dalla ‘libidine’ che ha poi quasi masochisticamente invertito le sue pulsioni sublimandole e dirigendole verso la santità, ma un uomo di mondo, insomma un uomo dei giorni nostri…, con tutte le sue pulsioni naturali, magari anche un po’ ‘vivaci’, che si è messo a cercare Dio, in maniera ‘filosofica’, in maniera ‘razionale’, e che solo ad un certo punto ha capito che per trovarlo bisognava cercarlo con il cuore.
La successiva ‘castità’ del pensatore Agostino - che s’avviava a diventare ‘santo’ senza saperlo – non fu quindi frutto di un comportamento psicopatologico ma di una scelta di ‘distacco’ dal mondo e dai suoi valori, inclusi quelli sessuali, che solo poteva consentirgli di avvicinarsi spiritualmente a Dio.
Non tanto abiura della donna, quindi, ma scelta – forse anche sofferta - di distacco dalla materia.
Trovo estremamente viva e spumeggiante la sua umanità ed il suo modo di ragionare e scrivere, lasciandomi semmai solo a disagio quando si lancia in quei suoi voli mistici in cui – come un innamorato – inneggia appassionatamente a Dio: suo Creatore.
Ma questa non è ‘psicopatologia’ ma Amore.
Si può amare Dio ‘appassionatamente’? Dovremmo. Ma Agostino di Tagaste lo fa.
4.2 - Il ‘Grande Equivoco’ di Sant’Agostino
Questo mi stavo dunque dicendo mentre, dopo aver letto l'articolo del’Corriere della Sera’, mi ero messo a sfogliare la Rivista ‘Il Segno del Soprannaturale’, imbattendomi negli articoli sul ‘Grande equivoco’ agostiniano di cui parla Teofilo il Siculo, articoli dei quali vi trascrivo alcuni stralci:
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Più volte nel mio libro ‘Il tempo dell'Anticristo e la Parusia intermedia’ parlo del ‘grande equivoco’ di sant’Agostino, come punto di partenza della confusione che vige nel campo della escatologia, impotente perciò ad accettare il concetto di venuta intermedia del Signore, nonché la stessa figura dell'Anticristo, entrambe molto ben delineate nelle profezie contemporanee (p.e. vedi Appello divino di A. Norrito), espresse dalle rivelazioni private con finalità pubblica, e quindi di interesse non solo ecclesiale ma anche mondiale.
Pertanto credo sia utile analizzare la genesi di questo equivoco per poter sollecitare un ulteriore discernimento ecclesiastico, che porti ad una revisione di quelle tesi teologiche in contrasto col dato biblico e con la Tradizione anteriore al santo di Tagaste.
Quando un singolo Padre diverge dalla Tradizione, come nel caso di Aurelio Agostino, ciò non avviene senza un preciso contesto teologico e culturale, in cui avviene la deviazione.
Dobbiamo precisare che nel quarto secolo dopo Cristo non c’erano dei centri, come le Università cattoliche del Medio Evo o la Congregazione per la dottrina della fede. Tuttavia, registriamo una certa vigilanza dei patriarcati sull'ortodossia della Sacra Dottrina.
Ed infatti il Patriarcato di Antiochia, noto per praticare il metodo storico-letterale, condannò a più riprese il metodo allegorico esercitato in modo eccessivo dal Patriarcato di Alessandria.
Ma i Padri africani, come risulta dagli studi storici, ascoltarono i moniti, come si suol dire, con orecchi da mercante.
Conclusione: l'errore di Agostino crebbe e si sviluppò in tutta libertà, fino a cristallizzarsi nei pronunciamenti magisteriali, senza che alcuno abbia fatto una serrata critica teologica alle proposizioni escatologiche del santo africano, perché soggiogati dall'autorità morale del medesimo.
In questa sede cercherò di ricostruire l’evoluzione storica-culturale del più grande equivoco che mai la Chiesa cattolica abbia gestito acriticamente nel suo seno.
Una vera aberrazione teologica, che dovrebbe essere presa in seria considerazione per rivedere l'ortodossia delle proposizioni escatologiche della Dottrina Cattolica.
Sia chiaro che Agostino, nonostante questo errore, rimane sempre un santo, giacché la santità non si misura dalla qualità dei libri scritti, ma dalle virtù cristiane esercitate in modo eroico.
Mettendo in evidenza l'errore di Agostino, in fondo vogliamo restituire al santo né più né meno la sua giusta collocazione all'interno degli studi teologici, e ai Padri della Chiesa che lo hanno preceduto la loro dignità di teologi e di pastori.
Situazione teologica ed ecclesiale
Le continue contestazioni dei fedeli alle varie traduzioni dei singoli passi biblici e le interpretazioni degli eretici, spinsero gli studi esegetici alla formulazione di un unico testo biblico valido per tutta la cristianità.
Il primo studioso in tal senso, fondatore del metodo esegetico, fu Origene per l'Oriente cristiano, per l'Occidente abbiamo un suo discepolo, Girolamo.
Agostino in questo travaglio culturale non ebbe alcun ruolo per via della sua scarsa conoscenza del greco (Agostino 1987: 52; Trapè 1976:20) e la totale ignoranza della lingua ebraica.
Nonostante l'incompetenza mostrata nelle lingue delle Sacre Scritture, che da sola è sufficiente ad allontanare qualsiasi erudito dagli studi della Bibbia, questa non è stata una difficoltà per Agostino, né di altri nelle sue stesse condizioni.
Sembra che usando il metodo allegorico sui testi biblici non vi fosse bisogno della conoscenza del testo in lingua originaria, perché ugualmente avevano un gran dire ed enunciare fantasiose interpretazioni costruite su parole complesse ed accattivanti.
Tuttavia il vescovo di Ippona per la sua funzione di pastore non poteva proprio fare a meno di alcune opere che poteva leggere solo se tradotte, ed infatti dipese per i testi biblici e le opere dei Padri greci dalle traduzioni di Girolamo.
Ma anche quest’ultimo non brillò certamente di originalità, e rappresenta senz’altro un momento intermedio nella evoluzione del ‘grande equivoco’.
Non bisogna dimenticare che ‘Girolamo fu prima di tutto un discepolo di Origene, che in seguito ripudiò; di conseguenza nella sua opera di esegesi si nota uno slittamento progressivo dal senso allegorico al senso letterale, quello che Steinmann chiama ‘disintossicazione’ (Peters 1986:247).
Se gli studiosi notano un progressivo processo di disintossicazione in Girolamo, ancora poco si è detto cosa è rimasto di origeniano in Agostino.
Dunque, per risalire all'origine del grande equivoco di sant’ Agostino, dobbiamo andare al di là della fonte costituita da Girolamo e trovare a monte la sorgente nella figura del padre dell'esegesi.
Origene, che in un primo momento si professava come gnostico valentiniano, si convertì al cristianesimo grazie all'intervento di sant’Ambrogio.
In realtà, ad uno studio attento dell'opera di Origene, si nota che la sua conversione non fu mai profonda né completa.
Infatti, parte delle teorie valentiniane le ritroviamo nella sua più grande eresia conosciuta come l’apocatastasi o restaurazione universale di tutte le cose nel suo stato primitivo.
Secondo tale concezione tutti i peccatori saranno salvati, compreso i demoni e lo stesso Satana, che verranno, secondo queste strane teorie, purificati dal Logos nonostante la loro ostinazione nel male. Dopo la purificazione avrà luogo la seconda venuta di Cristo (quella finale), poi la risurrezione di tutti gli uomini, con corpi non materiali ma spirituali.
É da tenere presente che la restaurazione universale non coincide con il concetto della fine del mondo, e quindi della palingenesi, ma è ritenuta come una fase transitoria, perché alla fine di questo mondo ne esisterà un altro e un altro successivo, secondo la teoria di Platone, riadattata dai valentiniani, dell'esistenza di altri mondi prima che questo arrivasse all'essere, e ancora una successione illimitata di mondi dopo di esso (cfr. Quaesten 1983 a:389).
Per rendere accettabile questa eresia Origene interpretò in chiave allegorica, per la prima volta nella storia della Chiesa Ap 19-20, cioè la Parusìa intermedia di Cristo Risorto per sconfiggere l’Anticristo e porre la Gerusalemme messianica o il nuovo regno di Dio sulla terra.
Fino allora il contenuto di Ap 19-20 era inteso in senso letterale come un evento profetico da avverarsi - secondo una interpretazione di alcuni passi biblici un po’ avventata - in breve tempo.
Ma l’immanenza della venuta del Signore, vero ‘motore evangelizzatore’, spinse milioni di persone in tutto il mondo allora conosciuto ad abbandonare i culti pagani per accettare la Dottrina del Dio Crocifisso e Risorto, perché credevano effettivamente che il suo Regno di Amore si sarebbe stabilito in maniera definitiva sulla terra nel giorno del suo Ritorno (il giorno della Gerusalemme messianica).
E così le prime generazioni dei cristiani attendevano la parusìa intermedia e la Gerusalemme messianica nella speranza viva che quelli fossero gli ultimi tempi, ma senza fare attenzione che il tempo dell'Apocalisse si snoda tra la visione soprannaturale e la visione storica dei fatti, l'una si spiega nell'eterna contemporaneità del pensiero divino, l'altra nella successione temporale data dalla scansione dei sette sigilli.
Gli antichi confusero la seconda visione con la prima, tant’è che buona parte dell'attesa imminente del Ritorno del Signore, dipendeva dal senso letterale dato dalle prime comunità dei Cristiani ad Ap 19-20, che più di tutti ostacolava lo sviluppo delle concezioni escatologiche di Origene…
Si può valutare meglio l'esegesi di Origene se si presta attenzione alla concezione del tempo nell’Apocalisse e alla concezione del tempo nella ‘apocatastasi’.
Mentre per l’Apocalisse la storia si evolve progressivamente, per delle tappe che portano l’Umanità, ma anche il creato, ad una graduale perfezione, secondo l’apocatastasi, il tempo si sviluppa circolarmente con un inizio e una fine, che si ripetono all’infinito, tanto quanto i mondi supposti esistenti. Qui l’evoluzione dell'Umanità nasce dalla possibilità teorica (non compresa dalla Rivelazione ma solo nella filosofia) di ritrovarsi in un altro mondo, nelle stesse situazioni, sperando di reagire diversamente dal mondo e dal tempo vissuti precedentemente.
É davvero strano come i più grandi intellettuali del cristianesimo non abbiano rifiutato da subito questa concezione, che ha condizionato inevitabilmente, per la scarsa attenzione alla gnosi origeniana, l’escatologia di Girolamo e di Agostino.
Ciò sembra imputabile alla cultura di allora imbevuta esclusivamente di medioplatonismo, di cui Agostino in seguito fece uso a piene mani per dare un impianto filosofico al cristianesimo, al fine di renderlo accettabile ai colti di quel tempo.
Questa riduzione del cristianesimo a filosofia è stata brillantemente denunciata da Adolf von Harnack con la teoria della ‘ellenizzazione del cristianesimo’, ossia quel processo con cui l'annuncio cristiano avrebbe assunto le categorie di pensiero del mondo ellenistico, garantendosi la possibilità di penetrazione e diffusione nel mondo greco-romano, ma a prezzo dello snaturamento del Kerigma originario (Cfr. Le tesi di Harnack in Dogmengeschichte, Tubingen 1898).
Tutto ciò non è sfuggito all'ordinario del luogo; infatti già in vita Origene ebbe invalidato il sacerdozio dal vescovo Demetrio, il quale sostenne che la legislazione canonica non poteva accettarlo al sacerdozio a causa della mutilazione che si era inflitta per una lettura letterale di un passo del Vangelo (si evirò l'organo sessuale, e – a mio avviso – da allora anche il senso teologico venne meno).
Visto il dissenso di alcuni, Demetrio convocò un sinodo, che scomunicò Origene dalla Chiesa di Alessandria. Un secondo Sinodo nel 231 lo depose dal Sacerdozio.
Ma ormai il seme dell'eresia aveva attecchito nelle menti e negli scritti dei teologi, rivestito di filosofia (il medioplatonismo) e di una buona dose di buonismo (la salvezza estesa anche ai dannati e ai demoni) che tuttavia tiene banco presso le università cattoliche e presso molti studiosi, ignari del raggiro del Demonio.
Ad una attenta riflessione bastavano questi interventi ecclesiali per mettere all'erta gli studiosi cristiani sulla ‘pericolosità’ di Origene nel campo teologico.
Ammettere l'unicità della Parusìa del Signore alla fine del tempo, sostenuta da Origene perché ovviamente più confacente alla sua teoria, è un vero attentato alla Parola di Dio che non ammette travisamenti (cfr. Ap. 22, 18-19), e all'autorità della Tradizione, che non accetta sconfinamenti dalla santa ortodossia.
Invece, la storia dei fatti ci mostra il contrario.
Origene ebbe molti ammiratori tra i quali Eusebio di Cesarea (nella sua Storia ecclesiastica bollò come ‘millenaristi’ tutti quei Padri che praticavano sensatamente il metodo letterale su Ap 19-20 da cui si evince la parusìa intermedia) e Girolamo convalidò questo insensato giudizio (la condanna al presunto millenarismo dei Padri della Chiesa la si trova in Aragon 1968:490).
Evidenziamo il dilettantismo teologico di Girolamo il quale, non sappiamo se imputarlo alla sua imperizia negli studi esegetici, dipese per tutta la sua carriera dalle versioni in greco di Origene dei testi in ebraico (cfr. De Lubac 1972a:437) o alla sua irruenza.
Va da sé che Girolamo sulle questioni escatologiche, avendo accettato acriticamente l’unicità della Parusìa, piuttosto che la binarietà della medesima, cioè le due venute gloriose del Signore Risorto, mostra ancora una certa contiguità all’eresia origenista, e pertanto non può essere considerato un'autorità.
E se, come abbiamo visto, Agostino dipende da Girolamo, ancor più l’autorità del Padre africano, nel campo escatologico, perde di consistenza.
Per sapere come sono stati allegorizzati i versetti di Ap 19-20 dobbiamo analizzare il libro 20 della ‘Città di Dio’. Scopriamo così che in principio l'africano di Tagaste professava la vera Tradizione ed accettava il senso letterale di Ap 19-20, ammettendo il tradizionale millenarismo (Agostino 1992:962), poi con la contaminazione origenista, avviene la svolta allegorica, ma in maniera del tutto originale rispetto ai suoi predecessori, fantasiosa rispetto al testo originario ed ereticale di fronte a tutta la Tradizione che lo ha preceduto.
Infatti, ad una attenta analisi del libro, si nota la retrodatazione di tutte le profezie giovannee, che in realtà sono rivolte al futuro.
Abbiamo così la risurrezione dei santi e dei giusti, il millennio felice, il giudizio delle nazioni, la Gerusalemme messianica, tutti anticipati al momento presente …
Premetto che al tempo del vescovo di Ippona vi era una frangia di millenaristi ereticale, di cui il massimo esponente fu un certo Cerinto, che predicava un millennio di felicità materiale con abbuffate di cibi prelibati ed orge sessuali.
Questo tipo di millenarismo è chiamato ‘millenarismo crasso’.
Nel condannare questo tipo di millenarismo (cfr. Agostino 1992:962), il santo di Tagaste prende le mosse per cancellare in blocco il messianesimo escatologico della santa Tradizione, che probabilmente gli causava non pochi problemi pastorali, togliendo così una volta per tutte quella speranza universale dei cristiani di una imminente venuta gloriosa di Cristo, che ristabilisse il suo Regno sulla Terra, annientando tutti i suoi nemici.
Così, per gettare l'acqua sporca, S. Agostino nella fretta e con grande ed ingenua irresponsabilità getta, come si suol dire, il bambino.
Per argomentare la cancellazione della Parusìa intermedia e lo slittamento temporale della venuta del Signore Risorto alla fine del tempo, Agostino usa impropriamente il modulo della settimana universale, come vedremo confrontandolo con l’impiego fatto da Sant’Ireneo.
Sant’Agostino crede di vivere alla fine del sesto millennio: ‘Quanto ai mille anni, mi vengono alla mente due interpretazioni possibili. Si possono spiegare in quanto il fatto (Satana viene legato nell’abisso) avviene negli ultimi mille anni, ossia nell'ultimo millennio quasi fosse il sesto giorno, di cui stanno passando ora le ultime frazioni, e a cui seguirà il Sabato senza sera, ossia il riposo senza fine dei santi; per cui lo scrittore (S. Giovanni) con i mille anni definì l’ultima parte di questo giorno, per così dire millenario, che ancora rimaneva prima della fine del tempo: è la figura del discorso per cui una parte viene indicata per ‘il tutto’ (Agostino 1992: 962).
Questo passo indica più degli altri come Agostino abbia falsato l’applicazione del modulo settimana universale, proponendo un altro tipo di calcolo escatologico (cfr. anche le sei età in Agostino 1993:174-177).
In sintesi il vescovo di Ippona sostiene che la Parusìa di Ap 19-20 è avvenuta con l’Incarnazione, perciò lui crede di trovarsi nel sesto millennio, quindi nell’ultimo tempo concesso all’Umanità prima di entrare nell’eternità, mentre gli antichi affermavano che il settimo millennio era ancora un tempo da vivere sulla terra godendo pienamente della Gerusalemme messianica, preludio a quella celeste.
S. Agostino, per affermare questo nuovo calcolo stravolge tutto il messianismo escatologico.
Infatti deve prima venire l’Anticristo, come in tutta la Tradizione precedente sulla base del testo della seconda lettera ai Tessalonicesi e dell'Apocalisse si è sempre affermato…
Agostino confonde tutta la cronologia profetica invertendo gli eventi.
L’Anticristo, a suo dire, verrà alla fine del Tempo, ignorando che questa figura escatologica è un predecessore di Satana.
É Satana, stando all'Apocalisse, che viene alla fine del tempo!
Che Sant’Agostino abbia fatto coincidere l’Anticristo con Satana, lo si intende chiaramente nel commento al Vangelo e alla prima epistola di S. Giovanni: ‘Prima deve venire l’Anticristo, poi il giorno del Giudizio’ (Agostino 1996:1691). Per aver invertito gli eventi e per aver formulato il suo calcolo escatologico, S. Agostino può essere imputato come il principale colpevole della grande paura dell’anno mille (il sesto secondo il calcolo agostiniano), che gettò tanto discredito sulla religione cattolica e sulla teologia in genere, incapace di ravvedersi dopo la falsificazione della vera Tradizione.
L’errore del calcolo escatologico di Agostino sta anche nell’aver anticipato di mille anni il Regno messianico, e ora che siamo prossimi al grande evento profetizzato dalle Sacre Scritture, non vogliamo crederci, per l'errore compiuto in precedenza….
Pertanto consigliamo vivamente agli studiosi di rivedere le posizioni escatologiche di Agostino, giudicandole secondo la precedente Tradizione base ad una rilettura di Ap 19-20. Va da sé che senza una buona impostazione escatologica, non si possono interpretare bene tutte le profezie della Bibbia, confermate e suffragate col metodo profetico-rivelativo per le Rivelazioni Private con finalità pubblica.
É questa la principale ragione teologica, che spiega l'incauta prudenza della gerarchia cattolica, la quale non potendo, per l'impedimento agostiniano, comprendere rettamente la figura dell'Anticristo e, quindi, la Parusìa intermedia, confonde queste realtà con le realtà ultime e definitive.
Per cui la Chiesa crede ingenuamente che le profezie di La Salette, Fatima, Medjugorje, Maria Valtorta, J.N.S.R. (vedi ad es. Appello divino, di A. Norrito), Vassula Ryden trattino della temuta fine del mondo.
In realtà stanno illustrando alla cristianità l'imminente arrivo di Cristo Risorto per instaurare con potenza il profetizzato Regno messianico sulla terra.
Ma prima della Parusìa intermedia l'Umanità e la Chiesa dovranno essere purificati dalla prova dell'Anticristo e della Triade infernale…
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Stop…!
Prendo fiato e mi rilasso sullo schienale.
Se – come capisco – questi articoli continuano nei prossimi numeri della Rivista – vi lascio immaginare il resto. Però una riflessione me la faccio anch’io.
Agostino – che viveva nel 400 circa dopo Cristo - aveva sbagliato i ‘calcoli’ dei vari millenni della cosiddetta ‘settimana universale’’ (e cioè che la storia dell’Umanità sarebbe durata per sette millenni come i ‘sette giorni’ della Creazione), ed era convinto che la Parusìa fosse già avvenuta con l'Incarnazione o – meglio – con la Resurrezione e che l'ultimo millennio felice – il sesto – fosse dunque quello del IV° secolo d.C. che egli stava allora vivendo. E infatti è dai suoi calcoli (sbagliati) che prese avvio il famoso millenarismo che considerava che il mondo sarebbe finito l'anno mille dopo Cristo.
Ma se il mondo non è finito – e oggi sono passati non mille ma duemila anni dall'Incarnazione o Resurrezione di Cristo che avrebbe dovuto aprire la strada al famoso millennio felice, e se di ‘millennio felice’ non se n’è vista neppure l'ombra al di là di ogni dubbio – vuol dire che Sant’Agostino aveva proprio sbagliato tutto.
E se ha sbagliato tutto, come fa la ‘Gerarchia’ ecclesiale a impuntarsi e non voler ammettere un riesame critico del tutto?
Possibile che il povero Papa Wojtila - oltre che chiedere perdono a Dio di fronte a tutto il mondo per gli errori degli ‘uomini di Chiesa’ nei confronti degli Ugonotti francesi, degli Ebrei, di Galileo Galilei e dei roghi di Savonarola, Bruno, Giovanna d’Arco, e infine per i Tribunali dell’Inquisizione - debba ora chiedere perdono anche per la ‘Gerarchia’ che non vuole ammettere che è possibile che anche lei, come Sant’ Agostino, abbia sbagliato un po’ i suoi calcoli?
Bene - ora che vi ho spiegato, per l’interposta persona dell’autorevole articolista, il ‘grande equivoco’ sulla seconda venuta del Signore - non volendo abusare della vostra pazienza rimando al prossimo capitolo la spiegazione del ‘perché’, invece, ‘Una croce mi perseguita…’.