(D. Ruotolo : 'La Sacra Scrittura - Giobbe', Cap. IV  e  V - Apostolato Stampa, Napoli)
(G. Landolina:  ' Alla Ricerca del Paradiso perduto', Cap. 59 - Edizioni Segno)
(E. Zoffoli: 'Cristianesimo: corso di teologia cattolica' - Edizioni Segno)
(M. Valtorta: 'I Quaderni del 1943', pagg. 459/463, Centro Ed. Valtortiano)

 17. Il Purgatorio

17.1 – Il combattimento spirituale e…l’autista a due teste

Sono qui di fronte al mio computer che vi scrivo questo mio 'diario' e aspetto che vengano le 9 del mattino, cioè un' ora decente per telefonare  e informarmi sugli orari delle messe e delle confessioni.
A dir la verità devo dire che far la comunione una volta alla settimana mi sembrava già 'tanto'.
Mia moglie dice che sono cambiato in meglio, da un tre anni a questa parte. Chi l' avrebbe detto che uno come me avrebbe fatto la comunione, una volta la settimana? Già, me lo dico anch' io. Ma ora, farla tre volte la settimana, via..., non sarà  t r o p p o? Va a finire che passo da un eccesso all' altro. E allora i preti che la fanno tutti i giorni? Ma quelli son preti mentre io sono un laico e poi, tre volte..., se non è da prete è quasi da 'sagrestano'. Al dirmi questa parola sento che mi si risvegliano dentro i miei istinti e subbugli 'laicali' che poi però, ammaestrato dai suggerimenti un poco caustici di ieri della mia Testa di Destra in merito alle 'suggestioni' dell' Altro, decido di mettere 'sotto controllo'. No, non è   t r o p p o. Certo che se uno non ci crede... Eh, sì, se uno non ci crede è come mangiar farina e non fa male a nessuno. Ma se invece uno ci 'crede'..., beh, in questo caso il discorso è diverso. Ma la confessione? Se mi confesso una volta alla settimana quello penserà che sono scemo. 'Ecco - dirà - rieccoti un altro di quegli svitati che soffrono di depressione, di mancate 'realizzazioni' - insomma complessi di amore materno mancato (amore materno?, coniugale!) - che vengono a cercare da me un surrogato che 'sublimi' il loro bisogno d' amore attenuando le loro frustrazioni. Anzi questo non è solo svitato, soffre anche di complessi di colpa e la confessione è per lui come una seduta psicanalitica. Solo che non vuol spendere i soldi dello psicanalista, perchè magari è anche un taccagno...'. Un momento…, questa qui che parla deve esser la mia testa di sinistra che ha preso il sopravvento, perchè un prete non potrà mai pensare così, ma lo dirà semmai uno 'psicanalista'. E se fosse un 'pretepsicanalista'?

Vi meraviglia che vi parli - raccontandovi questo mio soliloquio - della mia 'Testa di sinistra'?
Ma è perchè in realtà non è un 'soliloquio' ma un 'dialogo' con la 'testa di destra' come può succedere anche a voi senza che magari ve ne accorgiate neanche.
Infatti, vi svelo un piccolo segreto: uno non se ne accorge solo quando le due teste la pensano nella stessa maniera, perchè in tal caso una è 'pedissequa' dell'altra, e non si contraddicono.
Ma se si contraddicono e voi prestate un po' di attenzione, come quando uno va per funghi, allora vedete la differenza.
Volete che vi faccia il 'disegno', come suol dirsi in gergo?
Allora state a vedere e rileggete con me quello che avevo già scritto, ma con un occhio più attento, perchè in futuro - quando anche voi vi eserciterete all'ascolto - potrebbe esservi utile:

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A dir la verità devo dire che fare la comunione una volta alla settimana mi sembrava già 'tanto'.
Mia moglie dice che sono cambiato in meglio, da un tre anni a questa parte. Chi l' avrebbe detto che uno come me avrebbe fatto la comunione, una volta la settimana?
Già, me lo dico anch' io. Ma ora, farla tre volte la settimana, via..., non sarà  t r o p p o? Va a finire che passo da un eccesso all'altro.
E allora i preti che la fanno tutti i giorni?
Ma quelli son preti mentre io sono un laico e poi, tre volte..., se non è da prete è quasi da 'sagrestano'.

(Al dirmi questa parola sento che mi si risvegliano dentro i miei istinti e subbugli 'laicali' che poi però, ammaestrato dai suggerimenti un poco caustici di ieri della mia Testa di Destra in merito alle 'suggestioni' dell'Altro, decido di mettere 'sotto controllo')

No, non è  t r o p p o. Certo che se uno non ci crede...
Eh, sì, se uno non ci crede è come mangiar 'farina' e non fa male a nessuno.
Ma se invece uno ci 'crede'.., beh, in questo caso il discorso è diverso.
Ma la confessione? Se mi confesso una volta alla settimana quello penserà che sono scemo. 'Ecco - dirà - rieccoti un altro di quegli svitati che soffrono di depressione, di mancate 'realizzazioni' - insomma complessi di amore materno mancato (amore materno?, coniugale!) - che vengono a cercare da me un surrogato che 'sublimi' il loro bisogno d' amore attenuando le loro frustrazioni. Anzi questo non è solo svitato, soffre anche di complessi di colpa, e la confessione è per lui come una seduta psicanalitica. Solo che non vuol spendere i soldi dello psicanalista, perchè magari è anche un taccagno...'

Un momento…, questa deve esser la mia testa di sinistra che ha preso il sopravvento, perchè un prete non potrà mai pensare così, ma lo dirà semmai uno 'psicanalista'.
E se fosse un 'pretepsicanalista'?

***

Avete 'visto'? E' proprio come andar per funghi. Con le due teste che tutti - senza accorgercene - abbiamo dentro di noi, bisogna stare bene in guardia, per capire quale è, delle 'due', quella che vi sta parlando in quel  momento, sempre che non siano una 'pedissequa' dell' altra...
Non capite? Ah, non capite cosa è tutta questa storia delle due teste di cui continuo a parlarvi?
Adesso - in attesa che mi venga l' ispirazione per scrivere questo capitolo su Giobbe - ve la racconto, prendendo solo l'inizio del Cap. 59 (un capitolo molto lungo, dedicato al 'combattimento spirituale'ed agli esorcisti) dell'altro mio libro, e poi mi saprete dire se, a ben pensarci, non vi sembra che succeda talvolta lo stesso anche a voi:

(G.Landolina: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 56 – Ed. Segno)

59. La sostanza dell' essere 'cristiano'... il combattimento spirituale.

Sono arrivato a leggere l' ultima 'Lezione' che l' Angelo Custode Azaria impartisce alla Valtorta. Sono, queste del Libro di Azaria, delle lezioni  a mio avviso straordinarie dal punto di vista intellettuale, teologico e, ovviamente, anche spirituale. In quest' ultima lezione Azaria conclude gli insegnamenti spiegando che il Regno del Cielo non è un dono 'gratuito' ma che i cristiani devono essere dei 'lottatori' e cita al riguardo S.Paolo che disse:
'...il cristiano è una spirituale vita di atleta nella grande arena della terra, durante il giuoco più o meno lungo della vita umana, per conquistare il premio che spetta ai vincitori...'.
Ma i corridori  negli stadi - continua Azaria - si sottopongono ad ogni sorta di astinenza per un premio incerto, perchè uno solo di essi vince, mentre 'coloro che lottano per il premio  eterno sono certi di ottenerlo, tutti, perchè Dio è buono e dà premio anche a chi non è il primo atleta, ma con tutte le sue forze e con tenace volontà fa quanto è capace di fare, nè cessa dopo un tempo il premio del Signore, ma dura per l'Eternità'.                  
Azaria continua ancora sottolineando come bisogna 'lottare perciò veramente contro gli avversari, silenziosamente, nel segreto dell' io, là dove lo spirito ha contro la carne, il demonio e il mondo, ha contro la concupiscenza triplice, le seduzioni, le tentazioni, le violenze, le reazioni alle violenze, tutto. E' una lotta continua e tenace, un corpo a corpo coi diversi nemici sempre risorgenti in voi e intorno a voi...'

Medito a lungo su queste parole e mi torna alla memoria uno 'speaker' della emittente radiofonica 'Radio Maria', sulla quale talvolta mi sintonizzo non perchè sia un bigotto e mi piaccia ascoltare i 'rosari' ma perchè vi sono degli interventi veramente interessanti, 'speaker' - dicevo - che parlava appunto del 'combattimento spirituale' e citava come riferimento l'immagine iconografica di San Giorgio (che è anche 'patrono' della 'Cavalleria') il quale viene raffigurato come un 'cavaliere', rivestito di corazza, che combatte contro un 'drago'. Il 'relatore' radiofonico ne spiegò il simbolismo per cui - se ho ben capito - il 'cavaliere' rappresenta il nostro 'spirito' e il 'drago' rappresenta i sette 'vizi' dell' Io che, combattuti e tagliati nella testa, rispuntano continuamente pronti per un nuovo combattimento.
Mi piace questa spiegazione. Rende anche l' idea dell' improba battaglia che cerco da un po' di tempo - dico: cerco - di fare dentro me stesso trovandomi ogni giorno di fronte ad una (una?) testa  da...tagliare. Tra l' altro l'immagine di San Giorgio me la 'vedo' tutti i giorni - quasi mi volesse ammonire  o 'invitare' - campeggiante sulla cappa del 'camino' nel salone al piano terra mentre un' altra - cesellata in rilievo su di un quadro in ceramica, rilievo bianco su fondo azzurro - fa bella mostra di sè su una parete del mio studio. Mi piace questa 'idea' del cristiano, mi piace anche perchè - del 'cristiano' - non mi dà quell' immagine piagnucolosa da 'baciapile' che - ve lo confesso - avevo sempre avuta, ma quella 'virile' di un 'combattente' che deve fare le battaglie più dure, quelle contro se stesso.
Sono qui che scrivo, sono nel mio studio, in 'torretta'. Alzo lo sguardo. Dalle grandi finestre ad arco che decorano due pareti vedo a destra le cime degli alberi e, di fronte, un panorama di dolci colline verdi che si perdono in lontananza. Mi cade l'occhio sul 'San Giorgio', cerco per un momento - assorto - di immedesimarmi in lui ma poi mi scuoto e  dico:"ma che mi prende? mi lascio mica suggestionare da un 'quadro'?..."

Luce:
Hai finalmente capito quale è la 'sostanza' dell' essere 'cristiano': quella di combattere ogni giorno nello stadio del proprio 'Io' contro se stesso, quella di combattere come San Giorgio il 'drago' dalle sette teste per salvare il proprio spirito.
Sii eroe, sii atleta e guadagnerai il Cielo!

***

Ero in dormiveglia. Dopo una vacanza di qualche giorno sulle Dolomiti stavamo - con mia moglie - rientrando sulla via di Trento. Splendide queste vallate e queste montagne...  Mi ero fatto dare il cambio alla guida e, accomodatomi sul sedile con un piccolo cuscinetto (di quelli gonfiabili, 'antiartrosi') sotto il collo, avevo reclinato lo schienale e mi ero comodamente adagiato cercando di recuperare un po' di forze facendo - nonostante le continue curve - un esercizio di 'training autogeno'... finito indecorosamente in un 'pisolino'.
Ero in dormiveglia, o forse dormivo e sognavo. Pensavo al mio libro. Come spiegare agli altri, che non vogliono sentir parlare nè dell' Angelo Custode Azaria nè di San Paolo, in che cosa consiste il combattimento spirituale al proprio interno e le difficoltà che si incontrano? Quale è la difficoltà principale del mio libro? Parlare agli altri, a quelli come me, di cose spirituali parlando un linguaggio profano. Il fatto è che io non riesco ad esprimermi bene nè in maniera spirituale nè... profana. Io stesso - dicevo - mi sento pieno di contraddizioni che non so spiegarmi. Cerco di darmi una disciplina, delle regole, ma quando meno me l'aspetto salta fuori un altro 'Me' che dice la sua e butta tutto all' aria. E' un 'Me' impertinente, a volte sarcastico, a volte 'impudico' (mi capite?), a volte trasgressivo, come se volesse veramente dar 'scandalo' e dare agli altri di me un' immagine diversa da quella che - a furia di sentir 'lezioni' - mi sforzo da qualche tempo di assumere, anzi da quella che mi sforzo di diventare. Sono trasgressioni - mi dico - che non pensavo neanche prima che - quasi per gioco, o forse per sfida - iniziassi il 'combattimento atletico'  contro quel gigante che è il mio 'Io'. Davide e Golia, mi dico. Davide, con una fionda, ha vinto. Ma io?
So - perchè l' ho letto da qualche parte nell' opera della Valtorta - che dentro di noi si nascondono un 'dio' e una 'bestia'. Ma come spiegarlo agli altri?
Nel sonno, o forse in dormiveglia perchè sento vagamente che l' auto affronta dei 'tornanti', mi sembra che il mio 'subconscio' mi dica :'La tua anima è come un 'autista'... a due teste.'
Mi sveglio di colpo, ancora insonnolito agguanto un 'block notes' che tengo sempre a disposizione per quando mi vengono delle ispirazioni per il mio libro e, prima che questo barlume di pensiero mi sfugga, scrivo: 'La tua anima è come un 'autista'... a due teste.'
Rimango un poco lì, ancora intontito, mentre mia moglie mi guarda  meravigliata per il mio risveglio da... 'sprinter'.

Luce:
Il vostro 'io', il vostro essere, la vostra anima è formata...anzi, è come se fosse un pilota d' auto con due 'teste'...
Ogni testa ha una sua particolare psicologia, una sua particolare personalità. La testa di 'sinistra' è quella che ha preso sin dalla nascita il sopravvento, perchè l' altra è più debole di volontà. La prima è proterva, bellicosa, dominante, aggressiva, dedita alla 'sopravvivenza'. E' un guidatore spericolato: frena, accelera bruscamente, sorpassa senza preavviso, sorpassa in curva, supera i limiti di velocità, non rispetta gli 'stop'. Mette continuamente a repentaglio la propria 'vita' e... quella degli altri.
E la seconda testa 'subisce' tutto questo. 'Vede'  che la prima sbaglia, ma 'non osa', non riesce a farsi ascoltare perchè la sua voce è flebile e la sua volontà - non esercitata fin dalla nascita, perchè nata 'gracile' - non riesce a farsi 'sentire'.
I 'due' rischiano, dunque, la vita insieme.
Poi però succede 'qualcosa'. Di solito un 'incidente' a sè o ad altri 'automobilisti'. E allora la prima 'testa' comincia a riflettere. Non è stupida. Incosciente sì ma non stupida. Capisce che, come gli altri perdono la vita, anche lei la può perdere, perchè di vita ce n' è una sola. E allora capisce che è bene cambiare comportamento, capisce che con il suo carattere non è più tanto adatta a guidare senza rischiare, e decide di passare i 'comandi', lasciare i comandi alla sua testa 'a destra' che avrà la volontà più debole ma è molto più saggia e prudente.
E la testa di destra assume la guida ed il controllo dell' auto. E guida anche bene. Ma la sua è una guida 'troppo' regolare, prudente. Rispetta i semafori, le precedenze, gli stop, accelera dolcemente, frena...sopratutto frena quando si deve dare la precedenza agli altri. Insomma, la sua guida è una sofferenza, un vero inferno!
La testa di sinistra non ne può più, vorrebbe strapparle il volante ma quella di destra ormai ci ha preso gusto, si è 'irrobustita' ed impratichita nella guida, anche la sua volontà è molto più forte, e non molla, non molla quel maledetto volante! Ma ecco che... zac! Il volante lo agguanta... una sterzata paurosa... ma l' altra lo tiene e mantiene la macchina in carreggiata.
La testa di sinistra è furente e impotente, vorrebbe picchiare la testa di destra ma le 'sue' mani ormai le controlla la testa di destra.
E così il viaggio continua...
Ad un certo punto la testa di sinistra si accorge che quella di destra è stanca, un po' insonnolita dalla lunga guida, e allora ...zac! prende il comando e pigia sull' acceleratore. Ah, che bello...! La macchina schizza via veloce...Che velocità! Semafori, stop, strisce pedonali..., tutti 'bruciati'!
Ma la testa di destra si sveglia, dà una sberla - con la mano che controlla - alla testa di sinistra e riprende il volante.
La testa di sinistra è umiliata, 'sente' che l' altra testa ormai è più forte, si sente impotente. Ora è lei che vorrebbe urlare, ci prova ma non riesce più a farsi sentire, e subisce. Ogni tanto scalcia, ogni tanto cerca di afferrare il volante e l' auto sbanda..., sbanda ma poi continua la sua strada perchè la testa di destra ha il sangue 'freddo', si è fatta esperta e non si lascia sorprendere più tanto facilmente.
Ecco, lo spirito ha vinto, la testa di destra ha vinto, o quasi. Perchè, in realtà, deve sempre stare in guardia, la strada è lunga e non sa se finirà all' improvviso o quando...
Al volante c'erano un santo ed una belva. Ha vinto il santo, ma la belva è sempre in agguato.
Questa è la battaglia del tuo 'Io'.
Rimani sempre in guardia. In te hai un 'dio' e un 'dèmone'. Tieni il dèmone in catene, anzi in gabbia, e non ti avvicinare mai ... a portata di zampa.

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17.2 – L’ascesi: riveduta e corretta                
              
Ecco fatto. Ma, adesso che finalmente ve l’ho raccontata, io sono sempre qui di fronte al video terminale del computer che aspetto una ispirazione che non viene, che non si decide a venire.
E allora rivado con il pensiero al mio programma di ‘ascesi’, quello che avevo ridefinito nel Cap. 16: L’esame di coscienza ( continua).
Avevo infatti deciso di parlarne a chi - di ascesi - se ne ’intende’ più di me e ne sono venuti fuori degli aggiustamenti – in meglio o in peggio, a seconda dei punti di vista – come ora vi dico:

Ascesi dal lunedi al venerdì solamente: sabato e domenica è festa.
E fin  qui va bene, neanche i sindacati avrebbero potuto far meglio.

Dal lunedì al venerdì:

Sveglia alle 06.00 anziché – come avevo pensato io – alle 04.30, con un caffè preso ‘alla veloce’, tanto per svegliarmi bene.
Quindi dedicare 30 minuti al Rosario, anziché i soliti venti minuti con le ‘decine’ sparate a raffica come facevo io, per meditare meglio anche i ‘misteri ‘.

A seguire, dopo il Rosario, altri 30 minuti per la lettura di un capitolo del Vangelo e per la meditazione scritta sugli aspetti che mi hanno colpito di più.
Dalle ore 07.00 alle 09.00 prima pausa giornaliera, da dedicare alla colazione, sbarbarsi, rifare il letto, portare la nipotina al ‘nido’, etc.

Dalle 09.00 alle 12.00 lavoro ‘spirituale’, che per me significa leggere testi della Bibbia in genere, o anche altri testi o libri dai quali ricavare spunti per riflessioni e meditazioni spirituali. Inoltre (cioè quello che sto cercando di fare inutilmente ora) ricerca di spunti e ispirazione per scrivere i miei libri.

Alle 12.00 interruzione per recita dell’Angelus.
L’Angelus l’ho sentito dire qualche volta dal Papa la domenica in televisione: bisogna che me lo faccia spiegare da qualcuno, come funziona.

Quindi inizio della seconda pausa della giornata che va dalle 12 alle 16.

Rifletto che quattro ore di pausa non sono male. Qui è decisamente meglio che con i sindacati che oggi accettano un ‘break’ di un’ora soltanto per la pausa pranzo.
Oltretutto posso pranzare con calma, leggermi il giornale che non ho fatto in tempo a leggere il mattino, uscire a lavorare all’aperto facendo giardinaggio all’ombra degli alberi. Per l’orto, a lavorare sotto il sole, non se ne parla nemmeno. Posso anche andare nella vigna o nei campi ad arare o fresare.
Ho calcolato che in pratica - in una giornata di otto ore lavorative - aro oppure ‘freso’ con il mio trattore cingolato circa 10.000 metri quadrati di terra, quindi calcolo che – in due ore – mi posso divertire a farne ben 2500 per volta. Bene, così – con queste ore pomeridiane - avrò il tempo per curare la manutenzione del terreno, anche poco alla volta, e di dedicarmi alla vigna. E di riserva ho sempre il sabato e la domenica.

Dalle 16 alle 19.00 nuovamente ‘lavoro’, come in mattinata: lettura, meditazione e scrittura.

Qui – nel pomeriggio - i sindacati dei ‘pensionati’ si son fatti buggerare dal ‘Datore di lavoro’, perché sono state aggiunte altre tre ore che, con quelle del mattino fanno sei, più la preghiera e meditazione dell’alba fanno sette ore.
Praticamente é come se – anziché essere andato in pensione – continuassi a lavorare.
Rifletto: 7 ore per 5 giorni – dal lunedì al venerdì - fa 35 ore alla settimana. Allora sono a posto. La ‘settimana corta’ di 35 ore io l’ho già ottenuta senza neanche scontrarmi con il ‘Padrone’ che evidentemente, nel mio caso – e diversamente dalla Confindustria che oggi sta ancora litigando con  Governo e sindacati – deve essere proprio un gran ‘Signore’.

Dalle 19 alle 06.00 del giorno dopo di nuovo ‘libero’. Posso anche dormire. Con una piccola eccezione di tre minuti:

Alle 22.00, infatti, qualsiasi cosa stia facendo, anche dormendo o guardando un film in televisione, mi apparto un attimino, mi metto in ‘comunicazione’ mentale con Dio Padre, ripercorro mentalmente le tappe della giornata, lo ringrazio per quello che mi ha dato e soprattutto per quello che mi ha evitato, perché noi di solito a quello che ci è stato evitato non ci pensiamo mai perché non ci viene neanche in mente, e gli dico un  ‘Pater Noster’, ma non ‘sparato’ a raffica come le Ave Maria del Rosario, ma detto col ‘cuore’.
Si tratta di fare insomma un piccolo sacrificio.

Beh…!, mi dico, non mi posso lamentare, perché la giornata ‘lavorativa’ - a parte le preghiere della notte da dire prima di addormentarmi - è già finita dalle 19.00, e non sono previsti straordinari notturni.
                                           
Il mercoledì, però, digiuno a pane-acqua, dalle 24.00 del martedì fino alle 18.00 del mercoledì. A pane e acqua significa che posso bere, magari anche acqua minerale bella fresca, e mangiare pane solamente, diciamo un duecento grammi nella giornata.
Mi sembrava un dramma ma vi assicuro che dopo un due/tre volte persino il pane solo – non so se sia la fame – vi pare buonissimo e l’acqua vi sembra una bibita, specie se bevete – come dice la mia nipotina – quella con le ‘bollicine’.

Il mercoledì mattina, dopo il Rosario, anziché i trenta minuti di lettura e meditazione scritta del Vangelo, fare mezz’ora di ‘adorazione’, leggendo ad esempio quelle preghiere bellissime del libro ‘Slanci d’amore’ di quel sacerdote, Don Dolindo Ruotolo. Oppure si può ‘parlare’ liberamente con Gesù ed esprimere i propri pensieri, come se si parlasse con un fratello o un amico.  

Il Venerdì altro digiuno, questo però ‘totale, dalle 06.00 alle 18.00’. Neanche un caffè. Al massimo un caffè senza zucchero: che io ho sempre odiato, se proprio mi serve  per rialzarmi la ‘pressione’ o se mi addormento mentre medito o scrivo.
Questa del digiuno totale è dura. A mezzogiorno senti i profumi della cucina e vedi poi che gli altri mangiano e bevono il loro bel bicchierotto di vino, quello fresco della cantina. Alle cinque del pomeriggio non ci vedi proprio più e non vedi l’ora che arrivino le 18.00…, non so se mi spiego.
In pratica la cena mi trovo a farla alle 18: pane, salame e vino, della cantina.
Ma poi ci si abitua e si ‘resiste’ -  dopo una ‘merendina’ fatta alle 18 e due minuti, dandosi un certo contegno per non sembrare affamati - fino all’ora di cena.
In vita mia mi è capitato un sacco di volte di saltare pranzo, senza nessuno sforzo particolare, ma non mi ero mai accorto che diventasse così pesante quando sei tu che te lo ‘imponi’.
Non posso non pensare con vergogna a quelli che la fame la soffrono sul serio.

Sempre il Venerdì, nella mezz’ora mattutina di meditazione, dedicarsi alla lettura di un brano del Vangelo relativo alla Passione e Morte di Gesù, scrivendo sempre le proprie riflessioni su un block notes di appunti.

Sabato, praticamente libero, a parte la confessione.

Domenica, solo la Messa.

C’ è però da dedicare, nel pomeriggio o alla sera della domenica, uno spazio di tempo – da chiudere con un ‘Padre nostro’ detto in comune - al ‘dialogo’ con la propria moglie scambiandosi dei pensieri sui propri cambiamenti e sulle cose comuni interiori e esteriori, con la volontà di essere molto franchi e dirsi chiaramente se c’è qualcosa che non va.

Insomma, ragazzi miei,  non so se lo avete capito ma la domenica - con il sabato - è una ‘pacchia’…

Anche perché fin qui, mi è stato spiegato, non c’è  ancora da fare qualche piccolo vero sacrificio: come alzarsi magari un’ora di notte, per pregare.
Quello si vedrà per il futuro, come ad esempio l’eventualità di dedicare una mezz’oretta  di ‘visualizzazione’ in ‘training autogeno’ all’immagine di Gesù, come fannoappunto quegli artisti e critici d’arte che utilizzano questa tecnica -  insegnata appunto nei manuali di training autogeno - per concentrarsi e ‘visualizzare’ nella propria mente l’immagine di un dipinto, assorbirlo e metabolizzarlo nel proprio ‘inconscio’, e poi - dopo aver ripetuto l’ esercizio per una quindicina di giorni - tirar giù la ‘critica d’arte’ su quello che l’opera, ‘visualizzata’ e ‘percepita’ nei suoi significati profondi, ha loro ‘ispirato’.
Dicono che escano fuori – così ho letto – delle ‘ispirazioni’ critiche eccezionali.

***

 

17.3 – Giobbe: ‘Dai nemici mi guardo io, ma dagli amici…

Ora è terminata da poco la pausa agricolo-manuale 12/16 del pomeriggio.
Sono qui di nuovo nel mio ‘pensatoio’ dove mi sono letto la parte successiva a quel ‘lamento’ di Giobbe, quello dove lui rimpiangeva di essere nato, etc. etc. mentre i suoi tre amici - Elifaz, Baldad e Sofar - stavano lì muti a guardarlo senza aver il coraggio di aprir bocca.
Ma quando Giobbe ha finito ed Elifaz, che pur era 'armato' di buone intenzioni, la 'apre' – la bocca - vi assicuro che mi son detto: 'Qui si applica proprio la vecchia massima: 'Dai nemici mi guardo io ma dagli amici mi guardi Iddio'...'
Infatti (raccontato a voi sempre nella mia ‘versione libera’)  Elifaz gli dice:
Non t' arrabbiare, sai, ma te lo devo proprio dire. Ma come?! Tu, tu che sei stato sempre un 'maestro' di saggezza e conforto a tanti…, ma come, proprio tu - ora che capitano a te le sventure già capitate agli altri - proprio tu ti comporti peggio di loro? Dove sono finite la tua forza, la tua capacità di sopportazione, la 'perfezione' dei tuoi insegnamenti?
Di cosa ti lamenti? Hai mai visto che Dio lasciasse perire un innocente ?
E quando mai i giusti sono stati sterminati? Anzi sono i cattivi quelli che vengono puniti da Dio. Provocano dolori, certo, ma poi al primo 'soffio' di Dio essi vengono bruciati dalla sua Giustizia.
Ti devo dire una cosa che ti riguarda. L' altra notte, mentre stavo quasi per addormentarmi, ho avuto una  visione che mi ha ‘shoccato’. Ho sentito come un alito gelido che mi sfiorava la faccia facendomi percorrere il corpo come da un brivido e facendomi rizzare tutti i peli della pelle dallo spavento.  Mi è quindi apparsa nel buio un' ombra evanescente, un fantasma, di cui non son riuscito ad individuare le sembianze, ma che con voce flebile e tetra ha sussurrato: 'Qual è mai l' uomo che si può permettere di criticare Dio e ritenerlo ingiusto, considerandosi così superiore a quel Dio stesso che l' ha creato? Le 'creature' non sanno mantenersi buone. I suoi stessi angeli - ed erano angeli: esseri spirituali – si sono mostrati abbietti. Figuriamoci gli uomini, fatti di carne, anzi fatti di polvere!'
Elifaz incalza e, sempre rivolto a Giobbe, gli dice ancora:  E anche tu li hai ben fatti i tuoi peccati, no? No…? Prova allora un po' a chiamare qualcuno di lassù per vedere se ti risponde! Prova a chiamarli, i tuoi Santi... e vedi se vengono!
E' proprio vero che la rabbia  per quello che ti è successo e l'invidia per la salute che hanno gli altri ti hanno fatto uscir di senno.
Nulla avviene senza ragione sulla terra e il dolore che ti è capitato non ti è certo capitato a caso: te lo sarai meritato.
Comunque lo pregherò io il Signore per te, perchè Egli può tutto, manda il sole e l' acqua quando servono, conforta ed aiuta gli umili e gli afflitti, ma stronca anche i cattivi dai quali Dio – alla fine - salverà i poveretti.
Anzi, beati quegli uomini che sono 'corretti' da Dio.
Tu dunque non ti lamentare, perchè Egli sa bene quello che fa e se è vero che ferisce e percuote è anche vero che poi le sue mani medicano e risanano. Quando Lui è con te, tu sei al riparo da tutto. Non c' è fame, morte e spada in

guerra che tenga, e neanche le malelingue, che feriscono più della spada. Vedrai che alla fine Dio ricompenserà l' uomo giusto.
Siamo sicuri che tu avrai di nuovo quello che ti è stato tolto e che sarai nuovamente allietato dalla prosperità e da una numerosa discendenza.
Ecco, è questa la conclusione alla quale noi siamo arrivati e che ti volevamo dire. Tu pensaci bene sopra, intanto.

***

Rimango a meditare un poco su questo brano.

Elifaz, bell'amico !, si è messo a consolare l'amico:  cioè il Giobbe che ha perso armenti, case, i dieci figli – non parliamo della moglie -  e si è ridotto a vivere isolato dal mondo, come i lebbrosi, sdraiato e sfinito in mezzo alla spazzatura.
Ma le parole di Elifaz sono veramente di consolazione? Apparentemente sì, perchè sembrano mirare a scuoterlo e farlo ‘rinsavire’, ricordandogli quello che lui era stato, ma in realtà lo mortificano ancora di più perchè gli 'rinfacciano' che, mentre lui – Giobbe -  era tanto ‘bravo’ a consolare - a parole - gli altri con discorsi saggi, ora che nella 'padella c' è lui si comporta esattamente come quegli altri ai quali lui - sottintende surretiziamente Elifaz - pretendeva di dare lezioni di vita.
Questo modo di comportamento di Elifaz - direi quasi inconscio - penso che ce lo ritroveremmo in molti di noi, se guardassimo bene a fondo.
Quante volte, quando dobbiamo consolare qualcuno che ha sbagliato, specie se agendo contro i nostri consigli, non ci scappa – senza che riusciamo a reprimere un senso inconfessabile di soddisfazione interiore - quel famoso 'Te l' avevo detto io...!',  che, se non è espresso proprio in questi termini - perchè sarebbe troppo scoperto - è espresso con 'giri' di parole che però hanno alla fine lo stesso significato?
E come si sentirà la persona 'redarguita' che è già di per sè mortificata e addolorata per le conseguenze del proprio errore? Si sentira ancora più mortificata ed ancora più umiliata perche in realtà - anzichè l' amore della consolazione - avremo versato sulla sua ferita l' acido di una ulteriore corrosione.
Questa è falsa carità, anzi è molto peggio, è una manifestazione di 'vendetta' a fronte dei dinieghi ricevuti quando credevamo di consigliarlo per il meglio, dinieghi rivolti al nostro 'io' orgoglioso che non li ammette, vendetta che ora quello stesso 'io'', che spesso è anche ipocrita, maschera con parole di falsa consolazione.

 

17.4 – Il Tempio di Espiazione – La Terra

Elifaz introduce poi un duplice concetto che mi lascia perplesso: a questo mondo Dio premia sempre i buoni che anzi vengono protetti, e punisce sempre i cattivi - che magari prosperano per una vita ma poi, al primo 'soffio' indignato di Dio, vengono spazzati via dalla faccia della terra e, inoltre, il concetto ancora che quando il dolore capita è perché uno se lo è meritato.
A proposito di dolore e di ingiustizie nella vita della Terra, mi ricordo una frase dettami una volta dalla ‘Luce’ e che era riferita ad una spiegazione sulla morte anzitempo dei bimbi e dei giusti, che pur non hanno 'colpe', e sul dolore in genere che attanaglia l' Umanità.
Era una frase che sembrava una assurdità - giudicata in un' ottica di vita terrena - ma che assumeva una logica piena se valutata da un punto di vista spirituale di vita eterna:

‘Il dono più grande che possa ambire lo spirito è quello di morire subito – in Grazia – per ricongiungersi con Dio’

E questa frase faceva parte di un concetto più ampio:

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Il dono più grande che possa ambire lo spirito è quello di morire subito - in Grazia - per ricongiungersi con Dio.
Ciò di norma non è possibile perchè l' uomo deve espiare per guadagnarsi il suo Paradiso.
La Terra - a causa del Peccato, e delle colpe degli uomini - è Tempio di espiazione: si comincia a soffrire quando si nasce, poi con il lavoro, le vicissitudini della vita, i lutti, le malattie, la morte.
Questo non significa che Dio è ingiusto ma che l' uomo fu ingiusto con Dio, ed ora ne porta le conseguenze, avendo però la prospettiva e la concreta speranza della salvezza e della gioia eterna.

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Quello che mi dà da pensare è anche questa idea della Terra intesa come 'Tempio di espiazione'.
Noi - infatti - tendiamo tutto sommato a vedere la vita sulla terra come una occasione di felicità, e rimaniamo poi sorpresi quando 'scopriamo' che in realtà non è così. E ci sentiamo quasi 'traditi', come Giobbe
Ma per comprendere come abbia proprio ragione la Luce, basterebbe intendersi sul significato da attribuire alla parola 'dolore' che, come l' odio', ha una gamma vastissima di sfumature.
E' una sfumatura di ‘dolore’ il vagito del bambino che dopo il travaglio nasce e... piange. Lui non se ne accorge, al livello che noi siamo soliti chiamare ‘cosciente’, ma intanto piange, eccome.
Poi i medici ti spiegano che il pianto è anche utile a dar fiato ai 'polmoni', ma quello secondo me è un effetto indotto (come la sofferenza che induce la purificazione, tanto per capirci), perchè se uno sta bene non piange, come quando ha la pancia piena.
E quell' educazione che viene impartita, quell' insieme cioè di norme di costrizione e di orientamento al vivere sociale, non sono ben una forma di limitazione della propria libertà, e in quanto tali un’ altra 'sfumatura' di 'dolore', inteso in un senso diverso?
E poi le 'costrizioni' della scuola, i compiti da fare che sembrano una condanna, i rimproveri del maestro, quelli dei genitori, le ansie per i risultati, per gli esami?
E gli affanni per trovare un lavoro, le delusioni? E che dire di quel lavoro che difficilmente soddisfa le proprie aspirazioni, o di quello che comporta umiliazioni e contrarietà?
L' amore per una donna o per un uomo è gioia ma non di rado è anche fonte di dolore. Lo stesso dicasi per le disillusioni che sono talvolta legate alla vita coniugale.
Ci sono poi, è vero, le gioie dei figli. Ma quante notti in bianco passate nei primi anni, e poi quanta preoccupazione per la loro salute, per il loro ‘futuro’ (specie quando tarda ad arrivare, o viene a mancare, un lavoro), non escluso il dolore per la loro stessa vita quando la Morte - come stava per succedere a mia figlia sedicenne, rimasta in coma per nove giorni a seguito di un incidente provocato da un camion  'pirata' - non intervenga brutale a portarceli via.
E poi - con l' età che avanza - le pene per la salute dei nostri genitori, dei genitori della nostra compagna o del nostro compagno di vita, la loro 'perdita' talvolta prematura, la nostra stessa salute che degenera, le prime malattie, le infermità, le sofferenze fisiche e morali che ne derivano, e ancora l' abbandono,  magari da parte dei figli dai quali - senza che noi per dignità od orgoglio lo vogliamo ammettere ma anzi facendo mostra che è un aiuto che non vogliamo – ci aspetteremmo a quel punto aiuto nelle nostre debolezze dopo che noi per tutta una vita abbiamo aiutato loro.
E, alla fine, la Morte che - come doveva sembrare a Giobbe - dovrebbe essere a questo punto non più una sofferenza (ma invece purtroppo spesso lo è: l' ultima!) ma quasi una liberazione.
Ecco, detta così, tutta di seguito, la vita di una persona, di ciascuno di noi, dovrebbe indurci a preferire la morte prima ancora di averla vissuta.
Non si può certo negare – raccontata così – che la Terra con la vita che vi conduciamo sia sostanzialmente un Tempio d’ espiazione, ma fortunatamente le ‘sofferenze’ non si succedono una immediatamente all’ altra.
Dopo ogni colpo che subiamo nella vita intervengono le forze positive di recupero che abbiamo dentro di noi - o forse saranno gli aiuti del Signore: chiamateli come volete - e noi allora ci risolleviamo e il solo fatto di uscire da quella particolare ‘sfumatura’ di dolore ci sembra già ‘gioia’.
E certamente non può essere stato che Dio a 'costruirci' nella nostra Psiche - la quale, lo ripeto, altro non è che la nostra Anima - in maniera tale che essa tragga al proprio stesso interno le risorse per reagire e coprire con una lente rosa anche le cose peggiori, che vengono sovente rimosse dal nostro livello di coscienza (come quelle amnesie da shock che subentrano dopo certi gravi incidenti in cui uno non ricorda più cosa è successo) affinchè ci 'dimentichiamo' di tutta quella somma di traumi della vita che – ricordati tutti insieme - costituirebbero un fardello tanto pesante da portarci all’annichilimento suicida.

La Terra -  a causa del Peccato d’origine e delle successive colpe degli uomini – è dunque un 'Tempio d'espiazione', ed il Ruotolo - commentando il Giobbe – vede appunto in lui un 'espiatore', cioè uno che espia - senza saperlo -  per dar Gloria a Dio nell’ ambito di quella sorta di contesa ingaggiata da Satana che tale Gloria voleva invece offuscare, e vi vede inoltre la figura espiatrice del Redentore, di Gesù Cristo che sembra aver attirato su di sè tutti i fulmini dell' ira divina fino a finire crocifisso fra due delinquenti da strada e che - come Giobbe - dovette proprio sentirsi 'abbandonato' persino da Dio se, appeso alla Croce, non potè far a meno di invocare: 'Abba, Abba, Padre, Padre, perchè mi hai abbandonato?!'.

 

17.5 – Mancanza d’amore e purificazione – Il Purgatorio

Ma Gesù - mi dico - doveva 'espiare', e alla grande, come solo un Dio poteva fare, per tutta la catena di peccati che l' uomo aveva commesso prima  della sua Passione e che avrebbe commesso poi: peccati per mancanza d' amore, fatti contro Dio e contro il prossimo.

Ecco, questo è il ‘punto’ del dolore: la mancanza d’ amore!
L' uomo sulla Terra non ama,  e contravviene ai comandamenti, che sono comandamenti d' amore.
Spesso lo fa con tanta naturalezza che non se ne accorge quasi nemmeno ma così facendo fa soffrire gli altri e soffre di riflesso lui stesso per le reazioni degli altri.
E allora questa sofferenza connaturata alla vita e che ha tante sfumature viene 'utilizzata' da Dio per purificarci.  
E questo corrisponde anche ad un senso di ‘giustizia’, perché come potremmo riparare veramente alle cattiverie se non soffrendo, e purificandoci così per quello che abbiamo fatto?
E se d’ altra parte la purificazione è una riparazione dovuta per la mancanza d' amore, cosa d' altro ci può essere – di veramente purificatorio - se non la legge del dolore?
Non è quello che ha voluto farci comprendere Gesù Cristo – che pur era Dio - con la sua incarnazione, passione e morte di croce per riscattare i peccati degli uomini?
E quello che non abbiamo sofferto qui in terra, perchè la sorte ci è stata magari propizia, quello che è mancato quindi alla nostra purificazione in terra, anche se a noi di norma sembra sempre di esserci comportati in vita come delle 'perle d' uomo' che non si devono purificare di niente, dovremo soffrirlo in Purgatorio.
Il Purgatorio - mi domando - è  un 'luogo'?
Oppure è uno ‘stato’, cioè un modo spirituale di vivere in una 'dimensione' diversa come quella di un ipotetico universo parallelo al nostro dove però le categorie di spazio-tempo non esistono?
A questo punto però io mi faccio una domanda: ‘ma chi è che ce lo ha ‘rivelato’ che il Purgatorio esiste?’

Esistono varie forme di ‘rivelazione’.

Esiste la 'rivelazione naturale', che è quella di Dio il quale - attraverso la Creazione - rivela se stesso così come l' ombra di un uomo proiettata su un muro rivela ai nostri occhi che esiste il corpo di un uomo che ve la proietta.
Poi c' è la 'rivelazione soprannaturale', che è quella per mezzo della quale Dio si è 'rivelato' nella Bibbia. Come? Parlando ai Patriarchi, ai profeti. Come? Telepaticamente. Fino a manifestarsi poi addirittura in Cristo, Parola incarnata.
Infine vi sono la 'rivelazione pubblica e quella privata'.
Padre Enrico Zoffoli, nel suo pregevole 'Cristianesimo: Corso di Teologia cattolica', a pag. 1305, laddove affronta il tema delle grazie mistiche straordinarie, fornisce della 'rivelazione' la seguente definizione:

La rivelazione è definibile come una manifestazione soprannaturale di una verità occulta o segreta, fatta da Dio per il bene della Chiesa o l' utilità particolare dell' anima che la riceve.
E' pubblica, se fonda la fede della Chiesa universale e interessa la teologia dogmatica; privata invece se riguarda persone particolari ed è studiata dalla teologia mistica come fatto preternaturale non necessariamente associato alla santità di un' anima.

In parole povere è rivelazione 'pubblica' quella dei testi dell' Antico e Nuovo Testamento, è rivelazione privata quella che Dio ritiene di dare a santi o comunque anche a normali persone, come ad esempio lo furono i veggenti delle apparizioni di Lourdes, Fatima, etc.etc.

Ora se la Rivelazione pubblica è avara di notizie precise sul Purgatorio, la cui 'dottrina' è comunque confermata con maggiori dettagli dal Magistero infallibile della Chiesa, moltissime rivelazioni sul Purgatorio e su quello che fanno e soffrono le anime purganti sono contenute invece nella rivelazione private fatte a santi o  a mistici.
La mistica Maria Valtorta, ad esempio, riferisce la spiegazione di Gesù, che le 'parla' e la 'ammaestra' sul Purgatorio.
E' una 'lezione' magistrale e interessante che dà soprattutto un senso razionalmente convincente a questo grande mistero della sofferenza sulla Terra ed a cosa significa la sofferenza d’ amore in Purgatorio.

(M.Valtorta: ‘I Quaderni del 1943’ – Dettato 17.10.43 – Centro Ed. Valtortiano)

        
17 ottobre 1943

Dice Gesù:
Ti voglio spiegare cosa è e in cosa consiste il Purgatorio. E te lo spiego Io, con forma che urterà tanti che si credono depositari della conoscenza dell' al di là e non lo sono.
Le anime immerse in quelle fiamme non soffrono che per l' amore.
Non immeritevoli di possedere la Luce, ma neppure degne di entrarvi subito, nel Regno di Luce, esse, al loro presentarsi a Dio, vengono investite dalla Luce.
E' una breve, anticipata beatitudine, che le fa certe della loro salvezza e le fa cognite di cosa sarà la loro eternità ed esperte di ciò che commisero verso la loro anima, defraudandola di anni di beata possessione di Dio.
Immerse poi nel luogo di purgazione, sono investite dalle fiamme espiatrici.
In questo, coloro che parlano del Purgatorio dicono giusto. Ma dove non sono nel giusto è nel voler applicare nomi diversi a quelle fiamme.
Esse sono incendio d' Amore. Esse purificano accendendo le anime d' amore. Esse danno l' Amore perchè, quando l' anima ha raggiunto in esse quell' amore che non raggiunse in terra, ne viene liberata e si congiunge all' Amore in Cielo.
Ti pare dottrina diversa dalla cognita, vero? Ma rifletti.
Cosa vuole il Dio Uno e Trino per le anime da Lui create? Il Bene.
Chi vuole il Bene per una creatura, che sentimenti ha per la creatura? Sentimenti d' amore.
Quale è il comandamento primo e secondo, i due più importanti, quelli che Io ho detto non esservene  più grandi ed essere in quelli la chiave per raggiungere la vita eterna? E' il comandamento d' amore: 'Ama Dio con tutte le tue forze, ama il prossimo come te stesso'.
Per bocca mia e dei profeti e dei santi, cosa vi ho detto infinite volte? Che la Carità è la più grande delle assoluzioni. La Carità consuma le colpe e le debolezze dell' uomo, perchè chi ama vive in Dio, e vivendo in Dio poco pecca, e se pecca subito si pente, e per chi si pente vi è il perdono dell' Altissimo.
A cosa mancarono le anime? All'Amore. Se avessero molto amato, avrebbero commesso pochi e lievi peccati, connessi alla debolezza e imperfezione vostra. Ma non avrebbero mai raggiunto la pertinacia cosciente nella colpa anche veniale. Si sarebbero studiate di non addolorare il loro Amore, e l' Amore, vedendo la loro buona volontà, le avrebbe assolte anche dalle venialità commesse.
Come si ripara, anche sulla terra, una colpa? Espiandola e, se appena si può, attraverso il mezzo con cui si è commessa.
Chi ha danneggiato, restituendo quanto ha levato con prepotenza.
Chi ha calunniato, ritrattando la calunnia, e così via.
Ora, se questo vuole la povera giustizia umana, non lo vorrà la Giustizia santa di Dio? E quale mezzo userà Dio per ottenere riparazione? Se stesso, ossia l'Amore, ed esigendo amore.
Questo Dio che avete offeso, e che vi ama paternamente, e che vuole congiungersi con le sue creature, vi porta ad ottenere questo congiungimento attraverso  Se stesso.
Tutto si impernia sull' Amore, Maria, fuorchè per i 'morti' veri: i dannati. Per essi 'morti' è morto anche l' Amore.
Ma per i tre regni - quello più pesante: la terra; quello in cui è abolito il peso della materia ma non dell' anima gravata dal peccato: il Purgatorio; e infine quello dove gli abitanti di esso condividono con il Padre loro la natura spirituale che li affranca da ogni gravame - il motore è l' Amore.
E' amando sulla terra che lavorate per il Cielo.
E' amando nel purgatorio che conquistate il Cielo che in vita non avete saputo meritare.
E' amando in Paradiso che godete il Cielo.
Quando un' anima è nel Purgatorio non fa che amare, riflettere, pentirsi alla luce dell' Amore che per lei ha acceso quelle fiamme, che già sono Dio, ma le nascondono Dio per sua punizione.
Ecco il tormento. L' anima ricorda la visione di Dio avuta nel giudizio particolare. Si porta seco quel ricordo e, poichè l' avere anche solo intravisto Iddio è gaudio che supera ogni creata cosa, l' anima è ansiosa di rigodere di quel gaudio. Quel ricordo di Dio e quel raggio di luce che l' ha investita al suo comparire davanti a Dio, fanno si che l' anima 'veda' nella loro vera entità le mancanze commesse contro il suo Bene, e questo 'vedere' costituisce, insieme al pensiero che per quelle mancanze si è volontariamente interdetta il possesso del Cielo e l' unione con Dio per anni o secoli, costituisce la sua pena purgativa.
E' l' amore, e la certezza di avere offeso l' Amore, il tormento dei purganti.
Più un' anima nella vita ha mancato e più è come accecata da spirituali cataratte, che le rendono più difficile il conoscere e raggiungere quel perfetto pentimento d' amore che è il coefficiente primo della sua purgazione e dell' entrata nel Regno di Dio.
L' amore è appesantito nel suo vivere e reso tardo quanto più un' anima lo ha oppresso con la colpa. Man mano che per potere dell' Amore essa si monda, si accelera la sua risurrezione all' amore e, di conseguenza, la sua conquista dell' Amore, che si completa nel momento in cui, finita l'espiazione e raggiunta la perfezione, essa viene ammessa nella Città di Dio.
Bisogna molto pregare perchè queste anime, che soffrono per raggiungere la Gioia, siano veloci nel raggiungere l' amore perfetto che le assolve e le unisce a Me.
Le vostre preghiere, i vostri suffragi, sono altrettanti aumenti di fuoco d'amore. Aumentano l' ardore. Ma - oh! beato tormento! - aumentano anche la capacità di amare. Accelerano il processo di purgazione. Innalzano a gradi sempre più alti le anime immerse in quel fuoco. Le portano alle soglie della Luce, infine, e introducono l' anima in Cielo.
Ad ognuna di queste operazioni, provocate dalla vostra carità per chi vi ha preceduto nella seconda vita, corrisponde un soprassalto di carità per voi.
Carità di Dio che vi ringrazia di provvedere ai suoi figli penanti, carità dei penanti che vi ringraziano di adoperarvi per immetterli nel gaudio di Dio.
Mai come dopo la morte della terra i vostri cari vi amano, perchè il loro amore è ormai infuso della Luce di Dio e a questa Luce essi comprendono come voi li amate e come avrebbero dovuto amarvi.
Non possono più dirvi parole che invocano perdono e danno amore. Ma le dicono a Me per voi, ed io ve le porto, queste parole dei vostri Morti, che ora vi sanno vedere e amare come si deve. Ve le porto insieme alla loro richiesta d' amore e alla loro benedizione. Già valida sin dal Purgatorio, perchè già infusa dell' accesa Carità che li arde e purifica. Perfettamente valida, poi, dal momento in cui, liberati, verranno incontro a voi sulle soglie della vita o si riuniranno a voi nella stessa, se già voi li avete preceduti nel Regno d' Amore.
Fida in Me, Maria. Io lavoro per te e per i tuoi cari. Solleva il tuo Spirito. Vengo per darti la gioia. Fidati di Me.

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E questo è quanto ha detto il Gesù di Maria Valtorta.

Ma Padre Zoffoli (del quale mi son fatto l' idea, dai libri che ha scritto, che sia una specie di 'scienza', ma dovete leggerlo quando - con la mente - siete ben riposati) cosa ne dice, lui che non è un 'mistico' come la Valtorta ma è un 'esponente ufficiale' della Chiesa, cosa ne dice del Purgatorio?
Siete ‘riposati’?

Vado a guardarmi la sua opera più sopra citata dove si parla diffusamente (25 pagine) del Purgatorio e dove si sottolinea anche che questo 'forse è tra i dogmi di fede più comprensibili, mancando il quale, saremmo disposti ad 'inventarlo', tanto bene si adatta alle reali condizioni dell' esistenza umana, le più universalmente condivise. Il Purgatorio fu intravisto persino da pensatori pagani, tra cui Seneca e lo stesso Platone che, nella metempsicosi, sembra vedere una forma di purificazione previa alla beatitudine eterna'.

E poi  - vado a ‘volo d' uccello’- egli scrive ancora:

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L'esistenza del Purgatorio è un 'dogma di fede divina e cattolica' perchè, derivato dalla S. Scrittura e dalla Tradizione, è stato solennemente definito da tre Concili ecumenici a Lione, Firenze e Trento...

Una prima nozione del Purgatorio che faciliti il nostro esame potrebbe essere la seguente:

'temporanea condizione di pena necessaria ai giusti per liberarsi da ogni residuo di peccato e disporsi a godere la visione beatifica'.

E' facile perciò osservare che il Purgatorio così concepito:
* si concilia con lo stato di separazione dell' anima, non più soggetta alle leggi dello spazio e del tempo: esso infatti è una 'condizione', non un 'luogo';
* comporta una sofferenza essenzialmente intima, provocata soprattutto dalla coscienza delle colpe commesse;
* suppone il genere di vita più comunemente vissuto in questo mondo, dal quale pochissimi escono del tutto immuni dal suo contagio;
* sottende la più nobile idea della partecipazione alla vita di Dio, incompatibile con qualsiasi affetto disordinato che inevitabilmente impedisce il libero slancio e la più intima unione dell' anima con Lui.

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L' anima, sebbene sia separata dal corpo, può aver bisogno di purificarsi. Ciò può sorprendere chiunque crede che la medesima, liberata dalla materia e da ogni influenza del sensibile, resti automaticamente purificata..., cosa che potrebbe supporsi soltanto se il peccato dipendesse dal corpo, concepito - secondo il dualismo platonico - come principale origine del male.
Ma ciò è falso, perchè chi pecca non è l' anima ma tutto l' uomo, per cui una azione veramente 'umana' risulta dalla insopprimibile cooperazione dell' anima e del corpo, tra loro così solidali e interdipendenti che non è possibile aberrazione dello spirito a cui non partecipi la materia; nè disordine della materia a cui non partecipi lo spirito: la persona umana è tutta e indivisibilmente nell' uno e nell' altra.

    a) Ora, l'anima, per quanto immateriale, separandosi dal corpo, resta essenzialmente inalterata, ossia umana, perchè sempre 'forma' di quel determinatissimo 'corpo organico' col quale compose l' uomo e potè agire in modo specificatamente umano, non angelico; quindi subire un processo di sviluppo, restando profondamente caratterizzata e assumendo una fisionomia unica, inconfondibile.

     b) Appunto quel processo, svoltosi nel e per il corpo, spiega come un' anima, separata dal medesimo, possa risentirne le conseguenze, positive e negative. Le prime, dal punto di vista morale, coincidono esattamente con quella libertà o purezza interiore che è distacco, disponibilità e piena apertura a Dio, preferito ad ogni bene creato in virtù di una disciplina degli affetti che ha consentito di amare tutto nell' ordine, secondo la legge di natura e di grazia. Alla morte, allora, non può seguire immediatamente la beatitudine, come spiegheremo meglio in seguito.

    c) Di fatto, la salvezza - nella stragrande maggioranza dei casi - non segue subito, perchè l' anima non ne è ancora capace: la realtà della sua condizione è precisamente quella ereditata dall' ultimo momento della sua esistenza terrena; realtà che può essere negativa per due ragioni:
    1°) Essa non ha amato Dio quanto doveva, ossia non ha corrisposto alle grazie che glielo avevano reso possibile...; per cui non ha esaurito tutte le sue effettive energie di sviluppo....; non ha attuato quel 'tipo di perfezione' che costituiva il 'suo' personale-fine ultimo da conseguire...; ha chiuso la vita senza aver raggiunto la santità consistente nella pienezza dell' amore; ed è, ormai, nella impossibilità di realizzarla, non potendo più 'meritare', cioè 'crescere', aprirsi ulteriormente, ricuperare il tempo perduto....

Ora è certo che la capacità di possedere Dio è in tutto proporzionata al grado di amore per Lui col quale ha saputo dominare se stessa esercitandosi nella virtù: quella capacità resterà immutata per sempre come misura costante della sua futura beatitudine, inferiore a quella che avrebbe potuto godere se, al momento della morte, avesse raggiunto la santità.

    2°) Ciò non è tutto. Dicendo che l' anima non è 'santa' significa affermare che essa - in certo senso - è 'deforme' a causa delle 'reliquie' del peccato che la deturpano: ogni cedimento al male vi ha lasciato le sue tracce in quanto ha indebolito la volontà, ha accentuato il suo istintivo impulso al disordine, ha ridotto le sue risorse di autodifesa, quindi ha alterato la sua fisionomia profonda.

    3°) E' la condizione di coloro che, non solo muoiono in peccato veniale, ma che, avendo commesso dei peccati mortali, e non essendosi esercitati nell' ascesi, non hanno acquistato un perfetto dominio di se stessi...; ed ecco che passano all' eternità ancora malati di orgoglio , di presunzione, d' invidia e di ogni tendenza peccaminosa o affetto disordinato che resta come annidato in seno all' anima...
     La quale, come si esprime Platone, 'è come se fosse flagellata, essendo piena di cicatrici dovute a giuramenti falsi, a delitti d' ogni genere...'. Infatti 'ogni azione, ad una ad una, impresse il suo marchio nell' anima: tutto in essa è contorto per menzogna e vanagloria, e nulla vi è di diritto, perchè sempre nutrita lontano dal vero...', 'essa è tutta piena di disarmonia e di brutture per la licenza e la 'lussuria', l' orgoglio e la sfrenatezza delle sue azioni...'        
     Ed ecco che le 'tracce negative' dell' esistenza terrena rappresentano altrettante 'alterazioni' della volontà, rimasta sconvolta dall' amore disordinato di sè, priva del suo naturale slancio verso Dio, della sua doverosa prontezza ad assecondare gli stimoli della Grazia... L' anima perciò ne risulta menomata quanto alla propria vitalità soprannaturale, disarmonica, contraffatta: ella non ha amato quanto e come poteva e doveva; e ha dovuto quindi chiudere il proprio bilancio con un deficit che non sarà più in grado di annullare, non potendo più progredire nell' amore.
     In conclusione: con la volontà orientata verso Dio, l' anima certamente è 'giusta', virtualmente salva: ella può raggiungere il suo Fine...; ma ne è impedita dalle 'tendenze' sregolate rimaste dopo i peccati commessi, non essendo state dominate (in vita) con la penitenza ispirata ad un amore perfetto.
Da qui la necessità del Purgatorio quale condizione ove quella penitenza purificatrice è possibile in virtù dell' amore, capace di eliminare i residui di una vita indegna e di sciogliere pertanto le anime dei defunti da ogni 'vincolo' del peccato...

...................

Alludiamo alla natura delle pene sofferte dalle anime purganti, quindi alla natura del purgatorio, consistente nell'esperienza di quelle pene:

     a) Si tratta di pene purificatrici che sollevano il problema di come sia possibile una purificazione spirituale nella vita ultraterrena.
         E' possibile come (anche nel tempo) ad ogni peccatore sinceramente pentito. Il quale, animato dall' amore, soffre di aver offeso Dio, per cui biasima il proprio operato e impone a se stesso una radicale trasformazione interiore, volta a far trionfare le esigenze della grazia su tutte le assurde pretese della natura. Ed ecco appunto un' inversione di rotta che, mentre rende a Dio l' onore che gli spetta secondo giustizia (= riparazione), rettifica gli affetti e quindi li purifica liberandosi dal male (= redenzione).
     b) La differenza fra la purificazione possibile in vita e dopo morte consiste essenzialmente nel fatto che la penitenza a cui si è obbligati nel tempo, mentre soddisfa e redime, determina un aumento dell' amore e fa sviluppare la vita di grazia fino ai più alti gradi di unione con Dio: nessuno ignora il fervore e la santità dei grandi 'convertiti'...

          Al contrario, nel Purgatorio, ove non vi è possibilità di 'crescita' soprannaturale, la pena di aver offeso Dio elimina soltanto le conseguenze del peccato, limitandosi a rettificare gli affetti per consentire all' anima di amare Dio secondo l' età spirituale raggiunta prima della morte.
         Incomparabilmente superiore, quindi, la penitenza di oggi rispetto a quella di domani. La prima si inserisce nel ritmo della vita vissuta come esercizio d' amore in via di evoluzione...; la seconda invece implica la dolorosa presa di coscienza di un cammino imperfettamente concluso, e che non può essere ripreso nè migliorato.

...................

Quale dunque la natura delle pene del Purgatorio, se non si è tenuti ad alludere al vero 'fuoco' del mondo fisico?

     Crediamo:
     a) che l' anima, separata dal corpo, nuda, sola, interamente raccolta in sè, è in grado di conoscere e amare Dio come non le era stato mai possibile. Alla sua presenza avverte la propria deformità, è lacerata dal rimorso infinito di averLo offeso.
     Ed ecco che, in tale angoscia mortale, ella subisce una trasformazione così profonda da risultarne riordinata in tutto l' essere, reinserita con tutte le sue facoltà e tendenze nella corrente del suo finalismo soprannaturale...Ora, finalmente, può dissipare le illusioni dei sensi, chiarire le idee, correggere i giudizi, sciogliere dubbi e superare equivoci, scoprire a nudo finzioni e ipocrisie, sventare i raggiri dell' orgoglio, dileguare i sogni di autonomia e potenza temporale, ridersi per sempre di tutti i riguardi umani, penetrare e vagliare le sue intenzioni più occulte...
     Appunto la purgazione quale ineffabile terapia che, purificando gli affetti, rende l' amore di sè sempre più sapiente, retto, libero di lanciarsi verso Dio come Bene dei beni, supremo Fondamento di tutti i valori e gli amori...

     b) Al riguardo, il paragone del 'fuoco' è altamente espressivo. Ad esso infatti che risplende e brucia, risponde bene la Luce della coscienza rischiarata dalla fede, e la potenza divorante dell' amore... Se non si dà supplizio più orrendo del rogo, è anche vero che non si dà strazio più crudele della consapevolezza di aver offeso una persona amata... Siamo convinti che solo una interiorizzazione del Purgatorio così concepito può difendere il dogma da certe accuse della miscredenza...

     c) Resta solo da precisare che, per i redenti, il fuoco non potrebbe essere altro che lo sguardo penetrante e bruciante del cristo Risorto, che non cessa di fissare le anime, operando quella 'purificazione' che le assimila a Sè, sì da poterle fare interamente proprie e condurle al seno del Padre.

     d) E' lo sguardo che, rivelando all'anima la maestà e santità di Dio, consente ad essa un confronto di sè con Lui che è fonte di infinita ammirazione e compiacenza per tutto quello che Egli è in sè..., e, insieme, d' immenso e angoscioso disgusto per tutto quello che la creatura scopre di essere davanti a Lui nella deformità del suo peccato.
Sguardo che, più si fa penetrante, più accende nell' anima l' amore di Dio, e più atroce le fa sperimentare lo strazio di averlo offeso. Si verifica pertanto che esso, più illumina, più fa amare e acuisce il desiderio di possedere l' Amato; più insopportabile ne fa avvertire la privazione e più impaziente l' attesa; più radicale quindi il distacco dai beni creati e più libera l' anima dal loro fascino...

     e) Dunque, sofferenza essenzialmente diversa da quella dei dannati, non solo perchè la privazione della visione di Dio è temporale, ma anche perchè tal privazione - mitigata dalla speranza - è capita, accettata e persino goduta dalle anime purganti, che in essa vedono un mezzo di purificazione, a sua volta indispensabile per rendersi degne della compiacenza di Dio, capaci di contemplarLo qual è in sé, di celebrare con lui l' eterno connubio dell' amore trasformante e beatificante.
     Per intravvedere il mistero della purificazione delle anime dopo la morte, non possiamo ricorrere ad una analogia più elevata di quella tratta dal martirio delle anime contemplative.

     f) Certamente le pene del Purgatorio cesseranno prima del giudizio universale (Mt 25,31s). Da quel momento non ci saranno altre categorie di anime, se non quelle dei beati e dei dannati...
     Non abbiamo alcun dato che ci consenta di determinare la durata del Purgatorio per ogni anima, la quale, non avendo ancora raggiunto la beatitudine, è ancora soggetta al tempo, sia pure quello 'interiore' proprio della vita dello spirito, come 'successione' di pensieri e di affetti.
     Ora, se non si può escludere che la purificazione si compia in un istante (quello successivo alla morte), sarebbe però arbitrario parlare di mesi e di anni, ecc. In ciò il riserbo della Chiesa è assoluto.
     Di certo possiamo ritenere che la durata del Purgatorio varia da un' anima all' altra, essendo del tutto personale il bisogno della purificazione, esattamente proporzionato alla vita vissuta e al grado di gloria di cui si è resa capace secondo i piani della Provvidenza a noi ignoti.

***

Rimango un poco a riflettere confrontando lo scritto dello Zoffoli con quello della Valtorta e mi dico alla fine che lo Zoffoli sarà anche una 'scienza' e parla bene, ma la Valtorta, o meglio il Gesù della Valtorta, via…, quella non è scienza - mi dico - è Sapienza!